[Ospitiamo una riflessione del nostro compagno Plv – insegnante in quel di Bologna e membro della Rete Bessa – sulla débacle organizzativa e comunicativa a cui stiamo assistendo alla vigilia della riapertura/richiusura della scuola pubblica. Questo articolo è la prosecuzione ideale di quello che la Rete Bessa ha scritto per Giap il 20 aprile scorso. Tra l’altro quell’articolo aveva un postilla scritta da noi Wu Ming che oggi, alla luce dell’immobilismo del governo nei mesi appena trascorsi, suona terribilmente premonitrice. WM]
di Plv
17 agosto 2020. Estratto da una conversazione realmente avvenuta.
– Oh, poi mi spieghi la faccenda di come si torna a scuola?
– Oggi i giornali titolavano che si ritornerà a scuola in sicurezza.
– Ah, quindi?
– Nessuno aveva mai messo in dubbio che si ritornava a scuola in sicurezza, non c’era motivo per ribadirlo. Se lo fanno è perché stanno insinuando il dubbio.
Il lunedì dopo Ferragosto il Governo ha gradualmente esplicitato il suo piano per la scuola. Repubblica ha dedicato la prima pagina alla riapertura della scuola per 6 giorni di fila. Un’attenzione inesistente quando, poco più di un mese prima, le proteste per chiedere una riapertura della scuola in sicurezza erano nelle piazze e non sui social. Ma da Ferragosto in poi, ciò che fino a quel momento non era mai stato messo in dubbio è diventato prima discutibile, poi problematico, infine quasi impossibile.
Le premesse per quel lunedì mattina c’erano già da tempo: da marzo il Governo non aveva fatto le uniche cose utili per tentare una riapertura della scuola con il minimo rischio possibile. Delle misure strutturali opportune nessuno aveva mai parlato.
Non che non si fosse fatto niente. Si è fatto eccome, si è creata un’emergenza che si poteva evitare o quantomeno inibire. Perché non ci sono scuse: di come riaprire la scuola in sicurezza si poteva parlare tranquillamente a marzo, poi ad aprile, poi a maggio, poi a giugno a scuole chiuse, e pure a luglio. Arrivare al 17 agosto per aprire il dibattito a suon di “mascherina sì/mascherina no” è criminale.
Il governo ha, di fatto, creato un’emergenza nell’emergenza e al contempo speso soldi e tempo per costruire trappole discorsive. Tocca fare attenzione, perché in quelle trappole ci caschiamo in molt@ e le conseguenze potrebbero essere disastrose.
1. Cosa si poteva fare
Fin da aprile, il movimento di Priorità Alla Scuola ha affermato che permettere un ritorno a scuola voleva dire adottare misure strutturali. Occorre riprendere queste idee, non solo per prevenire accuse di disfattismo, ma per sottolineare che a livello pubblico la discussione su come riaprire è iniziata ben prima del 17 Agosto. Le proposte sono state urlate nelle piazze di maggio, di giugno, di luglio. Sono state inviate a Comuni e Regioni. Sono state espresse sulla stampa. Dal basso il lavoro è stato fatto. È dall’alto che non si è mai affrontato sistematicamente il problema, per questo Priorità alla Scuola ha deciso di tornare in piazza a Roma il 26 settembre.
Per farlo era sufficiente partire da una semplice domanda: un virus che si trasmette per via aerobica circola di più in ambienti dove ci sono 26 persone o dove ce ne sono 13? Purtroppo non è una domanda retorica.
Alla richiesta di aumentare in modo significativo l’organico, per permettere la formazione di classi meno numerose, il Governo ha risposto con conferenze stampa altisonanti. Del miliardo promesso si è saputo poco o niente fino a quando non è stata annunciata l’immissione del «personale-Covid» (è la stessa ministra Lucia Azzolina a usare questa espressione). Ad oggi nessuno sa bene come e con che logica questo personale sarà assunto, visto che esistono delle graduatorie cui attingere. È molto più chiaro che su questa figura si rovescerà la responsabilità di un ipotetico lockdown, dal momento che nell’ordinanza si legge che «in caso di sospensione delle attività didattiche in presenza, i contratti di lavoro attivati si intendono risolti per giusta causa, senza diritto ad alcun indennizzo». A queste condizioni, ve lo immaginate un lavoratore precario che ammette di avere la febbre? Qual è la causa dell’emergenza o chi ne facilita la propagazione?
Inoltre alle richieste di molti sindacati di assumere, in modo definitivo, chi insegna da più di tre anni, il Governo ha deciso di rispondere bandendo un concorso straordinario, che prima doveva essere a Luglio, poi fine a fine Ottobre, pronto a saltare se la curva epidemiologica non sarà adeguata o se la ministra Azzolina salta, come ormai sembra inevitabile. Nel frattempo, il concorso ordinario (quello cui possono partecipare anche coloro che hanno meno di 3 anni di insegnamento), è rinviato a data da destinarsi.
Sempre rispetto all’organico merita una menzione particolare la figura delle educatrici e degli educatori. Un’interessante testimonianza mostra come durante il «lockdown» le cooperative, con l’appoggio degli enti locali, abbiano sperimentato aberrazioni contrattuali. Tecnicamente queste figure non sono integrate nel sistema nazionale della scuola, ma sono fondamentali e spesso diventano punti di riferimento, quindi andrebbero integrate.
Chiaramente questa iniezione di personale che le piazze richiedevano doveva poter lavorare in nuove aule. Per esempio: l’Italia è piena di spazi vuoti, alcuni perfettamente utilizzabili, bastano pochi lavori d’adeguamento. Alcuni ragionavano di questo già a maggio. Grazie alle assemblee online di Non Una Di Meno dedicate al tema della scuola ho scoperto che a Napoli già da aprile si ragionava sulle numerose caserme militari dismesse presenti nelle città: Ministero della Difesa, Ministero dell’Economia, Cassa Depositi e Prestiti, Demanio, nessuno di questi soggetti si è sognato di proporre una messa a disposizione di questi spazi per la scuola.
I mesi sono passati e la questione sugli spazi si è risolta in una lentissima cavillosità burocratica i cui risultati sarebbero stati comunicati dalle scuole alla seconda metà di luglio, sulla base di un software per il calcolo dei metri quadrati degli spazi a disposizione delle singole scuole (ma una mappa catastale?) per capire chi effettivamente ne avesse bisogno e chi no. Il problema è che tutti avevano bisogno di spazi, perché tutti hanno classi sovraffollate: è così da decenni.
Si è deciso di mettere delle toppe – una finestra qua, un buco là, uno sgabuzzino rimesso a nuovo… – ma nulla a livello strutturale e quindi addio distanze di sicurezza, tanto che persino il Comitato Tecnico-Scientifico ha dovuto affermare che in caso di impossibilità di mantenere il metro di distanza era possibile ammettere un ritorno a scuola con l’uso della mascherina. Ma se è così, non si poteva riaprire in primavera? Quanto tempo è stato buttato?
Il problema però è anche la circolazione del virus in sé. Non ho le competenze per disquisire sul livello di contagiosità di adolescenti, infanti o adulti, ma mi sembra molto chiaro che su una cosa ci può essere ampia condivisione: è necessario che la scuola sia di per sé un presidio sanitario per il monitoraggio dei contagi (già il 2 giugno lo si suggeriva qui). Sui protocolli da attuare si poteva discutere, c’era tempo.
Dopo 6 mesi dall’inizio del lockdown, un papocchio di dichiarazioni sporadiche, bozze e documenti prodotti da diversi organi non ha partorito uno scenario plausibile, con l‘effetto di seminare il panico. A partire da Ferragosto in diverse chat sono iniziate a circolare voci che nel caso in cui un* bambin* avesse presentato i sintomi i protocolli avrebbero impedito il contatto coi genitori.
Di fronte a questa situazione i dirigenti scolastici, su cui può ricadere la responsabilità per la mancata gestione di un focolaio, si chiamano fuori; i docenti sono accusati di non collaborare perché non vogliono sottoporsi ai test sierologici, quando gli stessi documenti emanati dalle fonti ufficiali li ritengono inutili per la diagnosi e per il controllo dei focolai (vedi le «Istruzioni operative per la gestione di casi e focolai …», pagina 8) e diversi genitori affermano pubblicamente la loro volontà di tenere i figli a casa, magari sostenendo con orgoglio l’educazione parentale. Senza parlare di quelli, tendenzialmente di basso censo, magari stranieri, che senza dire nulla a nessuno hanno già deciso come muoversi: figli e figlie staranno a casa, punto, così potranno essere mandati a lavorare. Ed è così che la scuola si cristallizza ancora di più come il primo luogo in cui l’individuo conosce le ingiustizie sociali. Ve lo ricordate Conte che diceva: «Avremo una scuola più inclusiva»?
Non è finita: se è chiaro che non avremo un’infermeria in ogni scuola è altrettanto chiaro che ogni medico referente avrà più di un istituto da monitorare. In un articolo pubblicato su Repubblica il 23 agosto si parla di un rapporto 1 a 23!
Non c’è bisogno di entrare in dettagli tecnici per affermare una cosa di una banalità sconvolgente: servono infermerie scolastiche, serve personale medico preparato, servono equipaggiamenti, servono i test. Ad oggi non c’è nulla di tutto questo: se uno studente o una studentessa ha i sintomi, al momento attuale, non c’è un medico che può agire prontamente, non c’è il materiale per la prevenzione del contagio, non ci sono i test adeguati per tutte le persone con cui è entrat* a contatto a scuola. Quindi, la classe e gli insegnanti devono stare tutt* in quarantena per 14 giorni. Senza alcun test. Una follia.
Tutt* abbiamo litigato ferocemente sul tema della prevenzione sanitaria del Covid, anche con persone con una sensibilità vicina alla nostra. Possiamo però concordare sul fatto che c’è un livello minimo ragionevole da cui è necessario partire e che di questo livello base il Governo se ne sta ampiamente fottendo?
Ripeto, a scanso di equivoci: nessuno dice che fosse facile ragionare su questi temi, ma perché diamine non è stato fatto sei mesi fa per arrivare pronti alla riapertura di settembre?
2. Capre espiatorie, prima parte: «I giovani»
Prima o poi sarebbe arrivata la fase delle “capre espiatorie”. Era scritto, o meglio, disegnato. Era così ovvio che dovevamo essere preparati, e invece i dibattiti sulla questione dei giovani hanno un che di raccapricciante.
Tralasciamo il fatto che non è chiarissimo cosa si intenda per «giovani», sta di fatto che di loro non si è parlato per mesi tranne che nelle ultime settimane. La loro colpa è quella di divertirsi.
Un anno fa, quei e quelle giovani erano acclamati da tutta la politica italiana perché in loro risiedeva la speranza di salvezza dall’apocalisse climatica.
Pochi mesi dopo tutto e cambiato: delle loro opinioni in merito al riscaldamento climatico abbiamo deciso semplicemente di farne a meno, quando una riflessione sul fatto che questa pandemia sia causata dall’estrattivismo capitalista sarebbe quanto mai necessaria.
A partire da febbraio/marzo i giovani sono stati segregati in casa, privati della possibilità di camminare all’aria aperta, infantilizzati in quanto ritenuti incapaci di prendere precauzioni. Impossibilitati a crescere, avere una socialità, conoscere emozioni, sperimentare se stessi. Tra quelli che ho conosciuto in questi anni, alcuni il 5 giugno avevano ancora il divieto di uscire per paura del contagio: chissà come deve essere trascorrere tre mesi segregati in casa con quei genitori che ti costringono tra quattro mura anche quando il cosiddetto «lockdown» è finito da un mese. Come si collocano queste persone nel computo delle vittime del covid? E quell* che già prima erano quotidianamente umiliat* dai genitori? E quell* che hanno dovuto nascondere, ancora di più, la propria identità sessuale? E quell* che sono stati mandati a lavorare, perché la scuola era chiusa?
Possiamo avere le più svariate opinioni sul Covid, ma la tortura dei e delle minori come metodo di governo dovrebbe incontrare un livello di critica decisamente maggiore.
I giovani vanno in discoteca, non prendono precauzioni, si infettano e il Paese soffre. Poco importa che a non seguire le precauzioni siano anche adulti e che alcuni luoghi siano stati mal gestiti per colpa di settantenni milionari: sono i giovani che hanno peccato. Alcuni giornali, nel conteggio quotidiano degli infettati riportano addirittura il numero di coloro che sono stati contagiati in discoteca.
La questione va scomposta perché in nome dell’austerità sociale si rischia di fare discorsi tanto miopi quanto reazionari.
1. Il divertimento e il turismo sono anch’essi settori produttivi. Trattarli solo come vizi ci porta fuori strada: l’Italia vive anche di questo. Non vuoi che entrino in funzione? Devi attivare gli ammortizzatori che consentano di reggere la situazione. Questo non è stato fatto.
2. Il Governo ha deciso che le discoteche potevano riaprire. Dopo Ferragosto lo stesso Governo ha pensato che era abbastanza, bisognava chiudere. Il timing è chiarissimo: non si poteva pensarci prima?
3. Non facciamoci ingannare: alcuni Comuni hanno preso posizione critica contro queste politiche, altri no, altri hanno fatto entrambe le cose, esattamente come ha fatto il Governo. A Bologna, il Sindaco uscente ha tuonato contro la riapertura delle discoteche, quando gli eventi del Robot Festival organizzati negli spazi di Dumbo hanno avuto tra i principali sponsor il vice-Sindaco Matteo Lepore.
4. i primi focolai post-lockdown non sono stati nelle discoteche. Sono stati alla Bartolini e alla TNT, facilitati dal fatto che la logistica era stata follemente ritenuta a «basso rischio». Perché nessuno ha pensato che gli stabilimenti potessero chiudere? Uno dei focolai più pesanti è quello dell’Aia di Treviso. Un lavoratore su tre è contagiato. Perché di questo non si parla?
Non si tratta – lo so, sono pedante – di minimizzare il problema di un contagio che aumenta nel momento in cui si aprono determinate forme di socialità. Ma di capire che nell’attacco ai giovani e alle discoteche è implicito il fatto che la socialità sia un lusso che non possiamo permetterci. E quindi, se non dobbiamo fare qualche attività seria veramente fondamentale, ossia lavorare, si può stare tutt* a casa.
Questo discorso avrà ripercussioni pesanti sulla scuola e se è ipotizzabile che forse – e sottolineo forse – chi ha meno di 10 anni si salverà dalla DAD, perché ormai è indiscusso che per bambini e bambine è impossibile seguirla, gli adolescenti potrebbero essere condannati a stare in casa, perché la loro socialità è percepita come sacrificabile. Tutti i documenti emanati in merito alla ripresa della scuola vanno in questa direzione.
L’idea per cui la socialità debba essere limitata perché rischiosa per definizione, mentre nelle attività lavorative definite “essenziali” si possa fare a meno delle reali garanzie, è la prosecuzione di quello che l’1 maggio i Wu Ming chiamavano «la grande sostituzione».
La scuola e la socialità che lì si vive devono essere classificate come “essenziali”.
3. Capre espiatorie, seconda parte: vari, eventuali e ministre
L’ultimo capro espiatorio in ordine cronologico è il corpo docente: scomparso per mesi dal discorso pubblico, è riapparso solo per essere accusato di non voler fare i test sierologici.
Su questo si è già scritto, ma manca un pezzo: non è del tutto chiaro cosa succede contrattualmente se qualcuno risulta positivo al test (quindi forse è entrato in contatto col virus): va in malattia? Va in aspettativa? Lavora da casa? In teoria no, ma nelle Istruzioni operative sopra citate si legge: «Dovrebbe essere identificato il meccanismo con il quale gli insegnanti posti in quarantena possano continuare a svolgere regolarmente la didattica a distanza, compatibilmente con il loro stato di lavoratori in quarantena». Come si incastra questo aspetto con chi è precario? Se vai in quarantena sei in malattia? I contratti sbocconcellati che spesso abbiamo, coprono o non coprono questa casistica?
Altri attacchi sono arrivati alle “mamme del ceto medio riflessivo“, accusate di lamentarsi perché non vogliono tenersi i figli a casa qualora vi fosse un secondo “lockdown”. Dover spiegare l’idiozia di questo assunto è così sfibrante che MammadiMerda e Cristina Sivieri Tagliabue l’hanno provocatoriamente preso per buono. La risposta la trovate qui.
Più gravi e più sibillini saranno gli attacchi che subiranno quei genitori colpevoli di mandare i figli a scuola con la febbre, magari dando una tachipirina prima di farli uscire di casa. Possiamo anche su questo mantenere la barra a dritta? La maggior parte delle persone che adotterebbe questa modalità lo farebbe per l’esigenza di lavorare e ad oggi non c’è una forma di welfare studiata per evitare questo comportamento. Partite IVA, lavoratori e lavoratrici in nero, persone sfruttate di tutti i tipi spesso non possono permettersi di stare a casa e ad oggi se un* studente è in quarantena non è chiaro se anche il genitore debba stare a casa. Ancora una volta: chi è che sta provocando la diffusione del virus?
Anche i sindacati sono stati criticati, per la loro scarsa collaborazione. Quelli confederali, ovviamente, gli altri sono cattivi per definizione. Ma non è mai stato chiaro a cosa dovessero collaborare dato che sono stati fatti fuori dai tavoli importanti. Anzi, a dir la verità i tavoli decisionali non si sa nemmeno dove stanno. Oggettivamente l’unica accusa che si può muovere ai sindacati, e in particolare alla FLC-CGIL, è la mollezza di ogni loro presa di posizione che sembra scritta tre mesi prima. Col dovuto rispetto: datevi una svegliata.
Infine c’è un punto scivoloso, ma dirimente: bisogna porre il ruolo della ministra Azzolina nella sua giusta collocazione. Un Governo senza idee l’ha chiamata al ministero senza alcun piano sulla scuola, se non quello di non rompere le scatole sui soldi. E lei era la persona perfetta: «al Ministero lavoriamo per creare una task force che aiuti gli istituti a scrivere i progetti e a gestire meglio i finanziamenti», scriveva a gennaio. Il problema erano le singole scuole, o al massimo i fondi europei, mica il Bilancio. Ad oggi l’Italia è tra gli ultimi posti in Europa per il rapporto Fondi all’istruzione / PIL.
Un mese dopo, Azzolina è diventata un personaggio chiave nella gestione di una catastrofe mondiale e si è ritrovata in una simile situazione senza portafoglio, isolata rispetto alla questione della responsabilità ma circondata da organi oscuri che pensavano a come riorganizzare la scuola, scavalcandola. Conte l’ha scelta come punching ball: mandata al massacro nella consapevolezza che, essendo questo un paese infame, sarebbe stata attaccata anche in quanto donna, per di più con accento meridionale. Sono attacchi schifosi.
Non si tratta di sollevare la ministra dalle sue responsabilità evidenti, ma di dire che sulla scuola tutta la classe dirigente italiana continua a dimostrare la sua bassezza. La ministra sarà sollevata dall’incarico, forse diventerà dirigente e probabilmente sarà una pessima dirigente, ma i ministri dell’economia, i premier, i plurideputati che di mese in mese scelgono quale finta opposizione enunciare, gli industriali che investono sulla didattica online e quelli che sperano nella manodopera giovanile a costo zero, i finto-intellettuali dai doppi carpiati, i macho-governatori, i baroni che ancora ristagnano nelle università, la classe dirigente italiana che da anni lavora alla distruzione della scuola pubblica, loro si salveranno. Ed è da troppo tempo che va avanti così.
4. Intermezzo semiserio: le parole o le cose?
Prima di tentare di indirizzare in maniera intelligente il sano odio che è lecito esprimere in questa situazione, è d’uopo sciogliere la tensione, ripassando un po’ il gergo con cui negli ultimi mesi siamo stati turlupinati.
Ricordiamoci che non si tratta solo di parole: è tempo buttato e denaro sprecato.
Metro buccale: a tutti suonava come una pratica sessuale, invece era il metro che intercorreva da una bocca all’altra nel software promosso dalla ministra Azzolina. Ci siamo scervellati per spiegare che quello che conta non era il metro buccale, perché in realtà le classi sono insiemi dinamici e quando qualcuno si alza dal tavolo salta tutto e tocca mettere la mascherina. Ne consegue che possiamo dimenticarci dei gruppi di lavoro, dello studio collettivo, con buona pace della didattica innovativa. Inoltre nessuno sa bene cosa preveda il piano del Governo nel caso, certo remoto, in cui una pioggia, magari con un po’ di vento, obblighi a tenere chiuse le finestre.
Banchi monoposto: Rispetto a questo tema ammetto un mio limite e chiedo scusa in anticipo alle persone con cui mi sono confrontato. Capisco che in molte regioni un banco monoposto è una necessità effettiva, ma l’idea per cui il problema di un aumento del rischio di contagio dovuto al sovraffollamento delle classi possa essere risolto con dei banchi più piccoli, a me dà la sensazione che invece di adottare misure strutturali si stia giocando a Tetris.
Didattica integrata, o DDI: la chiamavano DAD, ma utilizzare un acronimo che significa “papà” deve aver ricordato a diversi personaggi che il Concilio di Trento aveva ragione e i lavori di casa, tipo aiutare i figli a parlare con uno schermo nero per il buffering, li deve fare la donna. Non solo la DAD è rimasta, ma nel decreto legislativo del 7 agosto e nelle linee guida si dà per assunto che sarà utilizzata nelle scuole secondarie (qui i testi). Ad oggi non c’è dibattito su questo.
5. La destra pervasiva: riconoscerla ed evitarla
Nel frattempo le destre stanno alla grande. Lasciamo stare le percentuali dei singoli partiti, quelle variano a seconda del momento, ma c’è una destra larga ed estesa che si sta espandendo, al punto da coprire l’intero arco parlamentare. E i suoi effetti stanno per ripercuotersi sulla scuola.
Salvini e compagnia stanno cavalcando un’onda facile. Dopo un lockdown che impediva di stare all’aria aperta, hanno buon gioco nel mostrare la contraddittorietà delle indicazioni e parlare di norme esagerate, magari riempiendosi la bocca con la scuola che deve accogliere e renderci vicini. È un problema chiaro, che si risolve col giusto equilibro, non con la corsa al controllo (che a Salvini peraltro va benissimo), né con l’abolizione della vita sociale (idem). Non è facile, ma quell’equilibrio va quantomeno cercato evitando certi svarioni.
La cosa più facile, almeno per chi frequenta questo blog, è evitare movimenti o pagine che riportano siti noti per le notizie-spazzatura o per tesi rossobrune. PandoraTV e Byoblu i più evidenti. Evitate pure quelli che per dirvi cosa fare in tempo di Covid si rifanno ai sindacati di polizia.
Più difficile, ma necessario, costruire discorsi in cui evitare trappole semplificatorie. Una su tutte: piantiamola di ragionare esclusivamente sulla necessità dei bambini di tornare a scuola. La scuola è un mondo sterminato: ragionare solo sui diritti e le necessità di un unico soggetto conduce inevitabilmente a sottostimare (nel migliore dei casi) o silenziare (nei casi più ipocriti) le esigenze degli altri. Il fatto che ci siano docenti che rischiano se vengono a contatto col virus è vero. Il fatto che il personale per la sanificazione è sottopagato e vessato è altrettanto vero. Che nessuno abbia parlato dei trasporti fino a pochi giorni fa è evidente. È difficile perché non siamo stati allenati a questo (le scuole che abbiamo fatto non ci hanno preparati), ma tocca fare un discorso strutturale, altrimenti è la guerra fra poveri.
