Su Repubblica online di oggi compare un articolo intitolato «Il virus circola anche nell’aria / L’oms si prepara a rivedere le linee guida» illustrato con foto di una mascherina. È anche nell’edizione cartacea, a pag. 5, col titolo ancora più tranchant: «Il virus è nell’aria / Gli Usa: usatele tutti / E l’Oms si prepara a rivedere le norme.»
Poiché su web l’articolo è a pagamento, il titolo è l’unica cosa che la maggior parte dei visitatori leggerà. E penserà che per infettarsi basti uscire di casa senza mascherina.
Noi invece siamo abituati a leggere gli articoli per intero, e se serve a verificarne le fonti.
Precisiamo che titoli simili sono apparsi anche su altre testate. Abbiamo scelto Repubblica perché è il più mainstream, il più visitato on line, ha una patina di «rispettabilità» e fin dall’inizio dell’emergenza coronavirus ha diffuso con zelo certe narrazioni – quelle che su Giap cerchiamo di smontare – in determinati settori dell’opinione pubblica.
Gli articoli citati come «pezze d’appoggio» dicono altro
Dall’articolo, piuttosto ingarbugliato, non si capisce molto, ma vengono citati in modo vago due articoli scientifici, uno apparso sul New England Journal of Medicine il 17 marzo di cui ci eravamo già occupati in una discussione qui su Giap, e l’altro apparso su Jama il 26 marzo.
Partiamo da quest’ultimo: non è uno studio fatto direttamente sul virus Sars-Cov2, ma una ricapitolazione di scoperte sulla trasmissione di agenti patogeni tramite goccioline e tramite aerosol. Spiega che uno starnuto non consiste solo di goccioline ma anche – traduciamo da profani – di «una nube gassosa turbolenta e multifase». Grazie alla compresenza di goccioline e aerosol, un agente patogeno trasmesso da uno starnuto può arrivare anche a 7-8 metri di distanza. La nube poi perde spinta e si disperde ma lascia «residui o nuclei di goccioline che possono restare in aria per ore, seguendo [attenzione a quel che sta per dire, corsivo nostro, NdR] i pattern di correnti imposte da sistemi di ventilazione o aria condizionata».
Stiamo dunque parlando principalmente di ambienti chiusi.
Dove il testo arriva al punto, nel paragrafo intitolato «Implications for Prevention and Precaution», non parla di camminate all’aria aperta come il titolo di Repubblica indurrebbe chiunque a pensare, ma della maggiore distanza di sicurezza da tenere e delle precauzioni che dovrebbero osservare i lavoratori della sanità a contatto con malati di Covid-19, ed è tutto proposto con cautela e formulazioni ipotetiche (grassetti nostri):
«Although no studies have directly evaluated the biophysics of droplets and gas cloud formation for patients infected with the SARS-CoV-2 virus, several properties of the exhaled gas cloud and respiratory transmission may apply to this pathogen. If so, this possibility may influence current recommendations intended to minimize the risk for disease transmission. In the latest World Health Organization recommendations for COVID-19, health care personnel and other staff are advised to maintain a 3-foot (1-m) distance away from a person showing symptoms of disease, such as coughing and sneezing. The Centers for Disease Control and Prevention recommends a 6-foot (2-m) separation. However, these distances are based on estimates of range that have not considered the possible presence of a high-momentum cloud carrying the droplets long distances. Given the turbulent puff cloud dynamic model, recommendations for separations of 3 to 6 feet (1-2 m) may underestimate the distance, timescale, and persistence over which the cloud and its pathogenic payload travel, thus generating an underappreciated potential exposure range for a health care worker. For these and other reasons, wearing of appropriate personal protection equipment is vitally important for health care workers caring for patients who may be infected, even if they are farther than 6 feet away from a patient.»
In parole povere: a medici e infermieri che curano malati di Covid-19 converrebbe portare la mascherina anche quando stanno a più di due metri di distanza. Si sta parlando di situazioni – e professioni – particolari, di ambienti chiusi dove sono presenti contagiati.
E, ripetiamolo, non sono studi condotti direttamente sul coronavirus.
Veniamo all’articolo più vecchio. Avevamo già criticato duramente chi cercava di usarlo come pezza d’appoggio per il «divieto di passeggiare».
Anche qui si parla di plausibilità della trasmissione via aerosol, ma anche in questo caso le implicazioni – e implicite raccomandazioni – riguardano ambienti chiusi e grandi concentrazioni di persone. Il focus dello studio è la permanenza del virus su superfici di diversi materiali, con esplicito riferimento al contagio ospedaliero e ad assembramenti di massa: «nosocomial spread and super-spreading events».
Partire da questi due articoli per titolare ansiogenamente «Il virus è nell’aria» è un bel balzo di tigre, non c’è che dire.
Inoltre, mentre il titolo dice «L’OMS si prepara a rivedere le norme», nel testo si cita solo David Heymann, responsabile del panel sul SARS-Cov2 dell’OMS che dice: «Stiamo studiando le nuove linee scientifiche e siamo pronti a cambiare le linee guida, se necessario».
Il mondo reale non è un laboratorio
Come ha segnalato l’utente pm2001 in un commento su questo blog, la posizione dell’OMS aggiornata al 29 marzo è qui:
«In sostanza la valutazione è: gli ultimi esperimenti che hanno rivelato possibile trasmissione in aria hanno utilizzato dei nebulizzatori ad alta potenza, che non riflettono le normali condizioni di tosse umana. Misure effettuate su pazienti covid non hanno evidenziato trasmissione. Inoltre “in an analysis of 75,465 COVID-19 cases in China, airborne transmission was not reported“. Quindi le mascherine restano consigliate solo agli operatori sanitari.»
Bisogna sempre ricordare, infatti, come ha ribadito il Robert Koch Institut in Germania, che un conto sono le evidenze ottenute in laboratorio sulla permanenza del virus, e un altro sono le condizioni reali. In laboratorio difficilmente puoi riprodurre uno starnuto. E la sopravvivenza del virus dipende da fattori molteplici, come la temperatura, l’umidità dell’aria, il tipo di superficie, la sua struttura, perfino il design. [Su questo, cfr. anche l’Appendice qui sotto.]
Il virologo Hendrik Streeck sta studiando caso per caso il diffondersi del Sars-Cov2 nel distretto di Heinsberg, uno dei focolai tedeschi del virus. È andato nelle case di persone infette, ha tracciato i loro spostamenti, e quel che sta risultando contrasta con svariati esperimenti di laboratorio. Sulle superfici di una casa vera, il virus sembra sopravvivere per un tempo molto più breve e la reale probabilità di contagiarsi toccando una maniglia “infetta” sono prossime allo zero. Nessuno dei casi studiati si è infettato o ha infettato altre persone in un supermercato, sebbene tutti lo abbiano frequentato. Lo studio è in corso, ma già promette risultati piuttosto inediti su come davvero ci si contagia.
Il babau che sta(rnutisce) «là fuori»
Le conseguenze di un titolo-spazzatura come quello preso in esame possono essere gravi, in un contesto di paura, di bombardamento mediatico contro improbabili capri espiatori (con tanto di supermulte probabilmente incostituzionali), mentre la gente è sprangata in casa e si discute di «ora d’aria» per i bambini.
Fin dal principio, divieti irrazionali e criminalizzazioni si sono basati su un’idea assurda, del tutto infondata dal punto di vista virologico ed epidemiologico ma costantemente aizzata da media e politicanti-sceriffi, piantata in milioni di cervelli e non smentita con sufficiente nettezza o visibilità da medici e scienziati (anzi, incoraggiata da alcuni medici e scienziati divenuti vedettes mediatiche): l’idea che il virus sia «là fuori», onnipresente e persistente, in grado di raggiungerti ovunque e a qualunque distanza. E ora che si avvicina il fine settimana, meglio spargere un po’ di terrore, per evitare che qualcuno vada a farsi una passeggiata. Nemmeno nei boschi si può andare: c’è chi chiede di pattugliarli per stanare gli untori, chi manda i droni…
Il clima di terrore per il «babau là fuori» non nasce da un’evidenza scientifica, ancorché travisata. Quella viene ricercata a posteriori, come pezza d’appoggio. Non sono i titoli – sbagliati – sulla diffusione del virus nell’aria aperta ad aver innescato la criminalizzazione di chi passeggia a un chilometro da casa. Al contrario: si confezionano quei titoli – a spregio persino del contenuto degli articoli stessi – per giustificare la linea dura contro chi vorrebbe camminare in un bosco.
Allo stesso modo, si confezionano ragionamenti privi di qualunque logica – «se tutti passeggiassero, non si potrebbero evitare gli assembramenti» – e nascono personaggi come «quello che ti starnutisce in faccia», per certi versi simile alla «prostituta [non a caso «la passeggiatrice»] sieropositiva che buca i preservativi per infettare i clienti e scrive sullo specchio “Benvenuto nell’AIDS”».
A qualcuno è mai capitato davvero di andarsene a passeggio e starnutire in faccia al prossimo? O viceversa: gli è capitato davvero di camminare in mezzo a un prato e incrociare un altro escursionista che gli tossisce addosso? Starnman – il cattivaccio che ti starnutisce in faccia – ha la stessa sostanza delle leggende metropolitane, degli incubi ad occhi aperti.
La cornice narrativa del «babau là fuori» precede il diffondersi del coronavirus e, come abbiamo sottolineato più volte, si era già manifestata nell’ideologia del decoro. Era già nell’agorafobia diffusa, l’odio per gli spazi pubblici che vengono davvero usati dalle persone. Era già negli slogan «padroni a casa nostra». E oggi si rafforza con la scoperta – incredibile! – che la socialità è contagio, che stando assieme possiamo passarci virus, batteri, germi, schifezze. Che non basta sloggiare il tizio che dorme su una panchina, per avere una piazza finalmente asettica, pulita.
Una consapevolezza che d’ora in poi ci tormenterà per sempre.
Appendice, 04/04/2020
«Quello di cui la stampa sta parlando molto ed è presentato fuori contesto è il fatto che il virus possa sopravvivere sulla plastica per 72 ore, il che suona spaventoso. Ma ciò che importa di più è la quantità di virus che resta su quelle superfici: meno dello 0,1% della quantità virale iniziale. A quei livelli il contagio è teoricamente possibile, ma improbabile. Questo la gente deve saperlo.
Lo studio del New England Journal of Medicine dice che il virus può restare nell’aria per tre ore, ma in natura le goccioline della respirazione precipitano al suolo più rapidamente dell’aerosol prodotto in quell’esperimento. Gli aerosol usati in laboratorio hanno particelle più piccole di quelle che escono con un colpo di tosse o uno starnuto, quindi rimangono nell’aria ad altezza del viso più a lungo di quanto facciano le particelle più pesanti prodotte in natura.»
Dall’intervista alla biologa cellulare Carolyn Machamer, esperta di coronavirus, pubblicata già il 20 marzo sul Johns Hopkins Magazine.
Sì potrei aggiungere che the Guardian in the UK opera esattamente come la Repubblica qui sebbene non cosi sfacciatamente. Non esiste un giornale mainstream ormai che non sia stato cooptato a disseminare propaganda.
Sebbene di destra ma di stampo libertario solo Peter Hitchens nel Daily Mail azzarda a mettere in discussione il lockdown e conseguante privazione dei diritti civili nel MSM. https://www.dailymail.co.uk/debate/article-8163587/PETER-HITCHENS-Great-Panic-foolish-freedom-broken-economy-crippled.html
Scrive Hitchens: “Sospetto che questa stagione buia potrebbe peggiorare ancora prima di vedere di nuovo la luce chiara e calma della ragione. Maggiore è l’errore che abbiamo commesso, meno siamo disposti ad ammetterlo o correggerlo. Questo è il motivo per cui temo fortemente sviluppi peggiori nei prossimi giorni.
“Forse emuleremo Francia o Italia, che gli stati sono tornati alle loro origini dispotiche e hanno ridotto le loro popolazioni a una specie di servo rannicchiato, a malapena in grado di uscire in strada.”
Eh già, il Guardian… Come è cambiato negli ultimi anni, in peggio purtroppo. La direttora lo ha trasformato in un foglio tutto politically correct e prevalentemente femminista, nell’accezione negativa del termine, stravolgendo quasi ogni argomento secondo quell’unica ottica. Per esempio, hanno abbandonato come un cane in mezzo alla strada Assange, per quella famigerata denuncia di violenza in Svezia che poi venne ritirata (troppo tardi ormai) in quanto inconsistente. Buoni articoli ce ne sono ancora, sicuramente, ma bisogna scovarli. Ad esempio un paio di giorni fa due corrispondenti dall’Italia hanno scritto un pezzo in cui si dice molto chiaramente che il tempo dei cori dai balconi è finito da un pezzo, e buona parte della popolazione è allo stremo, per svariati motivi. Diciamo che si tengono in piedi grazie all’enorme spazio dedicato al calcio, argomento, peraltro, trattato molto bene, con competenza ma anche leggerezza (cronache lunghissime e ipercommentate). Certo è ancora tutt’altra cosa rispetto ai vari repubblica, corriere e la stampa (e il primo e il terzo dell’elenco sono ormai da anni sotto un unico padrone, bella roba davvero).
Apro un piccolo inciso OT: non parlerei di «accezione negativa del termine “femminista”» è un modo di porre la questione ingannevole. Come fanno le autrici di Femminismo per il 99%, per la direttrice del Guardian e diverse opinioniste di quel giornale parlerei invece di «femminismo liberale», quello delle Hillary Clinton, delle donne in carriera, delle battaglie molto “fotogeniche” ma che spesso si fermano alla superficie della disuguaglianza di genere, senza aggredirne le cause socioeconomiche profonde. Quel tipo di femminismo che la recente nuova ondata femminista mondiale ha spesso denunciato. Fine OT.
Sì, certo, mi aspettavo un appunto a proposito di quell’espressione, ora forse ne userei un’altra, ma quando si scrive qui sopra in fretta, e direttamente nel format (io non faccio mai copia e incolla da un doc word) è difficile essere sempre precisi al 100%. Rimane il fatto che leggere certi articoli (quello su Assange di qualche mese fa era un esempio fra mille) fa venire il magone, e che il Guardian non è più autorevole come qualche tempo fa. E questo è un vero peccato, un riferimento che viene a mancare. Non del tutto, ci sono sempre buone cose lì sopra, ma molte meno rispetto a un tempo.
Come amo questo OT.
Però chiudiamolo :-)
Chiusa. Sorry.
Per proseguire OT identity politics e’ la NEMICA della lotta di classe.
Dividere e separare le persone lungo linee di genere o sessualita’ e’ reazionaria.
Io da donna della working class ho piu’ in comune con un uomo della working class che con una donna ricca.
Il mio OT, aperto e chiuso, era una precisazione di quelle che sentiamo doverose, perché leggere su Giap il termine «femminista» usato in accezione negativa senza che dicessimo nulla al riguardo sarebbe stato troppo stridente. Però, appunto: aperto e chiuso. Cerchiamo di stare in tema.
The Guardian insieme agli altri fautori del movimento #metoo rappresenta uno strato viziato e privilegiato della media borghesia insieme al NYT.
Non solo hanno abbandonato Assange ma sono stati determinanti nello “smearing” e demonizzazione di lui e Wikileaks. Luke Harding del Guardian e’stato uno dei critici piu’ subdoli e efficaci di Julian Assange e non proseguo per non essere censurata ma le parole “asset” e “intel agencies” sono chiavi.
Beh, non solo lui. Ricordo almeno due articoli di firme femminili del Guardian, piuttosto autorevoli (non ricordo i nomi). In uno dei due si diceva che i funzionari dell’ambasciata ecuadoriana non ne potevano più di Assange, che li stressava continuamente. Era rinchiuso lì dentro da 7 (sette) anni, altro che lockdown di un mese e mezzo. Non ricordo poi che si mettesse in evidenza il fatto che lui aveva avuto la cittadinanza ecuadoriana, quindi l’intervento di Scotland Yard era una violazione macroscopica del diritto internazionale. Gli ecuadoriani, candidamente, si giustificarono dichiarando che la cittadinanza gli era stata “sospesa”. Fantastico.
Per favore, restiamo in tema. Questa è una discussione su informazione e coronavirus.
ok ok, come non detto.
E’ tutto collegato.
Tutto è collegato a tutto. Ma non possiamo parlare ogni volta di tutto, dobbiamo per forza focalizzare o le discussioni diventano impercorribili, accidentate da troppi pali e troppe frasche.
Comunque grazie per avere, credo, ben recepito il senso del mio post. L’OT del webmaster (che in quanto tale ne ha ovviamente pieno diritto) lo aveva alquanto stravolto. Se mi posso permettere: attenzione a non scattare in automatico, come il sensore di un sistema d’allarme, quando si rileva la presenza di un qualsiasi termine in una forma che non appare *ortodossa*.
La mia precisazione ti ha risparmiato non so quanti rimbrotti :-)
E se il virus corresse nei tamponi?
https://www.thesun.co.uk/news/11296594/coronavirus-testing-delayed-kits-contaminated-covid19/
Non mi pare di aver visto questo articolo del Guardian leggendo i commenti al post. E’ di David Heymann, epidemiologo e docente di “Epidemiologia delle Malattie infettive” presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine. Era a capo dell’OMS durante la SARS del 2003. Ho visto il suo nome citato a sproposito e in maniera fuorviante in titoli anche peggiori di quelli di Repubblica sulle edizioni online di alcuni giornali sportivi.
https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/03/face-masks-coronavirus-scientists-evidence-covid-19-public
Mi pare che confermi in pieno ognuno dei punti giustamente notati in questo post e soprattutto spiega per bene cosa sappiamo da un punto di vista scientifico sull’uso delle mascherine in pubblico e all’aperto rispetto ai luoghi chiusi o ad alto rischio come gli ospedali. Mi ha colpito il suo tentativo di non creare “false aspettative di sicurezza” nella popolazione di fronte alle possibilità di contagio.
Credo poi che le sue parole vadano oltre e mettano il lettore di fronte alla nozione di evidenza scientifica al di là del “dicono gli esperti” o “gli scienziati affermano che”. Il suo approccio democratizza la scienza non la rende inarrivabile e da seguire e basta. C’è quindi un campo entro il quale è ancora possibile fare del buon giornalismo di divulgazione scientifica anche nella rincorsa all’ultimo studio che spiega come ci si salverà dal virus.
Come giustamente notato su Giap e in pochi altri spazi della rete, questo modo di raccontare la scienza e di renderla “quasi-scienza” è una manifestazione dell’incapacità di controllare l’epidemia. Partecipa di una deriva autoritaria che si muove parallela all’incapacità stessa. Lo Stato riafferma il suo ruolo ricorrendo a forme di violenza come la segregazione in casa o il divieto di passeggiata per socializzare o condividere il suo fallimento che poi giustifica ricorrendo alla quasi-scienza del “dicono gli esperti” e dei titoli che costruiscono panico. Questo non è certo un paradigma dell’eccezione ma il solito governo del caos. Forse però, l’essere arrivati a definire “Starnutman” per spiegare un possibile obbligo di mascherina la dice lunga sulla profondità delle cose che non vanno in Italia. Non c’è ad esempio una pedagogia popolare per divulgare le regole di protezione dal COVID19, come fanno in Messico con i video comici di Lopez Obrador che non riesce a smetterla di abbracciare e baciare la gente che incontra. C’è invece diffusione di ignoranza e panico.
Chiudo con un cenno dal Laos dove le mascherine sono informalmente obbligatorie soprattuto per i falang, gli stranieri. Dopo la campagna informativa che ha costruito l’emergenza, gli stranieri\turisti sono emersi come gli untori. Gli abitanti locali sono quindi spaventati e l’uso della mascherina agisce come un tranquillante. Siamo però quasi tutt* abituat* ad usarle da tempo e non per il COVID19 ma per le polveri sottili, PM10 e PM2.5.
Uno Stato realmente interessato alla salute pubblica dei cittadini dovrebbe “consigliarle” sempre quando l’aria che si respira è nociva. Certamente non dovrebbe creare un nuovo obbligo ipotizzando scenari da “Starnutman” mentre nel bresciano quasi 400 imprese che producono armi lavorano a pieno regime.
Grazie. Ho paura che qui in Italia solo voi di Giap e pochissimi altri siate lucidi ed intellettualmente onesti. Tutto il resto è follia. Nella migliore delle ipotesi.
sono d’accordo;
io ho letto con molto vantaggio questo intervento
https://librieparole.it/zibaldone/1569/francesco-benozzo-intervista-pandemia-covid-19/?fbclid=IwAR0d63vI337esnM8S8zKjpK14QOhGPaeh-F8jqBN0xog4Yua86TnNUtyXhA
A pensarci bene, il titolo stesso nega il messaggio che vorrebbero far passare. Se il virus è nell’aria, allora non serve la quarantena forzata di tutto il paese, prima o poi dobbiamo respirare, aprire le finestre, a meno che non ci crescano le branchie e ci trasferiamo tutti nel mare. Fa il paio anche con l’affermazione che è girata per molto e su cui poi si basano tutte le disinfestazioni con la varecchina e altro: che il virus aderisce a tutte le superfici. Allora, se è nell’aria, aderisce ovunque, non basta neanche la mascherina. Facciamo che sono in casa con indosso la mascherina, ho disinfettato tutto, ma l’aria passa da sotto la porta e il virus subdolamente entra e si attacca di nuovo sulle superfici di casa. Siamo spacciati, non c’è salvezza, no? In tutto questo però i politici e Confindustria non chiudono i luoghi di lavoro, anzi, vogliono riaprire tutto. Allora quando si tratta di lavorare l’aria non è più infetta?
Le fabbriche riapriranno dopo pasqua, tutto il resto sarà prorogato fino al 16 maggio.
https://video.repubblica.it/dossier/coronavirus-wuhan-2020/coronavirus-borrelli-plausibile-inizio-fase-2-entro-il-16-maggio-dipende-dai-dati/357364/357924?ref=RHPPTP-BH-I0-C12-P4-S1.8-T1
Comunque se il virus è dappertutto e non c’è salvezza, il potere esecutivo dovrebbe distribuire pillole di cianuro a tutti.
Eh no. Se si può lavorare si può anche uscire, possono infliggermi pure 2000000 sanzioni. Basta, esiste un limite ed è stato abbondantemente oltrepassato.
Guarda, ieri mentre tornavo dal lavoro mi ha fermato la polizia. Io insegno all’università. Le lezioni sono sospese, e i poliziotti non credevano che io fossi andato nel mio ufficio perché lì ho i miei libri e dai terminali dell’università posso accedere alle riviste in formato elettronico (da casa non posso). Ho delle ricerche da mandare avanti, ho tre laureandi da assistere. Eppure. Mi hanno tenuto mezz’ora. Hanno voluto telefonare alla portineria per controllare che fossi andato veramente in dipartimento. Il tutto è avvenuto nel piazzale davanti all’università, lungo una strada statale vuota ai limiti estremi della città, e a 200 metri da casa mia.
Punto 85 dell’elenco delle attività essenziali allegato all’ultimo dpcm: “Istruzione”. Scuole e università non sono chiuse, è solo sospesa l’attività didattica in presenza, ma i docenti possono recarsi in sede per altre forme di didattica. Forse bisognerebbe chiarirlo ai controllori.
Ma infatti alla fine non mi hanno dato nessuna multa. Solo che mi hanno tenuto lì un sacco di tempo insinuando che stessi mentendo.
Lasceranno chiusi fino al 16 maggio tutti i negozi, i bar/ristoranti etc, le botteghe artigiane e insomma tutte le attività normalmente aperte al pubblico (non parlo poi di cinema discoteche etc)? Non so, mi sembra (e spero) che sia poco sostenibile come piano.
no no, terranno proprio blindate a casa le persone fino al 16 maggio.
Attenzione perché la corda è già prossima a spezzarsi. Ancora un mese e mezzo così? Inimmaginabile. Ma forse si vuole proprio provocare una serie di reazioni straordinarie (in senso letterale) da parte di chi non ne può più, così misure ancor più dittatoriali verrebbero prese da chi non vede l’ora di poterlo fare. Non vorrei pensarci ma non ci riesco, per qualcuno questa è un’occasione imperdibile, forse irripetibile.
Non c’è un Piano: ci sono variegati poteri che, a volte anche in conflitto latente o esplicito tra loro, hanno colto al balzo la palla di quest’emergenza per provare a trarne vantaggio: dal governatore o sindaco che pensa di trarne un vantaggio d’immagine e quindi elettorale alle prossime amministrative al governante nazionale che pensa di “blindare” la propria posizione e reputazione (anche di fronte alla Storia); dai vari corpi delle forze dell’ordine che vogliono affermare la propria centralità e imprescindibilità qualunque cosa succeda d’ora in avanti, a settori di capitalismo che dalla rovina di altri comparti durante il lockdown pensano di uscire rafforzati, fino a tutti quelli che sperano nelle prebende dei nuovi piani marshall europei.
Detto questo, non è che non sappiano che la corda è tesa allo spasimo, infatti ogni tanto ostentano una certa comprensione e cedevolezza di facciata, allentano un poco (almeno a livello di retorica, mai di sostanza), dicono «coraggio, ce l’abbiamo quasi fatta», salvo poi pompare di nuovo sul catastrofismo, vaticinare lockdown lunghissimi ecc.
Il punto è che loro stessi non sanno come uscirne. Non hanno ancora chiara nessuna strategia di uscita dal lockdown che non contraddica quel che hanno narrato sinora.
Il punto fondamentale secondo me è che il lockdown è il tipo di organizzazione sociale ottimale per il capitalismo della sorveglianza e delle piattaforme. Permette una governance efficientissima del lavoro, dell’ordine pubblico, del consumo. Quello con cui non fanno i conti gli psicotici del MIT però è che molto banalmente l’umanità in lockdown è destinata all’estinzione nel giro di 50 anni, perché se le persone non si incontrano fisicamente non possono riprodursi.
Io non mi aspetto certo che dicano “fatevi una bella passeggiata dove vi pare”, ma credo che l’apertura di alcune attività commerciali dovrà per forza andare di pari passo con una maggiore possibilità di muoversi (oppure dovrò autocertificare che ho bisogno di un paio di mutande nuove?). E penso che il lockdown totale non sia sostenibile così com’è ancora a lungo, dal punto di vista economico. Spero insomma che per fare contenti i commercianti finiscano per darci la possibilità di allontanarci da casa, cosa che altrimenti non ci concederebbero
Non sono sicuro che per la nostra classe politica sia un grosso problema cambiare narrazione, dato che assistiamo continuamente a cambi di direzione dettati dall'”aria che tira” e dall’ossessione per la popolarità e i sondaggi, però può darsi che questa situazione sia diversa.
Per quanto riguarda la percezione della tendenza autoritaria da parte della popolazione, secondo me la mancanza di un “piano” e le contraddizioni tra i vari poteri portano a sottovalutare il rischio, forse anche perchè siamo abituati all’idea che per attuare svolte autoritarie debba per forza esserci il famigerato “uomo forte” , marce su Roma, militari golpisti o cose del genere.
Poi c’è l’idea che “tanto in Italia non si riescono a fare le cose seriamante”, e questa classe politica in particolare mi sembra che sia percepita come talmente inadeguata da non costituire un pericolo.
È che quella dell’«emergenza» – volta per volta l’emergenza-terrorismo, l’emergenza-conti pubblici e tutte le cornici emergenziali che abbiamo conosciuto – non è mai una narrazione qualsiasi. È una Grande Narrazione a lunga gittata, che una volta imposta nell’immaginario ha una spinta inerziale fortissima, e non può essere fermata a piacimento.
Quando l’«emergenza» comincia ad avere effetti disfunzionali, si lavora per attenuarne la presa, smussando gli spigoli, si rallenta e si lascia sedimentare, ma ci vuole tempo. E in ogni caso gli effetti saranno permanenti: tutte le emergenze che abbiamo conosciuto si sono accumulate, potremmo quasi farne una “stratigrafia”. Quasi vent’anni dopo, noi stiamo ancora vivendo – anche se non più in fase acuta – dentro l’emergenza post-11 settembre. Ce ne accorgiamo, ad esempio, ogni volta che ci controllano i bagagli all’aeroporto. Le attuali procedure, la cui logica non è molto chiara e sembra più “teatrale” che altro, furono introdotte allora. Stiamo ancora vivendo le emergenze-conti pubblici di inizio anni ’90 e del 2011, perché i tagli, le controriforme e l’austerity che grazie a quelle emergenze si imposero ci hanno condotti sin qui, alla situazione attuale. È ancora con noi buona parte della legislazione speciale anti-terrorismo di fine anni ’70 – inizio ’80. Ecc. ecc.
Figurarsi, dunque, se si può recedere con facilità da una narrazione emergenziale imposta per affrontare questa pandemia! Stiamo parlando dell’emergenza più impattante e pervasiva a nostra memoria.
Riguardo alla seconda parte del tuo commento, dici cose molto sensate. L’idea che «tanto in Italia facciamo le cose da cialtroni» è sempre stata sviante e disarmante, perché «cialtroni» non significa «innocui». Un autoritarismo cialtrone è pericoloso quanto un presunto autoritarismo «serio». Anche il fascismo storico era un autoritarismo cialtrone.
In realtà, il fatto che non ci sia un Piano – come invece vorrebbe il cospirazionismo, che è sempre una mentalità consolatoria – rende la situazione più pericolosa, non meno.
Il tema della percezione e poi – per dirla con Foucault – della soggettivazione della realtà da parte della collettività – in questa rattatuia andata a male che è l’informazione mainstream nel nostro paese – mi pare centrale. Come uscire dalla narrazione dominante, come riemergere dalla brodaglia e ricominciare a respirare. Prima che l’intruglio invada i polmoni.
Non sono più convinto che la tenuta sociale inizi a deflagrare – come mi pareva stesse per succedere qualche giorno fa, e come immaginavo fosse fisiologico dopo settimane di questo stallo. Forse sarà che dal mio osservatorio domestico non ho più neanche io una percezione chiara, ma a me pare che la tenuta sociale sia ancora salda, che le persone si siano fatte bastare quello spiraglio di (finta) apertura dei giorni scorsi, quando è stata introdotta la mitologia del raggiungimento del picco (neanche fosse una grande epopea alpinistica).
In effetti è difficilissimo prevedere se e quando la situazione diventerà esplosiva.
E’ probabile che almeno a breve termine l’unico detonatore sia la mancanza di reddito per una fetta consistente della popolazione.
Però mi sembra di aver notato, e non sono l’unico, che almeno nella mia zona negli ultimi giorni si vedono in giro un po’più persone di prima.
Forse tanta gente sta cominciando a concedersi qualche uscita in più.
Anche nel mio quartiere di Bologna vedo ogni giorno sempre più gente in giro, e in certe viuzze anche capannelli molto vintage davanti a negozi di alimentari. Abitanti del rione, di diverse età, uomini e donne. Vuol dire che non ci sono delatori. Va detto che è un quartiere peculiare: non si è mai davvero smesso di viverlo, pur nei minimi termini di questa fase. I tricolori li ho contati sulle dita di una mano. Io giro tutti i giorni, faccio i chilometri, osservo, esploro, e finora non ho mai visto un controllo. Me ne hanno riferiti in tutto un paio, ma io non ne ho mai visti e, come dicevo, la gente per strada è aumentata, rispetto alla settimana scorsa.
Questa vostra certezza che non ci sia un Piano e’ fondata su..?
Il capitalismo che ormai fa le convulsioni mortali orchestra pure dei colpi di scena pur di rimandare l’inevitabile fine.
In gergo si dice “kicking the can down the road”.
E’ fondata sul fatto che il capitalismo non ha una volontà unica, così come non ce l’hanno le istituzioni.
I tentativi capitalistici di gestire questa fase dentro la logica del sistema non sono «un Piano» nel senso che intendono i complottisti, cioè alcuni potenti che si sono messi a tavolino con grande anticipo e hanno detto: «Inventiamo una pandemia» o quantomeno «ecco come usare questa pandemia: facciamo X, Y e Z». Da qui discenderebbe un Piano coerentissimo, che ha previsto tutto, inesorabile e perfettamente messo in pratica dai poteri costituiti.
Questa è una narrazione che descrive il capitalismo in modo caricaturale, come un sistema che dipende solo dalla volontà dei membri di una casta, ma il capitalismo non è così, è un modo di produzione che ha le sue logiche di fondo, i suoi automatismi e meccanismi oggettivi. Non si è affermato per una congiura di chicchessia ma dopo una plurisecolare evoluzione storica, e funziona senza che la classe dominante debba o possa prevedere e orchestrare tutto. Certo, di complotti temporanei e mirati ne esistono eccome, se per complotto intendiamo più persone che si mettono d’accordo per nuocere a qualcuno all’insaputa di quest’ultimo, ma non ci sono prove che esista un Piano.
L’onere della prova in qualunque ambito discorsivo dove valga la logica – diritto, storiografia, scienze sociali, scienze “dure” ecc. – spetta a chi fa un’asserzione. È dunque chi pensa che ci sia un Piano che deve dimostrarlo portando prove. Dire «non escludo che ci sia un Piano, provatemi voi che non c’è» è una fallacia logica. E per «prove» non intendo semplici sospetti, collegamenti azzardati ecc. Non bastano.
Per noi, fino a prova contraria, basta e avanza la logica di fondo del sistema capitalistico, il cui devastante funzionamento è sotto gli occhi di tutti.
Ancora una volta, su come impostiamo il discorso sul complottismo, rimando a quello che finora è il testo più elaborato (ma stiamo raccogliendo e sistemando tutti gli appunti al riguardo).
https://www.internazionale.it/reportage/wu-ming-1/2018/10/15/teorie-complotto-qanon
Mi inserisco per fare una chiosa:
la “potenziale” deriva autoritaria, le questioni legate al capitalismo della sorveglianza, ecc., sono un pericolo di cui si ipotizza e si discute qui, e di cui però si accorgono anche persone lontane politicamente e culturalmente (“complottisti”).
Con questi, si può dare per assodata la potenziale deriva autoritaria e da lì (volendo) si discute se ci sia o meno un piano, quali siano i meccanismi interni e gli automatismi del capitalismo, i potenziali scenari e tutto quanto ben dibattuto anche sotto. Ovvio poi che permangono inevitabili divergenze politiche e anche opposte “speranze” e soluzioni in merito allo sviluppo della crisi.
Viceversa, con moltissime persone più vicine politicamente, di stessa area politica, spesso la “potenziale” deriva autoritaria viene negata e basta.
Punto. Nulla di cui discutere!
E se poni il problema sei equiparato a Napalm 51 di Crozza…
Adesso pensiamo alla salute, poi si vedrà.
Una di queste palle al balzo, che si sta già tentando di cogliere, è sfruttare la necessità di ripresa economica mettendo in secondo piano le questioni legate alla crisi climatica, non diversamente da quanto accade con la privacy, con la sicurezza sul lavoro e altre questioni connesse tra loro. Come se questa pandemia non fosse figlia dei processi di forsennata urbanizzazione e industrializzazione, come se non fossimo stati noi umani a scomodare il nuovo coronavirus dal suo habitat e farlo viaggiare a velocità supersonica per il globo. Una storia antichissima in versione accelerata. Eppure si ricomincia a dire che non possiamo permetterci di andare per il sottile e per mantenere il “nostro” stile di vita dovremo intensificare e non ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali (animali inclusi, e quindi esseri umani, e quindi noi). Per ricongiungermi al tema iniziale della cattiva informazione, se mai tornassimo a una situazione di apparente normalità, immagino le varie testate titolare con ironia: “Ah quanto ci mancavano le code al raccordo anulare!”, “Ah che bello l’odore delle polveri sottili la mattina e sentire che siamo ripartiti!”, e così via.
Contro questo tipo di discorsi e processi si sta giocando una partita cruciale a larghissima e piccolissima scala e non è certo una novità, ma questa situazione che ci costringe in casa rischia di cambiare le modalità di gioco in modo ancor più asimmetrico (vedi bufale imperversanti di cui sopra).
In questo senso, mi sembra interessante quanto sottolinea Klein (https://www.counterpunch.org/2020/03/27/how-to-beat-coronavirus-capitalism/), e cioè in queste condizioni sacrificate di isolamento sarà fondamentale creare “ridondanza informativa” ed economica, possibilmente – per quanto lo stesso video sia su youtube – attraverso strumenti diversi dalle note piattaforme di social media e di commercio online. Il che è una pratica ampiamente condivisa in questo spazio, ma appunto si può essere ridondanti.
Scusate il doppio post ravvicinato, ma concordo anche molto con questo intervento (fantastico: “l’odore delle Polveri sottili al mattino”).
Sarà un problema fondamentale in futuro.
Per quanto mi riguarda nel mio ambiente professionale farò il possibile per “remare contro” a derive del genere, già assolutamente prevedibili.
Da questo punto di vista, a “discolpa” di quanto detto nel mio post precedente, già vedo fra i vari complottisti che trovo in rete (mi piace leggere di tutto) torme di “negazionisti climatici” all’attacco…
Sempre in tema di cosa circola veramente nell’aria, segnalo questo articolo del Guardian che riporta uno studio di biostatistica aggiornato al 5 aprile e in via di pubblicazione per una rivista di medicina.
https://www.theguardian.com/environment/2020/apr/07/air-pollution-linked-to-far-higher-covid-19-death-rates-study-finds
Traducendo sul momento, si dice in sintesi che “La lunga esposizione a un piccolo incremento di polveri sottili [1 microgrammo di PM2.5 per metro cubo] si associa a un grande incremento di letalità di Covid-19 [+15%]” (https://projects.iq.harvard.edu/files/covid-pm/files/pm_and_covid_mortality.pdf)
Insomma, stando allo studio, quello che fa preoccupare dovrebbe essere ciò che nell’aria e nei nostri polmoni c’è già da lungo tempo, soprattutto in Brianza, e che renderebbe la popolazione molto più vulnerabile al Covid-19 (uso il condizionale giusto perché “correlation is not causation”, ma mattone su mattone anche questo aspetto comincia a tornare).
Le fabbriche sono già aperte….non solo quelle necessarie (con codice Ateco contenuto nell’allegato 1) ma anche quelle che con una semplice autocertificazione al prefetto hanno dichiarato di entrare di diritto nelle filiere produttive.Grazie ad un governo in mano a Confindustria.
secondo me hanno confuso il covid con The Fog di John Carpenter
Grazie mille per i vostri articoli. In questa situazione di follia collettiva sono come una luce nel buio pesto.
Io ho scritto una email alla redazione di Repubblica. Ho controllato ora e l’hanno spostato dall’intestazione. Speriamo venga eliminato.
Mia sorella, che vi è abbonata per via della professione che svolge, ha ugualmente scritto al giornale per esprimere lo sdegno per il titolo fuorviante e mistificatorio. E immagino non sarete i soli ad aver espresso dissenso.
Anche se lo facessero, è tardi ormai. D’altronde non sarebbe la prima volta che fanno sparire una notizia scomoda, o quanto meno modificano un titolo troppo sbilanciato e ambiguo. Due giorni fa avevano dedicato molto spazio a una ridicola e grottesca iniziativa del vecchio fotografo/comunicatore, evidentemente per provare a rifargli una verginità, dopo le assurde e disgustose frasi sui morti del ponte Morandi. Il giorno dopo la notizia era sparita, dissolta come neve al sole: evidentemente tanti, forse anche ad alto livello, si erano indignati e avevano scritto al giornale. Ma che gliene frega a loro? Fanno e disfano come gli pare e piace.
Anche io ho fatto la letterina all’assistenza. I “dodici anni” di prigione che si rischiavano per passeggiare erano una bufala ma comparivano, proprio come questa volta, nel titolo di un articolo di Rep senza far capire a quale articolo del codice penale si riferissero.
Ci vorrebbe qualcosa di più forte che mandare lettere a Repubblica per lamentare prassi indegne come quelle scritte in in un commento poco sotto. Non sono fan di comportamenti individuali che risolvono problemi collettivi, ma beccatevi ‘ste pillole di boicottaggio.
1)Evitare di andare sul sito (soprattutto non mettetelo in homepage!) e non comprare il giornale. Se avete una memoria muscolare che vi fa scrivere repubblica punto it sulla barra degli indirizzi, usate blocchi come ad es. LeechBlock (un’estensione firefox, ma ce ne sono anche per altri browser).
2)Se avete l’estrema necessità di condividere un articolo, caricatelo su web.archive copiando il link nella casella “Save page now”. A quel punto avrete un nuovo link che non aumenta le visite al sito o vi macina i vostri metadati.
3)Soprattutto, evitate di abbonarvi a Rep. Gli articoli sono accessibili nel codice della pagina. Se siete su Firefox, premete contemporaneamente Control+Shift+C e cercate le ultime due-tre parole che compaiono sull’articolo “gratuito” nella barra di ricerca dell’analisi pagina. (nel nostro caso potete usare “indossare una mascher”) Cliccando due volte INVIO avrete l’articolo per intero. Si legge male, ma si legge.
4)Se volete mandare l’articolo da Rep per intero, allora seguite la procedura (3). Dove c’è scritto ‘div subscriptions-section=”content” class=”paywall”‘, fate doppio clic sulla parola “content”, modificatela con “content-not-granted” e premete INVIO. Vi comparirà sotto il blocco l’articolo intero e potrete fare ad es. un PDF stampando su file e girarlo alle persone care o ai contatti di lavoro.
Era il 3 marzo, prima di tutti i decreti, ma già dopo una settimana di chiusure in diverse regioni.
Questo l’articolo: https://archive.vn/EjmFw
Il titolo parla di mortalità al 3,4%, quando dentro al pezzo le parole del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, sono: “A livello globale, circa il 3,4% dei casi di Covid-19 è esitato in morte. Per fare un confronto, l’influenza uccide meno dell’1% degli infetti”. “Ora, con più dati alla mano – ha ricordato – stiamo capendo di più di questo virus. Non è Sars, non è Mers e non è influenza. È un virus unico con caratteristiche uniche”.
Il dato del 3,4%, usato per spargere paura nel titolo e preso dalle parole del direttore generale dell’OMS era in verità il dato di letalità, non di mortalità. Quello che cambia è il denominatore. E non è un particolare di poco conto. E’ insiemistica spicciola, base per la statistica, in questo caso medica.
Procedendo per assurdo. Se al 3 marzo ci fosse stata una mortalità del 3,4%, come nel titolo, avrebbe significato che in Italia, già ad inizio epidemia, avrebbero dovuto esserci oltre 2 milioni di morti.
Nella settimana prima del 3 marzo, quella che va dal 24 febbraio al 1 marzo, le homepage di Repubblica non riuscivano neanche a stare in un 50 pollici. Avevano finito i font!
Comunque bastava leggere l’articolo di Nature. “The World Health Organization says the evidence is not compelling”
https://www.nature.com/articles/d41586-020-00974-w?fbclid=IwAR2iIJG0jq9mqXpiel8dAmaQoWpE8v-L07NWiZHMhJSz4owibCWQ27Zk1QY
“but scientists warn that gathering sufficient data could take years and cost lives.”
Citiamoli per intero i titoli!
Anche ammettendo che il virus sia “airborne”, e dato che non c’è ancora consenso in proposito la cosa più prudente sarebbe ammetterlo, il problema non è comunque l’aria aperta, ma gli ambienti chiusi, poco aerati e molto frequentati (ad esempio i supermercati, i grossi uffici ancora aperti) dove la carica virale può concentrarsi e rendere vano il distanziamento sociale…
Sulle mascherine, la cosa migliore sarebbe che tutti la indossassero quando vengono anche lontanamente in contatto con estranei ma non per proteggere sé stessi ma per mettere uno schermo seppur parziale alla trasmissione da soggetti asintomatici…
«Darci il veleno e ricattarci con l’antidoto» (Kaos One) L’obbligo di mascherina è un frame che va a braccetto col terrore della «proroga misure fino al 16 maggio», entrambi in homepage di Rep.it. Dopo aver surfato sull’onda del picco («per il terzo giorno rallenta la crescita dei contagi», titolava (falsamente) il 25 marzo) e rilanciato scenari di riapertura, in appena dieci giorni la narrazione si è completamente stravolta e suona così: «Più stringiamo, prima usciamo». Ma ne usciremo davvero?
La sensazione è che attraverso il senso di colpa da un lato («Non porti la mascherina, sei un untore!») e la penitenza dall’altro («Non porti la mascherina, sei in arresto!»), la propaganda fide dei media di Stato sia quella di mettere moralmente (prima che giuridicamente) al bando ogni forma di pura socialità. Dalle testimonianze su Giap (da chi è stato insultato perché non indossava la mascherina all’aperto, o minacciato perché si aggirava da solo in un parco) si percepisce come il clima stia virando verso una condizione di stabile divieto a manifestazioni, assemblee, cortei, forme di aggregazione e cultura fruita collettivamente. E non riesco a smettere di pensare che tutta questa tragedia si sia trasformata nel sogno del neoliberismo divenuto realtà: ridurre la collettività a un insieme di “prosumer”.
Se verrà avallato anche l’obbligo di mascherina si sancirà un ulteriore stigmatizzazione fra cittadini di serie a, b, c e d in base alla tipologia di maschera che sfoggeranno all’aperto. Ma il giudizio non sarà sanitario ma morale, con successive derive razziste e classiste. Non a caso negli anni del riassetto urbano del Bronx, politici e urbanisti usavano allegorie epidemiologiche per identificare quei quartieri a composizione afro e latinoamericana considerati «soggetti patologici […] in fase terminale», responsabili di un’«epidemia di incendi dolosi» arginabile solo grazie all’intervento municipale. Dopo 10 anni di smantellamento del welfare, quella «patologia» aumentò esponenzialmente, trasformando il Bronx in un altro “lockdown della divesità” e alimentando un immagine “patologica” dei ghetti newyorkesi (ma forse sto andando off-topic…).