Altro discorso peloso: l’innovazione. Sia chiaro: la scuola pubblica italiana rispecchia il classismo della società, è strutturalmente razzista, è lassista nei confronti del sessismo imperante, è inadeguata, le indicazioni ministeriali non aiutano a costruire la didattica, diversi docenti sono pericolosi, l’educazione ai dispositivi elettronici è inesistente. Detto ciò, la Didattica a Distanza non risolve questi problemi, ma li amplifica. Come suggerisce Girolamo De Michele sulla scia di Neil Selwyn: «bisogna finirla con le stronzate». Quindi piantiamola col dire «la DAD ha fatto anche cose buone», è un ritornello che crea un falso bilanciamento tra elementi positivi e negativi.
Infine, la preoccupazione per il contagio sta portando diversi genitori a vedere di buon occhio l’educazione a casa dei propri figli, homeschooling o educazione parentale. Questo discorso conduce dritto a una dismissione dal basso della scuola pubblica che, nonostante le mille aberrazioni, rimane un traguardo epocale: abbiamo bisogno che bambini e bambine escano dal nucleo familiare, abbiamo bisogno che si confrontino con altri adulti, abbiamo bisogno che interagiscano fra di loro, che non si capiscano, che conoscano chi è diverso da loro e anche che litighino coi propri genitori con gli strumenti che gli vengono dati da ciò che si trova fuori dalla famiglia, perché è anche così che si cresce.
«Ma la scuola pubblica è la Scuola dello Stato e io sono contro lo Stato», benissimo. Ma non dimentichiamoci che anche la famiglia è un’istituzione, ben più totale della scuola: è vero che anche la scuola, come la famiglia, è un luogo cardine della riproduzione sociale, ma permette ancora un margine di libertà radicalmente differente – a volte maggiore, a volte no, sicuramente diverso – da quello che una famiglia può garantire.
C’è poi l’elefante nella stanza: se qualcuno decide di fare educazione parentale ai propri figli è perché se lo può permettere culturalmente ed economicamente. Optare per questo modello significa avallare il privilegio di classe. E, mi spiace, ma per me questo è il nemico.
Glisso sulle scuole libertarie, che spesso utilizzano l’escamotage fornito dall’educazione parentale. Lo faccio perché ritorniamo al problema di fondo, ossia la promiscuità delle persone all’apertura delle scuole e quindi i problemi che incontriamo sono gli stessi. Ma ci tengo a sottolineare un nodo centrale: creiamo esperimenti, costruiamo scuole popolari, rinnoviamo le pratiche, bene, anzi, benissimo. Ma la scuola pubblica deve essere un campo di battaglia e su quel campo di battaglia ci dobbiamo stare. Costruire alternative e lottare per un rinnovamento di quello che c’è può essere una contraddizione, ma cerchiamo di tirarla dalla nostra parte e di non lasciare campo libero alle destre.
6. La rabbia o la depre
Non ho il tempo per soffermarmi sulla miriade di soggetti che in questo momento meriterebbero di stare alla sbarra di un tribunale per crimini contro l’umanità. La classe dirigente italiana, nella sua interezza, non merita il surreale clima di pace che si è instaurato negli ultimi mesi. Non si salva nessuno. Però il ruolo di alcuni soggetti va sottolineato.
Il “menopeggismo” ha lasciato campo libero a un premier che di fatto ha permesso che sulla riapertura della scuola si seminasse il panico. Tralasciando quanto fatto prima dell’epidemia, Giuseppe Conte non solo si è chinato agli speculatori di Confindustria durante i giorni di maggiore crisi, ma ha anche posto le basi per una futura emergenza.
I partiti che lo sostengono e quelli che lo contrastano sono pure peggio di lui. I parlamentari di “centrosinistra” che guardano con spocchia all’attuale Ministra sono stati complici della Riforma Renzi. Quelli di “centrodestra” sono complici delle Riforme Gelmini e Moratti. Senza bisogno di alcun complotto, il piano di dismissione della scuola pubblica parte da lontano, è condiviso e nessuno se ne è mai distaccato. Dei 5Stelle poco da dire dal momento che esprimono direttamente sia la Ministra dell’Istruzione che il Ministro del Lavoro e del Welfare.
Il nome di Mario Draghi è tornato spesso nei giorni passati per il suo discorso sui «giovani». Negli ultimi anni «Mario Draghi» è diventato come il «paracetamolo»: si consiglia di usarlo quando ci sono sintomi di malessere ma non si sa bene quali siano le cause. Mario Draghi è un protagonista del mercato internazionale, che rimane il mostro finale da affrontare. Lo abbiamo ben conosciuto nel 2011, quando scrisse una lettera con le indicazioni su come far uscire l’Italia dalla crisi.Quella batosta è stata dilaniante, tanto per i giovani dell’epoca quanto per quelli di oggi.
Chi ci ha visto lungo sono i privati interessati nella Ed-Tech e quindi nelle forme di didattica a distanza. Alcuni di loro hanno visto un aumento di capitale impressionante. «Ma è gratis!» ci è stato detto mesi fa in riferimento a Google: come se questo non permettesse di lucrare comunque sui dati acquisiti e dunque sulle nostre vite. Citando il Financial Times, Costanza Margiotta, Girolamo De Michele e Maddalena Fragnito, hanno sottolineato come negli ultimi mesi le piattaforme digitali abbiano quadruplicato le loro azioni. Non sorprendiamoci se Google propone le lauree in 6 mesi!
Altri privati non ci hanno visto così lungo, ma hanno saputo aspettare un aiuto dal cielo, o dalla Regione, come in Liguria, dove viene dato un voucher di 180 euro per l’iscrizione alle scuole private. L’attenzione alle scuole private è enorme, ma d’altronde, siamo anche un paese che non ha un piano nazionale per bambini e bambine da 0 a 6 anni: rivolgersi alle private per molti è un obbligo. Vogliamo esigere che questa mancanza sia coperta o preferiamo le parole di Patrizio Bianchi che, dal sito della COOP, ci ricorda che «la scuola non è un badantato»?
Per chi se lo fosse perso Patrizio Bianchi è un altro personaggio interessante: docente universitario, è anche il coordinatore della commissione esperti del ministero dell’Istruzione. Promotore di quell’autonomia scolastica regionale destinata a massacrare le scuole del centro-sud al rientro è anche uno dei massimi “spingitori” della DAD. In alcuni momenti è stato una sorta di ministro-ombra. È in quota PD e chi sta in Emilia-Romagna l’ha conosciuto come Assessore all’Istruzione della Regione durante il primo mandato di Stefano Bonaccini.
Quest’ultimo è anche il Presidente della Conferenza delle Regioni, che a Luglio è stata protagonista di un curioso siparietto: dopo aver rigettato con disprezzo le prime linee guida del Governo sulla riapertura delle scuole in nome della scarsità dei fondi erogati per il personale, la stessa Conferenza delle Regioni ha accettato pochi giorni dopo una seconda bozza. Non che i fondi fossero aumentati. Però dalla seconda bozza era scomparsa la partecipazione ai tavoli dei sindacati confederali. Il 13 Luglio, Priorità alla Scuola ha organizzato presidi alle regioni per protestare contro questa decisione. A Bologna, vista la posizione di spicco di Bonaccini, sono arrivati esponenti del comitato nazionale. Peccato che i giornalisti locali non fossero presenti quel giorno, avrebbero assistito ad un dialogo molto intenso in cui l’assessora Paola Salomoni mostrava una delle tecniche con cui la riapertura della scuola è pensata: un continuo rimando ad altri tavoli e ad altri decisori.
Questa tecnica di governo è così diffusa che i dirigenti scolastici si sono dissociati dalle responsabilità di cui il Governo li investiva. Peccato che la loro posizione sia scivolosa dato che il PD, grazie alla Riforma Renzi, li ha trasformati in wannabe manager, paladini di una scuola sempre più neoliberale che in piena emergenza riteneva prioritario ridimensionare gli organi collegiali «per evitare disfunzionali sovrapposizioni e conflitti con le prerogative dirigenziali» (dal documento dell’Associazione Nazionale Presidi, 25/05/2020). Esistono dirigenti sinceramente degni di stima. A loro sarà richiesta la fatica di dissociarsi da questi soggetti.
È questa la panoramica della classe dirigente che sta ponendo le basi per il ritorno a scuola. È lapalissiano che anche per chi è abituato a tapparsi il naso non c’è nulla da salvare. Tocca a noi invertire la tendenza.
Scrivo “noi” riferendomi a una comunità ampia, che include docenti, attiviste, educatori, studentesse, amministratori, personale delle pulizie, genitori e genitrici.
Ma la situazione in cui siamo ci obbliga a guardare a una comunità ben più ampia con cui possiamo e dobbiamo intrecciarci. Fatta dalle donne infuriate per essere lasciate a casa senza fonti di reddito, dagli antirazzisti scesi in piazza per la morte di George Floyd, dai migranti che hanno bloccato la produzione, dalle froce che ogni giorno ci mostrano quanto la normalità sia IL problema, da artisti che lottano per un minimo di riconoscimento, da chi porta in piazza il proprio corpo per una diversa politica sul clima.
Della rabbia di tutta questa comunità abbiamo bisogno, estremamente bisogno.
Perché c’è poco da girarci attorno, di fronte a noi abbiamo due possibilità: da una parte la rabbia da organizzare, incanalare, far esplodere; una rabbia che ci permetta di sperimentare, sbagliare, creare; dall’altra abbiamo la depressione, non solo e non tanto la connivenza ad un esercizio di potere sempre più ottenebrante, ma la chiusura in un nucleo sempre più chiuso e circoscritto. Fino ad una solitudine estrema.
La scuola è un pezzo della società da riconquistare, esattamente come la sanità. Che ci piaccia o no, se salta la scuola salta tutto.
Partiamo da lì e ripigliamoci questo mondo infame.
Pezzo importantissimo. Mi permetto due noterelle, senza intervenire sul merito:
1. Credo che, come “rapporto Pil/Fondi all’istruzione” si intenda “rapporto Fondi all’istruzione/Pil”. Comunque, il link della stessa frase non funziona.
2. Dove dici “qui i testi”, il link rimanda a un sito per il quale è necessario iscriversi prima di scaricare alcunché. Per chi non vuole, ecco i testi in chiaro (sono entrambi sullo stesso file, decreto e allegato): http://2.flcgil.stgy.it/files/pdf/20200807/decreto-ministeriale-89-del-7-agosto-2020-adozione-linee-guida-didattica-digitale-integrata.pdf
Grazie, correggiamo subito.
Grazie della citazione, @plv, ricambierò facendo circolare questo testo. Mi permetto di aggiungere, accanto al nome di Neil Selwyn, quello di Marco Gui, l’autore de “Il digitale a scuola”. Come spiego nel pezzo pubblicato su doppiozero, questo libro è del 2019, quindi la bibliografia è aggiornata al 2018, più o meno (e infatti il sito mi aveva proposto di recensirlo già lo scorso autunno ’19, ma allora mi mancava il tempo, poi non è che il tempo sia arrivato, ma è arrivata l’urgenza di strappare ore di studio ad altro studio). Questo vuol dire che le critiche fatte dal mondo della scuola (da *tutte* le sue componenti), che taluno ha ritenuto di banalizzare in “catalanate” del tipo “la presenza è meglio dell’assenza”, sono fondate su un dibattito epistemologico internazionale che ha già alcuni anni sulle spalle. Quello che tutti hanno percepito empiricamente attraversando la DaD, era già leggibile sulle riviste specializzate da qualche anno: riviste, e conseguente dibattito, che i pasdaran dell’innovazione digitale (autori di manuali compresi) hanno bellamente ignorato, salvo accusare di luddismo o passatismo chi si batte contro la scuola e l’università delle piattaforme.
Credo che tra tutte le giustissime osservazioni formulate nell’articolo, il punto fondamentale stia nelle premesse: “[…] Il governo ha, di fatto, creato un’emergenza nell’emergenza e al contempo speso soldi e tempo per costruire trappole discorsive”. Lascio ad altri dire se si sia agito così per colpa (incapacità dell’esecutivo di avere una visione unitaria per adottare misure pratiche ed efficaci rispetto a difficoltà contingenti emersi con l’epidemia covid-19, in un quadro di problemi strutturali del Paese-Italia) o per dolo (volontà del governo di mantenere lo stato d’emergenza – per cui anche situazioni di emergenza – e garantirsi una vita politica). Questo modus operandi è il filo rosso che ha guidato la gestione della pandemia: adottare misure posticce e spesso di compromesso (soprattutto con Confindustria) che non possano a priori risolvere l’emergenza, e, di contro, additare alcune categorie spesso “senza voce” (i runner, i giovani che “si divertono nelle discoteche”, gli insegnanti “fannulloni che non fanno il tampone”. A destra ovviamente i migranti “che appestano l’Italia”) come capri espiatori al fine da distogliere dalle proprie responsabilità.
La gestione del rientro in classe è, lungo la catena di montaggio dello scaricabarile delle responsabilità, di fatto delegata ai singoli istituti e ai genitori degli alunni, in quel complesso rapporto che c’è tra famiglia e scuola. Basterà?
Ciao,
articolo molto importante, denso di temi e sottotemi, dal ruolo della stampa e della strategia di comunicazione del Governo al discorso sui Capri espiatori (e a proposito bello anche il commento di mars 9000 su “dolo” o “colpa” nel creare l’emergenza).
La “grande sostituzione” continua e funziona benissimo, come è facile testimoniare parlando con “la gente”, che da sinistra e da destra, istruita o meno, ha tutto un elenco di capri espiatori che vanno dai migranti, ai runner (“dov’è adesso tutta sta gente che voleva correre” sentito moltissime volte) ai giovani e alla movida.
Evidenzio e cito un paio di passaggi separati che però dal mio parziale punto di vista sono importanti soprattutto nell’ottica della conclusione dell’articolo, che condivido molto, sul non rimanere soli in un nucleo circoscritto senza alcuna capacità di azione.
«Partite IVA, lavoratori e lavoratrici in nero, persone sfruttate di tutti i tipi spesso non possono permettersi di stare a casa e ad oggi se un* studente è in quarantena non è chiaro se anche il genitore debba stare a casa»
e
«La scuola è un mondo sterminato: ragionare solo sui diritti e le necessità di un unico soggetto conduce inevitabilmente a sottostimare […] o silenziare […] le esigenze degli altri. Il fatto che ci siano docenti che rischiano se vengono a contatto col virus è vero. Il fatto che il personale per la sanificazione è sottopagato e vessato è altrettanto vero.»
Esatto.
E, ecco, sottostimare o silenziare le esigenze degli altri attori di questo mondo steminato è estremamente facile, e può essere fatto nei vari sensi, da ciascuno di questi attori nei confronti degli altri. E come ora è facile che siano i genitori a sottostimare le esigenze e i problemi dei docenti, la cosa può andare anche nel senso inverso.
Ciascuna categoria, specie se si sente “sotto attacco” tende a chiudersi, a sentirsi “incompresa” e a identificare tutte le altre come “nemici” o al limite come “piantagrane che non capiscono”.
E’ qui che secondo me bisogna agire: aprire insieme le orecchie e il cuore al modo di percepire i problemi degli altri se si vuole poter fare fronte comune.
Cosa vuol dire creare l’emergenza?
Oggi ho sentito quelli della mia ex scuola. Due una mia alunna e sua sorella non andranno a scuola almeno fino a Ottobre per paura del Covid. Entrambe hanno un italiano debolissimo oltre a essere molto timide.
Può anche essere che qualcuno rinunci alla scuola perché ha paura. Ma penso che molte persone invece siano spinte a fare queste scelte viste le mancanze di precauzioni che sono evidenti a prescindere dalle toppe che metteranno in queste due settimane.
Ma l’istruzione rimane un diritto e poi dall’anno scorso abbiamo un bellissimo strumento che si chiama Dad che grazie al Covid è diventato strutturale.
Il risultato è un indebolimento della struttura generale della scuola, un crollo della qualità della didattica, e un allontanamento forzato dal diritto di studio.
Mi risuona sempre di più Conte che parlava di una scuola più inclusiva.
Articolo interessante, ma quando leggo che la scuola deve diventare un presidio sanitario mi vengono i brividi…ho una figlia che andrà in seconda elementare tra pochi giorni e a leggere il patto di corresponsabilità inviato dall’ufficio comunale la scorsa settimana, mi ha assalito uno sconforto che non provavo dalla primavera… Io posso capire che per chi ‘milita’ politicamente è necessario prendere distanze siderali da commedianti come Salvini, ma purtroppo anche a me l’idea del distanziamento sociale imposto a bambini delle elementari mette angoscia. E questo articolo sembra non mettere minimamente in discussione questa prassi, oltre a non affrontare la questione dal punto di vista degli studenti più piccoli, ovvero: dopo più di sei mesi lontani dalle aule che forma riuscirà a prendere prendere la motivazione dei bambini se, come in teoria sarà, mancheranno gioco, interazione stretta, complicità tra di loro? Dopo mesi in cui io e la mia compagna ci siamo fatti il mazzo per non mandare all’aria l’inizio di un percorso di vita tra i più importanti per nostra figlia, queste prospettive sono desolanti.
La prospettiva dell’articolo è docenti-centrica e lo capisco visto che la mia compagna è insegnante…siete dentro un apparato tecnico che mette voi (trattati da strumenti tecnici) e la didattica al centro di tutto, relegando l’essere umano a comparsa.
Scuola come presidio sanitario vuol dire che in ogni plesso dev’esserci un’infermeria scolastica, cioè uno spazio medico ad hoc, e un medico o almeno un infermiere (cosa ben diversa dall’attuale respondabile sanitario di scuola che va contattato per telefono). In termini pratici, qualcuno che ha le competenze per valutare se due occhi arrossati e due linee di febbre sono un raffreddore, un’influenza stagionale, o peggio. E uno spazio dedicato in cui fare questo accertamento, e tenere in sicurezza lo studente/studentessa in attesa che vengano i genitori (se possono venire) per riportarlo a casa. È il ripristino di una conquista della medicina democratica, abolita negli anni Ottanta, che prevedeva una maggiore vicinanza della medicina ai cittadini, e la tutela sanitaria dei luoghi di lavoro e di istruzione. Perché questo dovrebbe mettere i brividi?
Forse non sono stato esplicito, ci sono entrato solo in un passaggio:
“Capisco che in molte regioni un banco monoposto è una necessità effettiva, ma l’idea per cui il problema di un aumento del rischio di contagio dovuto al sovraffollamento delle classi possa essere risolto con dei banchi più piccoli, a me dà la sensazione che invece di adottare misure strutturali si stia giocando a Tetris.”
Per quanto mi riguarda mettere in sicurezza la scuola non significa né metro buccale, banco monoposto, ecc. Significa che devi porre le condizioni perché si faccia a scuola e quindi a piccoli gruppi si possa stare uno accanto all’altro. La scuola per me è fatta di gruppi studio, ragazzi e ragazze che collaborano e per quello ci vuole la vicinanza. Bisognava creare le condizioni per cui quella vicinanza fosse il meno rischiosa possibile. Una classe da 7 (come, girava notizia, si facesse in Danimarca) è meno rischiosa di una classe da 26.
Quando scrivo che la scuola deve essere un presidio sanitario intendo che ci deve essere un’infermeria, del personale attrezzato e competente, una prassi in caso di emersione di sintomi, test a disposizione e materiale da utilizzare immediatamente qualora ci sia il dubbio di avere qualcuno coi sintomi.
Anch’io ho un figlio che andrà in seconda elementare tra pochi giorni. E anch’io sono incazzato e preoccupato, visto che a febbraio è stato interrotto il suo percorso di alfabetizzazione e apprendimento scolastico dopo appena pochi mesi e non ho alcuna fiducia nel fatto che in queste condizioni si riuscirà a recuperare.
Dunque capisco cosa intendi quando parli di una prospettiva “docenti-centrica” che rischia di perdersi i bambini/ragazzi per strada. Tuttavia non mi pare che l’articolo di plv faccia questo, dato che invita ad assumere prospettive e soluzioni complesse e strutturali che tengano dentro tutti.
Il punto è che questa pandemia sarebbe stata l’occasione giusta per ripensare, ristrutturare, rifinanziare la scuola pubblica, che per decenni è stata lasciata andare alla deriva, proprio a partire dagli spazi, dagli edifici, dagli ambienti, dalle condizioni igieniche, dal numero e dalla qualità del personale e dei programmi, ecc.
Occasione persa, e in realtà non c’era da aspettarsi granché di diverso da questa classe dirigente, come appunto afferma l’articolo.
Ma adottare un approccio complesso e strutturale – che tenga conto delle esigenze e dei diritti di tutti gli attori in gioco – secondo me significa anche uscire dalla prospettiva apertura/chiusura come unica (non) soluzione del problema epidemico.
Se infatti tutti possono essere contagiati e vettori del virus, non tutti si ammalano e non tutti allo stesso modo. Ci sono categorie di persone più a rischio di altre. Per fortuna i giovani e i giovanissimi hanno un rischio molto basso di ammalarsi e ancora più basso di ammalarsi gravemente rispetto agli anziani. Noi lo diciamo da febbraio, figuriamoci, che bisognerebbe concentrarsi sulla tutela speciale di over-60 e malati, anziché continuare a ragionare in termini generici di aperto/chiuso.
Un provvedimento che si sarebbe potuto adottare per la scuola, ad esempio, è tenere a casa gli insegnanti e i bidelli oltre una certa età, e far loro raggiungere la pensione con gli ammortizzatori sociali o gli stanziamenti straordinari. Quindi assumere personale docente e ATA giovane, meno a rischio.
Per il personale andrebbero procurati i dispositivi DPI: guanti, mascherina, gel igienizzante. Lavorano così il personale medico e quello dei supermercati, che si vedono passare davanti migliaia di persone ogni giorno in luoghi chiusi. Lavorano così perfino i barbieri (il mio, ieri, indossava anche la visiera protettiva), che stanno a contatto ravvicinato con le persone in luoghi chiusi.
Dunque si può fare. E credo proprio che nei paesi estremo orientali, dove le scuole non sono state mai chiuse, il personale scolastico lavori così, in effetti.
Volendo anche ad alunni e studenti può essere imposta la mascherina (lavabile). È brutto, è un po’ una tortura, ma sempre meglio che non andare a scuola affatto o fare la didattica a distanza. Tenere i ragazzini distanziati con banchi più piccoli o semoventi con le rotelle è davvero utile, quando fuori da scuola si ritrovano in compagnie più o meno numerose, vanno in giro, fanno sport, socializzano e sviluppano la corporeità come è giusto che sia? Lo stesso fanno i bambini e le bambine. E non esiste un nonno o una nonna al mondo che vorrebbe impedirglielo per allungarsi la vita.
Distanziarli a scuola quindi serve? Non sarebbe meglio proteggere i loro insegnanti e i loro nonni con i dispostivi di protezione individuali? Non sono domande retoriche, me lo chiedo davvero.
A scanso di equivoci: non è mia intenzione farla semplice, non lo è affatto. Personalmente mi ritrovo con una genitrice settantacinquenne, post-infartuata, gravemente ipotesa e con un inizio di diabete. Candidata ideale per soccombere sotto il Covid-19 (btw, pensate quanto può avermi fatto incazzare Marco Revelli, quando ha scritto che noi WM criticavamo il lockdown all’italiana per motivi generazionali, perché non abbiamo amici e conoscenti ultrasettantenni…). Ma mia madre è anche una donna sola, costretta a trascorrere a casa la maggior parte della giornata, a rischio depressione, alla quale fare mancare il rapporto con il suo nipotino equivarrebbe tanto quanto a spegnerla anticipatamente. Alla ripresa scolastica dovremo decidere come comportarci. Se la pandemia dovesse ripartire come a primavera, non credo che le impedirò di frequentare i nipoti, ma magari ragionerò sui DPI e sull’evitare i contatti fisici diretti. A Bologna diciamo: piuttost che gnint, mej piuttost.
Comunque sia, ciò che emerge implicitamente dall’articolo, a mio avviso, è che l’altra occasione persa è stata quella politica. Di fronte alla sospensione del diritto all’istruzione, con metà anno scolastico bruciato e totale incertezza per il prossimo, e dopo sei mesi di immobilismo governativo, le manifestazioni per la scuola sono state poche e troppo poco partecipate (o convinte). Sindacati e movimenti avrebbero dovuto portare in piazza studenti, genitori, corpo docente e personale scolastico in massa, chiedendo le dimissioni di Azzolina e mettendo sotto accusa tutto il governo. Un governo fragilissimo a cui basta fare “Bu!”. Così si sarebbe anche coperto il frastornante cammellaggio di destra del malcontento sociale da parte di Salvini & soci.
Purtroppo questo non è stato possibile farlo per tre motivi: il primo è la mancanza di uno sguardo olistico, complesso, strutturale, che incrociasse il punto di vista di insegnanti , genitori e studenti; il secondo motivo è di politica spicciola, vale a dire la paura che dopo Conte arrivi il governo Salvini-Meloni (e non attaccare Conte da sinistra produrrà esattamente questo risultato); il terzo motivo è che non avendo criticato il lockdown all’italiana quando era giusto farlo, adesso è ben dura adottare quello sguardo critico al quale qui su Giap abbiamo cercato di dare spazio in primavera, perché equivarrebbe a sconfessare le posizioni difese allora.
È un circolo vizioso sotto il quale non solo la scuola, ma l’intero paese, rischia di finire schiacciato, se – come dice plv – non si trasforma la depre in rabbia.
Direi che sull’implicito hai colto. Anche se a me sono mancati tantissimo i momenti pre-mobilitazione: le discussione dal vivo in cui si costruisce un humus collettivo e una discussione ampia. Il resto cresce di conseguenza. Le preparazioni in remoto, evidentemente, non sono la stessa cosa. In primavera e fino a Giugno ci sono state giornate bellissimo e si poteva fare tutto all’aperto con le giuste accortezze, è mancato il coraggio e forse in alcuni casi anche la sbatta.
Sul resto mi trovo sostanzialmente d’accordo. Se le misure sono importanti credo che sia giusto accollarsi ciascuno la propria parte. Invece in questo modo di fa ricadere il problema ai livelli più bassi, su coloro che hanno meno spazio di manovra.
Sì, l’argomento è veramente complesso e l’articolo affronta tanti aspetti tutti insieme e forse troppi. Mi rendo benissimo conto che è veramente difficile mantenere una certa coerenza nell’ipotizzare le soluzioni migliori alla questione e anche io di dubbi ne ho.
Sulla questione dei presidi sanitari scolastici, bene che ci siano, ma in tutta sincerità non credo che esistano medici che attualmente, senza un test rapido (che per quanto ne sò ancora non esiste), possa capire se il moccio al naso di mia figlia (ahimé particolarmente soggetta a raffeddore e tosse) possa essere una normale influenza o la covid19, anche perchè quest’ultima è…un’influenza! O per lo meno, nella maggioranza dei casi i sintomi sono riconducibili ad una sindrome influenzale.
Per cui lo vedo un obiettivo utopistico. Si rischia di battere la strada del “rischio zero” secondo me in questo modo. Ed è una strada che può portare solo verso la paranoia e il baratto tra la ricerca di una vita ricca di senso e la sopravvivenza.
Ma veramente i vostri figli in questi mesi estivi nel giocare con i loro simili hanno tenuto mascherina e mantenuto il distanziamento sociale? Sto parlando dei bambini, sia chiaro. Per noi adulti il discorso cambia e sono d’accordissimo sul fatto che tra il personale scolastico ci siano soggetti a rischio e vadano tutelati, e infatti anche io vedevo come un passaggio obbligato il pensionamento anticipato degli over 60.
Certo che no, già a giugno i bambini erano tornati a giocare nei parchi pubblici senza mascherina. Ma pare che siano le aule con scarso ricambio d’aria a spaventare tutti. Quindi se la mascherina fa stare più tranquilli, magari leggera, di cotone lavabile, così non si inquina…
Stessa situazione di WM4 e di Bradipo, bimba che inizia la seconda elementare (e che l’anno scorso s’è beccata la didattica a distanza seguita quasi interamente da mia moglie, con partita IVA pure lei), genitori nostri ultra settantenni e ultraottantenni (con un ruolo attivo nel rapporto con i bimbi) e parente strett* che fa l’insegnante :)
Degli ultimi 2 capoversi di WM4 sottoscrivo ogni parola, in particolare «[…]Così si sarebbe anche coperto il frastornante cammellaggio di destra del malcontento sociale da parte di Salvini & soci.»
Il fatto è che la mancanza di uno “sguardo olistico” è congenita, e gli unici che sono in grado di fare autocritica sulla mancanza di tale sguado sono quelli che ce l’hanno già. Per quel che posso dedurre io dai ragionamenti sentiti in giro sono pochi all’interno della scuola ad avere uno sguardo lucido come quello di plv.
E qui vorrei aprire una parentesi su un tema che è rimasto sottotraccia in diversi commenti anche ad altri post che è quello della prospettiva di chi è dipendente pubblico, che spesso e anche giustamente si sente sotto attacco e facile capro espiatorio, ma che però dovrebbe ammettere che un problema esiste.
Problema di “forma mentis” e di qualche “abitudine” nella gestione della cosa pubblica (che ovviamente non dipende dal singolo dipendente che ne è vittima) e problema di “percezione degli altri”, su cui ciascuno tende a proiettare la propria visione del mondo e i propri problemi e realtà, che però sono molto diversi.
Senza “ammissione del problema” non sarà possibile nessuno “sguardo olistico”.
Sul merito, sono d’accordo che mascherina in classe sia “il manico della cavagna” e cioè tutto sommato sia un problema minore e un compromesso se l’alternativa è la DAD o assurdi arzigogoli bizantini sul metro buccale o l’impossibile distanziamento in cortile.
Un’ultima cosa sulla scuola parentale: ormai rischia di essere l’ultima “moda” e risorsa del no-vax e del complottista, oltre che essere una cosa tendenzialmente destrorsa e “per chi se lo può permettere”, però io ne ho sentito parlare per la prima volta da una mia amica super new-age con nome Lakota (che non penso sia di destra, francamente, certo non “renziana”) e so che viene applicata in alcuni eco-villaggi, questo per dire che non vorrei demonizzarla completamente.
Confesso che tra i due poli mi sento più vicino alla depressione. Il virus ha devastato qualsiasi possibilità di dibattito non dico razionale ma almeno ragionevole e i diversi provvedimenti, i diversi allarmi, hanno talmente ingarbugliato la matassa che prendere un filo per dipanarne una parte a me pare impresa superiore alle nostre forze. Sicuramente alle mie. Dopo un paio di mesi trascorsi a discutere finalmente de visu con amici, compagni, conoscenti che apprezzo per la loro intelligenza nonostante disaccordi magari profondi, mi pare di poter concludere che non ho alternative tra l’apparire il bisbetico di turno e la rassegnazione. Anche quest’articolo, scritto tra mille paure, tra la necessità di ribadire che figurarsi, no, negazionisti ma che dite?, anzi, dobbiamo proteggerci, proprio per questo annega le condivisibilissime questioni nel mantra del momento (che sarà infinito): proteggersi.
Anche lo spostamento della discussione verso “opportunità per ridiscutere tutto” non riesco a non leggerlo come un abbandono della possibilità di ricondurre sta merda di virus a quello che è e che è sempre stato sin dall’inizio: un virus capace di uccidere gente anziana con gravi patologie e di far passare magari un brutto quarto d’ora a chi è sano. Le eccezioni, che ci sono sempre e ovunque hanno vinto, perché quando dici questo c’è il 18enne del Nebraska, la 42enne dell’Amazzonia, il povero bimbo dell’Aquitania, pornografia morale che serve a chiudere la discussione.
Nella mia “bolla” è quasi impossibile parlare con gli insegnanti, perché divento uno che vuole sbarazzarsi della figlia, ieri stavo per girare un articolo di due amici su volere la luna prima di accorgermi che serenamente dicevano che i giovani sono veicolo di contagio più degli altri, chissà dove hanno letto sta cosa. Forse è uno sfogo e mi scuso ma l’attenzione spasmodica sulla sicurezza io francamente non la condivido e me ne fotte il giusto di quello che dice la destra becera, ho la fortuna di potermi disinteressare di questi ridicoli ricatti.
Però questo modo di tagliare di netto non lo condivido e francamente credo ci giochi contro. Anche perché nel tuo ragionamento c’è solo la vittima, ma è un virus che ti fa essere anche portatore.
“Proteggersi”, sottolineavi, diventa il mantra. Teniamo conto che di fronte a noi abbiamo qualcosa di gigantesco. Mettiamo che i portatori siano veramente solo i più adulti, come pare: comunque quegli adulti nel momento in cui 8 milioni di studenti e 1,5 milioni di lavoratori tornano tutti in blocco a scuola, mettono in moto una macchina enorme.
Giocando coi grossi numeri diciamo che una persona su 7 è direttamente coinvolta, mettici i trasporti e le famiglie. Alcuni hanno fatto un calcolo, che non sono riuscito a ritrovare in fase di stesura, ma se non ricordo male l’apertura della scuola coinvolge circa il 40% della popolazione Italiana.
Tocca proteggersi? Sì, perché c’è una questione di messa in sicurezza. Ma per quanto mi riguarda la protezione (per capirci, mascherine in aula) è qualcosa che fa seguito alla prevenzione, che è tutto quanto scritto nell’articolo. E su questo a mio modo di vedere non si scappa, perché quella massa di persone è facile che metta in modo qualcosa se non adotti misure preventive.
È la paranoia a farmi adottare una serie di strategie, anche retoriche? In parte sì: volevo un articolo che tagliasse le gambe sul nascere ad una serie di critiche che secondo me sono di mero posizionamento. Mi sono accollato una certa pesantezza e sicuramente qualche fastidio, ma quelle critiche non le voglio nemmeno sentire. Delle due cercherei di ricordare che per il livello in cui siamo abbiamo la possibilità di fare tutto: criticare la gestione dell’epidemia E criticare più puntualmente le operazioni del governo.
In parte però non è solo la paranoia a farmi mettere mille paletti, ma è una preoccupazione che secondo me è sana: ci sono troppe variabili di cui il Governo si è lavato le mani: solo la percentuale di ultra 55enni nella scuola è qualcosa di problematico a livello di circolazione del virus.
Trasformare la paranoia in preoccupazione penso debba essere un obiettivo, esplicito o implicito.
Boh, naturalmente non so cosa ci giochi contro e cosa a favore. Ho descritto la sensazione che mi ha lasciato quest’articolo, e non posso certo escludere una certa ipersensibilità. WM4 sotto richiama un certo pragmatismo, ma il mio punto non è questo, anch’io mi metto la mascherina nel locale, per toglierla sedendomi, col gestore che più di me capisce che è un’assurda pantomima ma poi viene la polizia e li fa chiudere e allora che facciamo? un casino ogni volta? Ciò non toglie che quando scriviamo ci sentiamo obbligati a dire che chissà, forse, in ogni caso, e questo io non riesco a condividerlo. In questa risposta citi gli ultra 55enni e io registro un ulteriore abbassamento della soglia, da dove spuntano fuori se il problema a dar retta alle analisi dell’ISS sono gli ultra 65enni con patologie? Dici che siamo portatori, ma portatori di che? Davvero pensi di ammazzare qualcuno, tu, io noi? Certo una percentuale di noi lo farà, come ogni giorno e come prima del virus. Posto che le probabilità siano aumentate – e per convincermi serve qualche studio un po’ decente, non le opinioni di questo o quello – di quanto sono aumentate? Lo 0,stocavolo%?
PLV spero sia chiaro che io non sono in disaccordo con niente di quanto dici su come si dovrebbe agire nell’articolo, ma infastidito dall’accettazione, anche qui, anche tra noi, di una narrazione assurda, che ci vuole ormai costantemente in pericolo. E il tuo discorso sui portatori per me è poco accettabile, perché appunto risente della confusione tra contagiati, malati, malati gravi, morti. Non sono tutti la stessa cosa e, IMHO ci mancherebbe, mettere tutto insieme non aiuta, facciamo di nuovo scegliere il campo all’avversario. In questi giorni mi arrivano questionari per chiedermi cosa farei se R0 diventasse 2 o 3 o forse 10: manderei a scuola mia figlia? Io sì, perché mia figlia corre più rischi stando a casa, giocando con gli amichetti o con me. E sai perché? perché me lo hanno detto i medici che mia figlia corre più rischi gicoando con me o attraversando la strada che beccandosi il virus. E, guarda un po’, io dei medici mi fido. Quando parlano delle cose che conoscono.
Non riesco a non essere d’accordo su ogni riga che hai scritto e confesso che dopo mesi di pausa, anche a me ha lasciato un po’ di amarezza leggere l’articolo (ma questo è un problema mio e delle mie aspettative, non di chi si è impegnato a scriverlo). Posso pensare anch’io che la mascherina alle elementari sia il minore dei mali, ma poi la porteranno come va portata? (mia figlia, quando andiamo al supermercato, se la mette volentieri la sua pezza di cotone con i cuoricini, per poi calarsela istintivamente ogni volta che deve aprire bocca…) E a questo punto non dovrebbe essere obbligatoria quella chirurgica?
Il problema è che con l’inizio della scuola faremo salire definitivamente sul palcoscenico di questa enorme pantomima anche i bambini…e questo mi fa impazzire di rabbia. Spero solo che una istintiva propensione alla disobbedienza nei bambini faccia saltare il banco (o che fantastici banchi a rotelle di cui non riesco a spiegarmi l’utilità…), altrimenti avremo trasformato in maniera definitiva, un luogo di educazione e socialità, in un istituto disciplinare.
“Istituto disciplinare”: ecco, espressione molto calzante di quello che nei protocolli del CTS diverrebbe la scuola. Da qui mi chiedo, nello stilare queste regole, quanto l’aspetto pedagogico (che a mio parere nelle questioni scolastiche, soprattutto per la scuola d’infanzia, dovrebbe avere rilevanza almeno pari rispetto all’aspetto sanitario) sia stato considerato. Siamo pur sempre il Paese che ha dato i natali alla Montessori e al suo metodo. Nella commissione che avrebbe stilato i protocolli per il ritorno a scuola quanti erano gli psicologi infantili, i pedagoghi, rispetto ai epidemiologi, infettivologi? Abbiamo capito che per una questione più che altro elettorale (perché avrebbe avuto conseguenze sociali enormi una mancata riapertura) il ritorno a scuola doveva essere fatto “a ogni costo”, ma, senza un piano che metta al primo posto la salvaguardia della didattica e quindi del rapporto docente-studenti, questa riapertura ha poco senso. O meglio, acquisisce lo stesso senso che ha acquisito riaprire i ristoranti e le altre attività commerciali (ovvero siamo in un’economia di mercato e non possiamo fermarci). Ma la scuola è una cosa ben diversa da un’attività commerciale. Come si è già scritto qui più volte, esaminare un problema complesso in modo monodimensionale come temo abbia fatto il CTS, è molto pericoloso.
Capisco le obiezioni, la rabbia e lo sconforto. Ma bisogna pur farsene qualcosa di tutto questo.
La mia opzione pragmatista per il male minore muove dalla constatazione che non si possa fingere che il clima nel paese non sia quello che è. Il rischio concreto che stiamo correndo è che a breve le scuole vengano richiuse e che l’anno scolastico si svolga a singhiozzo, uno stillicidio di aperture e chiusure di classi o interi istituti a seconda dei singoli casi rilevati o dell’aumento dei casi complessivi. La scuola è il capro espiatorio perfetto per il governo, perché non è “produttiva” e chi ci lavora può essere messo a casa a stipendio pieno, quindi senza impatto economico diretto. Nessuno sta discutendo sulla chiusura/apertura e sulle modalità di lavoro nei grandi hub della logistica e della distribuzione a domicilio, anche se lì i focolai sono già stati trovati (senza per altro che ci fosse alcuna strage).
La scuola va salvata con ogni mezzo necessario: con le lotte, con la rabbia indirizzata, e se serve anche con la pantomima. La generazione che attualmente (si fa per dire) si trova sui banchi scolastici di vario ordine e grado va salvata dal diventare il pungiball di un paese con un tasso di natalità tra i più bassi del mondo, retto da gente di mezza età rimasta psichicamente sotto alla pandemia e che usa gli anziani come scudo morale per coprire la propria inettitudine e obnubilamento. Una comunità umana che per salvare gli anziani sacrifica i giovani non solo inverte le priorità naturali, ma si autocondanna al declino nel giro di pochi anni. E allora sì che il pessimismo della ragione diventerà depressione della volontà.
Sapevamo perfettamente, e lo abbiamo scritto nei mesi scorsi, che le poche voci dissonanti come quelle espresse qui su Giap non avrebbero certo potuto invertire la tendenza generale. Il problema vero, come scrivevo in un commento precedente, è che l’effetto di quella tendenza ha travolto la critica radicale.
Il 2020 è stato l’anno in cui la sinistra sociale (di qualunque sfumatura, dai movimenti anticapitalisti fino ai sindacati confederali) ha vissuto la sua più grande debacle psichica da quando ho memoria. Forse per arrivare a un cappotto come questo bisogna tornare al finire degli anni Settanta.
Questo per dire che stiamo parlando di una botta pesante, non di un incidente di percorso. E proprio per questo bisogna provare almeno a salvare la prossima generazione da questa merda.
Può darsi che mi sbagli, che il mio sia un vizio di prospettiva “genitoriale”, ma qui la citazione tolkieniana la infilo, I’m sorry: «Non spetta però a noi arginare tutte le maree del mondo, bensì fare quanto è in noi per la difesa degli anni nei quali ci troviamo, estirpando il male dai campi che conosciamo, in modo che chi vivrà dopo di noi abbia terra sana da coltivare.» [trad. mia]
La scuola va salvata con ogni mezzo? Sì, ma quale scuola? Quella dove i maestri sono “alla guerra” come titola stamani repubblica (il minuscolo è voluto) sul sito?!
Se possiamo accettare anche la pantomima per la scuola dei nostri figli, stiamo pronti ad accettare che la retorica bellico-reazionaria si impossessi di essa. Proprio quello che non sarebbe, secondo me, mai dovuto succedere.
Magari arriveranno ad insegnare ai bambini che sono dei potenziali killer dei nonni, o che le malattie e la morte sono incidenti di percorso dovuti alla negligenza altrui e propria verso regole igienico-moral-sanitarie presto inscritte nella nostra costituzione:
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sulla salute. La sovranità appartiene al popolo sano e responsabile, che la esercita nelle forme e nei limiti della scienza”
Noi adulti possiamo essere attori consapevoli di una pantomima. Anche i bambini? L’attorialità è piuttosto innata in loro, ma riuscire a fargli capire che dovranno recitare in una commedia dell’assurdo è un compito al quale non sono certo di riuscire.
E comunque se non si parte dall’assunto che la piena sicurezza non esiste in nessun ambito della vita è impossibile dipanare la matassa in cui ci troviamo. La sicurezza è (anche) una gabbia.
“Vivere male, vivere tutti / per nostro signore dei compromessi” dice una canzone…
Chiedo scusa per l’amaro e (forse) cinico sfogo.
Condivido l’amarezza di Bradipo.
Il mio punto di osservazione è su una fascia d’età più avanzata: figli di 19 e 22 anni (e ringrazio il cielo – vigliaccamente! – di aver chiuso il capitolo “scuola”), ma direi che anche il vissuto dei giovani non più bambini sia significativo, e il loro silenzio in tutto questo di per sè desta sospetti.
In breve: la Dad ha dato il colpo di grazia al mio grande. Dopo un tormentato percorso liceale aveva finalmente scelto l’accademia di belle arti. Nonostante la fumosità degli sbocchi si era appassionato, ma quando il corso di litografia (per dirne uno) ha cominciato ad arrivargli in camera da letto in forma di video tutorial sul cellulare ha detto basta. Cioè, non ha detto niente, è uno che a parole si esprime poco, si è limitato ad andarsene, ma il senso è chiaro: non mi presto a questa presa in giro.
Poi, con un senso di responsabilità (per lui) sorprendente, mi ha chiesto se una sua iscrizione a un master privato di animazione a Firenze sarebbe economicamente compatibile per noi, contribuendo lui alla spesa con lavoretti: costa, e non perde tempo con cose come *educazione* o *maturazione artistica*, dritto alla professionalità! ma almeno – dato che si paga – dovrebbe dare quello che promette.
Anche senza parole la sua posizione a me appare chiarissima, lucida, fulminante: disillusione totale sul sistema pubblico (di istruzione ma anche in generale); accettazione del mercato come unica risposta – T.I.N.A. – non se ne esce; i miei problemi me li risolvo da solo, la dimensione collettiva non c’è (nel silenzio degli studenti forse c’è molto di questo).
22 anni, figlio di militanti. Con che argomenti gli dico che si sbaglia?
Sua sorella, 19 anni, ha una visione diversa. Ingoierà pazientemente ‘inizio dell’università in Dad confidando che non sarà per sempre. E’ una de* ragazz* dei FFF, forse questo le da una inconsapevole fiducia nella possibilità di cambiare le cose… ?
Ho tagliato qua e la per stare nei 2300 caratteri
Per me la scuola deve restare aperta e salvata con ogni mezzo, anche con la pantomima come dice WM4 se necessario, purché la “pantomima” serva, alla lunga, a svelare che proprio di pantomima si tratta (come la mascherina al ristorante). E bisogna battere sui numeri e sui dati e sulle pubblicazioni scientifiche ed evidenziare gli errori (anche dei capri espiatori) ogni volta che è possibile.
Però:
1) come Mars 9000 temo anch’io che l’aspetto pedagogico nella stesura dei protocolli sia saltato a piè pari, non solo perché nella commissione di pedagoghi forse ce n’erano pochi (boh?), ma anche perché se c’erano avranno fatto parte della maggioranza che mette in cima a ogni priorità la questione sanitaria.