Insomma altro che disamina scientifica, la questione sulla trasmissione del contagio mi sembra un nodo centrale per determinare gli esiti (bio)politici dei prossimi mesi.
Pensavo anch’io a quella canzone di Kaos in questi giorni, che tra l’altro s’intitola pandemia (anche se parla di un altro virus).
Come sottolineava @Michela qui sopra, se il virus fosse nell’aria e dappertutto allora tanto varrebbe uscire; ovvio che il passaggio (il)logico che faranno sarà l’opposto: è dappertutto quindi rinchiudiamoci ancora di più, sempre ammesso che sia possibile. Del resto la logica viene tranquillamente espulsa nelle situazioni di emergenza e le fallacie non si contano più. Qualche pseudofilosofo si diletta a cianciare di fallaciagamben, faccia pure se la cosa lo diverte. Io ne faccio notare un’altra di fallacia, che non so se è stata già segnalata in altri post: si ripete che siccome le norme non vengono rispettate allora verranno inasprite (non le sanzioni, le norme!). Come dire: siccome c’è gente che passa col rosso, da domani facciamo che non si passa più neanche col verde.
Il passaggio all’obbligo di mascherina o al divieto di aprire le finestre non lo vedo quindi così improbabile; peraltro, adesso che l’inno non lo si canta più non è necessario aprire bocche e finestre. Mi immagino un genitore che volesse avventurarsi, nel caos normativo di cui parla Luca, in strada per l’ora (o mezz’ora?) d’aria di suo figlio, se gli dicessero che devono entrambi portare mascherine; non sarebbe più una passeggiata ma una postapocalisse, tipo La strada di McCarthy.
E magari a maggio, il primo settembre o quand’altro, alla riapertura delle scuole, tutti dovranno indossare mascherina e guanti. La didattica a distanza a confronto sembrerà piacevole.
WM1 in un commento a un altro post citava il film I figli degli uomini: nello stesso film in una scena una tizia dice che quando cessarono i rumori dei parcogiochi (per la mancanza di bambini) cominciò la disperazione. L’avevo sempre letta come una frase di speranza, che potesse corrispondere alla realtà: tutti ci dispereremmo e faremmo di tutto per renderli nuovamente popolati e caotici, quei parcogiochi. Invece il presente ha illuminato una realtà ben diversa: i bambini sono scomparsi e va bene così, anzi, gli si grida dalle finestre di rientrare (se si chiudessero anche le finestre per decreto, almeno questa ce la risparmieremmo). Superstizione ed espiazione collettiva.
Proprio oggi Enrico Letta a Propaganda Live raccontava che “la vita sociale cambierà”, e si è messo a sciorinare attività in bar, ristoranti, cinema, concerti: nessuna menzione di attività senza commercio sullo sfondo, e nessuno dell’intellighenzia presente (se così vogliamo chiamare la pochezza di centristi mainstream presi come riferimento da tanti a sinistra oggi) ha battuto ciglio.
Cercano maldestramente di aprire la strada alla regolamentazione delle attività pro-PIL come unici spazi sicuri a livello sanitario: dovremo difendere più di prima il diritto al rapporto umano in presenza (assemblee, conferenze – nonostante il blocco della didattica che potrebbe sussumerle – e proiezioni ad accesso libero) per lo sviluppo l’azione politica.
Volevo dire due cose:
1. Che repubblica e giornali simili continuino a lasciare a pagamento articoli che riguardano covid quando neanche i giornali scientifici notoriamente legati al soldo lo fanno la dice lunga sull’interesse che hanno a fare informazione. Oltre a ciò non verificare ciò che viene pubblicato in un momento di terrore generalizzato è grave per tutti i motivi cje avete sottolineato.
2. La questione mascherine è gestita in modo assurdo e paradossale: da una parte abbiamo l’eccesso (fomentato da questi articoli che girano): gente che va in giro con le chirurgiche all’aperto ma addirittura le Ffp2, nessuna informazione seria al riguardo, per esempio: la popolazione è informata del fatto che vanno cambiate? Girano sempre con le stesse? Sono consapevoli che hanno un ruolo (le chirurgiche) negli ambienti chiusi soprattutto per non contaminare gli altri e molto meno per non essere contagiati? Si possono lasciare i DPI per i lavoratori e chi ne ha veramente bisogno? Dall’altro lato invece per gli operatori sanitari la stessa OMS ha giocato “al ribasso” (sempre con il giochino del tempo di guerra e dell’emergenza) consigliando la chirurgica per operatori e pazienti in caso di sospetti, addirittura inizialmente persino per fare i tamponi (Parlo di ps e guardie mediche) ed ora fa marcia indietro, dicendo che forse è meglio la ffp2 se “il contatto è prolungato” (in un turno di pronto soccorso??) che si trovano con il contagocce e però vengono vendute a caro prezzo in farmacia. Mi sembra che ci sia speculazione su questo.
Corro (quasi) abitualmente da almeno trent’anni, uso spesso la bicicletta per andare al lavoro e ogni tanto anche per “scalare” qualche collina, e pratico spesso trekking sui sentieri appenninici di WuMing2. Inoltre l’approccio terroristico, spettacolarizzante e approssimativo di molti mezzi di comunicazione (e anche di qualche soggetto istituzionale) rispetto al COVID19 è sotto gli occhi di chiunque voglia tenerli aperti. Quindi non posso non condividere, in linea di principio, la vostra campagna contro il “divieto di camminata”. In linea di principio. Poi però c’è l’applicazione pratica dell’attuale strategia di riduzione del contagio; e su questo piano è difficile non ammettere che rendere libero di circolare chiunque abbia una bicicletta, delle sneakers ai piedi o delle scarpe da trekking nel bagagliaio renderebbe pressoché vana qualunque azione di controllo degli spostamenti, e non solo di quelli a breve raggio. Anche perchè non si può sostenere che i provvedimenti dovrebbero esentare dai divieti chi ha la fortuna di vivere in campagna o alle porte di un grande parco cittadino, e colpire invece chi per raggiungere un’area verde è costretto a spostarsi. Per questo motivo ho deciso di rispettare il divieto, così come ho deciso di non andare più a fare la spesa nel supermercato abituale – solo un paio di chilometri al di fuori del territorio comunale! – e di rivolgermi a un punto vendita nel mio comune. Presi in sé sono divieti irragionevoli, ma probabilmente è giusto rispettarli in quanto parte di una generale strategia di lotta al virus. Forse è di questa – e delle possibili alternative – che è invece più giusto e costruttivo discutere.
Scusa Paoz, tu stesso dici che “l’approccio terroristico, spettacolarizzante e approssimativo di molti mezzi di comunicazione (e anche di qualche soggetto istituzionale) rispetto al COVID19 è sotto gli occhi di chiunque voglia tenerli aperti.”, poi però concludi che sarebbe più giusto e costruttivo parlare di una generale lotta al virus e delle possibili alternative. Ma per parlare della “generale lotta al virus” è necessario combattere “l’approccio terroristico”, altrimenti qualunque ragionamento lucido e documentato risulta vano. Se ho la cucina sporca da far schifo, mi metto a pulirla e tu mi dici che “sarebbe più costruttivo” preparare il pranzo, io ti rispondo che con la cucina ridotta a un merdaio mettersi a cucinare è impossibile e pure dannoso.
Detto questo, sulle “possibili alternative” abbiamo fatto un intero post, dove si prendono in esame le misure adottate in vari paesi e le si confronta con quelle italiane.
Infine, non capisco perché una maggiore libertà di muoversi in bici, a piedi o per raggiungere un parco, “renderebbe vana qualunque azione di controllo sugli spostamenti”.
Il punto infatti non è “controllare gli spostamenti”, ma “evitare gli assembramenti”. Dal punto di vista della diffusione del virus, se io faccio 50km in auto per andare all’attacco di un sentiero e lo seguo per mezza giornata, non cambia nulla. Cambia invece se me ne sto sotto casa (cosa permessa) e lì mi raduno con altre cento persone a fare zumba.
Ma è la logica che è invertita! Controllare gli spostamenti non serve a nulla per arginare il contagio ( se non inteso nel senso che chi è ammalato non dovrebbe ovviamente andare ad una cena tra amici). Questa smania di controllo che spazia dal contare di quanti metri ti sei allontanato dalla tua abitazione a cosa hai messo nel sacchetto della spesa è figlia di un clima di autoritarismo che gode nell’arginare la socialità. Perché socialità può significare aggregazione di menti non asservite! Non è un caso la ripetizione ossessiva del termine “assembramento” su ogni fronte.
Termine molto in voga ai tempi del ventennio, ormai sdoganato, con giubilo dei tanti nostalgici che proliferano in questo paese. Dove, non dimentichiamocelo mai, è stato inventato il fascismo, poco meno di cent’anni fa. Qualcosa vorrà dire, no?
Super OT, però che il fascismo sia stato “inventato” in Italia è discutibile.
Non credo proprio. 1922, chi e dove prima di quella data?
Nel 1922 il fascismo esisteva ufficialmente già da tre anni. Alcuni storici hanno retrodatato le origini del fascismo trovandone prodromi in diversi paesi già all’inizio del XX secolo, però, scusate, siamo OT. Parliamone un’altra volta.
E dagli con questo OT, mi ricorda le antiche “mozioni d’ordine”. Comunque (e qui per me è veramente chiusa, prometto) la prima volta che si costituì un partito che si definiva ‘fascista’ fu in Italia, nei primi anni ’20, e quel partito prese il potere con un colpo di stato nel 1922. E comunque il mio non era un OT, ci ero arrivato parlando del termine ‘assembramento’, che è centrale, ahimè, come tutti sappiamo, in questo tema dello stramaledetto coronavirus.
Buona notte a tutti.
Buona notte. Anche se e’ OT.
Ti ricordano le mozioni d’ordine perché sono mozioni d’ordine, qui le abbiamo sempre chiamate così. Abbiamo una lunga esperienza di discussioni dense e chilometriche, è faticoso seguirle e bisogna aiutare chi legge. Basta un nonnulla per far partire lunghi sottothread che si allontanano dal focus, e distolgono l’attenzione anche visivamente, non solo tematicamente. Sono convinto anch’io che l’insistenza sulla parola “assembramento” sia un riflesso condizionato culturale che viene dritto dal ventennio, se stiamo a quello ok, mentre la digressione su dove collocare le origini del fascismo la eviterei, non va fatta qui.
Il fatto che si sbagli bersaglio nel contenere il contagio, che si persegua chi passeggia, che si dica restate a casa ma dovete lavorare, che si cerchi il virus nell’aria, non è aumentare le precauzioni, perché è una questione di scelte e di risorse scarse, perché si corre tutti dietro al pallone mentre il virus fa i suoi comodi.
Faccio un esempio fresco fresco. È un caso fra tanti ma significativo a mio parere. Ieri nel nostro palazzo hanno portato via un vicino di casa in ambulanza, il personale 118 bardato a puntino (e meno male, perché non è scontato neanche ai tempi del covid). Ha dovuto fingere un malore per farsi portare a fare un tampone perché sua moglie è positiva da almeno 5 giorni, lavora in casa di riposo, non hanno possibilità di isolarsi dentro casa e lui senza la prova di positività con tampone ha dovuto continuare a lavorare. Non solo, da sospetto positivo usciva a fare la spesa, giustamente, per continuare a mangiare.
Allora mi chiedo, perché se proprio dobbiamo usare l’esercito non lo mandiamo a portare la spesa nelle case dove ci sono dei positivi conclamati invece di mandare in giro i loro familiari?
Perché non facciamo tamponi invece di posti di blocco? Perché si lascia la gente da sola, anche se è positiva, in questo momento di emergenza? Perché la salvaguardia della salute pubblica deve essere nell’inventiva di una persona che deve fingere un malore per dimostrare che è positivo, quando è pieno di figure di potere di ogni ordine e grado che dicono di agire per la nostra salvaguardia?
Ecco, succede questo mentre a noi dicono di restare acasa. E ora che sappiamo che il virus è nel nostro palazzo, ora che Repubblica ci ha detto che rimane nell’aria, per le scale, sul corrimano, sul portone, sulle maniglie, che facciamo? Non ci resta che trasferirci in strada. È una battuta, ma rende l’idea dell’ assurdità della situazione, conseguenza delle scelge sbagliate che si stanno attuando.
C’e’ qualcosa che mi sfugge. Quando esco vedo che quasi tutti hanno la mascherina ma non c’e’ l’obbligo e WHO dice che NON servono se non sei infetto. https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/advice-for-public/when-and-how-to-use-masks
Qualcuno potrebbe please chiarire per me la linea ufficiale vis a vis in questo paese che e’ per me sempre piu’arduo a comprendere?
Ormai le poche persone che vedo senza mascherina mi appaiono come chi resiste al panico e irrazionalita’.
Per quel che riguarda le mascherine, penso sia consigliabile l’utilizzo di quelle chirurgiche (che proteggono gli altri, non chi le indossa) in presenza di altre persone in ambienti chiusi.
E’ vero che non servono a niente se si è sani, ma quasi nessuno può essere certo di non essere un malato asintomatico. Non è chiaro quanto siano contagiosi gli asintomatici, ma dato che portarle non è un grosso sacrificio e sembra che in commercio si comincino a trovare, mi pare corretto portarle.
La mascherina può anche limitare la trasmissione di altre malattie infettive, che in questo periodo possono causare patemi e quarantene inutili (come distinguere un banale mal di gola o raffreddore da un’infezione da Covid? Senza tampone non si può dire).
Penso che il ministero della salute sia fonte ufficiale (e tra l’altro riporta le indicazioni dell’oms)
http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=228#6
Poi anche io sarei d’accordo a usarla tutti in luoghi chiusi e affollati per proteggersi a vicenda.
Detto ciò, ci sono sindaci che hanno emanato ordinanze obbligando la popolazione a indossare la mascherina (o in mancanza, un foulard), quando si esce di casa. Queste ordinanze nella mia zona sono state emanate il giorno dopo della comparsa dei primi casi.
Questo comportamento è tipico degli amministratori italiani e si chiama
“Pararsi il culo”.
E si chiama anche “teatro”. Cioè: vedi cittadino del mio comune, io sindaco faccio anche più del governo nazionale e della Regione per salvarti la vita. Il mio principio di precauzione va oltre. Quindi anch’io vado oltre. Sono meglio. Mi attivo. Per fortuna che mi hai eletto.
Hai perfettamente ragione.
Basta digitare in un qualunque motore di ricerca ‘ordinanze sindacali mascherina’ e se ne trovano a bizzeffe.
Cito dalla prima (e non se la prenda più di tanto il sindaco di Capoterra che è in abbondante e pessima compagnia): “…uso obbligatorio, all’interno degli esercizi commerciali, da parte di tutti i clienti di una mascherina ancorché non certificata o di fattura artigianale…”.
Evidentemente il sindaco non ha letto la risposta alla domanda 47 (qualche giorno fa – oggi è la 6 del paragrafo ‘Prevenzione e trattamento’) sul sito del Ministero della salute (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=228#3) che termina così: “Non è consigliato l’uso di maschere fatte in casa o di stoffa (ad esempio sciarpe, bandane, maschere di garza o di cotone), queste infatti non sono dispositivi di protezione e la loro capacità protettiva non è nota.”.
Qualche riga sopra si legge: “…è possibile che l’uso delle mascherine possa addirittura aumentare il rischio di infezione a causa di un falso senso di sicurezza e di un maggiore contatto tra mani, bocca e occhi.”.
A questo proposito è da manuale la risposta di Gallera riguardo gli assembramenti all’apertura dell’ospedale interno a Fiera Milano: “La distanza è fondamentale per non essere contagiati, ma quando abbiamo tutti la mascherina siamo protetti e non è necessario essere a un metro e mezzo di distanza”.
Non servono se non sei infetto come giustamente hai indicato.Abito a 5Km da Codogno e non mi metto la mascherina.Lavoro regolarmente in una fonderia dove per procedura aziendali devo indossarla….e invece non la porto e ti spiego il perchè…..non voglio portare la stessa mascherina per 3gg.(da procedura aziendale)e mi difendo al lavoro ma anche quando vado a fare la spesa mantenendo 4 metri come distanza di sicurezza da persone che portano la mascherina.
Voglio aggiungere solo che l’articolo fa volutamente apparire come scoperta recentissima il fatto, ovviamente noto e stranoto, che i vari respiratori usati nelle terapie intensive e subintensive creano un aerosol pericoloso, e infatti da sempre in questi reparti è necessario bardarsi con mascherine, occhiali protettivi etc.
Da quando è iniziata questa emergenza penso a Elianto di Stefano Benni, coi tg scritti per mantenere il livello di Paura al livello ottimale.
Pensa che in alcuni reparti di intensiva hanno ” terminato” le tute integrali. Qui. A Bologna. E poi parlano di contenere la diffusione del contagio…
Condivido in pieno. L’Operazione Paura agisce su molti fronti. L’altro ieri a 8 &1/2 Gualtiero Ricciardi, ex presidente dell’Istituto Nazionale della Sanità, attore di cinema e TV (nome d’arte Walter Ricciardi) e Commendatore della Repubblica, pressato dai giornalisti, affermava, dopo le iniziali confuse dichiarazioni, che nelle fase 2 (che potrà durare mesi), quando si allenteranno le misure restrittive, tutti dovremmo indossare la mascherina chirurgica (nonostante tra gli scienziati molti avanzano dubbi sull’efficacia, molti ne prospettano la possibile pericolosità).
Il giornalista incalza: – siccome possono essere usate solo per 4 ore ce ne vorranno almeno due al giorno per persona distribuite dallo Stato!
Lui, tranquillo, risponde: – si, si, abbiamo bisogno di miliardi di mascherine.
La mascherina obbligatoria forse diventerà uno degli strumenti (come oggi il divieto di passeggiare) dell’Operazione Paura fase 2.
Che ci sia un mirato intento propagandistico lo dicono anche i numeri (o meglio la loro interpretazione) dati dal governo e diffusi a grandi titoli dai giornali.
Ne parlo qui: https://cosimok.wordpress.com/2020/04/03/numeri-virali/
Questo titolo è stato il mio buongiorno mattutino. Il primo pensiero non è stato dissimile alla pillola di cianuro citata da Tuco.
La mattinata prosegue col premio Nobel Olga Tokarczuk che, in un pezzo riportato dal Corriere, dice “Per me da molto tempo ormai il mondo era troppo. Troppo, troppo veloce, troppo rumoroso. Non ho quindi il «trauma dell’isolamento» e non soffro di non poter incontrare nessuno. Non mi dispiace che abbiano chiuso i cinema, mi è indifferente che i centri commerciali siano fuori servizio. Forse soltanto se penso a tutti quelli che con questo hanno perso il lavoro. Quando ho saputo della quarantena di prevenzione ho sentito qualcosa di simile a un sollievo e so che molti lo sentono, benché se ne vergognino.” Fa il paio con l’intervista allo psichiatra Cancrini che straparla di alcuni suoi pazienti che sono quasi contenti della situazione, perché li rende simili agli altri (sigh!). Io alla fine di tutto ciò dovrò rientrare in terapia, da cui ero uscito non da molto, altro che contentezza.
Chiudiamo la carrellata col Corriere che sente odore di ponti e posta foto di Napoli e di Genova, parla delle impennate delle sanzioni e del fatto che gli italiani non riusciranno a star bravi per le festività e i ponti.
Sì, sì, io sto a casa anche perché ho il terrore di uscire. Però voglio scendere.
Sai la cosa curiosa quale è? Io convivo da vent’anni con una patofobia che mi limita e condiziona eppure, paradossalmente, in questo frangente sono più lucida dei miei “normalissimi” amici e conoscenti che si fanno abbindolare dai titoli di questi schifosi giornalisti. Su quello che affermano questi signori, a cui ad arte viene data voce dal Corriere farei calare il velo dell’oblio.
Lascerei stare le dichiarazioni della Tokarczuk , una scrittrice: può dire quel che vuole, è un’opinione, anche discutibile, ma non del tutto. Altrimenti si finisce per. emulare il direttore di micromega, con il suo attacco scomposto e violento ad Agamben, che a sua volta aveva espresso un’opinione. Vero è che il corriere ha pubblicato la dichiarazione della Tokarczuk e non quelle di Agamben. E se anche lo avesse fatto, le avrebbe artatamente stravolte per squalificarlo agli occhi dei lettori.
Quelle frasi prese dal corriere (non posso leggere l’articolo perchè il corriere per i non abbonati è praticamente blindato) mi fa pensare a questo bellissimo articolo sugli asini https://gliasinirivista.org/il-prima-e-il-dopo-appunti-sulla-quarantena/
(non riesco a ricordare se l’articolo era già girato sul blog!)
“l’impressione sconsolante è che la grande maggioranza non chiedesse altro: un’Ottima ragione, un’estrema ragione di forza maggiore per fare del suo bisogno di chiuso una bandiera.”
Che tristezza esprimere la stessa indifferenza nei confronti della chiusura dei cinema e dei centri commerciali.
Invece di interrogarsi su cosa ci fosse di sbagliato, sui motivi per i quali desideravano che tutto si fermasse, godono del sollievo della reclusione.
Come non detto, sono riuscita a leggere l’articolo del corriere, in realtà è un’opinione più interessante di quanto sembrasse. Incollo la conclusione. “Rimaniamo in casa, leggiamo i libri e guardiamo le serie in televisione, ma in realtà ci stiamo preparando alla grande battaglia per una nuova realtà che non siamo neanche in grado di immaginare, comprendendo lentamente, che niente ormai sarà più come era prima. La situazione della quarantena obbligatoria e dell’acquartieramento della famiglia in casa forse può farci capire qualcosa che proprio non vorremmo ammettere, e cioè che la famiglia ci stanca, che i legami matrimoniali si sono allentati da tempo. I nostri figli usciranno dalla quarantena dipendenti da Internet e molti di noi comprenderanno l’inutilità e la sterilità della situazione nella quale meccanicamente e per moto d’inerzia rimangono bloccati. E cosa dire se aumenterà il numero degli omicidi, dei suicidi e delle malattie mentali?
Davanti ai nostri occhi si dissolve come nebbia al sole il paradigma della civiltà che ci ha formato negli ultimi duecento anni: che siamo i signori del Creato, possiamo tutto e il mondo appartiene a noi.
Stanno arrivando tempi nuovi.”