2) dice Bradipo: «quale scuola? Quella dove i maestri sono “alla guerra” ?» Questo è il nocciolo:
io non lo so, non è retorica, ma quanti nel personale della scuola la pensano come plv e fanno parte delle “voci dissonanti” e quanti, invece, hanno aderito anima e corpo (senza mio giudizio negativo, è successo a tanta gente di sani principi) alla narrazione generale, sono preoccupati a livello più emotivo che razionale per la salute propria e dei propri familiari e riescono a vedere come unica priorità l’aspetto sanitario mentre per quello pedagogico “beh, sì, quando sarà possibile ci penseremo”?
Concludendo, contiamoci perché le voci dissonanti sono poche, e qualcuna è dispersa là fuori oltre gli steccati abituali, fra gente che si pone dei problemi (e che ha dei problemi, anche economici e di assenza di tutele) ma non ha la formazione politica per evitare di farsi “blandire” da soluzioni destrorse o populiste.
Occhio quindi (ma tanto non c’è oggi nessun soggetto politico a cui farlo presente) che se nessuno le porta dalla parte giusta queste voci dissonanti disperse faranno in fretta a finire fra i “negazionisti tout court”, o a dare retta ai rossobruni e bruni citati da plv nell’articolo.
E non sarà poi del tutto “colpa loro”. Perché se vedi che qualcosa “non va”, e tutti quelli della tua parte ti dicono che “no, invece va tutto bene ed è ora che ti dai una regolata”, è facile poi dare fiducia al primo che ti dice “hai ragione, ci sono alcune cose che non vanno e ti spiego il perché”, anche se questi è rossobruno…
Quello che mi conforta è che non sono l’unico allora ad avere questa sensazione di cui parlano Robydoc e Bradipo. La sensazione che accettare di tornare in classe a queste condizioni sia una soluzione di merda per i bambini. Non credo di essere un classista perché mi sto arrovellando per trovare delle alternative momentanee alla scuola di stato. Io ora sono disoccupato, e quindi posso arrabattarmi per stare con mio figlio per qualche (altro) mese, di organizzarmi con altri genitori. Magari la soluzione non è accettare di rientrare a scuola a qualsiasi condizione, ma temporalmente, fino ad ottenere alcune delle cose che ci si propone, spostare l’educazione altrove, per protesta, insieme.
Piuttosto che fare manifestazioni aggirandosi incazzati per le città, la rabbia la si potrebbe veicolare verso delle giornate di condivisione, di lezioni/manifestazioni, di educazione rivoluzionaria… Non a casa nuclearizzati ma in spiaggia, in piazza, al parco. Noi genitori ci possiamo organizzare fino a natale in gruppi che mandino un segnale allo stato, già lo stiamo facendo, sempre in minoranza, ma abbiamo bisogno di professori e presidi coraggiosi, che siano disposti a mettersi in gioco senza paura. E questo non vuol dire non lottare anche all’interno delle scuole. Ma all’interno c’è sempre la spada di Damocle che può mandare all’aria ogni tentativo nel giro di un TG che stigmatizzi un singolo contagio, o un focolaio…
Non mi sfugge che le cose che per me sono più importanti nel mandare mio figlio alla scuola pubblica, ora vengono a mancare. E non solo quelle che lo sono per me, ma anche per lui (8 anni). L’interazione con altri adulti e i propri coetanei, la socialità in primis. Ma anche lo sport, le attività extrascolastiche, la ricreazione, la mensa… tutte saltate o fortemente contingentate. E non è un caso.
La grande offensiva del capitale che approfitta del virus è proprio contro questa scuola. La scuola che nel passato aveva l’utilità per lo stato di fidelizzare per prima i nostri bimbi alla cultura delle élite, ora non è più necessaria, quando si possono raggiungere gli stessi obiettivi con pochi mesi di martellante propaganda mediatica. Quindi le cose che veramente sono utili per i bimbi nella scuola pubblica, possono essere tranquillamente smantellate, per lasciare solo quelle utili al capitale (vedi DAD, disciplina, cultura consumista, scuole private). E capisco che il fatto che il capitale voglia cacciarci e distruggere definitivamente la scuola pubblica sia motivo sufficiente per fare le barricare, ma purtroppo temo che non servirà molto farle dentro le scuole, come non è servito molto negli ultimi decenni di smantellamento e men che meno in queste condizioni.
Tra l’altro tutte le responsabilità vengono scaricate su professori, presidi e genitori. E allora prendiamocele queste responsabilità, ma tutte. Se le aule rimangono semi deserte per mesi, o completamente vuote per qualche giorno, tipo un giorno alla settimana dove tutti ci riversiamo a fare educazione in strada, forse avremo più peso e potremo ottenere più cose dalla stato, potremo lottare meglio per quella scuola, ogni lunedì appuntamento alle 8.30 in Piazza Tal dei tali e via fino a pranzo, poi mega mangiate al sacco e tutti a giocare! Sai che segnale! In ottica Covid ma non solo. Così si evita pure che anche in questa occasione tutta la protesta venga lasciata in mano alla destra. Che il 5 settembre c’è la Marcia su Roma delle mamme e le nonne borghesi… pure questa no!
Capisco bene il problema che pone Cugino di Alf. In un momento in cui moltissimi precari si sono ritrovati a reddito zero, e in cui tanti dipendenti hanno dovuto lavorare per forza, venendo contagiati (vedi gli spedizionieri), i dipendenti pubblici rimasti a casa a stipendio pieno possono facilmente apparire come dei “privilegiati”, in base a una vecchia vulgata dura a morire. Come ogni vulgata, ha un fondo di verità, che presta il fianco all’avversione verso i “garantiti” nel momento in cui ad esempio il corpo docente pone degli aut aut per il ritorno a scuola, senza mettere davanti il diritto all’istruzione.
Ma il punto è proprio quello che pone plv nell’articolo: non bisogno cascare nella guerra tra poveri. Bisogna tenere assieme il diritto alla salute dei lavoratori e quello all’istruzione. Per questo, dicevo, si sarebbe dovuti essere tutti in piazza contro il governo fin da giugno, con una radicalità e soprattutto una partecipazione sindacale ben diversa. Se prevale il corporativismo – dei docenti o genitoriale – allora sì, è la guerra tra poveri e non si va da nessuna parte.
E capisco anche il grande robydoc, nonostante il suo pessimismo, quando legge questa discussione come un parziale cedimento alla paranoia. Eppure, roby, con la paranoia tocca fare i conti, perché c’è, abilmente fomentata da mass media e agenzie governative, per tenerci sotto scacco e coprire l’inadeguatezza plateale della classe dirigente. Lo sappiamo che non è stato dimostrato che le scuole siano state focolai epidemici, e nemmeno che bambini e ragazzi siano vettori privilegiati del virus (anzi, ci sono indizi che porterebbero a dire il contrario), ma qui si tratta davvero di salvare il salvabile. La parte più drammatica di quanto scrive plv riguarda l’abbandono scolastico, i ragazzi e le ragazze mandate a lavorare, e i bambini e le bambine figlie di emigrati che stanno disimparando a leggere e scrivere in italiano, quando avevano appena cominciato a farlo. In ballo c’è ben più che il diritto all’istruzione, ne va del diritto all’infanzia e all’esercizio della cittadinanza. Quindi se per salvare una generazione dal baratro devo mettergli una mascherina – per quanto si tratti poco più che di un gesto apotropaico – io sarei propenso a farlo. Per semplice pragmatismo, non so se mi spiego. Purché non si ritorni al rovinoso chiuso/aperto.
Ancora una cosa su quanto scrive Cugino. Il fatto che la homeschooling stia venendo sdoganata “a sinistra”, passando da un certo fricchettonismo new age e quattrinaio, e approfittando del dissesto della scuola pubblica prima e dopo la pandemia, non mi spinge affatto a essere indulgente, bensì a condividere con ancora maggiore forza quanto affermato nell’articolo di plv a questo proposito.
Se gente che su altre cose la pensa come me si lascia blandire su questo tema, domani si farà blandire su qualcos’altro. È quella che nell’articolo viene detta “destra diffusa”, che non si manifesta solo attraverso la xenofobia “decorosa” del PD come versione borghesemente digeribile della xenofobia becera salviniana, ma anche come libertarismo famigliare nella forma dell’educazione parentale e del privilegio di classe. L’idea è che se la scuola pubblica conquistata a caro prezzo in secoli di lotte non ci piace, educhiamo noi i nostri figli, così verranno su meglio. Non pochi cattolici tradizionalisti sottoscriverebbero questa posizione. Ma loro hanno i soldi dallo stato per farsi le scuole paritarie. A quando le scuole private new age? (Esistono già, lo so, lo so…). La homeschooling libertario-fricchettona, oltre a essere un ritorno all’Ottocento, è la stessa risposta dei cattolici tradizionalisti declinata in un altro modo, sulla base di una visione diversa. Come dice plv: questo è il nemico e bisogna saperlo riconoscere, non solo quando si manifesta dall’altra parte della barricata. E qui mi fermo, altrimenti potrei partire con un pippone tolkieniano propro su questo tema, che sfrantumerebbe ovaie e maroni a tutt*.
Sì, sulla homeschooling hai ragione, capisco che da qualunque parte provenga è un modo per dire “ti educo io come dico io”, mentre invece l’idea stessa di scuola pubblica e il diritto all’istruzione sono ben altra cosa.
Relativamente ai dipendenti pubblici, grazie per aver colto il punto della questione che sollevavo e che rischia sempre di essere fraintesa o di essere etichettata come argomento demagogico e “produttivista”.
Sui dipendenti “rimasti a casa a stipendio pieno” ci sarebbe poi molto da aggiungere (non sto parlando di scuola), anche circa la reale possibilità offerta di fare “telelavoro” o sulle modalità, a lockdown ampiamente finito, di poter riprendere la normale attività quando i dirigenti evitano di prendersi la “responsabilità” di avallare, “missioni”, rientri etc. etc., ma non vorrei scadere nella demagogia di cui sopra.
Circa il pessimismo di Robydoc lo capisco perfettamente, anche nella mia esperienza qualunque forma di dialogo o di confronto con persone che per la maggiorparte “erano” fino a prima del lockdown sulla stessa parte della barricata è scomparsa.
Purtroppo la paranoia c’è e si è innestata su un “substrato” culturale (securitario e decorista) da cui forse non si era abastanza vaccinati, se attecchiscono anche fra gente normalmente molto documentata le leggende sulla movida, i giovani, etc. e viene guardata con sospetto (sabotatore! negazionista del covid!! illuso!! esperto del senno di poi!!!) ogni critica alla gestione pregressa e attuale…
La paranoia per come la vedo io non è abilmente fomentata solo da mass media e agenzie governative, ma prospera anche grazie al consiglio di accettare di buon grado le mascherine a scuola “come male minore” altrimenti si chiude, si fa la DAD o si va a lavorare. “Il rischio concreto che stiamo correndo è che (…) l’anno scolastico si svolga a singhiozzo, uno stillicidio di aperture e chiusure”: certo, questo lo state chiedendo voi che volete test e tracciamenti a scuola (ovvero ficcare nel naso di ogni bambino che starnutisce un tampone fino alla gola: non c’è altro metodo, il medico scolastico non può a valutare “ad occhio”). E lo chiedete nonostante abbiate osservato voi stessi che “nei grandi hub della logistica (…) i focolai sono già stati trovati senza per altro che ci fosse alcuna strage”. Sfugge perchè la scuola dovrebbe essere piu’ pericolosa e contagiosa di altri luoghi di lavoro o aggregazione, sfugge perchè non si prescrive di ficcare obbligatoriamente nel naso un tampone ai commercialisti, ai sindacalisti, ai preti, alle cassiere, alle cancelliere, ai viaggiatori mentre ai bambini si, sfugge perchè si sia cosi SICURI che il calo di contagiosità di un’aula con 15 al posto di 25 bambini sia cosi rilevante da giustificare la distruzione della scuola pubblica italiana. PLV scrive che “è molto chiaro che su una cosa ci può essere ampia condivisione: è necessario che la scuola sia di per sé un presidio sanitario per il monitoraggio dei contagi”. Fra i commenti vedo ampia condivisione, piuttosto, delle perplessità e dei rifiuti avanzati da Bradipo, Malatesta, Mars9000 e RobyDoc. Che “il nemico” poi siano i genitori che a sottoporre i bambini a questo trattamento (e questa visione del mondo, delle vita, della comunità) non ci stanno (quando invece dovrebbero “scegliere il male minore” per “salvare la scuola pubblica”) avrei immaginato di leggerlo altrove, non qui (ma sbagliavo).
Per come la vedo io, la peggior trappola retorica in cui si è caduti è proprio il fetish della mascherina, il mascherinocentrismo della discussione. Chi ne fa la strumentale apologia, chi la considera miracoloso talismano e chi la considera il male assoluto hanno in comune il fatto di feticizzarla, di ridurre tutto al fatto di portarla o non portarla. Non se ne esce, se non ci si rende conto che il piano è falsato. Siamo stati tra i primissimi in Italia a criticare il teatrino della mascherina all’aperto, ma oggi il teatrino si è esteso, include anche il fetish, anche l’atteggiamento “no mask”, i due schieramenti sono speculari e convergenti sul dare troppa importanza a ‘sta mascherina. La maggior parte della gente è più laica e disincantata, a volte la porta e a volte no, a seconda delle sensibilità e della possibilità o meno che ti rompano i coglioni, non ci fa sopra delle crociate che sono surrogati di lotte vere. Dopodiché, la richiesta di snellire le classi assumendo più insegnanti è una rivendicazione che precede il Covid di molti anni, smettere di farla per non stare dalla parte di chi ha paura del Covid non sarebbe altro che bastiancontrarismo, cioè subalternità. Stessa cosa per quanto riguarda l’augurarsi che la scuola pubblica non riapra pur di dimostrare che si rifiuta la mascherina. No, questa non è certa roba che potevi razionalmente aspettarti di leggere qui sopra, a meno, appunto, di non scriverla tu. Esiste la critica radicale, che va tenuta come insieme di punti di riferimento, ed esistono i concreti terreni di lotta da praticare. Nessuno, ma proprio nessuno qui ha detto che la scuola è più contagiosa di altri luoghi e altre fesserie che attribuisci. Semplicemente, si è fatto notare che per lottare all’interno della scuola (anche contro la pantomima), dev’esserci la scuola. Se pensate di poterla sostituire con la famiglia (home schooling non significa altro che questo: famiglia) vuol dire che, a differenza di moltissimi altri, potete permettervelo. Oppure state solo parlando in astratto, agitando grandi principii, senza alcuna preoccupazione per contesti, rapporti di forza reali, terreni di lotta concreti. Su questo non vi seguiremo, la scuola pubblica è troppo importante, più importante di un fetish o di un kink passeggero.
Hai deformato e poi ridicolizzato il mio intervento. Se lo leggi, non è incentrato sulla mascherina (“surrogato di lotte vere”) ma parla di tamponi e tracciamento nelle scuole, del senso della riduzione del numero degli studenti (non ho scritto che vanno bene la classi affollate nè che non bisogna lottare per avere più insegnanti, ho scritto che non ha nessun supporto scientifico il fatto che diminuendo del 30% la densità, il rischio contagio diminuisca in modo tale da giustificare il blocco della scuola se non si raggiungono le nuove densità ammesse). Li giudico concreti terreni di lotta da praticare e vi critico, senz’altro, l’alzabandiera sulla mascherina e il silenzio sui tamponi obbligatori per i bambini (e sulla ragionevolezza di molte altre prescrizioni). Dire che le nuove procedure vanno accettate “altrimenti la scuola non apre”, INVECE DI invitare alla rivolta contro queste procedure, non la trovo una posizione condivisibile: proprio perchè contribuisce a spostare a sfavore i rapporti di forze (se “perfino wu ming scrive che….”). Perdonami infine ma attribuirmi che mi auguro “che la scuola pubblica non riapra pur di dimostrare che si rifiuta la mascherina” la trovo una bassezza. Il succo de discorso fra post e commenti pare “accettate tutto (cosa rifiutate?) pur che la scuola riapra”: non ci sto. Non ci sono rapporti di forza necessari per cambiare le condizioni? Questo non si può mai sapere a priori, ma suggerire di non provare nemmeno ad opporsi all’avversario non aiuta.
Ovviamente, qualunque enunciato che inizi con «Se perfino Wu Ming» dipende da che idea di Wu Ming ha in testa l’enunciante.
Tutto l’articolo di plv e tutti i nostri commenti – che come ha ricordato WM4 sono in piena continuità con quanto abbiamo scritto in precedenza – dicono precisamente che bisogna opporsi all’avversario, cioè a chi usa l’emergenza Covid-19, tra le altre cose, per ultimare lo smantellamento della scuola pubblica.
Se non si capisce che tale smantellamento può essere combattuto solo da dentro la scuola pubblica fatta in presenza, cioè dentro il mondo reale che è fatto di contraddizioni, differenze di approccio e pratiche “spurie”, si resterà a concionare da postazioni virtuali dove si fa a gara a chi è più puro, mentre la scuola pubblica viene smantellata.
Bada che per noi sarebbe comodo, a livello retorico, limitarci a dire “sono tutte stronzate, a queste condizioni a scuola non si torna!” Solo che non esiste solo il livello retorico, la realtà non è un grande talk-show.
Le linee-guida assurde, le indicazioni contraddittorie, le paraculate del governo dove le possiamo contestare, all’atto pratico, se non nell’esperienza quotidiana, concreta e vissuta della scuola? Non certo nello spazio commenti di Giap.
Nel 2020/21 nessun figlio di papà (cattolico o radical) verrà mandato a scuola con la tosse o gli occhi lucidi o 36.9 di temperatura. Tamponi, isolamento, segnalazione all’ asl, tracciamento dei famigliari e reperimende di compagni e maestre saranno optionals riservati a chi a scuola deve andarci in qualsiasi condizione. Magari in qualche scuola questi optionals capiteranno piu spesso ai più reintenti al sistema-classe (così…Mi viene da imamaginarlo. No? Una specie di punizione…Ti faccio fare il tampone). La scuola è così poco uguale per tutti come sono poco uguali i genitori (magari disoccupati – come, mi pare, chi ha scritto in un commento su questa pagina) che dicono “piuttosto che mandare mio figlio con queste regole lo tengo a casa” rispetto a quelli che pensano voglio il meglio per mio figlio, la paritaria di Santa Genoveffa o il precettore privato coi dreads. Non ci sto a chiamare nemico il primo (nè in generale a incasellare tutti nello stesso schema). La lotta per la scuola si può fare da dentro (come quelli che vogliono cambiare il PD da dentro, so che è una battuta che presta il fianco ma non resisto) ma anche da fuori (se a rimetterci in prima linea è tuo figlio di 3 anni). Non tutti se lo possono permettere? Vero, come non tutti hanno il tempo di leggere e intervenire sul blog Wuming. C è chi ha solo qualche sassate a dimposizione, o la fuga. Lasciamogliela prendere senza anatemi. Quando i rapporti di forze sono così sbilanciati diventa ipocrisia dire “lotto per cambiare il sistema” (lasciando dall’indomani tuo figlio di 3 anni in ostaggio). Lo si fa solo fino a quando le condizioni sono accettabili. E ora per molti non lo sono più.
È la seconda volta che ripeti che qui si sarebbe additato come nemico questo o quel genitore. Qui si è detto che l’home schooling o comunque tenere a casa i propri figli non può essere una soluzione a nessuno dei problemi della scuola pubblica. Sono due cose piuttosto diverse. Invece tu hai appena dato dell’ipocrita a chi i figli a scuola vuole mandarceli, e l’hai accusato di volerli «lasciare in ostaggio». Queste sono affermazioni canagliesche, questo sì è additare il nemico, non c’è equivoco possibile.
Quanto al paragone tra l’odierna scuola pubblica – conquista di cicli e cicli di lotte – e il PD, che presenti come battuta, dirà forse qualcosa sul tuo senso dell’umorismo, se a qualcuno può interessare, ma non dice niente di utile ai fini di questa discussione.
Come si fa la lotta da fuori? Allo stato non frega niente di quello che succede fuori. Stiamo parlando dello stesso stato che paga per sbolognare gli studenti alle scuole private. E sì, dietro c’è un’ideologia. Ma la realtà plasmata dall’ideologia non è meno reale. Se ti fai l’home schooling, la realtà è che gli risolvi solo un problema. L’anno prossimo stanzieranno risorse per un numero di studenti inferiore.
Per raggiungere il numero minimo di battute aggiungo che ho parecchi dubbi anche sul tampone usato come spauracchio/punizione. Non foss’altro perché un insegnante che si permettesse di prendere un’iniziativa del genere, poi dovrebbe chiudersi in casa per paura delle bastonate dei genitori più che del contagio. Piuttosto, il problema è proprio quest’ultima, con l’eccesso di prudenza che ne potrebbe derivare. Ma per calibrare le misure, appunto, devi stare dentro, non fuori. Devi confrontarti con le diverse sensibilità dei vari soggetti coinvolti. Ed è anche e soprattutto per questo che sarebbe davvero utile avere personale sanitario all’interno delle scuole.
Esattamente. L’home schooling non fa che accelerare la tendenza alla privatizzazione della scuola, è un regalo alle “paritarie”, alle scuole confessionali, alle scuole cielline ecc.
L’home schooling, se davvero prenderà piede come prassi che anziché affiancare la scuola la rimpiazza in toto, non potrà che sfilacciare ulteriormente il tessuto sociale. Già viviamo in un ecosistema influenzato dai social media che porta a creare “filter bubbles”… Se si spinge per allontanare tra loro sempre più le diverse formazioni, educazioni e socializzazioni dai bambini, la cosa non può che peggiorare. Un genitore già educa i propri figli da genitore, se lo fa anche sostituendosi alla scuola, ecco lo scenario che viene in mente a me: la famiglia razzista tiene il proprio figlio lontano dai figli dei “negri” e gli insegna a temerli e disprezzarli; la famiglia intrippata di pseudoscienze e/o fantasticherie di complotto insegna al proprio figlio che la terra è piatta o altre amenità; il fascio insegna revisionismo storico; il fricchettone fa il remake italiano di Captain Fantastic…
Sì, i genitori trasmettono già ai loro figli i loro valori e la loro visione del mondo, ma grazie alla scuola e agli altri ambiti di socializzazione questo avviene con contrappesi, con la possibilità di sentire “le altre campane”.
Inoltre, mi sembra che si siano fatti giganteschi passi indietro rispetto alla critica della famiglia che i movimenti hanno espresso, e ci si stia immaginando la famiglia come il luogo ideale. La verità è che da molte famiglie è giusto che i figli scappino a gambe levate non appena ne hanno l’occasione, che molte famiglie sono terribili “apparati di cattura”, che molti genitori sono apprensivi e si comportano in modo ansiogeno, e che molti bambini e ragazzi vivono le ore lontani dalla famiglia come un sollievo.