Non sono minimamente stupito: la signora Tokarczuk, per quanto ne so (non ho mai letto niente di suo ma me ne hanno parlato) è tutto meno che una scrittrice mainstream o di regime. Ma ecco esemplificati i guasti di questa infodemia che ci sta avvelenando la vita, basta un titolo (volutamente) ambiguo, le prime tre righe di un articolo che leggono soltanto gli abbonati et voila! anche le migliori reputazioni vanno in pezzi. D’altronde, la disinformazione è nata con la stampa, è la sua vera motivazione, mica per niente i potenti, da che esistono i giornali quotidiani, se li comprano – se già non li hanno fondati – perché gli sono indispensabili come l’acqua per i pesci. Mi fa ridere poi questa campagna dei media mainstream contro le fake news, cosiddette, che proprio loro hanno inventato. Come si dice: la prima gallina che canta ha fatto l’uovo.
Cara Glo, mi sono espresso in maniera forse superficiale, perché ho scritto totalmente di pancia. Il pezzo è più composito del brano che ho citato (che poi non sia d’accordo con alcune conclusioni, forse per il tono paternalistico che ci ho visto, è altro discorso), ma quel singolo brano mi ha fatto proprio stare male, perché ha toccato un nervo scoperto.
“Starnman – il cattivaccio che ti starnutisce in faccia –“
Questo passaggio mi ha fatto molto ridere ;-)
E comunque grazie per questo post antipanico.
Ovviamente sono d’accordo col contenuto dell’articolo; dico ovviamente perché chiunque abbia un briciolo di cultura scientifica e/o capacità di ragionare non può giungere a conclusioni diverse.
Sono veramente stufa e irritata nel constatare che la strategia nazionale si limita ancora all’ossessivo “state a casa” e alla demonizzazione delle attività all’aperto, senza progredire verso forme più articolate e intelligenti di contenimento del contagio e senza diffondere un’informazione corretta.
“Il virus è nell’aria”. Eh, certo. Ma non è un singolo esemplare di virus a fare ammalare. Non sono 10 virus. Occorre una certa “densità” di virus e una certa durata di esposizione per ammalarsi. Se per strada o al parco passo vicino a un malato, anche a meno di un metro, per 5 secondi, non mi ammalo, a meno che non mi tossisca in faccia.
https://elemental.medium.com/this-is-the-exercise-your-body-needs-during-the-coronavirus-outbreak-8b924c92e861
mi pare che si accordi (cioè, vada nella stessa direzione) con la tua insofferenza a queste limitazioni, denunciandone l’inutilità. Punto e a capo. Questi blocchi hanno interrotto bruscamente un mio programma di hiking nei dintorni di Roma che mi stavo finalmente concedendo dopo anni di inattività (colpa mia, quest’ultima). A presto
Sono stupefatto (ma forse sono solo un ingenuo) da come ha trattato questa “notizia” il tg Leonardo ( scientifico?) riportandola come fatto da repubblica, il grottesco è che hanno concluso l’edizione odierna parlando delle bufale che girano sulla rete e come difendersi…bisognerebbe denunciarli altroché!
https://www.ilmessaggero.it/mondo/coronavirus_mascherine_contagio_aria_oms_news_ultime_notizie_oggi-5150272.html
Un’altro titolo ingannevole. Poi a leggere il contenuto ( per lo meno accessibile) si realizza che le cose non stanno proprio come annunciate. Ma quanti lo leggeranno? E ad ogni modo, senza verifica delle fonti da parte di un lettore attento, quale messaggio rimarrà impresso? Come ho già scritto, per puro masochismo, sono andata a leggere cosa hanno commentato sotto questa notizia i leggendari utenti di TGCOM 24 e se non fosse che la situazione è tragica, si ride di gusto. C’è chi sbraita: “ Lo sapevo!” E gli fa eco un altro : “ Sono due mesi che lo dicevo”. Almeno rispetto alla prima versione ora nel titolo compare anche un timido “ma l’ISS smentisce”.
Mentre questo post circola in maniera piuttosto vorticosa, e infetta diversi cervelli, il sito di Repubblica integra l’articolo incriminato con una videodichiarazione di Brusaferro, presidente dell’ISS, dove si dice che non ci sono evidenze che il virus si trasmetta in altro modo che attraverso le goccioline di saliva e il contatto con occhi, naso, bocca. Gli studi sulla diffusione “nell’aria” si riferiscono ad ambienti ospedalieri.
Sul sito del Corriere, invece, il titolo di Repubblica prende la forma di una domanda: «Il coronavirus viaggia nell’aria?». Ma il catenaccio risulta già più ingannevole: «Una ricerca del MIT sostiene che le goccioline più leggere possono diffondersi fino a 8 metri di distanza. L’Oms si prepara a rivedere le norme sulla diffusione delle mascherine»
Un articolo interessante sulla questione è comparso sull’Atlantic. L’autore ha già pubblicato diversi pezzi per sostenere le misure di lockdown e il distanziamento sociale, quindi non può essere tacciato di «negazionismo»: https://www.theatlantic.com/health/archive/2020/04/coronavirus-pandemic-airborne-go-outside-masks/609235/
Sottolineo qui alcuni passaggi: «Per esser chiari, ogni esperto con cui ho parlato per scrivere questo pezzo mi ha detto che è tuttora piuttosto sicuro [still mostly safe] stare all’aperto. Se non altro, questo comportamento dovrebbe essere incoraggiato per salvaguardare la nostra salute mentale. Conta la distanza e la ventilazione, e gli spazi all’aperto hanno entrambe le cose. E’ più difficile mantenere le distanze in una città affollata come New York, ma il punto rimane che il rischio sta nella densità delle persone, non in un qualche sottile miasma virale diffuso nell’aria.»
L’autore del pezzo taglia corto sulla dsputa accademica riguardo all’aerosol, al “diffuso con l’aria/nell’aria” (airborne), ma sottolinea che la questione piùà importante è: quanto lontano può arrivare il virus? E una volta arrivato così lontano, è ancora in grado di contagiare qualcuno? Che differenza c’è tra il suo viaggio al chiuso e all’aperto? E quanto ha inciso la trasmissione all’aperto sul diffondersi della pandemia?
Infine, sulle mascherine, dopo aver sottolineato che sono spesso un “simbolo” più che una reale protezione, cita il parere di diversi medici, i quali sostengono che la mascherina, indossata all’aperto, fa più male che bene: «“Invece di proteggerti, ti sei messo in faccia qualcosa che ti spinge a toccarti la faccia, o a toccare l’esterno della maschera, che magari è infetto. Hai creato un rischio per te stesso e te lo sei messo dritto in faccia»
Il fatto è che il virus deve *ontologicamente* essere nell’aria, ovunque e sempre. Anzi, SEMPRE ED OVVNQVE. Altrimenti salta il palco.
Stamattina ho sentito mia madre, persona di buona cultura e molto pragmatica. Per dire, una che anche se avevo la febbre a 39 mi faceva trasferire in un’altra stanza per arieggiare gli ambienti. Ho notato il suo tono di voce, molto vivace in genere, piuttosto piatto. Lei e mio padre sono da me e mia sorella soprannominati “gli eremiti” perché conducono una vita molto casalinga tra letture e cura del giardino. Ma ogni giorno, che piova o ci sia vento, si concedono una passeggiata in una zona praticamente deserta. Credo stia risentendo di questa privazione, infatti mi ha stupito la frase che mi ha rivolto “ hai sentito cosa hanno detto? Hanno detto che è nell’aria”… grazie davvero a questi schifo di informazione che regna sovrana in Italia! Ovviamente la ho riportata alla ragione, ma sono preoccupata.
La narrazione di questi giorni varia dal distopico alla Bradbury, magari con un retrogusto nostrano di Benni o Avoledo, alle filastrocche moralistiche di Hoffmann. In genere si tende a solidarizzare con i messaggi mainstream sottolineando la nota indisciplina italica e giocando sulla patofobia bipolare che ci porta a lavarci le mani ogni 10 minuti, anche se da soli e a casa, pochi giorni dopo esserci scambiati fluidi e gas in locali, curve di stadi o mezzi pubblici affollati. Credo che a veicolare quest’informazione lobotomizzante siano gli interessi complementari di una destra cialtrona ampiamente esondata in diversi media e la disorganizzazione del SSN che, a parte eccezioni, ha subito negli ultimi decenni colpi tali che avrebbero steso Hulk. La necessità di trasformare in ‘Eroi’ il personale medico e paramedico, di esaltare le donazioni private ci porta inevitabilmente nel loop mefitico del lavoro visto sempre come ‘sacrificio’, meglio se scarsamente retribuito, mentre chi è fuori dalla trincea è un vile frignone che indietreggia di fronte all’invasor di cadorniana memoria. Insomma tutto secondo il noto principio che la risposta migliore è la piu’semplice anche se è sbagliata. Apprezzo molto il vostro lavoro di approfondimento e divulgazione, vero presidio contro il contagio della retorica e del trombonismo dilaganti.
D’accordo, il livello dei nostri media è pietoso. Da decenni e forse anche da prima non danno notizie, presentano frattaglie sanguinolente e ritratti ammiccanti, in generale attaccando l’asino dove vuole il padrone. Non c’è nessun motivo per aspettarsi di meglio.
Ho trovato, su testate di altri paesi, articoli interessanti e probabilmente ben documentati, ma non si può proprio dire che il Nyt il Guardian, il Times scrivano solo cose inoppugnabili o esenti da sensazionalismi. Anche sulle mascherine vanno un pò in ordine sparso dando voce a varie fonti, non sempre in accordo tra loro.
Sarà pure un pensiero lapalissiano ma direi che dalla disomogeneità di articoli e interviste traspare anche che gli esperti del settore, per primi, non hanno certezze assolute su questo nuovo patogeno. La pantomima mascherina si, mascherina no, evidentemente riflette punti di vista parziali, non supportati da dati sufficienti e perciò non definitivi.
Che poi, definitivi mi fa venire in mente certe discussioni su falsi positivi, falsi negativi, interpretazione di immagini TAC o radiografiche.
Io la mascherina la metto per il principio di precauzione (conscia che magari l’effetto protezione è minimo) senza giudicare untore chi decide diversamente.
Ciao, a proposito di mascherina sì / mascherina no all’aperto ieri Vittorio Agnoletto, che è medico, durante il giornale radio serale di Radio popolare ne ha consigliato l’uso.
https://pod.radiopopolare.it/notiziario_02_04_2020_19_31.mp3
Dal minuto 3.10 (le mascherine, nello specifico, dal minuto 4.30).
Nel frattempo – ignorato praticamente da tutti i media (almeno a mia cognizione) – l’ISS pubblica, 2 volte alla settimana sul suo sito, dei dati di studio e approfondimento sull’evoluzione dell’epidemia alla quale ha dedicato – ovviamente – un’intera sezione (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/). Tali dati sono suddivisi in due aree: da una parte i dati epidemiologici che tutti conosciamo e che – per ragioni indipendenti dall’ISS – scontano la mancanza di un campione statisticamente rappresentativo degli infetti (come sappiamo bene), e dall’altra un’analisi sui decessi che invece – come si legge nella sezione intitolata Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia – ha un campione definito e statisticamente valido di “pazienti deceduti e positivi” (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia).
Oltre alla distribuzione geografica (concentrata per oltre il 63% nella sola Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna con il 14,3%), e all’analisi demografica dei deceduti (età media 78 anni; più dell’83% dei deceduti ha più di 70 anni), spicca a mio avviso l’analisi delle patologie pre-esistenti nei deceduti positivi al Covid-19: dalla ricerca dell’ISS apprendiamo che – su un campione di 909 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche del ricovero ospedaliero – solo il 2,1% dei pazienti non aveva alcuna patologia nel momento in cui ha contratto l’infezione da SARS-CoV-2 (più della metà del campione aveva 3 o più patologie pregresse, un quarto circa due patologie, e il restante 21,6% una patologia).
Purtroppo, mancando un campione valido sugli infetti che faccia da denominatore, si rimane nell’impossibilità di calcolare la reale mortalità per Covid-19, tuttavia questa ricerca conferma come questo dato sia decisamente sovrastimato, e – vorrei dire – volutamente mistificato.
Credo che in questo momento sia fondamentale continuare il lavoro di controinformazione, debunking e analisi che – anche a partire da e grazie a Giap – tutti noi stiamo facendo nel nostro piccolo (o grande che sia). In questo momento è la cosa più responsabile e – oserei dire – militante che possiamo fare.
A proposito di titoli allarmistici e fuorvianti, o che addirittura dichiarano il falso, vorrei segnalare che pochi giorni fa il Manifesto ha pubblicato un’interessante intervista a David Quammen, l’autore di Spillover, sull’origine ecologica delle zoonosi in generale e sulla gestione consapevole dell’emergenza in caso di epidemia.
Il titolo scelto è un virgolettato: “David Quammen: «Questo virus è più pericoloso di Ebola e Sars»”, e cita un frase mai detta dal presunto autore, che non si trova neanche nel corpo dell’articolo. Leggere per credere. Nella sezione commenti, il profilo social del Manifesto si arrampica abbastanza sugli specchi per reagendo alle critiche di lettori perplessi o indignati.
Il bello è che nella seconda parte dell’intervista si parla di come sia “importante affrontare la disinformazione scientifica”, del pericolo di un “bombardamento continuo di notizie [non accurate, non credibili, non trasparenti] sul virus” e del ruolo del “sentimento di paura nelle dinamiche di comportamento collettivo durante una pandemia”, che ha effetti controproducenti dal punto di vista psicologico, sociale e politico e che non andrebbe alimentato. Ovvero, ciò che andrebbe evitato è esattamente la diffusione di articoli che scrivono nel titolo frasi catastrofiche attribuendole a chi non le ha mai dette e instillando nel lettore frettoloso o distratto pura e semplice paura. Che delusione: pure i giornali un po’ più degni si lasciano prendere dalla sete dello scoop fomentando terrorismo psicologico oltre ogni aspettativa.
Del resto cosa aspettarsi da una tradizione giornalistica nazionale che, a parte pochissime meritevoli eccezioni, non ha nessuna autorevolezza nella comunicazione scientifica, che in passato ha raccontato quanto bene farebbe bere lo sperma o che entro qualche decennio il genere maschile di estinguerà, per dire solo due delle altre innumerevoli baggianate di proporzioni incredibili che abbiamo dovuto sentirci dire per anni e anni, sempre con titoli sensazionalistici e frutto di pessima interpretazione di risultati scientifici?
Un esempio più generico di come venga distorto il senso delle dichiarazioni tecnico-scientifiche in chiave acriticamente provinciale si può ritrovare in tutti quegli articoli di giornali italiani che si compiacciono, insieme ai politici, di quanto l’OMS starebbe elogiando l’Italia per la gestione dell’epidemia (il chè dimostra anche il servilismo di gran parte del giornalismo italiano, che ragiona all’interno degli stessi linguaggi, obiettivi e orizzonti del pensiero della classe dirigente italiana).
Questo è quanto diceva l’OMS il 20 marzo, per bocca del direttore generale (corsivo mio): “WHO recommends 30 minutes of physical activity a say for adults, and one hour a day for children. If your local or national guidelines allow it, go outside for a walk, a run or a ride, and keep a safe distance from others. If you can’t leave the house, find an exercise video online, dance to music, do some yoga, or walk up and down the stairs.”
Ovvero, la scelta di chiudere tutti in casa o meno è esclusivamente politica, l’OMS non ci mette proprio becco, perché non c’è nessun dato tecnico a favore o contro. Alla faccia di chi raccontava che “l’OMS ha elogiato le restrizioni applicate in Italia”, senza considerare che le ha le ha anche criticate non appena saputo che la gente non può più fare attività fisica fuori casa, da sola, evitando assembramenti e prendendo opportune precauzioni. Chissà, inoltre, che cosa ne pensa l’OMS del fatto che nessuna evidenza abbia dimostrato l’efficacia di gran parte di tali misure in un contesto in cui l’isolamento è fatto “per finta” mentre il 40% delle persone deve continuare a produrre per Confindustria inficiando tutte le misure in vigore da due o tre settimane per il resto della popolazione, visto che attualmente né il numero dei contagi né quello dei morti sembrano scendere (almeno, per come è costruito il dato nel sistema italiano).
Segnalo questo articolo che ho letto proprio ieri.
https://www.huffingtonpost.it/entry/tutti-dovremo-indossare-la-mascherina-intervista-a-fabrizio-pregliasco_it_5e861b3ec5b6a9491832edde?ncid=tweetlnkithpmg00000001
Ora, io non conosco Pregliasco né le sue posizioni.
Ma leggendo l’articolo mi si è inchiodato l’occhio su un virgolettato rivelatore.
A mio avviso un vero e proprio lapsus da ideologo del decoro virale: “Le mascherine danno un senso di sicurezza, se tutti portiamo le mascherine riduciamo il rischio del contagio.”
Un *senso* di sicurezza.
Appunto.
E’ quello il tema, in fondo: non la reale sicurezza sanitaria, ma l’idea che se ne dà.
Così come avviene per l’ideologia del decoro, secondo la quale la percezione della sicurezza (o insicurezza) è più importante del pericolo reale e documentato di essere vittime di un qualche tipo di criminalità.
Questo ovviamente in barba all’OMS e anche alla logica elementare (interessante capriola retorica, ad esempio, dire che le mascherine servono “per riavvicinarci”).
Ora, bontà sua, non sembra che Pregliasco ritenga che il virus sia nell’aria (ad esempio afferma che se uno va a fare jogging da solo al parco non serve che metta la mascherina), ma poi ribadisce: “dovranno portarle tutti”.
A me sti doppi legami a gogo mi fanno saltare i nervi. Ci credono tutti idioti?
doppio legame, infatti. fin da subito. ricordo benissimo un “è permesso correre ma se lo fate saremo costretti a vietarlo”.
Yep.
Mio “yep” si riferisce a “ci credono tutti idioiti?”
L’ultima ordinanza della provincia di Bolzano ordina
c) a tutta la popolazione, quale segno di rispetto verso il prossimo e la collettività, di coprire naso e bocca con mezzi protettivi idonei quando ci si reca fuori dall’abitazione e nei rapporti sociali consentiti.
Non credo ci sia da aggiungere altro.
aggiungo solo :-) che ieri il farmacista (a Milano) dove ho acquistato due mascherine, alla mia domanda “ma servono a qualcosa?” mi ha risposto nell’ordine: non sono testate su questo virus. non si sa neanche le altre quanto servano. valgono come quelle che può farsi a casa da solo. insomma, le sto vendendo un pezzo di stoffa. però sono lavabili. grazie, otto euro cad.
Oggi mi ha inquietato questo: due persone, di età e livello socio-culturale diverso e distante, mi hanno detto la stessa cosa: su mie sollecitazioni ad esplicitare il fastidio di restare a casa, mi hanno detto: “non ne posso più, ma mi sento in colpa a dirlo per rispetto dei morti e del personale sanitario”.
Senso di colpa per semplicemente sentire insofferenza.
Sono davvero in imbarazzo, oggi, dopo quanto fin ora è già accaduto, nel fare queste semplici domande che potrebbero rivelare un mio deficit cognitivo (nel caso abbiate pazienza e spiegatemi).
Ma “il virus è nell’aria” non dovrebbe essere una buona notizia?
A me risulta, mi baso sull’intervista data da Burgio a Radio Onda Rossa e su altre letture e informazioni che mi sembrano confermare questa convinzione, che non ci sia altra via di uscita, da questa pandemia, che quella della progressiva immunizzazione collettiva.
Mi risulta anche che inalare un virione di Sars-Cov-2 non causi il contagio, perché questo avvenga ci vuole una certa concentrazione. Al contrario, venire a contatto col virus ma in concentrazioni tali da non attivare la risposta immunitaria (che è il vero problema), sia non solo positivo ma, a questo punto, addirittura auspicabile.
Ma allora la strategia non avrebbe dovuto essere chiara da tempo e incardinarsi da subito su due direttrici: da una parte limitare al massimo le situazioni realistiche di contagio, quindi, a grandi linee, i contatti ravvicinati in ambienti chiusi e prolungati nel tempo e dall’altra permettere o addirittura favorire i contatti a distanza di sicurezza, all’aria aperta e per tempi brevi?
Non avrebbe questo favorito l’immunizzazione a discapito del contagio?
Partirei da un assunto: una notizia falsa non può essere buona nemmeno letta “contropelo”. Si può leggere “contropelo” una brutta notizia – brutta ma fattualmente vera – mostrando che la sua negatività può avere risvolti positivi ecc. Ma con una notizia fattualmente falsa non funziona. Non puoi spazzolare in senso contrario peli che non ci sono…
La titolazione e sottotitolazione di Repubblica, unita a paywall, vaghezza di riferimenti e contesto in cui l’articolo è stato fiondato, ha generato una notizia falsa: nessuno studio ci dice che il virus Sars-cov-2 sia genericamente «nell’aria» (leggi: a concentrazioni pericolose) e perciò si debba portare sempre e comunque la mascherina.
Se la notizia fosse stata vera, ad ogni modo, e il virus fosse ovunque a concentrazioni pericolose, non penso sarebbe stata buona, nemmeno spazzolandola contropelo. Non è certo quello che intendeva o si auspicava Burgio.
Riguardo proprio all’intervista di Burgio, quel passaggio sulle basse concentrazioni di virus nell’aria ha fatto discutere, penso per com’era formulato (era un’intervista orale). Io sono un profano, un semplice lettore senza alcuna formazione virologica, posso solo riportare questo stralcio di un’intervista al virologo Gianfranco Pancino apparsa su Effimera:
«Vorrei capire meglio il principio di acquisizione di immunità quando non si prende la malattia: Burgio dice che non bisogna esagerare con le protezioni (p. es disinfettare lavare vestiti, lasciare le scarpe all’esterno etc.) e non stare troppo chiusi in casa perché dobbiamo formare degli anticorpi assumendo piccole dosi di virus. Ma quando il virus attacca le ns cellule non si moltiplica rapidamente?
Premesso che l’intervista di Burgio è uno de rari documenti seri apparsi in mezzo a una valanga di approssimazioni e di false notizie, non so bene a cosa si riferisse Burgio in quel passaggio. Probabilmente al fatto che una persona che viene in contatto con una quantità di virus insufficiente a iniziare un’infezione o ha dei prodotti virali residui di un virus ormai inattivato (per esempio dopo essere rimasto molto tempo su una superficie) può sviluppare una risposta immunitaria contro dei componenti virali e quindi avere una reazione rapida di rappello se venisse a contatto in seguito con il virus. Comunque il virus è molto contagioso, e può essere pericoloso […]»
La grande chiesa che va da Repubblica a Fedriga si tiene insieme sul dogma che l’aria sia infetta, là nel grande fuori, anche in cima al Gennargentu. C’è gente che tiene le tapparelle abbassate, gente che si lascia morire d’inedia per non uscire di casa, gente che sta letteralmente perdendo il senno.
Vis a vis tapparelle abbassate io mi chiedo come mai non si sente mai MUSICA che esca dalle finestre in questo lockdown periodo?