D’accordo con WM1 quando stigmatizza il feticismo legato alla mascherina. Mi chiedo: È inutile? All’aperto sicuro, ma al chiuso in un’aula stipata (perché le aule erano e rimarranno stipate)? Non lo so, e allora adotto il principio di precauzione, a meno che non voglia far combattere a mio figlio ottenne una lotta ideologica che è mia. E poi, quale sarebbe l’alternativa alla mascherina? La DAD? L’home schooling? Davvero vogliamo barattare la scuola pubblica per una mascherina?
Se mio figlio ha la febbre e tossisce, o mi affido ad un pediatra-mago che riconosce a occhio i sintomi del Covid o gli faccio fare il tampone; è chiaro che opterò per la seconda ipotesi. Caloges si ostina a vedere nel tampone una “punizione” elargita dal sistema, un modo per “tracciare” (chi? Cosa? Per dare i dati a quale GF che, in una stanza buia, passa la vita ad osservare le vite degli altri?), non un presidio sanitario. Mi ricorda un’altra battaglia sulla quale, personalmente, non sono d’accordo.
Aggiungo un dettaglio, magari inutile, magari importante.
Se non sbaglio, i docenti supplenti, anche con contratto annuale (quindi parliamo di più di *duecentomila* persone nelle scuole italiane, se ricordo bene i numeri di quest’anno) sono ancora soggetti alla legge Brunetta. Per ogni giorno di malattia, anche presentando certificato medico, subiscono una decurtazione di stipendio.
Mi sembra un incentivo nefasto, nel caso si accusino sintomi lievi: chi non si può permettere di perdere 60-70 euro, secondo voi cosa farà? Andrà a scuola fino al momento in cui i sintomi sono manifesti, e nel frattempo infetticchierà un po’ in giro. No bueno.
Francamente, sono abbastanza demoralizzato. Ho litigato con il mio sindacato (che non fa altro che scrivere comunicati stampa) e l’impressione è che lo sfascio della scuola pubblica stia raggiungendo un punto di non ritorno. Spero di sbagliarmi.
Sinceramente, non vedo come si possano accettare, nemmeno lontanamente, queste indicazioni operative. Leggiamo con attenzione a p.9: se un bambino presenterà anche solo “UN sintomo compatibile con COVID-19” – fra cui (p. 5) tosse, nausea, congestione nasale (!) -, sarà portato in “un’area di isolamento”; saranno chiamati “immediatamente” i genitori, che dovranno subito chiamare il medico di famiglia. E tutto ciò anche solo, a norma di legge, per un colpetto di tosse o un po’ di naso otturato. E in tutt’Italia, peraltro, mica solo nei comuni che hanno avuto un notevole aumento dei morti (di immunodepressi).
C’è un nome per questi provvedimenti: follia.
Ricordo un cugino piccolo che, avendo sempre gente attorno a dirgli di lavarsi le mani, lo faceva con una frequenza tale da farsi le mani tutte arrossate. Posso solo immaginare i problemi psicologici che tanti come lui avrebbero una volta capito cosa provoca fare due colpi di tosse, o soffiarsi il naso etc. Per non parlare ovviamente della distanza fra bambini, che per crescere mentalmente sani hanno bisogno invece di giocare liberamente e vicini fra loro.
Qui secondo me non è una questione di compromessi, ma di salvaguardare la salute psicologica dei minorenni (vale anche per gli adolescenti, ovviamente). E quel che bisogna fare è protestare, mantenendo le distanze da leghisti e simili. Altrimenti accetteremmo davvero tutto, e creeremmo dei precedenti molto pericolosi.
Certo che bisogna protestare, ma bisogna anche tornare a scuola. In quale altro modo pensiamo che queste direttive ministeriali risulteranno per l’assurdità che sono?
Se ogni bambino e bambina col moccio al naso o un po’ di tosse verrà rimandato a casa, le avremo davvero le classi dimezzate durante l’inverno, non ci saranno problemi di spazio, quanto meno alla materna e alla primaria. Ma gli insegnanti come andranno avanti col programma? Con mezza classe? Con la DAD? Le contraddizioni si faranno subito sentire (la lucha sigue, ebbene sì), ma è certo che se la scuola resta chiusa possiamo metterci una bella pietra sopra, facendo un gran favore a chi vorrebbe tanto lavarsene le mani. Io resto dell’idea di plv espressa nell’articolo: mai come prima la scuola pubblica dev’essere terreno di conflitto, campo di battaglia.
Credo anche che per forza di cose piano piano i docenti inizieranno a farci meno caso al naso colante o al colpo di tosse, e certamente non potranno imporre il distanziamento durante la ricreazione nei cortili scolastici, quindi facilmente imporranno la mascherina, ma almeno ci sarà la ricreazione, ci sarà la scuola (probabile che se la passeranno peggio gli adolescenti, se dovranno “ricreare” nelle aule, anziché nei corridoi), le attività saranno riprese, e pure i lavoratori della scuola saranno tornati a guardarsi in faccia, e a confrontarsi. Perché ce n’è bisogno, c’è bisogno di tornare a ragionare di scuola a scuola e non nell’astratto dei siti web dedicati. Così come c’è bisogno che i nostri figli e figlie tornino a condividere le loro giornate con i coetanei e ad apprendere collettivamente anziché individualmente o con l’homeschooling. Ne va della loro formazione personale (e non mi riferisco certo alle nozioni o alle skills…).
Teatrino o no, non si può fingere che la paranoia non abbia scavato nella mente delle persone, isolandole, deprimendole, e rendendole più fragili. Dopo mesi di disinformazione sistematica e con il panico nuovamente sparato nell’aria con i cannoni da neve in previsione dell’autunno, quale dirigente scolastico si assumerebbe la responsabilità di dismettere la mascherata, rischiando una denuncia per negligenza? E quale insegnante over-60 andrebbe a scuola a cuor leggero? E chi metterebbe la mano sul fuoco che dovrebbe farlo?
[N.B. A scanso di equivoci, per me questo discorso sui prepensionamenti degli over-60 e la cassa integrazione fino alla pensione si sarebbe dovuto fare per tutte le categorie di lavoratori dipendenti, e sarebbe stata una bella battaglia in controtendenza rispetto all’innalzamento dell’età pensionabile degli ultimi decenni, condotta brandendo una causa sanitaria e ritorcendo le retoriche e il teatro contro gli stessi propagatori…].
Con questa cosa dobbiamo farci i conti, dobbiamo togliere i pretesti per non riaprire o per richiudere subito le scuole. Per questo ho detto tutela delle categorie a rischio e DPI per gli altri. *Questo non significa smettere di criticare gli aspetti teatrali della faccenda*, anzi, la critica va ribadita. Nessuno qui ha detto che si debba rientrare a scuola acquiescenti, anzi, tutto il contrario: bisogna rientrarci con l’intenzione di difendere con le unghie e con i denti il diritto all’istruzione universale. Bisogna riguadagnare spazi, diritti, margine di movimento e di aggregazione.
Quando noi WM siamo rientrati in libreria, il 21 aprile scorso, per portare solidarietà attiva ai librai indipendenti che avevano deciso di riaprire, lo abbiamo fatto con la mascherina e il distanziamento. Non volevamo certo mettere nei guai i librai, né offrire ai mestatori di turno l’occasione di impallinarci. Ciò che contava per noi e per chi è venuto con noi quel giorno è che quel piccolo passo venisse fatto: si è tornati a vedersi, a frequentarsi in carne e ossa, con un libro in mano, dopo due mesi di arresti domiciliari. Mascherati, benché su Giap avessimo pubblicato articoli contro il feticismo della mascherina e avremmo continuato a farlo. Ecco, non stiamo sostenendo niente di diverso da allora.
Che occorra tornare a scuola, sono sicuramente d’accordo, ma secondo me servono tutt’altre indicazioni operative.
Mi rendo conto di tutte le ragioni di chi ha bambini da portare a scuola tra dieci giorni, e quindi è portato a voler salvare il salvabile, a scendere a patti in qualche modo con la follia odierna sperando che le disposizioni restino lettera morta.
Però ci sono delle ragioni forti che mi spingono a dire no, protestiamo (andava fatto da agosto, in realtà) per ottenere altre disposizioni, molto meno stringenti, anche a costo di rimandare l’ingresso a scuola di qualche settimana. Questioni che mi sembrano scogli inevitabili:
– la difesa del benessere psicologico dei bambini. Perché da piccoli si è estremamente ricettivi, e temo davvero le conseguenze psicologiche derivanti dal vedere un compagno segregato per due colpi di tosse, etc. Appellarsi al buon senso dei docenti secondo me è troppo ottimistico, perché non ci sono segnali in tal senso nella cultura generale: anzi, tutt’altro.
-I precedenti creati da simili dispositivi di potere (messi indiscriminatamente in mano al personale scolastico). Una volta accettati, chi e quando li rimuoverà? E perché? (Non muoiono ogni anno tante persone per l’influenza? etc.)
[Tutto ciò fermo restando che il mio intento non è certo accusare d’incoerenza nessuno, ma semplicemente
porre l’accento su questioni che mi sembrano fondamentali, e suggerire una strategia diversa su una data questione nell’immediato. Questione peraltro molto delicata]
Capisco la questione dei precedenti. Questa pandemia è un’orgia di precedenti più o meno pericolosi sul piano politico e non solo, anche se la stiamo affrontando come nel XIV secolo (e di questo dovremo chiedere perdono alle generazioni future). Però non credo di aver capito la questione dei dispositivi di potere indiscriminatamente in mano al personale scolastico. Un discorso alla luce dell’altro implica la possibilità che i presidi, per dire, in futuro avranno facoltà di applicare misure di “contenimento” analoghe a loro piacimento. Che è uno sviluppo teoricamente possibile e di cui non mi stupirei più di tanto, ma non mi sembra un passaggio automatico. Allo stato attuale, anzi, mi pare che i presidi ne farebbero volentieri a meno di simili responsabilità.
Il pericolo casomai viene dai dispositivi di potere indiscriminatamente in mano… al potere. Un potere che cavalca la paura e poi non riesce più a scenderne se non cadendo. Perché l’influenza magari no – quella è stata sacrificata sull’altare del Covid-19, ormai se muori di influenza sei un negazionista – ma di sindromi virali troppe ne arriveranno. E c’è solo da sperare che siano gravi come questa, peraltro. Perché chi ne capisce sostiene ad esempio che il giorno in cui il virus dell’aviaria troverà il modo di passare da uomo a uomo, certi toni allarmistici non saranno più fuori luogo.
Be’, il problema è nei dispositivi in sé, indipendentemente dai funzionari che li mettono in pratica (siano docenti, infermieri, o magari docenti-infermieri del futuro, chissà). Il “potere” si genera proprio dall’insieme di questi piccoli meccanismi concreti.
Sul paragone col ‘300 non sono d’accordo per i motivi detti nel post sulla storia: il cambiamento – e quindi il problema – odierno è nella strategia di esasperare la pandemia anche e soprattutto per arricchirsi tanto sull’unica soluzione sbandierata: i vaccini di massa. (In questo senso, pure l’influenza ha un suo ruolo perché ci sarà senz’altro un grande aumento dei vaccini antinfluenzali già in commercio. Il che ovviamente potrà avere anche effetti benefici, ma il problema è nella strategia di esasperare il problema e venderne la soluzione.) Anche e soprattutto in quest’ottica vanno letti questi dispositivi (vuoi tornare a vivere? Non prima del vaccino).
Ci sarebbe tanto da argomentare ma mi fermo qui, altrimenti la discussione – su cosa fare in concreto nelle prossime settimane – può degenerare.
Visto che queste disposizioni saranno ormai accettate, speriamo sia il vaccino a portarle via, almeno fino al prossimo nuovo virus (che certo potrebbe essere molto più grave), quando poi ripartirà il teatrino.
Mi sono zittito perché su alcuni commenti sono un parecchio perplesso e rischio di costruire un botta e risposta sterile. Apro un nuovo thread perché le argomentazioni si intrecciano.
Parto dal commento di caloges per rispondere alla sua ultima domanda: “Non ci sono rapporti di forza necessari per cambiare le condizioni?” No. Quello che c’è è debole. Su questo tutta la compagneria “de movimento” qualche domanda dovrebbe farsela, secondo me.
Sul resto: il mio punto è arrivare a qualcosa di comune. Ci sono delle precauzioni che si incastrano con l’idea di una scuola decente, come scriveva WM1: un’infermiera a scuola dovrebbe esserci a prescindere, così come una riduzione del rapporto insegnanti/student*, così una medicina territoriale decente. Per lavorare su una prevenzione che ci metta d’accordo basterebbe battere questa linea. Se non c’è punto di incontro su questo io alzo le mani, perché forse veramente non c’è nulla su cui essere d’accordo. E allora però andiamo ciascun* per la propria strada…cioè a casa.
Penso che se adotti le misure che scrivevo non sei costretto a fare un tampone a ogni colpo di tosse, perché hai un monitoraggio generale e sulla base di quello ti muovi. Anche perché forse stiamo facendo un errore di prospettiva nel pensare ogni misura come de-contestualizzata. Che si adottino le stesse misure ovunque – pure su questo argomento si è dibattuto parecchio su Giap- è assurdo. Questo discrimine nell’articolo non è esplicitato, in effetti.
La questione dei bambini sia il vero punto debole di quanto ho scritto. I protocolli sono evidentemente deliranti, è assurdo, visto i dati ragionare, a botte di tamponi … ma mi fermo qui, pecco in competenza. Però credo che lo schema basico possa funzionare come punto di partenza: quanti bambin* ci sono per ogni insegnante? Troppi. Ci sono le infermerie? No. Si è lavorato per mettere il personale della sanificazione in condizione di lavorare meglio? …
Ecco, io per costruire porre le basi di un discorso il più collettivo possibile arrivo fin qui. Evito, come la peste la discussione sulle mascherine, d’altronde lo scrivo fin dall’inizio: parlarne senza tutto il resto, per me è fuorviante e non voglio alimentare la catena.
Scusate il doppio intervento, ma è per riportare la questione sullo scenario generale. Per capirci quanto sia fuorviante la discussione su “mascherine sì/no”. Diverse regioni stanno rinviando l’apertura della scuola a dopo il 24. Sono quasi tutte regioni del sud, quindi, in questo paese razzista, non fa troppa notizia, ma è un dato pesante.
Ricordiamoci che sono sempre quelli che hanno firmato le linee guida a Giugno e che ora denunciano mancanze.
L’unica eccezione fu la Campania, dove è lecito porre il dubbio che il “no” fosse per mero tatticismo.
Questo per ribadire che mentre ci si pone dubbi sulla mascherina, chi governa ha già impostato una prospettiva estremamente radicale per cui si chiude la scuola con una facilità e leggerezza impressionante. Siamo dieci scalini sopra al fastidio che possiamo provare per alcune misure, è un attacco frontale alla scuola che mostra apertamente un disprezzo nei confronti di una conquista universale. È su questo livello che bisogna porsi
Perfetto. Lavorare ad una prevenzione che ci metta d’accordo è il meglio da fare. Non è impossibile (tutt’altro). Mi pare fattibile smontare le normative più deliranti (attaccare almeno quelle), garantire ai bambini gli stessi diritti degli adulti (ciò che non può esssre imposto ad un adulto “qualunque” non possa essere imposto ad un bambino) non cadere nel tranello della “convenienza obliqua” (accettare la logica della normativa arbitraria sul distanziamento perché torna utile per la questione annosa ma di altro ambito, della carenza di docenti). Insomma pretendere la scuola riaperta si ma senza cedere a ricatti, non accettare a priori l idea che la scuola non possa ormai più essere diversamente da come stanno cercando di disegnarlà.
In concreto, appoggerei (nella mia ingenuità di chi non ha decenni di proteste sulle spalle) la proposta di ErricoMalatesta in questo senso: o si tolgono le misure più restrittive, o il 14 settembre si fa lezione/giochi al parco. Comunicazione chiara, breve ed efficace coadiuvata da pediatri seri: raccolte di firme, passaparola, uso accorto di social networks (purtroppo fondamentale, anche più in generale), manifestazioni. Tentare il possibile, insomma, in un mondo che è pur sempre anche quello di Greta Thunberg.
Poi arriverebbero insulti, accuse, disinformazione etc.; ma è (oggi come sempre) il minimo prezzo da pagare per chi ha a cuore il vero. Mal che vada, comunque, posticipi il rientro nelle scuole di qualche settimana.
Tutto ciò perché la proposta di lottare in prima istanza dall’interno (che forse però non mi è chiara sino in fondo) non mi pare in grado di offrire una protezione collettiva alla salute psicologica dei bambini su scala nazionale. Bisogna fare il possibile per evitare che la follia (in questo caso, la proibizione dei contatti fra bambini e la loro segregazione al primo minimo sintomo) diventi legge, anche se potrebbe spesso diventare lettera morta.
Vorrei chiarire che «lottare dall’interno» è un’espressione usata da un commentatore per buttare la questione in vacca, plv e noi abbiamo detto che bisogna riaprire la scuola, che bambini e adolescenti devono poter tornare a stare insieme e apprendere insieme, che i lavoratori della scuola devono poter tornare a ritrovarsi in presenza, e insieme devono lottare perché si continui a insegnare in presenza e contro la Dad che è una merda. Tutto ciò per impedire che queste balzane linee-guida vengano usate per dare il colpo di grazia alla scuola pubblica. Se questo è «lottare dall’interno», lo è anche far lezione al parco, perché “la scuola” non è l’edificio, “riaprire la scuola” non vuol dire per forza pedissequamente girare una certa chiave nella toppa di un certo portone. Chi paragona questa lotta per la scuola pubblica al «voler cambiare dall’interno il PD» ho il sospetto non abbia la minima idea di cosa significhi scuola pubblica e di quanto sia importante difenderla.
Allora siamo d’accordo: è chiaro che la DAD, lo studio da privatista e simili siano soluzioni pessime. Che favorirebbero peraltro quelle secolari strategie di “dividi et impera” contro cui una sana educazione dovrebbe mettere in guardia.
La questione diventa quindi come (non se) tornare a far incontrare di persona la classe. E qui avrei aggiunto all’articolo – lo sto dicendo per integrare piuttosto che criticare – che non lo si deve fare seguendo quelle disposizioni, se non dopo aver fatto il possibile per eliminarle.
E quindi la proposta di Errico, in quel senso, mi pare la soluzione migliore. Tornare a stare assieme certamente, ma prima di tutto garantendo la salute psicologica dei bambini, che non solo veicoli di virus.
Io credo che da questo dibattito emerga una forte preoccupazione per il futuro della scuola e quello dei bambini e dei ragazzi. Non sempre le due cose coincidono. Siamo stati portati a credere che la difesa dell’una precinda da quella degli altri ed invece coincidono. Perfettamente. Ed ogni posizione che non lo tenga in considerazione rischia di sfociare, purtroppo, in una solipsistica deriva. Io personalmente faccio fatica a tenere insieme le due cose perché, d’ impulso e meno lucidamente di quanto scrive plv, sarei portata a far saltare il banco ( se avessi il potere di farlo) per il gusto di vedere lo sfascio di questa odiosa situazione. Ma non porterebbe alcun vantaggio concreto. Antonella poi, secondo me, ha messo l’ accento su una questione davvero importante: il senso di solitudine e di disgregazione vissuto dalle giovanissime generazione che in uno scenario catastrofico e confuso come questo devono pensare a salvarsi la pelle da soli. Anche senza di noi.
Le linee guida sono un follia (e non cito quelle sul trasporto), ma l’unico modo per opporsi a questa assurdità è “pretendere” (con tutti i mezzi a disposizione) che lo Stato faccia lo Stato (sociale): non devo essere io genitore a chiamare il medico (così come non devo essere io a misurare la febbre a mio figlio) ma la scuola. La vera follia (che non è follia ma deliberata strategia) è lo scarto che c’è fra quello che si dice voler fare e le risorse che si mettono a disposizione, ma questo è un giochetto che su questo blog è stato individuato da tempo (riapriamo purchessia così si fa vedere che ci si dà da fare, ma poi scarichiamo tutto sulle famiglie e sul personale scolastico, che per forza di cose saranno costretti a fare qualcosa, dato che non do al sistema le risorse).
In questo senso condivido il 99% dell’articolo di plv (straordinario, da diffondere il più possibile), dove quell’1% è rappresentato dalla sua indulgenza (critica) verso il ministro. E’ vero che il sistema è marcio e Azzolina non può farci molto, ma ha delle responsabilità precise, nette, che hanno aggravato, aggravano e aggraveranno una situazione già complicata, ha adottato provvedimenti (e li difende a spada tratta) che altri ministri non avrebbero mai adottato. Essere la persona sbagliata nel posto sbagliato al momento sbagliato non equivale a essere una persona sfortunata o impotente di fronte al fato avverso, significa essere presuntuosi.
Molti anarchici optano per l’homeschooling. Che può essere quella che descrivi tu oppure anche altro, dipende dai casi; quel che mi sta a cuore è non criminalizzare a priori (“questo è il nemico” l’ha scritto PLV e ripreso WM in un commento). Non ho proposto l’HS come soluzione per i problemi della scuola pubblica (mi@ figli@ andrà alla pubblica, tanto per dire), è una soluzione per chi non accetta le nuove regole: il passaggio dal sottostare a regolamenti che hanno almeno un simulacro di percorso democratico, a precetti deliranti ispirati da un gruppo non ministeriale di tecnici ed affaristi è un passaggio epocale. Anche il passaggio, a scuola, dal potere sull’orientamento culturale a quello sul corpo, è un passaggio per molti inaccettabile: e sono fra questi. Lasciamo la lotta riguardo questo potere (una delle frontiere delle democrazia attuale) all’ambito sanitario, senza allargarlo alla scuola: di fatto si avrebbero maestre che fanno segnalazioni sanitarie (non c’è un medico per classe né per istituto) cui può seguire un TSO. Sul cambiare le cose “da fuori” sarei meno tranciante; molti genitori hanno più possibilità di partecipare al discorso pubblico dal blog Wu Ming che dal Consiglio di Istituto, onestamente. Ipocrisia non è mandare il figlio alla scuola pubblica, è raccontarsi di poterla cambiare con la propria partecipazione in tempo utile per il proprio figlio (che nel frattempo per la sensibilità di alcuni, diventa di fatto un ostaggio). Queste pagine sono seguite da genitori che “se il figlio ha la tosse senz’altro gli fanno fare per prima cosa il tampone”; ma anche da genitori che per prima cosa li tengono a casa per vedere come butta (e magari tirano fuori pubblicazioni scientifiche che stabiliscono che la contagiosità dura al massimo 10 giorni e li tengono a casa 14). Ho letto molte volte fra questi commenti che l’alternativa è fra regole attuali o DAD, quando il focus, direi, è che esiste una terza alternativa ovvero scuole aperte con regole ragionevoli e condivise, senza ricatti, accogliendo sia le famiglie che vogliono lottare per questo dall’interno, sia quelle che nel frattempo non se la sentono (per le più varie ragioni) di esporre i bambini al “sistema distanziato”.