Io sono allegramente rinchiusa sta sera ascoltando Kim Gordon che sostituisce Iggy Pop alla sua trasmissione della BBC 6 e le sue scelte musicali con le porte finestre aperte. Essendo inglese per me la temperatura oggi e’ gia’ quasi estiva quindi niente freddo.
Sinceramente me ne frego se disturbo qualche vicino ma non c’e’ problema perche’ hanno tutti le finestre chiuse!! Che depressione.
Vorrei aggiungere un’altra riflessione, prendendo le mosse dall’ultimo paragrafo in cui è scritto che – incredibile! – la socialità è contagio.
Qualche giorno fa una mia amica era in viaggio e aggiornandomi sulla situazione ha detto scherzosamente: “accanto a me non c’è nessuno: più o meno la distanza di sicurezza”.
Ecco, secondo me su questa contrapposizione tra lo stare sicuri e lo stare insieme non si sta riflettendo abbastanza a livello collettivo – almeno non consciamente: la contrapposizione, è vissuta da tutti e anche in modo parecchio stridente, ma in pochissimi stanno ponendo la questione in questi termini. Come sarebbe una società in cui qualunque rischio di contaminazione fosse ridotto a zero? La “contaminazione” nelle sue molteplici accezioni, che includono o implicano lo scambio, il contatto, l’incontro, la messa in comune, non è forse intrinseca alla socialità? Una società “sterilizzata”, senza contaminazione alcuna, sarebbe ancora una società?
Questa pandemia è la realizzazione del “sogno” verso cui la nostra civiltà sembra muoversi da ormai diversi decenni: la tecnologia al centro, l’affermazione di surrogati di ogni contatto diretto con l’altro, la disinfezione, l’igienismo come nuova etica, i confini chiusi, lo smistamento e il controllo di ogni movimento, la razionalizzazione di ogni incontro. Il “sogno politico” della pandemia, ovvero di una società immune, è esattamente l’opposto di una comunità.
Questa idea, come notato in tempi non sospetti da Roberto Esposito, che si interroga da sempre su questioni di biopolitica, è magicamente espressa anche sul piano etimologico e semantico: immunitas e communitas sono due varianti del termine latino munus, “dono” oppure “obbligo”. Mentre una comunità si organizza, appunto, sulla base di una circolazione, di una condivisione di doni e di obblighi, l’immunità è la negazione di questa circolazione. Quando i membri di una comunità si trovano in un obbligo reciproco di condivisione, l’immunità ha un effetto derogatorio su tale obbligo, lo mette in sospensione.
Così facendo, l’eccezionalità presente sta permettendo a tale contrapposizione prima latente di riaffiorare. Appena tre giorni fa, un Boris Johnson infettato parlava dalla quarantena e si congratulava con chi sta fronteggiando l’emergenza sanitaria, concludendo con la considerazione che questa crisi ci ha mostrato che “there really is such thing as society”. Cioè, negando letteralmente la validità del principio espresso da Margaret Thatcher nella celebre frase “there is no such thing as society” e rinnegando dunque le origini politiche del proprio operato e di quello degli ultimi 40 anni di governo in Regno Unito. Non sentite anche voi coloro che “ognuno deve pensare per se stesso” e “la solidarietà è assistenzialismo”, piagnucolare adesso che la salute di ciascuno dipende dagli altri e che ogni persona è legata agli altri da responsabilità e relazioni di interdipendenza?
Anche il virus stesso, nel monologo fatto circolare dai compagni francesi e tradotto in diverse lingue, si chiede: “Che altro modo mi resta per ricordarvi che la salute è in ogni gesto?”
Io, invece, in centro ho notato il contrario ed infatti ho iniziato a realizzare una serie di video che testimoniano l’ esistenza di vita attraverso musica dalle finestre. Come grida di carcerati che vogliono evadere.
Musica ad alto volume, per farsi sentire o per rompere il rumore imbarazzante di questo silenzio. Ed io stessa, per strada, parlo più forte. Per farmi sentire. Per rompere un muro assordante di diffidenza.
Non se può più.
Questo commento mi riporta a un breve intervento di Massimo De Carolis per Quodlibet, ne riporto solo uno stralcio: “Più in generale, tutti noi scopriremo che, in ultima analisi, non c’è vita sociale che non comporti un rischio di contagio, come non c’è vita organica che non rischi la malattia e la morte. E ci troveremo perciò di fronte a un interrogativo politico basilare: fino a che punto siamo disposti a mettere a repentaglio, sia pure in forma minima, la nostra sicurezza biologica per cenare con un amico, per abbracciare un bambino o semplicemente per chiacchierare con gli sfaccendati che tirano tardi in piazza? Dove collochiamo l’asticella a partire dalla quale la nostra felicità sociale diventa per noi prioritaria rispetto alla salvaguardia della salute? E l’esistenza politica più importante della sopravvivenza biologica?
È un bene che il coronavirus ci costringa da un giorno all’altro a porci simili interrogativi, perché dalla risposta che daremo nei fatti (e non solo a parole) potrebbe dipendere l’assetto della società futura.” https://www.quodlibet.it/la-minaccia-del-contagio-di-massimo-de-carolis?fbclid=IwAR3OXfcxnyHQNAUAsP5Coahg-zazMtOWAgBc1YfIWfUgHxRSgqu450P_Oh0
Carl Sagan, astronomo Americano, gia` negli anni 80 diceva che “… viviamo in una societa profondamente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia in cui nessuno sa nulla in merito a tali questioni. Si tratta di una formula sicura per il disastro”. Se in questo delicato momento storico i giornalisti non si impegnano seriamente per diffondere adeguatamente l’informazione scientifica sara` la vita sociale come l’abbiamo concepita e conosciuta fino a ieri a scomparire, se non e` gia` successo. Articoli di questo genere sembrano essere, come minimo, il risultato di un inadeguato processo editoriale, nel migliore dei casi se non di un banale (nell’accezione descritta dalla Arendt) tentativo di incrementare le vendite nel peggiore. “L’obbligo inderogabile, il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati” sono andati a farsi fottere. Siamo al delirio totale, un adeguamento agli standard dei social media, a quei livelli di divulgazione “scientifica” tipo mangiare cioccolata puo` far perdere peso (click) o bere vino puo` curare il cancro (click).
Anche stamattina Repubblica si è alzata bene. Primi due articoli sulla home (ovviamente a pagamento):
1 “Virus nell’aria e mascherina: il rebus del contagio divide gli esperti” (con tanto di Fauci che ipotizza che il virus si trasmetta parlando)
2 Il governo frena sulla ripartenza a maggio
Un’altra buona giornata, via.
Mi pare sempre più evidente che non ci sarà nessuna fase 2. Un po’ alla volta riapriranno tutte le fabbriche, e per “compensare” questa “concessione” il potere esecutivo inasprirà ulteriormente la quarantena e la repressione a tempo indeterminato. Si selezionerà un po’ alla volta il tipo umano più adatto a questo “stile di vita”: Olindo. Fra 50 anni l’umanitè sarà estinta. Per decenni abbiamo immaginato la fine del mondo in stile Mad Max. Invece ci estingueremo facendo la settimana enigmistica con le tapparelle abbassate.
Devono per forza presentarlo come «rebus» che «divide gli esperti». Non possono titolare: scusate, ieri abbiamo scritto una fregnaccia, dando per assodato qualcosa per cui non ci sono prove e seminando terrore.
In fondo, anche il cambiamento climatico «divide gli esperti», dato che esiste uno sparuto drappello di scienziati negazionisti. Anche la Shoah «divide gli esperti», dato che c’è David Irving.
Divide anche lo stesso articolista! L’articolo (a cui non posso accedere in toto) è un alternanza di frasi shock («si diffonde espirando» [..] «attraverso le conversazioni») e locuzioni cautelative («è possibile che», «non vuol dire che», «ma»).
Nel cinema, Ejzenstejin lo chiamava “montaggio delle attrazioni” ;-)
Dato che il meteo prevede alta pressione e clima tipicamente primaverile… Repubblica poteva forse esimersi dallo spargere un po’ di mestizia sui nostri facili entusiasmi? Che il Governo freni pure sulla ripartenza a Maggio non so cosa si intenda. Evidentemente il messaggio subliminale è: “ scordatevi di vedere il mare”. Che sogno se gli hackers entrassero veramente in azione e oscurassero per sempre la versione on Line di questa pessima testata.
Si intende questo: ieri c’era stata costernazione perché Borelli aveva detto probabilmente prima del 16 maggio non si sarebbe potuti uscire di casa. La gente era disperata, pensava che il 13 aprile almeno una boccata d’aria avrebbe potuto prenderla. Allora è intervenuta Repubblica ad ammonirci che anche il 16 maggio è troppo presto, e che dobbiamo metterci in testa che dobbiamo restare a casa a tempo indeterminato.
Tutto questo, ricordiamolo, per deviare sul singolo cittadino «indisciplinato» la responsabilità dei disastri fatti dalla classe dirigente, che prima ha “aziendalizzato” e tagliato la sanità, poi ha ignorato per due mesi l’epidemia, infine ha reagito scompostamente alla scoperta dei primi focolai, imponendo misure incoerenti e “a singhiozzo”, man mano implementandole con divieti – de iure e de facto – alla libertà di movimento, alcuni dei quali non hanno quasi corrispettivo nel resto del mondo, divieti dalla funzione “spettacolare”, funzionali ad additare continuamente capri espiatori: il runner, chi passeggia, l’anziano che va troppe volte al supermercato, chi chiede almeno una boccata d’aria per bambine e bambini ecc.
Intanto, alcuni comparti dell’economia venivano chiusi a doppia mandata mentre ad altri, non necessariamente «essenziali», si concedeva ogni favore, facendo sì che milioni di italiane/i continuassero a lavorare in ambienti fortemente a rischio. Ma il problema erano i podisti o chi va nei boschi.
Ogni giorno si sparano numeri altalenanti e dalla dubbia affidabilità, si delira sulla curva, sul «picco», ma nessuno vede una prospettiva e si continua a rinviare l’avvio di una nuova fase.
Da oltre un mese, per giustificare questo stato di cose i media italiani (soprattutto quelli governisti), unici al mondo, parlano di un «modello Italia», dicono che nel mondo tutti ci imitano, mentre siamo quelli a cui la situazione è più scappata di mano a tutti i livelli, e sui media esteri l’Italia è presa come il top dell’esempio negativo, del cosa non fare.
Fine del riassunto delle puntate precedenti.
Ma ormai la strategia è di una evidenza accecante! Solo uno stolto può ancora credere alla favola propinata da Repubblica & co. I divieti cui siamo sottoposti sono un nonsense colossale, a prescindere da come si propaghi il virus, dal dilemma mascherina si/ mascherina no, dalla capienza degli ospedali, dal picco, dall’altopiano, dalla discesa, dal vaccino. Sono esasperata perché la mia mente non riesce a cogliere un solo motivo valido che giustifichi la reclusione ad oltranza. Forse non sono lucida!!!
Un riassunto molto lucido. Se mi permetti vorrei aggiungere che il 10% dei positivi sono operatori sanitari, che quindi si sono infettati per cause di lavoro. A testimonianza di questo si può notare che l’età mediana complessiva dei positivi è 62 anni, mentre quella dei sanitari positivi è 49 anni.
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_2-aprile-2020.pdf
Per quanto riguarda il futuro, dall’andamento dei nuovi infetti si vede un calo che fa presagire un annullamento tra un mese. Aggiungendo l’errore si arriva a metà maggio.
La mia impressione è che non si riescano ad implementare delle misure realmente incisive sui focolai nelle RSA e nella sanità. E’ quindi già una fortuna che si intraveda un calo.
Sarebbe così assurdo dire che – in fondo – questa strategia del lockdown con annessa caccia all’untore volta a colpevolizzare i cittadini risponde a una sorta di piano che mira ad evitare la consapevolezza dei cittadini stessi? In fin dei conti – al di là della possibilità di perdere consenso per gli attuali governanti – una reale e profonda presa di coscienza da parte dei cittadini di come si sia arrivati fin qui a cosa porterebbe se non a sviluppare una volontà diffusa di imprimere una direzione opposta a quella che viene ormai tracciata da decenni dalla nostra classe dirigente sulla scorta dell’europeismo liberista? La prima cosa sensata da fare non sarebbe forse obbligare la classe politica a una repentina inversione a U verso investimenti pubblici in sanità, welfare, occupazione e salari tale da far saltare il culo a tutta l’impalcatura finanziaria e liberista dell’UE? Non sarà forse questo l’incubo più grande dei nostri governanti? Alla fine – facendo lentamente scemare il contagio e obbligando il paese ad accettare nuovi aiuti (da rimborsare nei prossimi anni con lacrime, sudore e sangue pubblici) – non stanno forse rafforzando ancora di più il nodo scorsoio che ci lega a quel sistema? Non si stanno – insomma – candidando ad essere i nuovi campioni del liberismo finanziario europeo?
Non era un piano preventivato in anticipo da potenti tanto malvagi quanto geniali e in grado di prevedere tutto: è una strategia che si è imposta a tentoni e non senza conflitti, basti ricordare come le classi dirigenti hanno reagito nelle prime settimane di epidemia, con fortissime tensioni tra governo centrale e regioni, tra segmenti di classe politica a loro volta rappresentanti di interessi diversi, spezzoni di capitalismo che si sono giocati la partita tra #chiuderetutto e l’#Italianonsiferma. Si sono scontrate diverse narrazioni, con un’altalena tra terrore e rassicurazione, e anche adesso ci sono tensioni tra chi vorrebbe stringere ulteriormente e chi invece vorrebbe allentare. E le misure sono state prese in modo incongruo, con continui rattoppi sui buchi fatti in precedenza.
Adesso è chiaro che i fautori del lockdown devono «tenere botta», tenere la parte che si sono ritrovati a interpretare nel dramma generale. Ed è chiaro che mentre tengono la parte fanno esperimenti, è una cosa che abbiamo scritto già nel Diario virale: quest’emergenza «torna utile» a molti, a livello globale e italiano. Qui da noi, per fare i primi esempi off the top of my head, c’è Fedriga che dice «tasse zero per le imprese» (così si indebolirebbe ulteriormente il SSN), c’è la sanità privata che (solo in apparenza paradossalmente) trae ulteriore vantaggio dalla situazione, ci sono settori di forze dell’ordine e forze armate che hanno l’acquolina in bocca per la centralità che avranno in qualunque nuovo scenario (si tratti di pax pandemica o di rivolta sociale)… Ma è un cogliere le palle al balzo, non è un Piano.
Certamente il Piano non fu ideato in Italia!!
Voi ragionate da posizioni italocentriche nel senso letterale non offensivo.
Sicuramente la vostra analisi della reazione italica e’ azzeccata ma bisogna guardare altrove per identificare la genesi del Event.
In inglese si dice “follow the money”..non e’ cosi difficile. Non e’ certo una cospiarazione globalista ma e’ una tappa necessaria per assicurare la sopravvivenza del capitalismo. Ma ne uscira’ una versione ancora piu’ corrotta e spietata di prima.
Una cosa che produrra’e’ il primo trillionario del pianeta.
Non è stato ideato nemmeno negli USA o in un altro posto.
Non è stato ideato. Non c’è.
Nessun soggetto avrebbe potuto ideare e men che meno mettere in pratica in modo minimamente coerente un Piano basato su una pandemia globale, prevedendo tutte le mosse che sarebbero state fatte in una simile situazione a livello planetario, e usufruendo di una rete di complici di dimensioni inimmaginabili (troppo grande per essere operativa, troppa gente per poter mantenere qualsivoglia segreto).
È un piano di complessità che sfugge a qualunque Volontà di un mastermind o loggia o clique di savi anziani o skulls & bones o CIA.
Il capitalismo non ha bisogno di un Piano per funzionare, il suo “piano” è l’estrazione di valore per trarre profitti, e cerca di farlo anche in questa situazione. Il suo “complotto” è la divisione della società in classi.
Soprattutto, noi non abbiamo nessun bisogno di fantasticare un Piano per essere anticapitalisti.
Non abbiamo bisogno di fantasticare un Piano quando le cause di quest’epidemia stanno nel funzionamento del sistema capitalistico, che ha disboscato, inquinato, alterato ambiente e clima, devastato territori, scatenando “salti di specie” di sempre più virus.
Concordo, non esiste un Piano, anche perché – come spieghi bene – le forze e le spinte inerziali in campo sono tante e confuse. Tuttavia credo che la compagine di governo una strategia – per quanto confusa e rattoppata – la stia perseguendo, ed è quella che illustravo sopra.
Tuttavia – forse anche per via del caotico e incerto dipanarsi di tali strategie ed esperimenti – nella mia testa torna a ronzare il “che fare?”. Presidiare il territorio ci è precluso. Occorre trovare vie di militanza e di costruzione di pratiche alternative e “a-sociali”. Forse Giap può essere uno dei nuclei laboratoriali a partire dai quali elaborare nuove pratiche militanti ai tempi del distanziamento sociale? Alla fine non credo sia un caso se in questo momento il blog è preso d’assedio, se siete costretti ad una sbatta quasi senza precedenti per manutenere l’elaborazione politica che stiamo conducendo in questi giorni (grazie!). La domanda è aperta: possiamo fare dell’altro oltre al lavoro enorme e prezioso di ermeneutica dell’immanenza che stiamo facendo su queste pagine?
È un compito superiore alle nostre forze. “Esonda” di gran lunga i confini che questo blog – che in teoria è un blog letterario – può toccare anche col massimo stiracchiamento del ruolo di “supplenza” che sta svolgendo in queste settimane.
Noi siamo tre scrittori. Romanzieri. Ci occupiamo di narrazioni: sappiamo costruirle, e quindi abbiamo un certo “occhio” e una certa mano nello smontarle. Molto più di questo non sapremmo fare. Non possiamo sostituire movimenti che non ci sono, e nemmeno essere nucleo fondante di movimenti nuovi.
Il nostro blog non può essere il laboratorio di una nuova pratica militante per la nuova era. Le discussioni che avvengono qui sopra possono fornire spunti per un agire collettivo, ma resta un blog letterario, per quanto sui generis.
Ci siamo già sopravvalutati una volta, vent’anni fa, come poi raccontammo nella nostra «autocritica su Genova». Non vogliamo ripetere quell’errore.
Sono d’accordo su tutta l’analisi. Aggiungerei questo tassello, che mi ha colpito anche se forse non è stato molto pubblicizzato. Ho l’impressione che quello di Fedriga non sia un colpo sparato a caso, ma parte di una strategia (anche se forse in fieri) dopo aver letto questa dichiarazione di Salvini che chiede una “Milano zona economica speciale” (per esempio qui https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/radiocor/economia/dettaglio/coronavirus-salvini-milano-diventi-zona-economica-speciale-nRC_30032020_1904_606118170.html) che se interpreto bene in soldoni vorrebbe dire: aggiramento dei contratti nazionali, limitazioni al diritto di sciopero e ai diritti dei lavoratori, superagevolazioni alle imprese (e soprattutto agli investimenti esteri), “semplificazioni” degli appalti e altro che non riesco a immaginare…
Sì, la proposta delle ZES è già da un po’ che circola in ambiente leghista lombardo, ce l’aveva fatto notare Wolf più di un mese fa e ne avevamo parlato nel Diario virale 3.
Ora Arcuri ci ammoisce che non si torna alla normalità, che si va avanti a tempo indeterminato con la reclusione di massa.
https://archive.vn/Z1AH7
Come pezza d’appoggio utilizza le foto scattate dai reporter a Bologna, Napoli e Genova con teleobiettivi da 800 millimetri che schiacciano la prospettiva e trasformano in assembramento una trentina di persone distribuite lungo una strada lunga seicento metri. E’ l’effetto piazza Alimonda: Carlo Giuliani a sei metri dal defender con l’estintore sollevato sopra la testa (come si vede chiaramente dalla foto panoramica laterale) diventa un minaccioso assalitore a mezzo metro da Placanica se fotografato di spalle con lo zoom ottico.
assolutamente d’accordo, Repubblica negli ultmi anni, soprattutto da quando ha cambiato veste (spacing degli articoli e dei caratteri, più elementi multimediali, scrolling molto lungo tipo feisbuk) ha mutuato in buona parte la fuffa digitale e il clickbaiting, che per lungo tempo ha criticato, soprattutto durante gli anni in cui l’asse Pd-M5S era contrapposto (e da un lato c’era appunto Repubblica vs TzeTze-LaFucina ecc)
“La stabilità del Sars-CoV-2 in differenti condizioni ambientali”.
L’altroieri The Lancet ha pubblicato un’interessante studio
che mostra la persistenza del virus nel tempo su diverse superfici (banconote, plastica, legno, tessuti, carta ecc.)e valuta l’effetto della temperatura e dei i vari disinfettanti.
Concludono affermando che “In generale, SARS-CoV-2 può essere altamente stabile in un ambiente favorevole, ma è anche molto suscettibile ai metodi standard di disinfezione”.
Di segioto il link dell’articolo con il relativo allegato.
https://www.thelancet.com/journals/lanmic/article/PIIS2666-5247%2820%2930003-3/fulltext#coronavirus-linkback-header
https://www.thelancet.com/cms/10.1016/S2666-5247(20)30003-3/attachment/34ed069e-7268-42ae-8627-df3aa869d81b/mmc1.pdf
sottopongo un altro articolo, sempre da repubblica, che mi pare molto simile, quasi sovrapponibile a quello in questione
ma molto diverso
https://archive.vn/xoK4j
Scusate ma oggi sul podio c’è il Corriere:
https://www.corriere.it/cronache/20_aprile_04/coronavirus-crisanti-mascherine-anche-casa-riaperture-ultima-lombardia-prima-sardegna-8a1c8b04-75db-11ea-856e-f9aa62c97d7a_preview.shtml?reason=unauthenticated&cat=1&cid=EBuT5D3M&pids=FR&credits=1&origin=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Fcronache%2F20_aprile_04%2Fcoronavirus-crisanti-mascherine-anche-casa-riaperture-ultima-lombardia-prima-sardegna-8a1c8b04-75db-11ea-856e-f9aa62c97d7a.shtml
E poi c’è un altro meraviglioso titolo “ la sindrome di chi esce di casa. Tanto il contagio é altrove”.
Le mascherine anche in casa. E vivere in ambienti separati anche all’interno dell’abitazione. Per esempio: genitore 1 nell’ala destra della villa, sopra il frutteto; genitore 2 nell’ala sinistra, quella che dà sul parco; figio 1 nella parte centrale, con vista sul campo di golf; figlio 2 nella dependence vicino al ruscello.
:- )))) non riesco ad accedere al contenuto essendo a pagamento, ma suppongo e voglio sperare sia così che l’indicazione si riferisca ad una prassi igienico-sanitaria da adottare se in famiglia o comunque in una stessa abitazione vi è un caso accertato. In caso contrario saremmo figuranti del teatro dell’assurdo.
No no, una prassi da adottare a prescindere.
domanda: «Professor Crisanti, dopo settimane di chiusura le mascherine in casa potrebbero sembrare inutili. Viene da pensare che se non si è stati ancora contagiati il pericolo è scampato.»
risposta:«No, non è così. I casi si sono accumulati. Le persone non si ammalano tutte nello stesso momento. Noi vediamo una progressione. In ospedale arrivano a grappoli, interi nuclei familiari. Questo significa che se non si sta attenti le nostre case possono trasformarsi in tanti piccoli focolai di contagio. Diciamo che in questo momento sono più protetti i single. Sarebbe comunque opportuno accompagnare la misura con un’opera seria di informazione. Non è cosa semplice difendersi da un’infezione».
Come si dice, stanno smarmellando.
Se le case rischiano di trasformarsi in focolai di contagio (vero), allora a maggior ragione ci permettano di uscire all’aria aperta.
Sono giunta alla stessa conclusione. Saremo noi illogici o loro?
Tra l’altro, una delle ipotesi che viene tradizionalmente avanzata per spiegare perché l’influenza e altri virus stagionali spariscano nei mesi estivi è che nella bella stagione la gente trascorre più tempo all’aperto. La trovo una spiegazione un po’ semplicistica, senz’altro entrano in gioco anche altri fattori. Però, se è fondata anche solo in parte, stare tutti rinchiusi in casa quando c’è il sole significa fare un favore ai virus.
Il fatto che chi non si è ancora ammalato non può dire di averla scampata è assodato, soprattutto nelle zone in cui il virus si è diffuso ancora poco e potrà farlo in futuro, ma la strategia di elezione non può rimanere il lockdown.
Il fatto è che il lockdown concepito in questo modo (fabbriche aperte, logistica a pieno ritmo, *ma* persone murate in casa) non è solo una strategia di profilassi sanitaria, ma anche (e forse soprattutto) un esperimento di ingegneria sociale. Passerà il virus, ma il lockdown resterà. A meno che non avremo la forza per opporci. A questo proposito segnalo che in Ungheria Orban, forte dei pieni poteri ottenuti dal parlamento, tra le misure per combattere il virus ha inserito il divieto di transizione di genere. Come molt* di noi avevano intuito fin da subito, la quarantena è in realtà una quaresima, una penitenza collettiva, che va dal divieto di passeggiare al divieto di mettere la mozzarella sulla pizza, dal divieto di mostrare in pubblico il proprio volto (strano contrappasso per chi era ossessionato da travisamento…) al divieto di vivere in libertà la propria sessualità e il proprio genere. E ne vedremo ancora, in un parossismo di demenza.
Perfetto. Quindi a breve il potere esecutivo si arrogherà a mezzo DPCM la facoltà di disporre perquisizioni domiciliari. In effetti è vero che l’ambiente dimestico è per definizione, essendo chiuso e ristretto, favorevole alla diffusione del contagio. Però, anziché trarne solo le conclusioni che convengono e che sono comunque improponibili sul piano pratico, si dovrebbe allora affermare che vietare che uno stesso nucleo familiare od alcuni suoi componenti escano all’aperto non incrementa in alcun modo il rischio! Anzi, lo riduce.
volevo segnalare anche questo (p.battista odierno), dove “non colpevolizziamoci” non è non colpevolizziamo i singoli presi istericamente di mira, ma “non colpevolizziamo il sistema”… https://www.corriere.it/editoriali/20_aprile_03/non-colpevolizziamociper-nostro-stile-vita-3bce985e-75d9-11ea-856e-f9aa62c97d7a.shtml
non ho l’accesso all’articolo, ne riporto alcuni commenti messi in rete da altre testate. Mi sembra che Crisanti parli nel contesto dell’ipotesi di isolamento dei positivi, una misura applicata anche in Cina dopo che il lock-down totale aveva portato il rate di infezione ad un livello simile a quello osservato ora in Italia.
In questo momento i positivi sono in quarantena a casa. Il trasferimento ricorda una deportazione, ma credo che per molti sarebbe più accettabile che restare in casa con la quasi-certezza di contagiare tutta la famiglia.
Purtroppo queste misure hanno un costo, non c’è il personale medico per fare i tamponi, non c’è il personale infermieristico per gestire le strutture di isolamento. Quindi di tutti questi ragionamenti sopravvivono nei titoli dei giornali solo le mascherine e i guanti in famiglia.
MSN:
“in estrema sintesi, le conclusioni dello studio: se c’è un positivo in famiglia, il rischio di essere infettati è 84 volte superiore rispetto alla norma; identificando e isolando tutti gli infetti la capacità di riproduzione del virus scende subito da 2 a 0,2; con l’isolamento si elimina la trasmissione anche senza imporre misure drastiche di contenimento al resto della popolazione;….”
Huffingtonpost:
“sarebbe utile trasferire tutti i positivi in strutture ad hoc. «Penso per esempio agli hotel rimasti vuoti. Di alberghi ce ne sono tantissimi e sono pure confortevoli. I malati rimarrebbero comunque in contatto con le famiglie. Una decisione in questo senso tocca però il livello politico perché richiede investimenti».”
Laleggepertutti.it
“Il professor Crisanti ci sta dicendo che si può prendere il Covid-19 anche quando si rispettano le regole sulla quarantena e si resta richiusi in casa? «Qui per tornare a essere liberi e uniti bisogna per forza separarsi», taglia corto il virologo. «E la fonte di contagio in famiglia è importante, anche più delle altre due: gli indisciplinati che escono, una minoranza, e chi è costretto a lavorare».”
Che la «quarantena-fai-da-te» avrebbe aumentato i contagi nei nuclei famigliari ce lo avevano già detto gli esperti cinesi, infatti loro hanno fatto i «corridoi sanitari» e organizzato la quarantena dei contagiati in strutture pubbliche attrezzate ad hoc. Qui in Italia si è detto e ridetto che abbiamo «fatto come in Cina», ma non è vero, loro – a prescindere dai giudizi che possiamo avere sul regime cinese – non si sono limitati a dire «tutti in casa» ma hanno adottato strategie come quella appena descritta. Sono cose che qui su Giap abbiamo ricordato più volte in diversi/e.
Da noi, insistere su #iostoacasa come unica “strategia” ha impedito di capire che la casa non è affatto l’ambiente protetto che gli spot televisivi e gli appelli social dei vip descrivevano, nemmeno a livello sanitario, epidemiologico. Crisanti dice che la famiglia è la prima fonte di contagio? Se è vero, qui si è fatto di tutto, ma proprio di tutto, perché quella fonte funzionasse a pieno regime.
Solo di recente, in drammatico ritardo, in alcune parti d’Italia si è cominciata a organizzare la quarantena fuori casa. Con la quale, cito dal sunto qui sopra, «si elimina la trasmissione anche senza imporre misure drastiche di contenimento al resto della popolazione». Naturalmente, per far questo è necessario fare prima i tamponi e/o i test sierologici, mentre da settimane sentiamo testimonianze sul fatto che – se non sei un politico o un VIP – devi proprio essere in quasi-agonia perché ti venga fatto il tampone.
Se si fosse agito così prima, probabilmente non avremmo un’intera popolazione agli arresti domiciliari, divisa tra chi escogita piani per potersi prendere una boccata d’aria e chi si invelenisce a colpi di delazioni.
Ma naturalmente, di tutto questo discorso cosa desumerà la maggior parte delle persone che si imbattono in quell’articolo?
Che bisogna portare tout court la mascherina anche in casa.
Occhio però, ché tamponi e test sierologici non sono equivalenti: solo i primi permettono di individuare i contagiati, mentre per mezzo dei secondi si è in grado di scovare eventuali anticorpi, quindi di sapere se una persona è entrata in contatto con il virus e l’ha scampata. I test sierologici saranno utili in una fase successiva, per mappare la diffusione del virus e per studiare un vaccino; ora è necessario pretendere il maggior numero di tamponi possibile, che si investa sul materiale necessario, compresi i reagenti che sembrano scarseggiare a livello internazionale. Diversamente si continuerà a ragionare su dati falsati, che verranno utilizzati a breve per riaperture incoscienti delle attività economiche chiuse con l’ultimo decreto. Che già sappiamo essere stato molto generoso nei confronti delle richieste di Confindustria.
Non ho scritto che sono la stessa cosa, ho scritto «e/o» semplicemente non penso che si escludano a vicenda, o fai gli uni o fai gli altri. Test sierologici a campione sarebbero utili anche adesso, per capire la scala dell’immunizzazione già avvenuta, e quindi dell’effettivo impatto dell’epidemia.
Da ieri al Sant’Orsola, a Bologna, hanno finalmente iniziato a fare test sierologici su tutto il personale ospedaliero. Già che capire se in un un ospedale il personale sanitario possa lavorare senza essere fonte di contagio ulteriore è essenziale. Quindi i test sierologici sono fondamentali anche in questa fase e non solo in fase di mappatura. In alcuni ambienti lavorativi devi sapere esattamente come classificare un ” negativo “. Non ti basta individuare il positivo per isolarlo. Dove poi? In ogni caso, direi, che questo tipo di misura è stata attuata troppo troppo tardi rispetto ad altre inutili, inefficaci restrizioni. E che senza corridoi sanitari la situazione non cambierà in maniera sostanziale. Pare che Budrio e Bazzano, se non sbaglio, siano stati destinati a questo scopo. Ma anche questo è frutto di una gestione illogica ed irrazionale. In caso di infarto, si rischia di morire prima di raggiungere l’ ospedale. Forse. Ed il fatto che la Lombardia abbia il numero di decessi più elevato,rispetto a qualunque altra regione italiana, testimonia solo la cattiva gestione dall’inizio dell’emergenza. Inoltre la Lombardia ha effettuato, ad oggi, meno tamponi del Veneto… e questo non si spiega affatto con l’ ” emergenza “…
«Quello di cui la stampa sta parlando molto ed è presentato fuori contesto è il fatto che il virus possa sopravvivere sulla plastica per 72 ore, il che suona spaventoso. Ma ciò che importa di più è la quantità di virus che resta su quelle superfici: meno dello 0,1% della quantità virale iniziale. A quei livelli il contagio è teoricamente possibile, ma improbabile. Questo la gente deve saperlo.
Lo studio del New England Journal of Medicine dice che il virus può restare nell’aria per tre ore, ma in natura le goccioline della respirazione precipitano al suolo più rapidamente dell’aerosol prodotto in quell’esperimento. Gli aerosol usati in laboratorio hanno particelle più piccole di quelle che escono con un colpo di tosse o uno starnuto, quindi rimangono nell’aria ad altezza del viso più a lungo di quanto facciano le particelle più pesanti prodotte in natura.»
Dall’intervista alla biologa cellulare Carolyn Machamer, esperta di coronavirus, pubblicata già il 20 marzo sul Johns Hopkins Magazine.
Purtroppo non tutti hanno gli strumenti per accedere a questi contenuti e così i media hanno gioco facile a prenderli come semplice spunto ed artatamente decontestualizzarli. Ciò detto: sarà necessario munirci di una buona dose di fatalismo perché disinfettare e sterilizzare tutto è impossibile. É un po’ come quel detto “vivere da malati per morire sani”. Il concetto è più o meno questo.
“Non tutti hanno gli strumenti per accedere a questi contenuti.” Ecco perché il lavoro fatto da questo blog è prezioso. Il post di ieri che smonta pezzo pezzo l’articolo di repubblica & co, e’ stato condiviso da moltissime persone ed ha assunto una sempre maggior *carica virale*, passatemi il termine, ad ogni sua condivisione.
Il superficialissimo articolo del corriere di oggi invece apre futuri scenari di biopolitica a dir poco spaventosi.
Condivido in toto. L’opera di analisi svolta da Giap è l’unico faro nella tempesta! Anche perché traduce in termini comprensibili concetti abbastanza complessi per i più e sottopone dl vaglio della logica la narrazione dominate.
Infatti il punto chiave è la valutazione del livello di rischio. Tutto ciò che facciamo è rischioso. Anche tutto ciò che non facciamo è rischioso. Se sto a letto può arrivarmi addosso un meteorite o un aereo, può venirmi una trombosi per l’inattività, può entrare in casa un ladro che mi spara.
Si tratta di valutare le probabilità, per decidere che cosa vale la pena fare. Tutti facciamo queste valutazioni di continuo, in modo più o meno consapevole e più o meno bene (spesso malino: l’evoluzione non ci ha dotati di un calcolatore preciso, tendiamo a sovrastimare certi rischi e sottostimarne altri).
Mi pare che nel caso del Covid ci sia un’ansia collettiva che mira a raggiungere un livello di rischio nullo. Ma questo non è possibile e neppure auspicabile. E’ più che ragionevole accontentarsi di un livello di rischio lieve o trascurabile, come abbiamo sempre fatto per tutto il resto.
Alcune sere fa verso verso le 22 o 23 dalla finestra (di un appartamento a Torino) ho visto apparire un elicottero che stazionava poco più a sud di casa mia, illuminando con un potentissimo faro qualcosa che non riuscivo ad identificare con precisione. Poi lentamente si è spostato verso di noi soffermandosi lentamente su:
1. un piccolo giardinetto fra alcune case ed una chiesa; 2 un campo da calcio di un oratorio/scuola (chiuso da un mese) 3 una piccola area cani 4 un’ex area giochi per bambini in decadenza con qualche cespuglio, albero ed aiuola 5 il nostro cortile condominiale con altri alberi ed aiuole. Seguito da profusione di bagliore e suoni di sirene e volanti. Tipo inseguimento da finale di film americano con fuggitivo classico, insomma.
Il giorno dopo, leggendo le notizie in giro ho scoperto che ora i carabinieri girano per la città di notte setacciando aree verdi e parchi alla ricerca di eventuali “trasgressori alle misure di contenimento del virus” (?!?!)
Ma che si aspettano di trovare? Rave party nell’area cani? Capannelli di vecchietti che giocano a carte a lume di candela sotto gli alberi? Mamme con bambini addormentati sull’altalena? Boh!!
Questo per la notte. Per il giorno, “finalmente” il governatore è riuscito ad imporre il divieto di tutti gli sport oltre le attività ludiche, e ridurre la distanza massima da casa per le passeggiate di 200 metri (invece di un km stabilito precedentemente dalle autorità locali almeno a Torino). Perché secondo lui – e non so dove li veda perché qua a parte nei pressi dei supermercati in giro non s’incontra mai quasi nessuno – “ancora troppa gente passeggia, senza capire che siamo in guerra”.
Sì guerra contro il passeggiatore solitario, mentre in Piemonte nel frattempo non vengono fornite protezioni adeguate per chi lavora, non fanno i tamponi neanche a chi ha sintomi evidenti da giorni, non li fanno ai conviventi dei “positivi”, non tracciano più chi è stato a contatto con “positivi”…
Ciao a tutte e tutti,
oggi, 4 aprile 2020, per via della tumultuosa crescita del numero dei commenti su Giap (centinaia al giorno), del carico di lavoro redazionale che questa situazione sta comportando e della fatica a seguire le discussioni che sempre più persone segnalavano, abbiamo dovuto reintrodurre il limite minimo di battute, riattivando un plugin che avevamo disattivato nel 2019.
Questo per far sì che un singolo utente non lasci tanti commenti in rapida successione lunghi una frase o due, ma cerchi di ponderare i propri interventi. Come diceva qualcuno, «meglio meno ma meglio».
Per essere pubblicato, un commento dovrà suprare le 550 battute, che per convenzione corrispondono a una novantina di parole. Secondo vari studi, 90 è il numero minimo di parole emesse da un parlante in un minuto di conversazione.
Ecco, ci piacerebbe che un intervento su Giap corrispondesse ad almeno un minuto di intervento a voce.
Scusateci, è che ci stiamo facendo un gran mazzo e dobbiamo razionalizzare un minimo, perché le energie non sono illimitate. Soltanto un mese fa non avremmo mai immaginato di ritrovarci a svolgere questa “funzione”.
Grazie della comprensione e collaborazione, e buon proseguimento di discussione!
Per rendere l’idea, questo commento di Mandragola01 è lungo 579 battute.
Segnaliamo questo testo del progetto Osservamedia Sardegna:
Reagire al panico da infodemia, alcune considerazioni intermedie su discorso mediatico e Covid-19
Immagino che qui i vaccini e’ un discorso malvisto ma vedrete che diventera’ IL discorso principale. Non e’ OT perche’ i media tipo Repubblica sono gli stessi che con loro “yello journalism” (https://en.wikipedia.org/wiki/Yellow_journalism) fomentano il panico con le bufale per condizionare le menti ad accettare la prox fase. Appunto: MANDATORY VACCINES.
Se posso fare una mia previsione: il lockdown andra’ avanti finche’ un vaccino non e’ pronto e poi saremo COSTRETTI a farlo.
Dopo l’obbligo vaccinale alla materna e asilo qui in Italia ecco l’obbligo per tutti. Non lo bollate come una “conspiracy theory”. La piu’ grande conspiracy theory degli anni passati e’ quella sull’efficacia e innocuita’ dei vaccini e il yellow journalism e’ stato fondamentale per spargere la propaganda.
Una cosa e’ fuori di dubbio: sara’ una bonanza per le case farmaceutiche.
Bufale ci piovono addosso..
No, ci dispiace ma… no. La querelle vax / no vax qui su Giap no. Abbiamo già abbastanza gatte da pelare. Ci sono tanti siti e forum appositi per chi è interessato a questa battle royale.
Segnalo un ulteriore ottimo servizio di Radio Onda Rossa, che di questi tempi sta dimostrando ancora una volta l’assunto per cui la buona informazione, ancor prima della cosiddetta contro-informazione, è spesso prodotta dal basso. Oggi è stato intervistato Gianfranco Pancino, medico ricercatore che ha condotto per molti anni studi sul HIV/AIDS presso l’Istituto Pasteur in Francia, direttore emerito dell’INSERM (Istituto nazionale di sanità e ricerca medica francese). Consiglio di ascoltare tutta l’intervista, molto ben argomentata e chiara anche per non addetti ai lavori. In particolare, il passaggio sulla trasmissibilità nell’aria del virus sta ai minn. 17:35-21:10.
https://www.ondarossa.info/redazionali/2020/04/coronavirus-che-cose-dove-viene-come
Grazie, ora ascolto. Avevo linkato un’altra intervista a Pancino in un commento qui sopra.
Ecco quel che dice Pancino in quel punto:
«Il virus si trasmette essenzialmente nei contatti tra persone e quindi nell’inalazione di goccioline e secrezioni, oppure dalle mani che toccano, quando ci si dà la mano. Se una persona si è soffiata il naso e ha il virus, è molto probabile che in questa stretta di mano possa passare materiale contaminato, poi tu ti metti le mani negli occhi e ti infetti. Il virus non circola libero nell’aria , anche se è vero che può rimanere sulle superfici lisce per varie ore, ma anche questo bisogna relativizzarlo: è vero che se tu metti la mano dove ha sputato qualcuno, beh, il rischio c’è; però il virus si inattiva abbastanza rapidamente e quindi il rischio è veramente relativo, bisogna prendere tutte queste notizie con un minimo di razionalità e di buonsenso: il pericolo c’è, il virus è molto contagioso però, ad esempio, non si trova qui in campagna dove sono io in questo momento, e neanche nei parchi […] È bene che la gente possa passeggiare nei parchi. Però se quattro amici vanno a correre insieme e poi, ansimanti, si parlano e uno è infettato, il rischio c’è.»
Anche lui, come già Burgio sempre intervistato da radio Onda Rossa (avevate postato anche qui il link), sottolinea l’importanza di creare “corridoi” (intesi come nuovi ospedali o ospedali dedicati) separati per il trattamento dei pazienti positivi, e di quanto sia importante la protezione degli operatori sanitari. Soprattutto in vista di una nuova probabile ondata in autunno. Io tremo all’idea che non saremo preparati, e che si continuerà invece a gridare a destra e a manca “c’è il virus state a casa” senza nessuna razionalità e buonsenso.
Abbiamo un problema-stampa, un problema-politica, ma temo che abbiamo anche un problema nella comunità scientifica. Si produce una quantità spropositata di lavori in tempi rapidissimi, verosimilmente sotto lo standard qualitativo abituale. Per rimanere in tema di trasmissione aerea del virus, solo ieri è stato pubblicato questo lavoro su Nature Medicine
https://www.nature.com/articles/s41591-020-0843-2?utm_source=facebook&utm_medium=social&utm_content=organic&utm_campaign=NGMT_USG_JC01_GL_NRJournals&fbclid=IwAR2_fwgPK8ytJCODzZQs80z2cv5N5eDRAjl1CtqttxaqK2Dxvss9W9v8V9g
Ora, Nature Medicine è una rivista prestigiosa sulla quale notoriamente è molto difficile pubblicare; tipicamente sono richiesti anni di ricerche e sostanziose moli di dati. Questo, invece, è un lavoro sostanzialmente inconclusivo, che, soprattutto, soffre di un grave difetto, evidenziato dagli autori stessi: non dimostra che le particelle virali raccolte dall’esalazione dei soggetti siano realmente infettive, prova che sarebbe certamente stata richiesta dai revisori in qualunque altra circostanza.
Questo per non parlare del fiorire dei cosiddetti “preprint”, tra cui il famoso lavoro (poi ritirato) che pretendeva di dimostrare che il SARS-COV-2 era trasmissibile fino a 4,5 m di distanza.
Ora, la faccenda della trasmissione aerea del virus è tutt’altro che risolta, ma, come fanno notare gli stessi ricercatori, la raccolta di dati conclusivi potrebbe richiedere anni (e vite), (https://www.nature.com/articles/d41586-020-00974-w?utm_source=Nature+Briefing&utm_campaign=6b864133d1-briefing-dy-20200403&utm_medium=email&utm_term=0_c9dfd39373-6b864133d1-44227417#ref-CR5) quindi la palla passa, come al solito, ai decisori politici. Questo è emblematico: in un momento in cui abbiamo bisogno (e pretendiamo) che la scienza ci dia le risposte, ci rendiamo conto che quella *non può* decidere per noi, non nei tempi necessari, e che la competenza e l’esperienza degli esperti (che non è “la scienza”, però) sono di grande valore, ma non l’unico punto di vista di valore.
Tutto questo dovrebbe portare a un’unica conclusione: serietà nella comunicazione, trasparenza nelle decisioni, coltivazione del dubbio. Tutto ciò che è cronicamente assente in questo periodo e in questo contesto.
Non credo che esistano ambiti in cui il capitalismo abbia rinunciato a espandersi per cercare il suo profitto. Nella ricerca, che è in stretto collegamento con l’istruzione universitaria, sono in gioco gli investimenti statali e le tasse che gli studenti pagano per ottenere i titoli di studio. In Italia il finanziamento statale complessivo al sistema è 7-8 miliardi, ma il problema è globale. La manovra è duplice: da un lato condizionare la formazione e le tematiche di ricerca in funzione delle “esigenze del mercato”, dall’altro screditare le istituzioni pubbliche per attingere direttamente ai finanziamenti in nome di una maggiore qualità ed efficienza.