Ho ripreso l’espressione di plv “questo è il nemico” in riferimento a un ambito discorsivo, a una scelta, la homeschooling, che nell’attuale contesto storico implica la pratica di un privilegio di classe. Molte cose mi separano dall’anarchismo, è chiaro, ho un altro background, e infatti ho anche detto nel mio commento che si può arrivare alla homeschooling passando da posizioni libertarie. Resta il fatto che un genitore – o più frequentemente/probabilmente una genitrice – che decide di non lavorare per dedicarsi all’istruzione dei figli gode di due condizioni privilegiate: avere il necessario livello di conoscenze e competenze per insegnare ai ragazzini; e non dover lavorare per vivere.
È evidente che la stragrande maggioranza dei genitori non è in questa condizione. Quindi la homeschooling può riguardare soltanto una minoranza privilegiata.
Ma, come faceva notare plv nel suo articolo, c’è anche un enorme problema culturale e politico. L’esperienza dell’apprendimento in una comunità esterna alla famiglia, una comunità di diversi (coetanei e adulti diversi) è un’opportunità fondamentale, a prescindere dai limiti che ogni scuola inevitabilmente ha. La scuola non è soltanto un luogo disciplinare, ma anche di acquisizione di regole comuni diverse da quelle domestiche, e nel quale si entra in contatto e anche in conflitto con idee, punti di vista, comportamenti, soggettività, altre rispetto a quelle famigliari. Pedagogicamente parlando per un minorenne sono rimasti ben pochi gli altri luoghi nella società in cui questo confronto può avvenire; forse solo le società sportive, che però non sono contesti pubblici, ma privati, nei quali si paga per partecipare.
Significa che la scuola pubblica ci sta bene così com’è e com’è diventata negli ultimi anni e adesso in conseguenza del covid? Ovviamente no. Abbiamo detto che la scuola pubblica è un campo di battaglia. Ma se l’alternativa è tornare all’educazione famigliare, dove vengono trasmessi i valori e i punti di vista famigliari, senza confronto con l’esterno e senza esperienza comunitaria che non sia quella tra consanguinei, allora si fa un bel passo indietro culturalmente parlando.
Ecco perché riconosco questo sbocco come “il nemico”. Non lo sto “criminalizzando”, non c’è nulla di criminale nella homeschooling, se un@ vuole farla che la faccia, proprio come se un@ vuole fondare una scuola privata, che corrisponda maggiormente a certi valori e visioni del mondo, lo faccia (ma senza chiedere soldi alla fiscalità generale, secondo me e secondo quanto venne scritto nella Costituzione). Nondimeno io mi riservo di giudicarla politicamente e culturalmente questa scelta. Altroché.
Campo di battaglia, dunque. Che non è questo blog, per quanto riguarda la scuola, proprio no. Qui discutiamo. Ma è soltanto sul terreno delle lotte condotte da studenti, docenti/lavoratori e genitori che si misurano le cose concretamente. L’alternativa non è tra le regole attuali o la DAD, ma tra tenere a casa da scuola i propri figli e i lavoratori o far riprendere le attività scolastiche in presenza. E io credo che solo in presenza si può lottare per cambiare le cose. Questo può implicare anche lo sciopero della didattica, o quello studentesco, con picchetti e manifestazioni davanti agli istituti o nelle piazze. E sia chiaro che già questo non sarebbe facile, perché ci saranno le famiglie che non vogliono il distanziamento e ci saranno quelle che lo pretendono; così come ci sono insegnanti che hanno paura di tornare a scuola e insegnanti che sono più che disposti a farlo, ma temono che se non impongono la mascherina potrebbero essere considerati negligenti in caso di un contagio. La realtà è complessa e bisogna entrarci in questa complessità, se si vuole provare a cambiare le cose. La lotta va praticata. Andarsene a fare homeschooling o park-schooling non è proprio la stessa cosa che lottare. Scelte legittime, ma inutili. Perché se oggi la maggioranza dei genitori chiedesse di non mandare i propri figli a scuola, il governo avrebbe la soluzione bell’e pronta: altri mesi di DAD per tutti. E non vedo cosa potrebbe avere in contrario sul medio-lungo periodo a finanziare la homeschooling come finanzia le scuole paritarie private.
L’inquietudine di molti di noi è far fare questa battaglia ai bambini piccoli. Forse dovremmo declinare la lotta per età. “Noi adulti possiamo essere attori consapevoli di una pantomima. Anche i bambini?” questa domanda di Bradipo centra perfettamente l’ansia che ho da tutta l’estate. I ragazzi delle medie/liceo possono razionalizzare la cosa, ma i bimbi delle elementari meno, o per niente. Vanno incontro a mesi(anni?) pazzeschi, un disciplinamento del corpo quasi militaresco. Con prof. isterici, sotto pressione, spaventati… Ed è vero che organizzare delle lotte sarà ancora più arduo visto l’ulteriore spaccatura “imparanoiati/negazionisti” che si è creata, ma sullo stare all’aperto invece si potrebbero trovare intese sia in chiave sanitaria che educativa. La manifestazione del 26 dovrebbe servire a questo, almeno là ci sono tutti gli attori in campo a confronto.
Ribadisco, per chiarezza, che io mi sono riferito alle scuole libertarie dicendo che è un bene che ci siano, ma la scuola pubblica deve essere un luogo di conflitto.
“Il nemico” per me è la famiglia che si assume per completo il ruolo dell’istruzione. Per la questione di classe che poneva WM4, ma anche per molto altro.
A meno che non siano situazioni veramente estreme (e non ci siamo ancora…la scuola non è nemmeno iniziata!), io non credo che l’educazione parentale sia una buona scelta e il problema non sono solo le famiglie di fuori di testa, o quelle violente. Per me la famiglia è un’istituzione: codificata, con le sue leggi, le aspettative che si creano, i sensi di colpa che ti ricadono addosso. È un’istituzione che ha molti più anni della scuola pubblica, in cui si sono stratificati stratificano secoli che introiettiamo anche senza volere: o pensiamo sul serio di aver risolto tutto negli anni ’60 e ’70? Non vale su tutto il resto perché dovrebbe valere per la famiglia?
Mi stupisce nel discorso di Caloges che la riflessione sul corpo valga per la scuola e non per la famiglia quando corpo e vestiario sono luoghi di conflitto enormi all’interno delle famiglie. Idem per l’argomento TSO: sono d’accordissimo col mettere in discussione la medicalizzazione, da parte di qualunque soggetto, ma non dimentichiamo che anche un genitore ha il potere che descrivi.
Altro punto: questa discussione non é decontestualizzata. Sta avvenendo in un panorama di dismissione totale della scuola pubblica, non dopo il suo totale crollo. Se pensiamo che la soluzione alle difficoltà sia l’esodo, la sconfitta non solo è assicurata, ma sarà anche più devastante.
L’alternativa non è tra regole attuali o DAD (che poi non è un’alternativa, dato che le due cose si completano), l’alternativa è tra regole attuali e il conflitto.
E su questo non mi è chiaro tecnicamente cosa significhi lottare dall’esterno, andare in piazza? Entrare nei blog di discussione? Figurarsi, facciamolo, ma tocca anche capire qual è il luogo in cui può essere esercitato.
“Ipocrisia non è mandare il figlio alla scuola pubblica, è raccontarsi di poterla cambiare con la propria partecipazione in tempo utile per il proprio figlio” ma forse il punto è proprio questo… quindi non solo su ” come” tornare a scuola ma su “quando” realizzare questi profondi cambiamenti: non esiste un tempo utile per farlo, non esiste una dead line che coincide con la ” riapertura” della scuola. Se non si torna a scuola, non vi sarà la possibilità di maturare la giusta prospettiva per affrontare un cambiamento radicale di paradigma, che non si può sciogliere e risolvere nella questione (ovviamente solo apparentemente “simbolica”) della mascherina. Siamo reduci da mesi di intorpidimento/ “intorbidimento” e solo tornare alla realtà concreta dei fatti può fare esplodere le contraddizioni. Non stiamo parlando di stabilire un protocollo generale di comportamento riassumibile in quattro semplici regole, ma di affrontare una battaglia più ampia sul terreno della scuola pubblica, un terreno di scontro che coinvolge tutti gli attori in campo: lavoratori della scuola e non ( i genitori) e studenti. Il processo di maturazione di questa lotta, forse, non è di là da venire ma il passaggio della riapertura è un bivio imprescindibile che porterà molti nodi al pettine. Mercoledì ( qui in Emilia) tante mamme e tanti papà parteciperanno alle convocazioni indette per il rientro a scuola, con il conseguente confronto sulle indicazioni fornite. Sarà quello il primo banco di prova che consentirà ai genitori di esprimersi. Da lì probabilmente riusciremo a ricavare le prime reali impressioni.
Grazie per il bell’articolo, essenziale per mettere a fuoco la questione sulla scuola.
C’è però una domanda che mi ronza in testa da un paio di mesi a questa parte, e che credo vada posta al centro di una riflessione a carattere più generale: ma il virus, oggi, rappresenta davvero una minaccia tale da doverci indurre in questo clima di terrore e da doverci far rigettare i fondamenti etici e pratici della nostra vita, quali l’aggregazione sociale e la scuola?
Non mi sono messo a fare i calcoli precisi, ma mi pare che il tasso di mortalità sia molto basso, così come il rapporto contagiati/tamponi effettuati. E poi perchè non dire chiaramente che i contagiati sono spesso totalmente asintomatici? e perchè non rilasciare diffusamente dei documenti in cui vengano analizzati i quadri clinici dei pazienti deceduti?
Finora non si è fatto altro che diffondere l’idea che questo virus sia della stessa stoffa della peste raccontata da Tucidide, ma a me pare che oramai sia del tutto gestibile dai nostri medici.
Quando riferisco a qualcuno i miei dubbi sull’effettiva pericolosità di questo virus, e su tutti i sacrifici sociali che si sono fatti in nome della “salute” e della “sicurezza” (ovviamente riferite esclusivamente al singolo e privatissimo individuo…), ecco però che arrivano subito commenti del tipo “ah quindi anche tu neghi il covid”, oppure “ma sei diventato no vax?”
Sì, è una minaccia grave che richiede e richiederà sforzi mostruosi alla comunità.
La gestione è ovviamente criticabile e molte cose come già detto qui sono state gestite ad mentula canis, ciò non toglie che la minaccia fosse e sia seria.
Fai i conti che dici di non aver fatto e potrai verificare tu stesso la situazione.
Purtroppo oltre all’epidemia virale c’è stata un infodemia che ha messo in difficoltà molte persone, ritrovatesi a dover gestire una mole di informazioni enorme. La sottovalutazione del problema non è altro che una delle conseguenze di questa infodemia.
Quando si dice mi cadono le braccia, cioè mollo, mi arrendo, di fronte alla quantità del danno. Stamattina su prima pagina di radio rai3, la signora Giulia da Viterbo, molto preoccupata per una cosa che le ha detto la figlia ricercatrice in neuroscienze e che insegna all’università negli Stati Uniti; si, si guarisce dal Covid, ma rimangono molto spesso danni neurologici al cervello, …mi sembra un motivo per invitare tutti a non abbassare la guardia.
-Si, si, la ringrazio per questo appello,- le risponde Nello Scavo, giornalista dell’Avvenire, – tra le molte interviste che sono sui quotidiani di oggi, alcune ricordano proprio questo, cioè che non è assolutamente venuto il tempo di abbassare la guardia, che arriva una stagione piena di incognite…
Queste le parole del giornalista.
Per quanto riguarda la qualità del danno, sono d’accordo con la figlia della signora Giulia, il Covid 19 sta effettivamente danneggiando una gran parte di cervelli, vuoi per il relativo deficit di ossigeno, per la qualità dell’aria, dell’acqua, della terra, ma sopratutto per l’infodemia come la chiama DigitalePurpurea, a cui vorrei dire di adottare un metodo, che è solo uno, quello scientifico.
Abbiamo già detto più volte che il numero di morti in Italia negli anni scorsi, è stato di 620.000 – 650.000 all’anno, questo significa che negli ultimi 25 – 30 giorni sono morte almeno 35.000 persone non di Covid 19.
Se vogliamo parlare di prevenzione, l’attuale pandemia non ha i numeri per essere un problema di rilevanza prioritaria. Pur condividendo moltissimo quello che qui scrive plv, sono anche dalla parte di Robydoc, di Bradipo. Forse se ci fosse un Pinochet al governo dovremmo per forza insegnare ai bambini la pantomima, dovremmo anche noi recitare, ma ben vengano anche coloro che si farebbero fucilare piuttosto, perché forse anche a loro si deve un merito, oggi una democrazia decaduta, da rifondare. Altri hanno fatto bene a farsi la tessera fascista, ma ha fatto bene anche e sopratutto chi l’ha rifiutata, pagandone tutte le conseguenze.
Mettere nella giusta posizione di attenzione l’attuale pandemia è di vitale importanza per la tutela dei diritti civili, per il ripristino dell’etica nella politica, per la pace sociale, per lo sviluppo culturale.
Il contrario, l’attuale propaganda, incita alla guerra.
Non riesco a dare un senso a quello che hai scritto. Non penso di aver capito come sei riuscit@ a passare da Giulia da Viterbo a Pinochet passando da Nello Scavo per invitarmi ad utilizzare il metodo scientifico e rivalutare il virus.
Provo comunque a rispondere e allo stesso modo divagare.
Il termine infodemia non l’ho inventato io. Cito da Treccani:”Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.”
Non posso dirlo con certezza, non conoscendo la tua formazione, ma penso che anche tu ne sia stato affetto.
E tutt’oggi sembri esserne vittima. Purtroppo non ho una soluzione, è molto difficile affidarsi a qualcuno quando dietro a questo qualcuno non vedi altro che complotti e sotterfugi. Ancor di più lo è se questo qualcuno non è sempre stato uno stinco di santo e qualche stronzata te l’ha pure raccontata facendola passare per vera.
La totale sfiducia nello Stato e nei suoi apparati è una conseguenza di anni di politiche scellerate. Quello che rischia di succedere alla scuola è il preambolo di una svolta reazionaria in cui le vittime saranno i ceti più deboli. Cinismo e pregiudizio non sono armi della rivoluzione, ma della reazione.
Troppo lungo troppo corto, passa la voglia di commentare, sarà ciò che si vuole. Tra le due o tre cose che avrei voluto dire su vari commenti, ad esempio per chiedere dettagli sulla situazione danese, salvo quindi solo questa che mi preme da un po’: leggo spesso ciò che scrivi e concordo forse con un po’ meno allarmismo con il contenuto generale dei tuoi discorsi. Lascia sempre basiti come il concetto di “stato attuale delle conoscenze” risulti intollerabile e irritante in chi dovrebbe pur saperlo maneggiare; e come riesca ostico accettare che ad oggi non se ne è raggiunto uno tale che garantisca sufficiente sicurezza in ogni circostanza. E che ciò non dovrebbe aver troppo a che fare con una critica anche feroce dell’emergenza usata per puri scopi di repressione.
Che poi PubMed tutti possono citarla, tanto più quando la documentazione Covid è stata messa open.
D’accordo, ma chi lo stabilisce quando la sicurezza è sufficiente? I numeri danno ragione a tutti. Soprattutto a chi usa stratagemmi retorici ricattatori (“sono persone”, “vai a Bergamo a dire che la letalità è bassa” e via dicendo).
Il principio della massima prudenza è una trappola. Serve solo alla nostra coscienza, ma è proprio strategicamente dannoso.
Torno all’esempio del doppio tampone negativo. La Lombardia ieri ha fatto 17.986 tamponi, di cui 6.544 di controllo. In Emilia Romagna i tamponi di controllo sono stati 5.194 su 10.033. In Veneto addirittura 9.837 su 15.258. Significa che eliminando il doppio tampone negativo come criterio per liberare i positivi dall’isolamento – che siamo rimasti l’unico paese al mondo ad adottare – in queste tre regioni si sarebbe potuto raddoppiare il numero delle persone testate senza cambiare una virgola del sistema. C’è il rischio che un paio di quei guariti in realtà non lo sia? Può darsi. Ma con un rapporto dell’1,5% tra positivi e persone testate, fare 20.000 tamponi in più vuol dire intercettare 300 positivi in più. Non è meglio?
Ciao, ti ringrazio per la risposta. Non sono però ancora del tutto convinto.
Ho fatto un pò di calcoli, sebbene ci capisca poco di numeri: quindi mi scuso in anticipo per eventuali errori di valutazione.
Comunque, ragionando su scala generale, in modo da approssimare l’errore, il sito Worldometers riporta un totale di morti per coronavirus pari a 884,301, su un totale di 27,095,378 contagiati. Ergo, tasso di mortalità pari al 3.26%. Consideriamo poi i morti totali nel mondo: fino ad oggi nel 2020 sono decedute 40.200.000 persone; non riesco però a confrontare questo dato con quello degli scorsi anni, per verificare se effettivamente c’è stata un’eccedenza significativa a causa del virus (ma leggo che nel 2015 sono morte 57 milioni di persone).
La domanda da farsi subito dopo è: quanti di questi decessi sono avvenuti effettivamente a causa del covid? Forse non potremmo mai saperlo, ma – com’è noto – nel conteggio rientrano tutti i pazienti entrati a contatto col virus, e non necessariamente morti a causa di esso.
A questo ci aggiungo un pò di fallibilissima esperienza personale, che come ogni esperienza soggettiva è da prendere con le pinze, ma che può aiutare a uscire dal velo della narrazione giornalistica. Alcuni hanno avuto una polmonite acuta, ma la grande maggior parte dei casi se l’è cavata con una febbrata, per non parlare poi del fatto che i più erano totalmente asintomatici.
Sia chiaro, io non voglio dire che il virus non esiste. Ma ci troviamo di fronte a qualcosa che a me, personalmente – e qui l’oggettività dei numeri lascia il passo all’interpretazione soggettiva -, non sembra essere motivo sufficiente per radere al suolo ogni legame sociale, nè per vivere con la paura del contagio.
Poi è chiaro che qualche misura di contenimento andasse presa, anche solo per dare tempo ai medici di trovare le giuste contromisure. Ma davvero è bastato un virus del genere per ridurci a fare questa vita?
Per chi poi volesse sbizzarrirsi a stanare l’ipocrisia del ceto piccolo borghese, per la quale chi ragiona criticamente su questo virus sarebbe un cinico insensibile, basta guardare quanta gente muore ogni giorno di fame nel mondo. Ma vabbè, tanto quelli sono troppo distanti da noi per interessarcene seriamente.
I dubbi che hai ce li ho anche io. Anche a me non sembra esserci un motivo sufficiente per radere al suolo ogni legame sociale, nè per vivere con la paura del contagio.
Si continua a snocciolare i numeri giornalieri del contagio ed i numeri dicono che la mortalità è nettamente diminuita rispetto ai mesi di febbraio-aprile.
Per contro, per effetto delle misure prese, molti hanno perso il posto di lavoro, il debito pubblico schizzerà alle stelle e chissà quali effetti avrà sui servizi erogati dallo stato (scuola, sanità, trasporti, ecc).
Per contro, per esperienza diretta so che centri che si prendevano cura di anziani in difficoltà sono state sospese con grave danno sia per gli anziani stessi sia per i familiari.
Per non parlare degli anziani in RSA che possono riceve pochissime visite e sono quindi soli. Alcune misure vanno ed andavano sicuramente prese, ma impedire le visite, impedire ai bambini/ragazzi di frequentarsi è al limite del disumano.
Facciamo attenzione, però. Vivere con la paura del contagio, una razionale paura del contagio, è quello che avremmo dovuto fare fin dall’inizio. Quello che abbiamo fatto, invece, è appunto quello che dite voi. Abbiamo smesso di vivere perché ci siamo fatti prendere dal panico. Panico, non paura. Panico che è sempre controproducente. Anche perché è insostenibile psicologicamente. Fisiologicamente. E alla fine porta al rigetto, ovvero genera fatalismo, negazione e via dicendo. Che sono semplicemente l’altra faccia della medaglia.
Il virus c’è, è sempre lo stesso e ha dimostrato di poter nuocere a una parte di popolazione non trascurabile. Ovviamente a febbraio ancora non sapevamo nemmeno che circolasse, e anche una volta scoperto, comunque non lo conoscevamo. Adesso la situazione è completamente diversa, quindi qualunque cosa succeda, anche con tutta la sfiducia possibile nei confronti delle istituzioni e della gente, non siamo impreparati. Ma c’è da dire che il sistema sanitario si sta ancora riprendendo. E riprendersi vuol dire comunque tornare allo stato pre-Covid, che abbiamo visto non essere una garanzia.
I numeri di questo virus, in condizioni “ideali”, non sono drammatici. A maggior ragione se confrontati con quelli di altri sotto osservazione, come dicevo in un altro commento. Ma le condizioni “ideali” vanno create e mantenute. Con intelligenza, senza panico. Il problema, casomai, per parafrasare il Guzzanti/Mariano Giusti di Boris ritratto in una foto del post, è che qui lo sforzo per impedire che ci terrorizzino, lo fanno sempre e solo quelli che per pararsi il culo occultano o sbandierano documenti che parlano di scenari con centinaia di migliaia di morti.
Io penso, leggendo i commenti a questo articolo, che di complotti e sotterfugi se ne vedano ben pochi.
È proprio tutto alla luce del sole: lo scaricabarile psico-patogeno secondo me ottimamente descritto da Bifo Berardi i mesi scorsi (articolo citato e linkato anche in altro articolo di Giap).
E lo dico perché ci sono dentro a questo meccanismo, soprattutto al lavoro dove il clima si sta facendo irrespirabile.
E poi non è possibile che ogni discussione vada ad inclinarsi nella questione del complottismo /negazionismo…sta diventando una fissa…o un riflesso riflesso pavloviano…
Ma io infatti farei anche a meno di metterala sempre su quel piano la. Il problema è che molti di quelli che vogliono criticare la gestione passata e attuale dell’emergenza usano come argomento principale caratteristiche del virus, tassi di letalità, tassi di riproducibilità, mortalità della popolazione, morti in dato anno, ecc. risultando oltretutto spesso in errore nell’analisi di questi numeri.
Non capisco l’ostinazione di voler negare l’evidenza scientifica per criticare una gestione che di scientifico ha avuto gran poco e sarebbe facilmente criticabile puntando ad altri argomenti, mettendo in evidenza l’ipocrisia del governo, le decisioni per accontentare confindustria, le fabbriche tenute aperte, la mancata preparazione in 6 mesi di un piano per la scuola, la privatizzazione della sanità, e molti altri ancora.
No, la critica che sento e leggo spesso anche qui, sembra dover sempre partire dalle caratteristiche del virus, dal negarne la gravità.
Allora mi chiedo: ad quid?
Per non essere come le destre che proliferano dando risposte semplici a problemi complessi o che negano tout court il problema, dovremmo partire da ciò che sappiamo e proporre soluzioni concrete che vengano incontro ai bisogni di tutti e non al favore di qualcuno. Lasciando da parte tutto il discorso pedagogico di tale scelta, dire di non mandare i figli a scuola per protesta e proporre l’homeschooling è classista.
C’è poco da girarci attorno: la classe proletaria l’homeschooling non se lo può permettere.