Nel caso specifico della ricerca i virus immessi nel sistema per indebolirlo e assumerne il controllo si chiamano “eccellenza”, “meritocrazia”, “bibliometria”, e tutti inducono le vittime ad assumere un comportamento imprudente, cercare una telecamera o una rivista e sciorinare ipotesi non verificate prima degli altri infetti. Telecamere e riviste non fanno nulla per limitare questi comportamenti opportunisti, anzi li favoriscono valutando i contenuti anche in base alla presa mediatica e che a loro porta un vantaggio economico.
Io sono ancora convinto che la qualità complessiva della ricerca sia ragionevole, però in questo periodo critico i profittatori riescono a sfruttare la risonanza mediatica e a condizionare la discussione scientifica.
Ri-pubblica: “Il virus è nell’aria condizionata!”.
Va be… scherzavo … non daranno mai la colpa all’aria condizionata…
Sulla scorta di queste assurdità pseudoscientifiche, la regione Lombardia ha imposto da domani un assurdo “obbligo di mascherine.” In realtà, stando alla lettera dell’ordinanza non è un obbligo ma un esortazione, e si parla esplicitamente della possibilità di coprirsi il volto con sciarpe e altro – il che è quanto meno ironico. Un’ordinanza criminale, visto che le mascherine semplicemente non ci sono (nemmeno per i medici), che le persone non sanno usarle, e che non è possibile per nessuno cambiarle dopo ogni uso come sarebbe necessario.
Da sottolineare anche che l’obbligo vale solo per chi esce; per le aziende, come al solito nulla.
Il tutto perché i contagi, nonostante un mese esatto di contenimento, non stanno nemmeno calando (visto che non avvengono per strada ma all’interno degli ospedali, delle case, e altro). Fontana, evidentemente disperato, continua a buttarsi sulla repressione dei comportamenti individuali.
Le strette progressive sulle uscite mi ricordano la pratica del salasso:
“La signora sta male. Uhm, facciamo un salasso. …ah, cavolo, sta ancora male. Non abbiamo tolto abbastanza sangue. Facciamo un altro salasso. …com’è che non migliora? Come dite, signora, non volete che vi si faccia un altro salasso? Su, non siate irragionevole, se volete guarire va fatto. Tenetela stretta, le faccio il salasso. …oops, la signora è morta. Purtroppo siamo arrivati tardi: avremmo dovuto salassarla prima, se solo non fosse stata così recalcitrante”.
Sul tema vorrei portare un piccolo contributo, non relativo ad un vero e proprio organo di stampa ma che trovo attinente per analogia. Abito in un piccolo comune dove “tutti conoscono tutti”. Da stasera gira compulsivamente su whatsapp ( suppongo anche sui social ma non posso verificare) – e qualcuno lo ha addirittura scelto come “stato” – l’avviso pubblico con cui il Sindaco annuncia la presenza di quattro persone sottoposte alla misura della quarantena nel territorio comunale. L’avviso termina, manco a dirlo, con il monito a rimanere con ancora più rigore nelle proprie case! Domani sarò di certo subissata da telefonate di persone che avranno già identificato, tramite passaparola, i quattro “rei” e le congetture si sprecheranno. Ho portato questo esempio perché è emblematico, a mio parere, della differente modalità con cui viene amplificato, in un contesto non metropolitano, un fatto al quale io non ritengo opportuno dare pubblicitá. Le misure restrittive sono già in essere da settimane ormai, qualcuno adesso penserà che anche l’aria pura del nostro paesello sia irrimediabilmente “contaminata”. Io mi limito a constatare che l’espressione “ Il virus è purtroppo tra noi, cari concittadini” sia l’apice della prosopopea di un registro comunicativo
non degno di un’epoca che mi illudevo avesse spento definitivamente i roghi medioevali.
Da domani sarò costretto,per non sentirmi un untore, a usare una foulard…dopo 4 moduli di autocertificazione,dopo il io resto a casa, penso di uscire ,ancora una volta solo con la mia libertà.Non tutti capiranno ma saprò spiegare che “Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.»Chi vorrà restare umano inizi da qui.
La nuova passione dei giornali italiani a reti unificate e dei governatori sceriffi sono le fotografie di «assembramenti». Funziona così: prendi una via lunga almeno trecento metri, con qualche bancarella di ortofrutta, una farmacia e un piccolo supermercato. Sabato mattina, possibilmente. Ti piazzi a un estremo e scatti col teleobiettivo, o con lo zoom digitale, in modo che la prospettiva risulti tutta schiacciata, il palazzo là in fondo è come se ce l’avessi davanti alla faccia, e le trenta persone che ci sono – e in trecento metri stanno alla giusta distanza – le schiacci e comprimi in una scatola di acciughe, con un effetto ottico che te le fa sembrare una folla. Se tu usassi la stessa tecnica nella corsia di un supermercato, anche lì rileveresti un assembramento da paura, e per di più al chiuso. Ma non lo fai, perché non puoi metterti a far la morale sui supermercati, la gente fa la fila fuori, sa com’è la situazione, mentre magari la viuzza la conosce solo chi ci abita, chi la frequenta, e puoi creare un piccolo caso sulla ressa di via Sestri a Genova, gli indisciplinati di Spaccanapoli, gli irresponsabili del Quadrilatero di Bulaggna. E poco importa se nelle foto o nelle riprese col teleobiettivo si vede anche un’auto dei vigili, o due poliziotti che camminano – a testimoniare che quella scena, dal vivo, non è la bolgia infernale che stai denunciando. Poco importa, specie se sei un governatore della coalizione politica X che vuol dare addosso al sindaco della coalizione politica Z. Oppure se sei un giornale che ha deciso la linea da tenere, costi quel che costi. E a parte le questioni di tecnica fotografica, nessuno che s’interroghi sul perché certe strade sono più frequentate di altre. Le famose strade commerciali, i fiori all’occhiello delle nostre città turistiche. Nessuno che dica: Oi, forse se consentissimo alla gente di farsi due passi tranquilla, non ci sarebbe bisogno di andare in farmacia tutti i giorni, per guadagnarsi il lasciapassare di una camminata. No: si punta il dito sul mostruoso consumismo delle persone, gente che non può stare un giorno senza comprare qualcosa, e poi l’unica attività consentita fuori di casa è lavorare e comprare. Forza, quale sarà la prossima foto?
La prossima foto, nel caso che racconto, è purtroppo quella che ritrae i presunti infetti. Le immagini, come foto segnaletiche, stanno girando di chat in chat con tanto di cerchi e freccia per evidenziare il soggetto. La didascalia è: “ i contagiati”. Il book è composto da immagini tratte dai social o da chissà dove, spesso impietose e ritraenti anche momenti di vita privata. Io le sto cancellando senza neppure osservarle e sto invitando chi me le invia ad interrompere questa catena indegna. Non posso capacitarmi del livello raggiunto. La Storia non ci ha insegnato nulla, è inutile gloriarsi di aver spedito una sonda su Marte se poi questo è il livello delle coscienze. Sono disgustata.
Credo ci sia proprio un gioco delle parti coordinato tra giornali e potere esecutivo. Venerdì, con simultaneo freddo scatto i quotidiani nazionali e locali hanno riempito le loro prime pagine di foto false di assembramenti, scattate con teleobiettivi da 800mm, da Genova a Trieste, da Napoli a Milano passando per Bologna. A stretto giro sono arrivate le ordinanze di Fedriga e Fontana sul burqa di stato per tutt*, sono state varate nuove misure restrittive della libertà di movimento (per chi ancora ce l’aveva), è stato annunciato il rinvio a tempo indeterminato dellla riapertura delle città alla vita, *ma* in compenso oggi repubblica titola sulla formazione di un gabinetto di guerra per riaprire le fabbriche il 13 aprile.
Ieri, in un servizio di questo tipo, hanno anche fotografato/ripreso una fila di persone distanziate sul marciapiede per entrare (molto probabilmente perché non si vede) in un negozio. Oltretutto le bancarelle in strada all’aria aperta sono meno rischiose rispetto alle corsie dei supermercati.
Devo continuare.
Stanno raschiando l’unico barile che possono raschiare, sicuramente per motivi economici. Con questa linea, che tratta tutti come bambini indisciplinati piuttosto che cittadini capaci di intendere e volere, io vedo molta….debolezza. Siamo una società debole incapace di darsi una disciplina (intendo quelle robe tipo il karatè, ju jitsu, ma anche Pertini in carcere ecc.)
P.s.
ma ha notato nessuno che fare attività motoria a distanza di un metro, ma anche 2 è rischioso? Anche in tempi normali nessuno si metterebbe a fare una camminata veloce, figuriamoci una corsa, alla distanza di un metro da un altro. Un inciampo o rallentamento di quello davanti, una distrazione di quello dietro e si crascha subito. Bah.
Senza contare poi le caratteristiche dei luoghi scelti per operare questa mistificazione della realtà e responsabolizzazione verso il basso dei contagi. Se prendiamo in esame un video girato a Napoli vorrei far notare che su una delle vie (intendo proprio strada/via oltre che quartiere)convergono : uno dei nosocomi più affollati della città, un fittissimo susseguirsi di negozi di generi alimentari,pescherie e ortofrutticoli, poco distanti le stazione delle due linee metropolitane, la stazione della ferrovia cumana che collega la zona dei campi flegrei al centro cittadino, il capolinea di una delle funicolari collinari, la zona ha una densità abitativa tra le più alte della città. Chi come me conosce bene quella realtà e sa benissimo quanto sia affollata è caotica in tempi normali, si è reso conto al contrario di quanto gli abitanti di quel luogo abbiano osservato per quanto possibile le varie ordinanze. Quasi tutti, nonostante non sia obbligatorio, indossano le mascherine e si muovono, non si vedono assembramenti ma persone che camminano oppure in fila osservando le distanze di sicurezza, camminano senza grossi sbattimenti anche i due agenti della polizia municipale. Insomma una *tranquilla* cartolina di vita quotidiana in tempi di corona virus. Tanto è bastato per rilanciare il video sui social e sbandierarlo dai giornalisti come atto di insubordinazione pericoloso per la salute pubblica. A cosa serve tutto questo se non ad alimentare l’odio sociale e dirigere la rabbia verso un capro espiatorio?
Abbiamo appena pubblicato un post ad hoc:
Sul terrore a mezzo stampa, 2 | Le foto delle vie piene di untori
L’aggiornamento è tutto
https://archive.vn/AZIrt
Adesso il problema è arrivare ai 550 caratteri richiesti, ma davvero faccio fatica a trovare parole per questo “scollamento” dalla realtà. La questione forse sta nel risalire nel “reale” obiettivo di giornalisti e direttori, che naturalmente non è informare ma 1) vendere e 2) costruire consenso su posizioni alle quali si è indifferenti. La prima (vendere) non è una novità (anche se il disprezzo e relativo sacrificio del contenuto forse sì). La seconda è questione più complessa, legata all’assorbimento della stampa tra i gruppi dominanti.
Buttato un occhio sul pezzo di Luna, scovato questo passaggio: “(…) Ha rimesso al centro del gioco il giornalismo, il GRANDE [stampatello mio] giornalismo. I cronisti che ci stanno informando dalle trincee degli ospedali, quelli in grado di spiegare il linguaggio di virologi ed epidemiologi, gli analisti dei dati che sanno dare il vero significato dei numeri che ci travolgono ogni giorno, e i raccontatori di storie, gli unici capaci di rendere la dimensione epica della nostra straordinaria quotidianità. Ecco, il giornalismo, il grande giornalismo è chiamato alla sua prova più importante, dare un senso ai fatti anche quando i fatti apparentemente un senso ancora non ce l’hanno. E complessivamente ce la sta facendo”,
No comment.
State parlando di un reduce «shell-shocked» della Leopolda, l’uomo che soprannominammo «Candido L’Innovazione», che identificava Renzi con Internet e viceversa, che si esaltava quando Renzi diceva che chi non la pensava come lui era uno «che provava a inserire il gettone nell’iPhone» ecc.
Dunque, spunto di riflessione/richiesta di aiuto, ho chiesto ad un po’ di contatti sparsi per varie diverse redazioni di giornali e ho inviato anche due mail all’ufficio stampa del ministero (da cui non è arrivata nessuna risposta) ma anche se nessuno dice che sia un informazione riservata nessuno sa rispondere.
Semplicemente, a parte il nome di Walter Ricciardi che indicano tutti, qualcuno conosce la composizione del comitato “tecnico-scientifico” che sta consigliando in questa situazione il Consiglio dei Ministri e il presidente Conte?
Sulle pagine dei siti governativi non c’è traccia dui questo comitato: http://www.governo.it/it/dipartimenti/dip-il-coordinamento-amministrativo/dica-comitati/9204
Dovrebbero esser questi (scrivo i primi)
1) il segretario generale del ministero della Salute. Questa funzione è molto importante perché il segretario generale ha il coordinamento del ministero e ha anche il coordinamento degli inteventi delle direzioni generale in caso di emergenze sanitarie internazionali;
2) il direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, a cui spetta normalmente la sorveglianza epidemiologica;
3) il direttore dell’Ufficio di coordinamento degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute;
https://it.euronews.com/2020/03/04/coronavirus-cos-e-il-comitato-tecnico-scientifico-italiano
Ma allora, hanno lasciato intendere che dietro alle loro decisioni vi fosse “la comunità scientifica”, o quantomeno un gruppo di esperti, ricercatori, scienziati, epidemiologi, medici etc. Invece si tratta di grigi burocrati statali?
Non posso dire di essere sconcertato da questa notizia, tempo fa mi chiesi chi fossero mai questi esperti, ma desistetti dal fare ricerche, confindando che si trattasse di una nutrita schiera di teste ben informate.
Ormai avere senso critico e desiderio di informarsi mi fa sentire come un pazzo, come uno che vive in un mondo parallelo.
Là fuori, “l’italiano medio”, i media e gli apparati governativi, ragionano sulla base di una quantità sempre maggiore di assunti che sono stati qui e altrove smontati.
Però aspetta, definirli burocrati in senso dispregiativo secondo me non va bene.
– Il segretario generale del ministero della salute è un medico chirurgo e si occupa da sempre di educazione alla salute;
– il direttore dell’istituto nazionale per le malattie infettive è (quasi ovviamente) un infettivologo
– il presidente dell’Istituto superiore della Sanità è uno specialista della sicurezza del paziente
E anche gli altri non sono certo passacarte. Insomma le eccellenze italiane sono queste, tanto di meglio in giro non c’è, anche perché è difficile trovare parametri per dire “è meglio”, quindi devi basarti su posizioni e curriculum. Direi che è anche abbastanza corretto che nei momenti di emergenza ti affidi a chi ha reputazioni molto alte.
Il problema secondo me non è tanto questo, quanto i rapporti che si hanno con questo comitato. Ma questo è un discorso lungo
Grazie! Sono giorni che setaccio il web… si vede che è un articolo poco indicizzato. O forse ho preso il virus anch’io… il cojonavirus.
Ad ogni modo, per contribuire al numero di informazioni in questo blog, segnalo che mentre tutti stanno dilatando le previsioni pessimistiche: “non usciremo prima di giugno” “non usciremo prima di settembre” “la normalità non tornerà prima di un paio d’anni” che domani la Thyssen-Krupp di Terni ricomincia la produzione. Gli operai si sa’ non corrono il rischio della Covid né di infortunarsi in altro modo e “intasare gli ospedali” come gli scellerati che corrono o camminano sotto casa.
http://www.terninrete.it/notizie-di-terni-ast-la-produzione-si-riavvia-lunedi-6-aprile-il-comunicato-della-direzione-ai-dipendenti-grazie-per-il-vostro-senso-di-responsabilita-supereremo-questo-momento/
Pare che a Repubblica, dopo averla sparata grossa (anzi, enorme), siano costretti a correggere il tiro.
Oggi sull’online titolano: «Le mascherine: decisive nei luoghi chiusi, non all’aperto o se c’è distanza»
E perfino Fontana, nel titolo a seguire, è costretto a giustificarsi: «Sulle mascherine ho seguito gli scienziati.»
Inoltre, strano a dirsi, oggi si trova questo:
https://archive.vn/MDePP
L’errore più comune in cui si può cadere utilizzando mascherine “fai da te” o foulards etc. è quello di sentirsi falsamente al sicuro e di abbassare la guardia riguardo prassi comportamentali che dovrebbero essere ben più incoraggiate rispetto all’uso indiscriminato di mascherine. Stesse considerazioni valgono per i guanti. Agli albori di questa vicenda una collega è arrivata in ufficio con i guanti. “ Io appartengo ad una categoria a rischio per cui, se permettete mi proteggo!” Poco dopo teneva in mano una sigaretta che portava tranquillamente alla bocca con gli stessi guanti che aveva posato su maniglie, fotocopiatori, libri.
Sembra che Repubblica abbia corretto un poco il tiro sull’argomento.
Intanto arriva anche la super task force governativa contro le fake news:
http://web.archive.org/web/20200405001145/https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/04/04/coronavirus-martella-creata-unita-contro-fake-news_d4a83430-1198-4af8-b96a-e7506f853978.html
Al di là che non è chiaro che tipo di potere operativo abbia (fare un elenco di fake news? bloccare certi indirizzi a chi si trova in italia?), ecco essere arrivato un altro tassello di quello stato di controllo permanente che l’Emergenza ci impone.
Tra l’altro credo che il comitato di controllo “snello e agile” potrebbe alla svelta diventare il collo di bottiglia dato l’invito a partecipare (ma come? anche qui non si sa) ai cittadini e alle istituzioni varie.
Riporto anche parte del testo per chi non volesse cliccare sul link:
“Era un passaggio doveroso, a fronte della massiccia, crescente diffusione di disinformazione e fake news relative all’emergenza COVID-19. Come ho spiegato ed annunciato nei giorni scorsi, ho firmato il decreto – spiega Martalla – che istituisce presso la presidenza del Consiglio dei Ministri questa task force che d’ora in avanti avrà vari compiti: dall’analisi delle modalità e delle fonti che generano e diffondono le fake news, al coinvolgimento di cittadini ed utenti social per rafforzare la rete di individuazione, al lavoro di sensibilizzazione attraverso campagne di comunicazione. Tutto questo in stretta collaborazione con Agcom, Ministero della Salute, Protezione Civile ed avviando partnerships con i soggetti del web specializzati in fact-checking, i principali motori di ricerca e le piattaforme social. Dal Governo arriva dunque una risposta all’insidia della disinformazione che indebolisce lo sforzo di contenimento del contagio” dice Martella.
Chissà se qualcuno dei “partner” farà notare che un bel po’ di notizie false le hanno messe in giro Repubblica, Corriere, la Rai, varie testate mainstream locali… Ma temo che si dirigerà tutta la riprovazione verso il complottismo di sottobosco. Che fa danni, intendiamoci, ma colpire solo quello sarebbe un diversivo.
“Ma temo che si dirigerà tutta la riprovazione verso il complottismo di sottobosco. Che fa danni, intendiamoci, ma colpire solo quello sarebbe un diversivo.”
Infatti. Io diffido di ogni iniziativa istituzionalizzata contro le fake news, come già in passato personalmente diffidavo di chi voleva proibire alcune idee per legge.
Un conto è fare come facevate voi, nel periodo dei meme su Pasolini etc:
beccare la bufala, sbugiardarla con tanto di fonti precise e ridicolizzare chi l’ha diffusa.
Quello è un servizio che si fa a tutti e che state facendo anche adesso. Ed è così che si lotta contro la stupidità e la malafede.
Se “l’unità di controllo sulle fake news” farà quello, e lo farà anche coi “giornaloni”, ben venga.
Ma diversamente, istituire un “comitato della verità” con facoltà di decidere che cosa è dicibile e che cosa no (comitato scelto come?, con quali criteri? Quali indirizzi poi?) io lo chiamerei “censura” e se oggi è facile e persino giustificabile dirigerla verso vari soggetti che speculano sull’emergenza anche solo incrementandosi i “click”, beh domani sarà lo strumento con cui si decide quale “opinione” è quella giusta e lecita.
Pienamente d’accordo, noi ci siamo sempre opposti anche a qualunque legge «contro il negazionismo». Eravamo pure in buona compagnia, ma nonostante la grande maggioranza degli storici fosse contraria, nel giugno 2016 una legge del genere è entrata nel nostro ordinamento, e da allora la sua esistenza viene costantemente brandita in modo minaccioso non contro chi nega la Shoah ma contro chi critica l’impianto ideologico del Giorno del Ricordo.
Qualche numero da parte di un profano. Se qualcuno può confutare o confermare ben venga.
Secondo i dati ufficiali (protezione civile), al 7/4 c’erano stati, in Italia, 135.586 casi di COVID-19. Supponendo, come molti studi fanno, che si tratti solo della punta dell’iceberg, e che questa cifra sia in effetti il 10% di quella reale, si potrebbe dire che, ad oggi, in Italia si siano infettate 1.350.000 persone.
Il primo caso documentato in Italia di contagio risale al 28 gennaio, quando i famosi coniugi cinesi vengono ricoverati allo Spallanzani. Dunque, dopo 70 giorni di circolazione il virus ha “infettato” il 2.25% della popolazione (considerando che siamo 60 mln e prendendo per buona l’ipotesi della punta dell’iceberg).
Secondo l’ISS (www.epicentro.iss.it) dalla metà di ottobre 2019 all’11ma settimana 2020 (fine marzo ca), ossia in 165 giorni ca, ci sono stati in Italia 7.199.000 casi di influenza, ossia è stato contagiato il 12% della popolazione. E qui si tratta di dati osservati, ma molti si beccano l’influenza e non passano per il SSN, sfuggendo alle statistiche.
165-90=95. Probabilmente fra 95 giorni COVID-19 avrà infettato 7 mln di persone, ma dubito che questo accadrà, in parte per le misure di contenimento (che ritengo giuste, al di là dei toni ansiogeni ed allarmistici di certa stampa che probabilmente a Conte preferirebbe Duterte), in parte perchè COVID-19 non è più contagioso dell’influenza. Anzi.
L’unico reale problema di COVID è che uccide.