Come l’homeschooling anche la DAD è classista: Non tutti si possono permettere pc e connessione veloce ad internet. (La DAD fa schifo anche per altri mille motivi)
Prenotare visite e test diagnostici da privati come forma di protesta alla lunghezza delle liste d’attesa nel pubblico come lo chiamate voi? Io lo chiamo classismo e mi fa schifo.
Questo per dire che le soluzioni non possono che venire stando “dentro” alla scuola e alla sanità pubbliche. Lottando a fianco dei lavoratori di scuola e sanità e non sbeffeggiando l’intero sistema.
Non è così semplice. Perché le caratteristiche del virus – peraltro non indagate a sufficienza, per forza di cose – vengono usate per giustificare anche le misure più assurde. Si lascia intendere che il virus sia nell’aria, quindi potenzialmente ovunque, e che resista per molti giorni su qualunque superficie. Ma la trasmissione tramite aerosol è stata dimostrata solo al chiuso in ambiente ospedaliero. E se valgono gli studi di laboratorio che dimostrano che il virus rimane vitale per una settimana su qualunque oggetto, allora dovrebbero valere anche quelli che dimostrano che d’estate a mezzogiorno, i raggi UV della normale radiazione solare lo neutralizzano in pochi minuti. Ma se provi a dire una cosa del genere, apriti cielo, sei d’accordo con Tarro, quindi con Sgarbi e via via fino a Hitler. Tra parentesi, la maggior parte di questi autonominati custodi dell’ortodossia scientifica, risponde immancabilmente facendo esempi di luoghi caldi dove il virus è fuori controllo. Ma il punto non è il caldo. E’ proprio l’estate, perché è una questione di inclinazione dei raggi solari. Poi è solo un fattore. Se ci si assembra al chiuso o di sera, cambia poco.
Altro esempio di (ab)uso di caratteristiche del virus sono gli studi sulle conseguenze “a lungo termine” dell’infezione, per terrorizzare anche la gente che (pen)sa che di Covid non morirebbe. Già il fatto che questo virus circoli da pochi mesi, dovrebbe far storcere il naso di fronte a simili pretese scientifiche. In ogni caso sono i primi studi su un virus nuovo, appunto. Spesso statisticamente poco significativi e non confermati da altri. E invece no, va bene tutto. Se uno studio su 100 pazienti parla perfino di un 78% di asintomatici con conseguenze polmonari, allora il 78% degli asintomatici avrà conseguenze polmonari. Che a me, a naso, sembra una follia. Uno non ha neanche un accenno di dispnea col virus che gli scorrazza liberamente nei polmoni, ma ha problemi polmonari quando il virus non c’è più? Posso credere che una piccola percentuale di persone non riconosca i sintomi o non abbia occasione di verificarli (se non fa nessuno sforzo fisico significativo, magari non se accorge). Ma il 78% no. Non scherziamo. Voglio vedere se il 78% dei calciatori positivi asintomatici avrà problemi a correre come prima.
Prenotare visite mediche a pagamento a volte è una scelta obbligata se si vogliono limitare i danni che, purtroppo, possono derivare anche da scarsa attenzione o incompetenza nel pubblico.
E ne so qualcosa visto il danno permanente all’udito di mia figlia che sarebbe diventato sordità se non avessi fatto tale scelta.
Quello che mi fa schifo è il tuo linguaggio che trasuda odio in nome della lotta di classe. E che ti accomuna alle destre.
Ogni volta che qualcuno scrive qualcosa che non ti gusta arrivi in maniera perentoria a pontificare.
Sui dati puoi avere anche ragione, ma resta il fatto che è attraverso il continuo grossolano sbandieramento di tali dati che governo e istituzioni stanno andando avanti a testa bassa senza una minima autocritica e messa in discussione della gestione dell’emergenza.
Mozione d’ordine: questa discussione si è avvitata su se stessa e si è allontanata dal focus dell’articolo. Focus che, lo ricordiamo a tutte e tutti, è la scuola pubblica, come lottarci dentro nell’attuale situazione, come impedirne lo smantellamento col pretesto dell’emergenza pandemia. Invitiamo chi commenta a “stare sul pezzo”.
«Faremo in modo che nulla di quanto faticosamente realizzato dai docenti italiani durante il periodo dell’emergenza possa andare perduto. Vogliamo valorizzarlo, farne una ricchezza, trasformare l’esperienza avuta in azione educativa oggetto di continuo approfondimento». Lo ha dichiarato oggi la ministra Azzolina nella sua audizione alla Commissione istruzione del Senato, riferendosi alla didattica digitale. Subito dopo ha aggiunto che deve essere «chiara la sua funzione precipua di integrare e non già sostituire il percorso di apprendimento».
Personalmente la prima frase la traduco così: “abbiamo investito nella formazione dei docenti sull’uso delle piattaforme, dunque, alle prime avvisaglie di pericolo, si potrà tranquillamente tornare alla DAD”, DAD per la quale, aggiungo, in questi 6 mesi non è stata elaborata alcuna alternativa.
La seconda frase la leggo più come una toppa messa alla prima; che significa infatti “integrare” il percorso di apprendimento? Si insegnerà ai bambini ad usare ppt e xoom? Si insegneranno le meraviglie di microsoft team? Verranno assegnati compiti da svolgere esclusivamente su tablet?
Ma la valenza dell’audizione è, a mio parere, la tattica che definirei tipica della Azzolina, di non entrare mai nel discorso, di non spiegare, motivare, specificare, chiarire. Un esempio è la frase seguente, tratta sempre dall’audizione di oggi: “ho letto troppe corbellerie, ricostruzioni ingiuste, disfattismo, narrazioni al ribasso e polemiche sterili”. Quali corbellerie? Dove le ha lette? Chi ha fatto ricostruzioni ingiuste? Quando? In merito a che? E come le confuta?
Il ministro “respinge il dibattito surreale”, e vorrei ben vedere chi incoraggia simili dibattiti.
“Abbiamo chiesto a tutti i dirigenti scolastici di fornirci con precisione dati certi rispetto al fabbisogno di arredi di ciascuna scuola”, e qui è chiaro l’intento di mettere le mani avanti (se i banchi non bastano la colpa è dei dirigenti che hanno sbagliato a contare; mi viene in mente Berlusconi quando, per motivare le sue scelte e scaricarsi dalle responsabilità, diceva: “i miei collaboratori mi hanno detto che…”).
Insomma, una sterile caterva di parole in libertà, che non fugano i timori, non spiegano le scelte e non inducono all’ottimismo.
Penso di non essere stata l’ unica ad attendere l’ intervento di un moderatore prima del solito “incidente diplomatico”. La risposta di Bradipo era giustamente prevedibile. Ovviamente. E i dubbi e le perplessità espressi da un Altro anonimo sono, non solo, largamente condivisi e condivisibili ma anche pertinenti al tema del rientro scolastico. Ridimensionare, alla luce dei dati disponibili, il fenomeno in corso è una operazione politicamente importante, senza che ciò significhi negare l’ esistenza o la pericolosità di questo virus. Oggi, per condizionare meglio l’ opinione pubblica, si fa una sottile sovrapposizione fra contagiati e morti. Il numero dei morti non sarebbe sufficientemente impressionante da solo, quindi insistiamo in maniera morbosa sul numero dei contagiati, visto che è più ” consistente”. Questo terrorismo ingiustificato produce effetti deliranti nella superficiale/ criminale riorganizzazione del rientro a scuola. Una questione di make up con risultati demenziali: banchi a rotelle, mascherine e lunch boxes.
E quindi che facciamo? Bradipo, Un altro anonimo e altri cosa propongono? Propongono di rivolgersi all’homeschooling, alle paritarie hippie e alla sanità privata. Questo per me è privilegio della classe medio-alta borghese e francamente non vedo come possa essere anche solo minimamente compatibile con la lotta di classe.
“Prenotare visite mediche a pagamento a volte è una scelta obbligata se si vogliono limitare i danni che, purtroppo, possono derivare anche da scarsa attenzione o incompetenza nel pubblico.” Seguendo la stessa logica bisogna rivolgersi alle scuole private se si vuole che il proprio figlio abbia un’educazione consona, non porti la mascherina e interagisca solo con bimbi belli e puliti.
Questa roba qui, anche se mascherata da fricchettoni, a me non sembra altro che una visione reazionaria e di destra della società.
In nomine patris et filii et spiritus sancti
Rispondo solo per un paio chiarimenti.
Diagnosi errate, leggerezza, scarsa attenzione possono appartenere all’uomo e alle prassi da lui istituite indipendentemente dal settore pubblico o privato. Non era assolutamente mia intenzione affermare una cosa simile. Rimarcavo solo che il fattore tempo ha la sua importanza e certe scelte ti ritrovi obbligato a farle, ovviamente se ne hai la possibilità, ma non è che io mi senta di avere tradito chissà quale causa…
A me pare che un solo utente intervenuto in questa discussione abbia parlato di homeschooling. Io mai.
Io, con tutte le preoccupazioni e ansie del caso, non vedo l’ora, il prossimo lunedì, di riaccompagnare mia figlia nella sua scuola, dalle sue maestre e dai suoi compagni. Tutto “suo”, perché è la “Nostra” scuola, e questo può esserlo solo la Scuola Pubblica, per me l’unica scuola.
Mi dispiace che la discussione abbia assunto contorni tribalistici.
Intervengo solo per aggiungere qualcosa di sfuggita, il resto l’avevo già scritto in due messaggi che, salvo male intenzioni, difficilmente potevano essere letti come complottistici o “di destra”.
– Proprio sul complotto: io più che di complottismo parlerei di una tendenza a derubricare come complottistico tutto ciò che non si omologa al nostro modo di pensare. Che ridimensionare la portata del virus faccia subito emergere la parola complottismo, è la riprova del fatto che ormai non si può più argomentare razionalmente, ma solo tifare la propria squadra del cuore.
– “che fare?”: la domanda delle domande. Purtroppo, o per fortuna, non sono nè politico, nè docente, nè sacerdote; quindi non è certo mia volontà mostrare a tutti la retta via. Una cosa però voglio dirla: perchè cercare sempre e subito la ricaduta pragmatica di ogni questione? Proviamo a cambiare il modo di pensare, guardando a noi stessi e riconoscendo che per un sentimento di autoconservazione selvaggia abbiamo superato il limite della barbarie. Poi forse il “che fare” si mostrerà da sè, senza che nessuno ce lo venga a imporre dall’alto.
– Sull’allontanamento dal focus dell’articolo: come ha detto un altro utente qui sopra, ragionare sull’effettiva pericolosità di questo virus, rapportandola coi sacrifici umani che stiamo facendo in nome di essa, non mi sembra fuoriesca dal tema dell’articolo. Anzi, mi sembra proprio il nucleo centrale della questione, che si riversa poi a cascata su ogni ambito particolare.
Ho notato che è stata spesso nominata l’evidenza scientifica, che per me tradotta significa grossomodo “fede ossequiosa verso la nuova religione del nostro tempo: la scienza”. Ci sarebbe tantissimo da dire su questo, ma per farlo servirebbero quella calma e quell’attenzione che in questa modalità di dialogo noi purtroppo non possiamo avere.
«perchè cercare sempre e subito la ricaduta pragmatica di ogni questione?»
Riguardo a *ogni* questione non mi esprimo, ma quello qui sopra è un post sul che fare. A scuola. Nei prossimi giorni e settimane. È del tutto normale attendersi che in calce, nei commenti, si discuta sul che fare. A scuola. Nei prossimi giorni e settimane.
«ragionare sull’effettiva pericolosità di questo virus, rapportandola coi sacrifici umani che stiamo facendo in nome di essa, non mi sembra fuoriesca dal tema dell’articolo. Anzi, mi sembra proprio il nucleo centrale della questione, che si riversa poi a cascata su ogni ambito particolare.»
Quello può essere il tema generale. Non a caso noi parliamo sempre di «focus« di un articolo. Senza un punto focale, un articolo farebbe cagare. Senza un punto focale, una discussione va in ogni direzione e non si capisce più nulla. Cos’è un punto focale? Molto semplicemente, è il punto che guardo. Qusndo fisso un oggetto X, i miei occhi vedono anche quel che gli sta intorno, nella coda dell’occhio percepisco anche ciò che sta a margine del campo visivo, ed è importante che ciò accada, ma il focus è sull’oggetto X. Il focus dell’articolo di plv è la questione del che fare. A scuola. Nei prossimi giorni e settimane.
Che fare chi? Perché a scuola i genitori non ci entreranno. Per cui cosa ci rimane da fare? Interrogare i nostri figli su come si è svolta la loro giornata tra i loro simili dopo un’estate finalmente in libertà e passata a giocare e socializzare nell’unica maniera che possono adottare dei bambini sani, ovvero senza distanziamento sociale (ora boccale…)?! Chiedergli quante volte gli hanno concesso di alzarsi? Cosa rispondere a mia figlia del perché dovremo mettere la mascherina all’aperto per entrare nel cortile della scuola?
Parliamone. Ma a scuola ci sono bambini e insegnanti. Se non saranno gli insegnanti a prendere coraggio e ad applicare queste – per dei bambini piccoli – disumane regole con molta elasticità e uno sguardo emotivo alla situazione, avremo facilmente una disaffezione alla scuola.
Per cui se non si deve perdere di vista il focus inizino pure a parlare gli insegnanti, ma di cose pratiche.
Intanto ieri dalla riunione (in remoto…) per l’inizio del secondo anno di elementari di mia figlia è emerso che l’educazione fisica andrà probabilmente a farsi benedire.
A livello ministeriale non mi sembra che ci siano indicazioni specifiche. Ho chiesto spiegazioni direttamente al DS via mail. Vediamo se si degnerà di rispondere.
Forse nella torsione virocentrica che la discussione ha preso ci si è dimenticati che il post qui sopra è scritto da un insegnante che fa parte di una rete di insegnanti. Anche i primi commenti erano scritti da insegnanti. Purtroppo, a un certo punto, quando qui hanno preso il sopravvento la depre e i maroni strascicati al suolo, hanno smesso di intervenire. La cosa si spiega facilmente: per capire come mettere in crisi le linee-guida e difendere la scuola come luogo di presenza, confronto e socialità, della depre non se ne fanno nulla.
Non per insistere in discussioni sterili, ma provo a ribadire il senso del mio intervento: questo virus – per me – non rappresenta un pericolo tale da fare dei sacrifici come quelli che abbiamo fatto e che faremo per la scuola. Se non si mette in chiaro questo, si diventa vittime dell’ansia, con ricadute pratiche evidenti.
Sul “che fare” ho risposto ad un utente, che in un messaggio precedente mi aveva espressamente rivolto questa domanda.
Comunque ho capito, meglio moderare la questione, proprio nel senso di renderla più moderata ed accettabile. Meglio concentrarsi sugli aspetti tecnici, che provare a riflettere sul fatto che questa pandemia non è stata solo mal gestita (il che è evidente), ma anche costruita su fondamenti molto discutibili.
Lascio quindi la parola a chi fa scuola, rispettando umilmente la divisione dei saperi.
Per un momento mi è baluginata in testa l’idea di cercare di capire se
A) pur di avere l’ultima parolina passivo-aggressiva, stai fingendo di non sapere cosa abbiamo scritto, detto e fatto in mesi e mesi di critica all’emergenza,
oppure
B) lo sapevi ma, trascinato dalla vis polemica, te ne sei temporaneamente scordato.
Poi ho deciso che me ne importava il giusto, e l’idea non è andata oltre il baluginio.
Anche io, come mi sembra altr*, sto facendo fatica a seguire la discussione.
E aggiungo un ulteriore dato: non stiamo né aggiornando portando materiale aggiornato su quanto sta avvenendo, né ipotizzando forme di conflitto per cercare di ributtare la questione verso le giuste sedi.
Provo a ributtarla in avanti a partire da un punto: la ricaduta pragmatica va cercata. C’è un’urgenza che ci morde le chiappe.
Per il resto vado per punti e spero che possano essere ripresi:
– C’è un’esternalità che non comprendo. C’è un movimento, con dei difetti che si possono enunciare, nessuno ci spara. Ci si può partecipare. Il 12 ci saranno assemblee in contemporanea in tutte le città per capire come organizzare la manifestazione del 26.
Non vi segnalo i link su questo sito, ma se cercate “Priorità alla Scuola” su Facebook trovate le piattaforme.
– Sempre sulla partecipazione (riprendo Bradipo): “i genitori a scuola non ci entreranno”…a parte il fatto che non è vero (ci sono anche ruoli istituzionali che lo prevedono…prendiamoceli!), ma in generale i genitori sono parte protagonista del movimento sulla scuola. Da lì si può agire, anche nella maniera più critica possibile;
– della gravità del virus non credo sia il caso di parlare in maniera frontale: io per primo non lo so fare e so quali derive possono nascere; al contempo non sono per la censura, ma per una discussione funzionale.
Per esempio, se proprio lo vogliamo fare, invito a farlo sulla questione dei minori degli studenti di scuole d’infanzia e primaria, è già emerso nei primi commenti. Quello è un campo d’azione in cui dirsi come si muove il virus può avere un grande effetto;
– Sarebbe bello capire come ci si sta muovendo all’estero, se ci sono esempi virtuosi (il caso danese sembrava, giorni fa, intelligente). Purtroppo materiale ne circola poco in generale: io stesso leggo pochissimo sull’argomento anche per motivi di tempo;
– Ci sono possibili intersezioni da investigare. Ne cito alcune: come si intersecano i movimenti sul genere e la scuola? Come si possono intersecare i movimenti contro il global warming e i movimenti per la scuola?
Questa roba è tutta da costruire- e ammetto che è la prospettiva che mi prende di più. Non buttiamo le occasioni.
Ciao,
provo a rimanere sul pezzo dando il mio limitato contributo dove posso:
Punti 1 e 2: non so quanto sia diffusa l’informazione sulla manifestazione del 26 e le assemblee del 12 (io che seguo poco non la conoscevo). Potrebbe essere utile farla girare nelle immancabili chat di genitori su whatsapp.
Punto 3: concordo che non sia il caso di entrare nel merito “direttamente” senza averne le competenze, però se documentati potrebbe essere utile sollevare il punto citando studi di fonti autorevoli che quanto meno mettano in discussione la vulgata e facciano vedere che c’è un dibattito scientifico in merito (ce ne sono? :) mi sembra che qui ne siano stati citati alcuni nei mesi trascorsi).
A tal proposito chiedo a Isver, Robydoc e altri se si è saputo più niente del discorso polveri sottili? C’è stata una qualche variabilità sul rapporto tra ricoveri in terapia intensiva e numero di contagiati (n. ricoveri / n. contagi)? E’ un dato diverso da regione a regione? e se sì perché?
Sul punto 4 non ho nulla da aggiungere, mentre per il punto 5 concordo, credo che sia importante un’intersezione tra FFF e movimento per la scuola.
A quanto risulta a me, il discorso polveri sottili, relativamente al virus, è fermo a quello studio che (non) dimostrava che le polveri sottili fossero un vettore. Non mi risulta sia stato isolato virus vitale e in grado di infettare da campioni di particolato atmosferico. Che sia stato isolato materiale biologico virale, è del tutto irrilevante. Ma questo è difficile da spiegare nell’unico paese al mondo che ha mantenuto il criterio del doppio tampone negativo per dichiarare la guarigione. C’è gente che è positiva da 6 mesi e di conseguenza prigioniera da 6 mesi, ovvero almeno 160 giorni più del necessario, dal momento che la contagiosità dura in media 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi e massimo un paio di settimane dal contagio. L’alternativa sarebbe fare il test sierologico a chi è positivo, per dimostrare la presenza di anticorpi IgG, ovvero l’immunità specifica, che com’è ovvio implica che l’eventuale virus residuo che si ha in corpo è morto e non può più nuocere a nessuno. Ma anche quello è difficile nell’unico paese al mondo che viceversa fa il tampone a chi risulta positivo al sierologico, quindi isola gli immuni con residui di RNA virale assolutamente innocui. E lascia circolare positivi appena contagiati, tra parentesi, che al sierologico risultano ovviamente negativi. Per questo sono test assolutamente inutili a fini diagnostici. Ed è ridicolo che lo screening sugli insegnanti sia basato su quelli.
Sono sostanzialmente d’accordo con te sull’inefficacia dei sierologici come screening diagnostici. Sono infatti strumenti per lo più epidemiologici.
E che si sia deciso di utilizzarli come screening sugli insegnanti mi ha lasciata davvero basita.
Purtroppo però i modelli e la durata della malattia e dell’infettività non sono stati completamente descritti.
“C’è gente positiva da 6 mesi e di conseguenza prigioniera da 6 mesi, ovvero almeno 160 giorni più del necessario, dal momento che la contagiosità dura in media 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi e massimo un paio di settimane dal contagio.” Qui secondo me generalizzi troppo e terrorizzi inutilmente: i casi di positività al tampone che perdura per più di 6 SETTIMANE sono molto rari. Non sto dicendo che non se la stiano passando male, anzi, proprio a loro lo Stato dovrebbe fornire più aiuto, ma sto dicendo che allo stato attuale delle conoscenze non possiamo prescindere dal tenere in osservazione queste persone, alla luce del fatto che recenti studi parlano di come quelle che sono state definite seconde infezioni fossero in realtà riacutizzazioni di infezioni virali non totalmente sconfitte e quindi ancora rilevabili nei tamponi.
I casi di positivi a 6 mesi sono documentati. La settimana scorsa è uscita pure la notizia di una donna che ha perso il lavoro per questo. Cioè, principalmente perché lavorava per degli stronzi, ma tant’è.
Poi è vero che ci sono stati casi di apparente seconda infezione che erano in realtà riemersioni del virus ancora presente. ma che io sappia si è trattato di nuove positività al tampone senza sviluppo di sintomi, quindi il virus poteva comunque non essere più vitale.
In ogni caso basterebbe il sierologico dopo 20 giorni. Se ci sono le IgG, non ha senso prolungare l’isolamento. O si potrebbe provare a coltivare in vitro il virus isolato. Ma non è possibile affidarsi a uno strumento come il tampone per sequestrare la gente per mesi.
Ciao cugino, non ho il mio foglio excel dietro e quindi non posso essere particolarmente preciso, anche perché da luglio in poi non ho più seguito con la stessa attenzione gli andamenti. Ho fatto una cosa rapida, preso 5 regioni e presentato la situazione in due momenti, ieri e il 16 aprile. Vale quello che vale ma comunque.
In Lombardia il 16 aprile c’erano 33090 positivi, ieri 8221. Il rapporto tra ospedalizzati e gente in terapia intensiva era il 10% il 16 aprile e lo 0,9% ieri; in Toscana si è passati dal 22 al 12; nel Lazio dal 14 al 2;
in Campania dal 12 al 3. In Sicilia però è aumentato: il 16 aprile il rapporto era del 9%, ieri del 12.
Il dato anomalo è quello siciliano, il resta sembra abbastanza uniforme.
Il rapporto tra contagiati e ospedalizzati in Lombardia era il 34% il 16 aprile e il 3% ieri; in Toscana dal 14 è passato al 3; nel Lazio dal 32 all’8; in Campania dal 19 al 6; in Sicilia dal 24 al 7.