Non capisco bene il senso di questi dati, perché i dati, da soli, non dicono molto. Anzitutto, l’intera analisi parte da una premessa ipotetica, tutta da verificare, sulla quale davvero nessuno ha le idee chiare: l’attuale numero dei contagiati sarebbe il 10% di quello reale. Boh. E perché non il 30%? L’ipotesi sul numero dei contagiati “reale” si basa sul numero dei morti e sulla percentuale morti/contagiati riscontrata in altri paesi e nella letteratura scientifica prodotta finora. Ma in Italia non è nemmeno sicuro il numero dei morti, che potrebbe essere pure quello di gran lunga superiore al dato ufficiale. Mi pare quindi che stiamo parlando di nulla. Quanto alle giuste misure di contenimento, anche queste andrebbero analizzate nel dettaglio, perché sono i dettagli che possono cambiare di gran lunga la vita delle persone, e ci sono paesi che hanno preso misure di contenimento descritte come “uguali all’Italia”, ma che in realtà non lo sono, pur se si osserva un andamento dei contagi simile al nostro. Quindi: quali misure sono davvero giuste, a parte quelle di base (pulizia delle mani, distanza fisica, ecc)? Non lo sappiamo. Non sappiamo nemmeno – se vogliamo basarci su studi peraltro ancora molto parziali e frettolosi – quanto sia rischioso prendere l’autobus, andare al supermercato, fare una passeggiata all’aperto e altre normali attività. Infine, rispetto al Covid che “uccide”, non sappiamo di preciso come, chi, con quali e quante malattie pregresse. Abbiamo statistiche, ma non sappiamo come mai tra due cinquntenni sani uno dei due può avere una risposta immunitaria abnorme al virus e l’altro invece essere asintomatico. Anche l’influenza “uccide”, ma sappiamo molto meglio come e quando lo fa. A fronte di tutte queste incertezze, dobbiamo cercare il più possibile di raccogliere altri dati, di studiarli in maniera seria, ma senza pretendere che “la scienza” o “i numeri” decidano per noi, in tempi peraltro ristrettissimi per qualunque standard di ricerca.
continua imperterrito, anche a sprezzo del ridicolo, il tambureggiamento dei media
https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_aprile_08/coronavirus-frigo-sopravvive-ma-non-serve-disinfettare-tutto-b2ba8372-797d-11ea-afb4-c5f49a569528_preview.shtml?reason=unauthenticated&cat=1&cid=oL5tzmO7&pids=FR&credits=1&origin=https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Fsalute%2Fmalattie_infettive%2F20_aprile_08%2Fcoronavirus-frigo-sopravvive-ma-non-serve-disinfettare-tutto-b2ba8372-797d-11ea-afb4-c5f49a569528.shtml
il solito articolo A PAGAMENTO che, oltre ad essere un acchiappa-click, si rivela essere anche un acchiappa-citrulli.
nel titolo una cosa terrificante, nell’articolo una specie di smentita…
a me pare che la diffusione virale in atto non sia tanto quella del covid-19 ma quella tossica degli epigoni del gatto (il corriere) e la volpe ( la repubblica)
Mi sembra che se si vuole avere una base di ragionamento, questa non possa essere costituita che dai numeri ufficiali o da quelli ritenuti plausibili dalla comunità scientifica. Se il virologo o l’epidemiologo tal dei tali dice o scrive “xy” e non viene smentito o contestato dai colleghi, non possiamo far altro che fidarci (così come siamo costretti a fidarci del chirurgo che ci apre per toglierci l’appendice).
Se i numeri sono sbagliati o manipolati è chiaro che si parla di nulla (sarebbe il nulla anche l’abnorme percentuale di morti sui contagiati). Possiamo diferderci ed esercitare lo spirito critico solo informandoci fuori dai canali canonici e andando alle fonti (WM insegna).
Il senso del mio intervento era, appunto, una critica (non certo l’unica, a leggere i post) a certa informazione (la maggioranza), che ci dice che siamo sotto attacco di un nemico imbattibile che non lascia scampo, che ci fa morire fra atroci tormenti e che ci chiama al sacro dovere della difesa della patria standocene muti e rinchiusi in casa (salvo, nello stesso tempo, invocare un ritorno alla produttività industriale sennò il PIL scende troppo e la borsa ne soffre).
La stessa informazione che ci dice tutto e il contrario di tutto su mascherine, distanze di sicurezza, modalità di trasmissione e contagio, tempi di latenza, ricadute, quarantena con toni apocalittici in un clima da fine dell’impero. Bettino ce ne ha fatto vedere esempi eloquenti.
Sono d’accordo con WM2, quando dice, in sostanza, che sappiamo ancora troppo poco su questo virus e che dobbiamo raccogliere altri dati. Nell’attesa, “per non saper né leggere né scrivere”, non possiamo fare altro (noi che non siamo medici o ricercatori) che rimanere vigili e critici, che indossare la mascherina (se l’abbiamo), che rispettare il “distanziamento sociale” (brutta espressione), che lavorare (se possiamo e se abbiamo un lavoro) e farci una sacrosanta passeggiata sotto il sole di primavera, spiegando al vigile che ci fermasse che non siamo pericolosi terroristi che vogliono attentare alla salute pubblica, magari corroborando l’affermazione con numeri e statistiche.
A proposito di come si fa informazione in Italia e di come stanno davvero le cose in Svezia
https://volerelaluna.it/mondo/2020/04/10/il-coronavirus-la-democrazia-svedese-e-la-disinformazione/
A me pare sia abbastanza chiaro come una parte come da una parte ci sia il tentativo di “blindare” i provvedimenti italiani – si deve dire che si DOVEVA fare così e che abbiamo fatto bene a fare così – e dall’altra la speranza che altrove finisca male o che in ogni caso si sia sempre sul punto della redenzione. (credo di aver detto varie volte la stessa cosa ma i caratteri ecc. ecc…)
“…per gli svedesi è semplicemente impensabile che lo Stato vieti loro di uscire, o di svolgere attività fisica all’aperto”.
Mi ricollego a questa frase per una considerazione ovvia ma che rappresenta un buon esercizio di un approccio contro-riduzionistico.
Secondo i dati istat, in Italia le malattie del sistema circolatorio rappresentano di gran lunga la prima causa di morte:
http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=26428#
(Poiché in questo periodo piacciono particolarmente le cifre sui numeri dei morti: 232 992 morti per malattie del sistema circolatorio)
Ora, la comunità medica di qualsiasi paese del mondo, raccomanda l’attività fisica per prevenire le malattie del sistema cardiocircolatorio.
Per fare solo un esempio restando in Italia, prendiamo il sito del “progetto cuore”(http://www.cuore.iss.it/prevenzione/attivita_fisica) coordinato dalll’ISS.
Si inizia dicendo che “La sedentarietà è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari: le persone che fanno poco movimento hanno un rischio doppio di avere un attacco cardiaco e tre volte maggiore di morire a seguito dell’attacco rispetto alle persone che svolgono regolarmente attività fisica’.
Si conclude con un esplicito “Per ridurre il rischio di malattia cardiovascolare si consiglia di svolgere un’attività fisica moderata, per esempio camminare, per almeno 30 minuti al giorno per cinque giorni alla settimana. Non è mai troppo tardi per cominciare a muoversi. Non c’è neanche un livello minimo per avere dei benefici: un po’ di attività è meglio di niente. E i benefici cominciano non appena si inizia ad essere più attivi’.
Quest’ultima frase fa immaginare che gli effetti collaterali dell’immobilismo a cui siamo costretti inizino non appena si comincia ad essere meno attivi.
Senza arrivare alla ancor più ovvia constatazione degli esperti svedesi, secondo cui l’attività fisica all’aperto rinforza il sistema immunitario, basterebbero semplici esercizi di logica per capire le conseguenze nefaste degli assurdi provvedimenti tanto sostenuti dai giornaloni nazionali.
Titolo sullo stesso giornale, oggi, a distanza di nove mesi:
«Virus, in quali luoghi ce n’è di più? Inesistente all’aperto, concentrazioni più alte nelle case»
L’evidenza scientifica lo diceva già allora, e per una volta andava d’accordo con la semplice razionalità intuitiva.
Si spera che in un futuro non troppo lontano guarderemo alla demonizzazione pazzoide dell’aria aperta come oggi guardiamo alle «evidenze spettrali» dei processi alle streghe di Salem.
Arpa Piemonte ha fatto uno studio a tal proposito:
http://www.arpa.piemonte.it/news/sars-cov-2-nellaria-un-medoto-per-determinare-la-presenza-del-virus-nellaria
“Le prove in campo delle tecniche sviluppate hanno interessato reparti ospedalieri, gli interni delle abitazioni di nuclei famigliari contagiati, l’aria esterna ai reparti COVID degli ospedali così come l’aria respirabile in una qualunque via del centro del capoluogo regionale.
I risultati ottenuti con un grado di certezza quantificabile supportano le seguenti considerazioni:
– in ambiente esterno, il virus non è finora risultato rilevabile nell’aria;”
Sarebbe ora che, alla luce dei risultati, eliminassero l’obbligo di mascherina all’aperto.
E sarebbe anche ora che, oltre a terrorizzare le persone, il famigerato cts, iniziasse a dare dei consigli di comportamenti da tenere per avere un sistema immunitario più efficace invece di dire “state in casa e mascherine”
Ciao, avevo letto articolo simile (WM1) su altro giornale di stesso gruppo e anche la notizia comparsa sul sito dell’Arpa Piemonte.
Relativamente all’articolo trovo assurdo (oltre a quanto detto da WM1) che ancora oggi lo stesso giornale vada poi a titolare “preoccupa la riapertura degli impianti” [sciistici]. Con evidente incoerenza logica (si scia dove il virus è “inesistente all’aperto”). Mi chiedo inoltre quali siano i criteri con cui a livello governativo si prendono le decisioni.
Che sembrano IMHO un “colpirne uno per educarne cento” più o meno arbitrario, in settori che alla fine contano “relativamente” poco rispetto agli altri, come è stato per teatri e cinema e sulla base dell’onda mediatica di “assembramenti” fotografici, per dare un contentino a quelli che ancora oggi cercano untori e categorie da incolpare.
Relativamente allo sci, soprattutto, vorrei chiedere: di che numeri stiamo parlando, in Italia e se vogliamo anche nelle regioni dell’arco alpino? (intendo dire, a parte gli esercenti, che percentuale di popolazione è interessata all’uso degli impianti sciistici e alla fruizione della montagna d’inverno? Quanto “impatta” ad esempio sui numeri del trasporto pubblico?)?
E, vista l’evidenza scientifica, non c’erano soluzioni di compromesso?
Ad esempio, non si poteva tenere chiuse cabinovie e ovovie (ambienti chiusi) e consentire skylift e seggiovie? E lo sci di fondo? Che si faceva da soli e senza impianti? E lo sci-alpinismo?
Anche per lo sci “da impianti” fruito dai vari “sciatori della domenica(pure borghesi!)” si potevano evitare assembramenti alle biglietterie obbligando a prenotazioni on-line o simili. Insomma, se si voleva la cosa si poteva fare.
Ieri in TV ad una rappresentante dei ristoratori che lamentava lo scarso preavviso e pianificazione delle misure, che creano ulteriori problemi a settore già compromesso, è stato risposto da giornalista-opinionista qualcosa tipo “forse non vi siete accorti che c’è una pandemia in corso”, che è argomento odioso e usato per stroncare ogni critica e che giustifica qualunque decisione. Tenuto conto che l’esistenza della pandemia e gli effetti “diretti” sulla vita delle persone hanno avuto forse una “magnitudo” molto maggiore sulla “categoria” esercenti che non sulla “categoria” giornalisti-opinionisti
Praticando a livello amatoriale lo sci di fondo, posso dirti che gli impianti sono aperti, il problema è che tra i continui cambi di colori e divieti vari di fatto è difficile spostarsi.
Per quanto riguarda lo sci alpino, il problema teorico riguarderebbe gli impianti di risalita. in Austria l’hanno risolta imponendo l’obbligo delle mascherina ffpp2.
Probabilmente, gli scienziati del cts non hanno avuto il tempo per vedere l’efficacia del provvedimento austriaco o hanno ritenuto il provvedimento troppo poco punitivo nei confronti della popolazione.
A giudicare dai numeri, i provvedimenti presi sono un fallimento, ammettessero almeno questo sarebbe un punto da cui ricominciare!
Ciao Cugino, qui in Dolomiti è possibile fare sci di fondo e sci alpinismo (da soli, in teoria). Gli sci alpinisti improvvisati si concentrano confusamente nei dintorni delle piste; per gli altri, parlo per esperienza diretta, cambia poco rispetto a una normale stagione invernale, se non fosse che è nevicato tanto, così tanto che non ti togli dalla mente il sospetto che la bella nevicata sia effetto collaterale delle pesanti restrizioni del 2020. Gli impianti invece sono aperti ai soli agonisti, con conseguente boom di tesseramenti FISI: anche i bambini di 4 anni si stanno preparando, a spazzaneve, a fare gare :)
Non ha prevalso, per fortuna, alcuna rivendicazione di “proprietà nel nome della sicurezza” e le guide alpine fanno il loro mestiere senza obblighi o vincoli a tutti gli altri (tipo Val d’Aosta).
Insomma, per chi vive qui e ha esperienza di alpinismo, le montagne sono ancora una volta luogo dove rifugiarsi dalle frustrazioni di questa vita complicata in tempi di COVID.. Se ho capito bene come sei (da tuoi precedenti commenti), credo tu sappia di cosa sto parlando. ciao
Ciao, scusa ma non trovavo più il post per risponderti nel posto giusto.
Sì, grazie, capisco di cosa stai parlando.
In realtà io in alta quota è un bel po’ che non ci vado, frequento prevalentemente il “piano montano” e per lavoro, ché nel tempo libero alla fine riesco molto meno di quanto vorrei.
Ho fatto un po’ di confusione mettendo insieme anche il fondo e lo sci alpinismo, che non sono direttamente penalizzati dalla chiusura di impianti di risalita di cui ovviamente non hanno bisogno, perché anche quelle attività risentono delle “zone arancioni” e del divieto di spostarsi tra comuni.
Vero che c’è la deroga per i comuni sotto i 5.000 abitanti (cioè “qualunque” comune di montagna, almeno dalle mie parti), però non ho capito esattamente quando e a cosa si applica (solo per andare da amici o parenti in 2 con minori di 14 anni??).
Approfitto di questa risposta e dei famosi 630 caratteri per citare un punto importante che sollevava EP poco sopra:
«E sarebbe anche ora che, oltre a terrorizzare le persone, il famigerato cts, iniziasse a dare dei consigli di comportamenti da tenere per avere un sistema immunitario più efficace invece di dire “state in casa e mascherine”»
Concordo. Invece, forse per paura di strumentalizzazioni, fraintendimenti e malintesi, e nel tentativo di tutelare i “creduloni”, mi pare che dalla comunicazione istituzionale sia arrivato qualche monito a diffidare di integratori e vitamine (C e D che andavano per la maggiore) usati impropriamente per difendersi dal Covid.
Cosa che secondo me è stata poco opportuna: ovvio che la vitamina C non sia curativa e poco possa fare per difenderti quando sei infetto o a stretto contatto con infetti (parlo da comune cittadino a semplice buonsenso, non ho competenze specifiche in merito), ma il suo ruolo (e quello della vitamina D) nel rafforzare il sistema immunitario è ben noto e quindi “male non fa!” e non vedo proprio la necessità di “stopparne” il consumo anche solo “apotropaico” che ne veniva fatto.
https://archive.is/QhLIy
Vorrei segnalare agli autori del blog questo articolo, in cui vengono citati insieme a Trump, Sara Gandini, Ioannidis, Sara Cunial ecc. L’intento dichiarato, e non raggiunto, dall’autore è quello di fare informazione scientifica sui contagi nelle scuole. Il livello è talmente scadente che sorge il dubbio che l’autore sia davvero un medico. Per esempio pur dovendo ammettere che sotto i venti anni la possibilità di contrarre il virus è di 2/ 4 volte inferiore rispetto alle altre fasce di età, riesce comunque a sostenere che sia proprio chi ha meno possibilità di contrarre l’infezione ad essere più pericoloso, attribuendo proprio la colpa agli studenti. Perché si sa: gli insegnanti fuori da scuola non frequentano nessuno e arrivano al lavoro col teletrasporto, quindi gli ” untori” possono essere solo gli studenti!!!! Il tono dell’articolo è talmente volgare che sembra proprio di stare sul giornale di Feltri, ah, ops… In effetti è il giornale di Feltri.
Cosa dire se non che è un articolo dogmatico? Del resto anche tutti gli altri articoli che difendono a spada tratta gli interventi del governo lo sono. Non vedo mai citare una fonte, un dato. Andiamo avanti così, intanto il tempo passa e le cose non migliorano, rimaniamo sempre in attesa che i primi caldi, dunque la circolazione dell’aria nei luoghi chiusi, abbatta un po i contagi. E si darà merito a vaccini e chiusure. Poi ritornerà il virus e si darà colpa alle varianti, alle discoteche, alla riapertura delle scuole, ecc.
Tra l’altro a settembre 2020 la curva dei contagi stava risalendo prima che riaprissero le scuole, ma non importa per chi scrive questo tipo di articoli.
L’articolo scientifico di S.G. a cui fa riferimento e che oggi è molto in voga nel supportare la riapertura delle scuole è stato per mesi criticato su medrxivpreprint ricevendo dai ricercatori moltissimi commenti negativi su metodi e risultati.
Gli autori hanno utilizzato per lo più analisi descrittive sui dati osservativi e sono giunti a una conclusione causale, che tradotto significa: è fatto alla cazzo di cane.
Per non parlare dell’utilizzo patetico del nome della rivista, che inizia con The Lancet, per dare autorevolezza allo studio.
L’articolo utilizza un linguaggio e uno stile da gradasso, ma non sbaglia di molto nel criticare l’autrice e l’articolo in questione.
È vero che si cita sul finale l’articolo che S.G. portò qui su giap e che finì nel cestino, ma penso che i Wu Ming se ne sbattano altamente di quello che viene scritto su quel giornale.
Non so cosa ne pensano i padroni di casa del fatto che la discussione che è stata blindata sull’altro post abbia ripreso qui.
Per rispondere al bisogno di continuare a discuterne tra di noi senza fare venire un esaurimento ai WM mi sono permesso di creare una mailing list, che pubblicizzerei qui con il beneplacito degli autori.
Comunque sia, a mio modo di vedere la discussione che ruota intorno a quell’articolo è in ogni caso un clamoroso specchietto per le allodole.
La scuola è _da sempre_ un bel calderone di malattie infettive, e possiamo anche prendere per buono l’assunto che continui ad esserlo.
La questione è che il diritto dei bambini e dei ragazzi alla scuola e a una vita bella e sana gode di un *primato* che _prescinde_ dal suo essere un calderone di malattie infettive – come è sempre stato in passato.
Perchè capiamoci: il rischio in futuro è che, creato il precedente e negato il primato, si chiudano scuole ad ogni epidemia di influenza, si tagli l’istruzione ogni volta che lo vogliono “i mercati”… ah no, quello si fa già.
Il tutto è più urgente se consideriamo che mentre ai bambini si vieta _tutto_ le attività produttive rimangono intonse, come del resto lo sono state quando hanno fatto danni anche più enormi e permanenti che diffondere infezioni; se consideriamo che l’ILVA ha avvelenato un’intera città in nome di un bene certo non superiore – per fare l’esempio facile, visibile, ma ce ne sono dietro ogni angolo perchè il problema, si sa, è sistemico.
A mio avviso stare a parlare _nel merito_ di articoli del genere equivale a lasciare la scelta del campo di gioco alle solite forze ed ammettere la premessa che il diritto dei bambini e ragazzi a vivere non ha il primato su tantissime altre cose… anzi, una: i soldi.
Viceversa, ammettere questo primato significa la necessità di usare la ruspa su allevamenti intensivi sregolati, concerie, data center a carbone, eccetera, socializzare il profitto con la stessa facilità con cui si socializzano le perdite e i costi ecologici _prima_ di poter anche solo contemplare l’idea di mortificare i ragazzi a questo modo.
Fatto ciò, andiamo a vessare gli adulti.
Poi ancora, se la scomparsa della razza umana appare imminente e inevitabile, magari andiamo a incomodare i bambini.
Nulla in contrario alla promozione – una tantum, eh! – della tua mailing list.
Grazie.
Lorsignori possono dunque iscriversi a https://www.autistici.org/mailman/listinfo/venneroperipodisti
Per difficoltà ad iscriversi e supporto tecnico generale, pregasi mandare mail ordinaria all’amministratore della lista (che poi sono sempre io), venneroperipodisti@autistici.org
Le premesse sono poche, per ora implicite e dovrebbero essere chiare a tutti quelli che bazzicavano il vecchio thread: in generale, “che fare per accantonare almeno temporaneamente la pillola di cianuro e riprendere un discorso di sinistra”?
Mi auguro tanto vedere almeno il Cugino, fvacc, EP e filo.
Ciao,
senza rientrare nella “vecchia” discussione cito solo questo passaggio di Rinoceronte_obeso che condivido:
«La scuola è _da sempre_ un bel calderone di malattie infettive, e possiamo anche prendere per buono l’assunto che continui ad esserlo.
La questione è che il diritto dei bambini e dei ragazzi alla scuola e a una vita bella e sana gode di un *primato* che _prescinde_ dal suo essere un calderone di malattie infettive – come è sempre stato in passato.»
Appunto. Secondo me, almeno da sinistra (se poi lo vogliamo, e se siamo tutti d’accordo nel trovare un ordine comune per queste priorità*) bisognerebbe scegliere delle priorità, dei primati e darli per non più negoziabili, punto, a prescindere dal “costo” in termini soprattutto economici ma anche sociali che la difesa di questi primati comporta.
Quella del diritto all’istruzione e al diritto a una vita “bella e sana” di ragazzi e bambini potrebbe essere una di quelle su cui mettersi d’accordo abbastanza facilmente.
E su questo (per rimanere almeno marginalmente in -topic) bisognerebbe rispondere poi a tono e in qualche modo “coordinati” ad ogni articolo allarmista e ad ogni politica emergenziale.
*cosa su cui sono abbastanza scettico. La frammantezione politica è non solo conseguenza della frammentazione di stili di vita, esigenze e bisogni materiali, ma anche dell’incapacità dei singoli di mettere in discussione se stessi e quegli stessi bisogni e “abitudini” e mettersi qualche volta nei panni degli altri per comprenderne bisogni e abitudini che sono altrettanto figli della condizione materiale che è toccata in sorte.
E sono 10 anni dalla scomparsa di Enzo del Re, che già nel 1973 constatava e forniva consigli utilissimi in special modo di fronte alla crisi sanitaria:
“Lavorare con lentezza, senza fare alcuno sforzo
Chi è veloce si fa male e finisce in ospedale,
In ospedale non c’è posto e si può morire presto.
Lavorare con lentezza, senza fare alcuno sforzo
La salute non ha prezzo, quindi rallentare il ritmo
Pausa pausa ritmo lento, pausa pausa ritmo lento
Sempre fuori dal motore, vivere al rallentatore
Lavorare con lentezza, senza fare alcuno sforzo
Ti saluto, ti saluto, ti saluto a pugno chiuso:
nel mio pugno c’è la lotta contro la nocività”