Essendo in presenza di sistemi sanitari completamente diversi non è facile dire chissà cosa, ma una costante c’è (ed è abbastanza nota): i contagiati sono di meno e sono meno gravi del 16 aprile. Fra l’altro il numero di tamponi è una volta e mezzo quello del 16 aprile.
Forse si capisce quello che penso io, ma importa anche capirsi. Per qualcuno “grave” può significae cose diverse che per altri. Credo esista un bias notevole relativo alla professione: se fai il medico intendi una cosa, se fai lo scienziato sociale ne intendi un’altra. Più facile accordare la sinistra che queste due figure…
Che i contagiati siano meno non c’è dubbio e mi viene anche da dire per fortuna.
Sul dato della gravità che estrai non ti sembra che potrebbe essere correlato alla diminuzione dell’età media dei contagiati? Nel senso: l’età media tra gli infetti si è abbassata e di conseguenza si è abbassato il numero di persone che necessitano di terapia intensiva. Che sui giovani fosse meno letale si sapeva già.
Penso di conseguenza che la gravità non sia cambiata da aprile ad oggi, è cambiato il pool di infetti.
Sul mettersi d’accordo tra diverse figure ti do assolutamente ragione.
Grazie a entrambi per le risposte.
Faccio solo una precisazione per Isver sulla mia ipotesi epidemiologica da bar sport:
io non mi riferivo a studi sulla possibilità che le polveri sottili facciano da vettore al virus, aumentando così il numero dei contagi.
Penso piuttosto a indagini circa un possibile peggiore quadro clinico che si configura in chi è esposto alle polveri sottili da tempo nel momento in cui “incontra” il virus e ne viene contagiato.
Sappiamo infatti che le polveri sottili di per sè possono essere causa di morte “prematura”, qualunque cosa voglia dire, dallo studio del Lancet (italia prima in europa « per morti premature da esposizione alle polveri sottili PM2.5»), quindi è verosimile che una popolazione nei cui polmoni negli anni si sono accumulate polveri sottili da smog mostri sintomi polmonari “più gravi” di quelli che si manifestano in altri contagiati.
In tal senso è quindi importante il numero di ospedalizzati-intubati rispetto al numero totale dei contagiati.
Se cito il passaggio giusto di Robydoc qui sopra, il 16 aprile in Lombardia questo rapporto era il 34%, mentre in Toscana 14% e in campania 19%, per poi risalire al 32% nel Lazio.
Secondo me (ma, ripeto, io ho un tavolo fisso al bar sport e capisco che con sistemi sanitari regionali diversi le variabili siano moltissime) è interessante la variazione “geografica” di questi numeri alla stessa data, e sarebbe interessante metterne tanti in un GIS e fare una correlazione con i dati delle centraline Arpa su smog e polveri sottili.
Poi è anche interessante l’altro aspetto indicato da Robydoc, e cioè la variazione nella stessa area geografica nel tempo, con il confronto tra il 16 aprile e ieri, che non c’entra con le polveri sottili ma dice qualcosa circa l’eventuale minore “gravità”…
Ciao, io posso scrivere sui punti 4 e 5. Sul 4 cercherò di riassumere il più possibile, ma non garantisco che sarà breve.
4. Vivo a Copenhagen. Qui la scuola ha iniziato il suo percorso di ritorno alla normalità già ad aprile. Il 15 aprile, la Danimarca è diventata il primo paese in Europa a riaprire asili nido, scuole materne e scuole primarie dopo cinque settimane di blocco causato dalla pandemia. Con il consiglio dell’agenzia danese per le malattie infettive (Statens Serum Institut), il governo ha annunciato che i più giovani sarebbero rientrati per primi nella società. Non è stato tutto rose e fiori come può sembrare: politici, insegnanti, genitori e imprenditori avevano tutti punti di vista diversi. Un gruppo di genitori formato su Facebook, chiamato ‘Mit barn skal ikke være forsøgskanin for Covid19’- “Mio figlio non diventerà una cavia Covid19” in pochi giorni contava oltre 40mila iscritti.
In ogni caso, con solo una settimana di preavviso, gli insegnanti si sono affrettati a implementare le nuove linee guida dell’Azienda sanitaria, al fine di accogliere
gli alunni in sicurezza. Sono state costruite stazioni di lavaggio mani all’esterno, installato lavelli extra, i rubinetti sono stati convertiti da manuali ad automatici cono fotocellula, i servizi igienici riallocati in modo che ogni classe avesse il proprio impianto, assunto più addetti alle pulizie per pulire regolarmente
giù tutti i punti di contatto come le maniglie delle porte.
Le nuove linee guida stabiliscono che gli alunni debbano lavarsi le mani ogni 2 ore.
All’interno della scuola, le aule sono state divise in modo che i banchi possano essere alla distanza consigliata di due metri. Gli orari di insegnamento sono stati modificati per restare in piccoli gruppi e molta attenzione è stata rivolta al gioco e all’apprendimento esterni.
Questo significava però anche che molte istituzioni potevano accettare solo la metà dei
bambini, mentre cercavano di trovare altri edifici e spazio esterno. Alcune scuole hanno persino utilizzato le tende come temporanee aule in parchi e campi da gioco.
Psicologi e consulenti sono stati assunti nelle scuole per aiutare sia genitori che bambini.
5. Un nuovo rapporto pubblicato ieri dall’European Environment Agency (EEA) afferma che nell’UE, il 13% dei decessi è legato all’inquinamento. Sempre EEA ha sottolineato come l’attuale pandemia abbia messo in primo piano i fattori di salute ambientale.
Nel rapporto si mette alla luce come la pandemia da SARS-CoV-2 fornisca un esempio del collegamenti diretto tra “human health and ecosystem health”.
“The emergence of such zoonotic pathogens is linked to environmental degradation and human interactions with animals in the food system”.
Mi sembra che sia un documento davvero rilevante nell’unire le diverse lotte in corso. Linko un articolo dove descrive il rapporto e dove si può trovare il link al rapporto (che sono 172 pagine): https://www.eea.europa.eu/highlights/tackling-pollution-and-climate-change
Rispondo intanto sul punto 5 (movimenti sul clima e scuola).
Penso che possa funzionare avere un quadro generale, offerto dall’articolo e dal rapporto. Però mi domando se possono essere fatti passi più a breve raggio, sempre tenendo stretto i temi “pandemia”, “global warming” e “riapertura scuole”.
Faccio qualche esempio.
I trasporti pubblici saranno considerati inaffidabili per portarci a scuola (e a lavoro), molti useranno l’auto per paura di infettarsi. L’aria nelle città sarà sempre più irrespirabile.
Le scuole sono raggiungibili in bicicletta? Se non lo sono si possono rompere le scatole a scuole e amministrazioni per affrontare il problema. In questo modo siamo a prova di bomba per il virus e diminuiamo l’inquinamento. Se poi si lavora bene su questo si può arrivare a non intossicarsi lungo la strada coi tubi di scappamento.
Ciò non toglie che i trasporti pubblici sono drammatici e vanno rivendicati.
I tablet, i PC e la DAD. I produttori di dispositivi elettronici staranno esultando come non mai e c’è chi è felice. Si sente dire che i libri di testo inquinano e ci fanno abbattere gli alberi, invece i tablet non inquinano… invece col cobalto che estraiamo per costruirli sta distruggendo una parte del mondo, oltre a sfruttare la manodopera, anche minorile.
Forse pensare ad un equilibrio libri di testo/dispositivi è necessario ora più che mai.
Rompere le scatole su queste cose è poca roba, però si può fare e lo spazio per immaginare altri passaggi è enorme.
Giustissimo quello che dici, il rapporto serve per avere un quadro generale della situazione da cui partire per proporre soluzioni che vadano incontro ad entrambi i problemi.
Gli esempi che fai tu mi sembrano già un ottimo punto di partenza.
Provo ad aggiungere qualcosa, spero di non scrivere banalità, in caso mi scuserete.
– Gratuità dei mezzi pubblici per tutti e aumento delle corse giornaliere.
– Posticipare l’orario di inizio delle lezioni.
– Abolire alternanza scuola-lavoro.
– Sistemi informatici: È una battaglia difficile lo so, ma andrebbe proposto l’utilizzo di software libero e una maggiore attenzione alla privacy. Il furto di dati di minori che avverrà con la DAD è una catastrofe del nostro tempo.
Molto interessante! Dicci anche come è andata a finire a livello epidemiologico, esistono pubblicazioni sull’incidenza della riapertura delle scuole ad aprile (con regole meno paranoiche delle nostre) e l’andamento dei casi? Per non frantumare troppo le risposte (e le palle) riporto qui anche le risposte a tre interventi sparsi: Bradipo che scrive credo nella Scuola Pubblica, l’unica possibile per me, Bradipo immagino tu creda anche, come tutti noi, nella Sanità Pubblica, cionondimeno hai prenotato una visita privata per tua figlia perchè correva rischi personali gravi. Ecco semplicemente per alcuni le regole di distanziamento etc, protratte nel tempo, possono costituire rischio personale grave per i bambini (questo sulla criminalizzazione di chi non vuol più mandare i figli a scuola con queste regole). Su violenza famigliare e violenza di Stato (plv), non colgo l’argomentazione che “siccome alcune/tutte le famiglie possono esercitare un potere nefasto sul corpo dei figli”, allora diventerebbe contraddittorio lottare perchè questo potere non lo eserciti anche la scuola. Dalla propria famiglia con un po’ di fortuna si riesce anche a scappare, o comunque a lottare; nei confronti dello Stato la faccenda diventa alquanto diversa. Sull’inutilità del togliere i bambini da scuola come forma di lotta (autori vari): abbastanza d’accordo se fatto alla spicciolata e in silenzio, ma come la vedete se un’intera classe sparisce da scuola, contrattando con il consiglio di istituto le norme applicative sui provvedimenti sanitari?
Non ho trovato pubblicazioni scientifiche, ma un articolo in cui scrivono che l’andamento non è peggiorato in seguito alla riapertura.
https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-denmark-reopening-idUSKBN2341N7
Ciò che è aumentato sono dermatiti ed eczemi sulle mani dovuto al frequente lavaggio. Ma qui non ha scoraggiato nessuno dal continuare così!
Vedi, non sono molto d’accordo sul fatto che ritirare i figli da scuola, anche in massa, rappresenti una forma di lotta efficace. Penso invece, molto in soldoni, che più famiglie tolgono i figli dalle scuole pubbliche, meno le scuole pubbliche ricevono in termini di investimenti l’anno successivo, e che lo stesso accada per la sanità pubblica.
Come ha scritto plv ci sono molte cose che si possono provare a fare stando dentro alla scuola.
Qui, se può contare qualcosa, la prima settimana solo il 60% delle famiglie si è fidata di mandare i figli in classe. La terza erano il 90%.
Fermo restando che a me fa proprio ribrezzo l’idea, ribadisco che come forma di protesta, l’home schooling equivale allo sciopero virtuale proposto da Barbagallo della UIL (lavoro ma per protesta rifiuto lo stipendio). La scuola, coi banchi nuovi e le altre idiozie (test sierologici in primis), la paghiamo tutti. Fare massa critica è praticamente impossibile, perché si scontra con le esigenze lavorative dei genitori, quindi il risultato sarebbe paradossalmente quello di risolvere il problema del distanziamento fisico in qualche classe, ma senza beneficiarne (ammesso e non concesso il beneficio). Allo stato starebbe non bene, ma benissimo. A maggior ragione perché allontanerebbe i figli di genitori scomodi.
Anche si riuscisse a ritirare intere classi dalle scuole e attirare l’attenzione, peraltro, non si può ignorare il contesto. Se non mandi tuo figlio a scuola per paura del virus, forse un po’ di solidarietà ancora ancora la trovi. Se non ce lo mandi per… qualunque altro motivo, sei negazionista e fine del discorso. Non contratti un bel niente con nessuno, da una posizione del genere.
A proposito della scuola, fin’ora mi sembra che il dibattito sia incentrato sulle scuole elementari o medie, dove perlomeno sembra che la scuola riprenda. Per le superiori invece la buona vecchia DAD non è morta affatto. Sembra che gli adolescenti, che da maggio-giugno sono tornati (per fortuna) a frequentarsi in gruppo, l’unico posto dove stare assieme sia nocivo e pericoloso sia la scuola. In autobus si accalcheranno come al solito (il iempimento dei mezzi all’80% è un barzelletta, sara’ il 100%), ma dentro le aule mai. Ci vuole almeno in parte la DAD. Per l’universita’ per la quale la frequentazione tra i giovani è tutto, la situazione è ancora piu’ confusa. La DAD come lo smartworking è una occasione troppo ghiotta per il potere economico per mollarle così in fretta. Qualcosa deve rimanere, e temo che rimarra’.
I sintomi per i quali devi tenere a casa i bambini sono estremamente vaghi, chiunque abbia dei figli sa perfettamente che già solo il naso che cola inizia dopo il primo giorno di nido/asilo, immagino sia così anche per le elementari. Gli stessi pediatri stanno dicendo che un naso che cola non è covid ma che loro non si sentirebbero di certificarlo.
Devo aggiungere che dove vivo io, nel patto di corresponsabilità, è indicato per tutte le fasce d’età dagli zero anni in su che se il bambino è indisciplinato o non riesce a seguire le regole “qualora venga comunicato dal Coordinatore Pedagogico della scuola, sentite le insegnanti, che lo stesso non è in grado di mantenere i comportamenti minimi di sicurezza” verrà allontanato, da tutte le scuole del regno aggiungo.
Con questo tipo di regole la scuola diventa un mero luogo in cui inculcare dei concetti, cosa che fa sembrare la didattica a distanza una valida alternativa in quanto praticamente azzera il rischio di contagio, l’aspetto sociale viene completamente eliminato, la scuola come luogo d’incontro tra persone di diversa provenienza sociale e geografica, come luogo di presenza, confronto e socialità, dove s’impara anche a relazionarsi con gli altri, e dove s’impara a gestire i conflitti, il gioco, tutto questo viene sacrificato all’idea che almeno così si riapre in presenza.
Perchè nel settore privato, a prescindere dal numero di casi confermati e focolai, i luoghi di lavoro (Bartolini, Aia, aziende e cooperative del settore ortofrutticolo) possono continuare a lavorare; mentre per le scuole un solo caso fa rispedire a casa un’intera classe, se non un intero istituto?
Alla fine mi domando, ci illudiamo veramente che basti il rispetto di queste regole (dalla mascherina all’impossibilità di giocare e relazionarsi anche fisicamente tra compagni) per tenere aperte le scuole e impedire la loro chiusura, quando già con i corsi di recupero hanno iniziato a chiudere classi e rispedirle a seguire la didattica a distanza, quando già per le superiori hanno iniziato dicendo che una parte della classe seguirà i corsi in presenza e l’altra da casa?
Ma veramente crediamo che con l’arrivo dei raffreddori stagionali le chiusure di nidi, asili e scuole non riprenderanno immediatamente?
Probabilmente a novembre non ci sarà più nessuno in classe fisicamente.
Credo che sarebbe utile tenere un occhio fisso qui, per non farsi impressionare da quello che si sente in giro:
https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-dashboard
Il primo grafico mostra la situazione italiana per quanto riguarda il Covid-19 – cioè la malattia causata dal virus – negli ultimi 30 giorni. Aspettiamo che i dati più recenti siano confermati, ma la realtà del morbo che infuria di cui parlano i giornali, nei dati ufficiali al momento non si legge.
L’ultimo grafico invece mostra lo stato clinico dei positivi al SARS-CoV-2 negli ultimi 30 giorni, divisi per fascia d’età. Le percentuali sono sempre più o meno le stesse all’interno di ogni singola fascia. Quello che cambia è soprattutto l’incidenza delle varie fasce sul totale dei contagiati (grafico a torta). Comunque sia, sotto i 40 anni in terapia intensiva non ci finisce praticamente nessuno. Sotto i 20 letteralmente nessuno: tutte le notizie sparate dai giornali nei giorni scorsi sono state smentite. Tra i 40 e i 60, siamo nell’ordine di qualche unità su mille. Poi si sale per arrivare a qualche unità su cento e poi si scende un po’ perché la terapia intensiva è troppo invasiva per una parte di pazienti molto anziani. In totale i casi critici sono meno dello 0,4% dei positivi. E i casi severi (ricovero non in terapia intensiva), sono attorno al 5%.
Fb, ti chiedi perché le aziende con un positivo continuano a lavorare mentre la scuola deve chiudere. Su questa differenza di condizioni tra pubblico e privato ci si è già interrogati su questo blog; semplicemente, lo Stato che mette su un apparato di sicurezza non può essere quello che non lo applica. La discrepanza è stata una costante da febbraio ad oggi, basta riprendersi le discussioni fatte quest’inverno sui vari thread. Il motivo vero (e ovviamente non detto) è che la fabbrica che produce e vende putrelle fa PIL, l’ufficio pubblico (in tutte le sue accezioni) ne fa un po’ meno.
Concordo in pieno con te sull’altro punto; anch’io penso che ad ottobre (sono più pessimista) la stragrande maggioranza delle scuole sarà chiusa. D’altra parte basta leggersi interviste e dichiarazioni di Speranza e Azzolina (di quest’ultima sono fin troppo eloquenti le audizioni parlamentari di questi giorni) per vedere come si stiano mettendo le mani avanti. Ovvio che da genitore (ma non solo) mi auguro vivamente di sbagliare.
Per Isver: ragionare sui numeri effettivi è affascinante e salutare, perché riporta il tutto nella giusta prospettiva. Il punto è che limitarsi alla questione sanitaria significa prendere in considerazione la parte meno problematica della vicenda (paradossalmente, almeno allo stato attuale e con questi numeri). Il terrore di molti non è legato ai pericoli per la salute ma alla questione quarantena, che si trascina con sé altre questioni direi sociali ed economiche. Quarantena può significare figli a casa (con tutto quello che comporta se entrambi i genitori lavorano e non si hanno nonni a disposizione) e/o chiusura del luogo di lavoro (con relativo pericolo di rimanere disoccupati).
Ma la questione epidemiologica, comprese le misure di contenimento, è una proiezione di quella sanitaria. Solo che oggi in Italia è una proiezione distorta. Covid-19 sembra diventato Captain Trips di King. Si è spostata tutta l’attenzione sul numero dei contagiati, che, per carità, ha pure senso, dal momento che sui grandi numeri anche piccole percentuali possono mandare in tilt il sistema sanitario, e questo va tenuto sempre presente. Ma non si può perdere di vista la differenza sostanziale tra positività al test e malattia. Anzi, sarebbe anche ora di rivedere criticamente gli strumenti diagnostici che utilizziamo. Non solo il sierologico, che come detto, se usato in modo improprio come stiamo facendo in Italia, è addirittura dannoso. Anche sul tampone stesso, o meglio l’analisi del tampone, bisognerebbe farsi qualche domanda. Ad esempio c’è questo studio uscito a fine aprile secondo cui non è stato possibile coltivare il virus in vitro a partire da nessun campione con Ct superiore a 33 (numero di cicli di PCR necessari a evidenziare l’RNA virale).
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7185831/
In altre parole vuol dire che i positivi con Ct da 34 in su – e mi pare che il limite attuale sia 40 – non sono contagiosi. Hanno carica virale troppo bassa, praticamente insignificante.
La questione è stata sollevata anche da altri ricercatori, ne ha parlato anche il NY Times.
https://www.nytimes.com/2020/08/29/health/coronavirus-testing.html?referringSource=articleShare
Scrivo righe a caldo sulla conferenza di Conte&Friends sperando che possano essere utili ed eventualmente corrette. Secondo me c’era una grande assente: la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali la cui presenza sarebbe stata importante per chiarire alcune questioni sul welfare
Ci tengo a sottolineare qualche trappola discorsiva, senza alcuna velleità di essere esaustivo:
– Conte ha ripetuto quello che va ripetendo da mesi, “avremo una scuola più moderna, più digitalizzata, più inclusiva”.
Perché la scuola debba essere più inclusiva non è dato sapere: si intuisce che le persone già escluse e già marginalizzate saranno raggiunte grazie a libri di testo e nuovi dispositivi elettronici. La digitalizzazione unisce e include tutt*, a prescindere dalla persone che sta davanti allo schermo. E questo ci rende più moderni.
– Dalle dichiarazioni conclusive di Conte si evince che la figura dell’insegnante sostituirà quella dell’infermiere in quanto eroe. È lui stesso a suggerire la similitudine.
Non avevamo bisogno di eroi ed eroine negli ospedali, non ne abbiamo bisogno nemmeno a scuola. Il problema del personale con “fragilità” mi sembra non sia stato nemmeno citato. Evidentemente ci piacciono così tanto i militi ignoti.
– Si parla di una grande immissione di docenti: Conte ha detto che 160mila insegnanti saranno immessi in ruolo. Dovrebbero essere quelli del concorso, ma ancora non si sa quando sarà e comunque non ce n’era bisogno: almeno chi lavora da tre anni doveva già entrare in ruolo come chiesto da più parti. Lucia Azzolina poi ha parlato solo del concorso straordinario: quello ordinario è scomparso dalle sue dichiarazioni.
– Si parla di carenze strutturali che la scuola ha da decenni. Non vengono citate. Non si sa quali sono. Senza nominarle non si sa quale deve essere la misura necessaria. Ma si dà l’illusione di averle adottate. Per esempio, sullo 0-6 l’unica cosa che sappiamo è che non c’è obbligo di mascherina…solo che lo 0-6, a livello nazionale, rappresenta una falla clamorosa.
– 7 regioni su 20 non riaprono. Di queste 6 stanno al Centro-Sud. Come si fa a dire che la scuola riapre il 14 settembre? A me questa sembra la prosecuzione del razzismo contro il Sud e non riesco a non vederla così.
Vorrei segnalare un articolo di Maria Morigi; Riapertura della Scuola in Cina, senza drammi e complotti.
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/30683-riapertura-della-scuola-in-cina-senza-drammi-e-complotti
Forse non focalizza il cosa fare oggi per la Scuola in Italia, ma certamente contribuisce ad ampliare le conoscenze e nel contempo ammorbidire le tensioni.
Inoltre segnalo l’interessante dibattito sulla Scuola, oggi su Radio Rai3 in Tutta la città ne parla.
Purtroppo sono relativamente pochi quelli che desiderano intraprendere la professione di insegnante, visti i risultati nelle varie regioni sui posti richiesti e quelli coperti. Una professione che in Italia è sempre stata interpretata come una missione, una specie di sacerdotium, una vocazione, poco remunerata ma estremamente impegnativa. Si potrebbe fare molto in merito, una questione di politicizzazione sociale deficitaria, che attualmente attraversa un periodo senza luce.
Il discorso scuola non può prescindere dal discorso medici di famiglia/pediatri.
Il presidente del sindacato dei pediatri di famiglia ha affermato che con l’avvio delle scuole si aspettano contatti telefonici decuplicati.
La quantità di malattie con sintomi sovrapponibili alla Covid è enorme e inevitabilmente ci sarà una massiccia richiesta di tamponi. Quanto rischia di attendere una famiglia per sapere se il figlio può rientrare in classe? Saranno disponibili tutti questi tamponi?
Per garantire un numero tale di tamponi è necessario che sia data priorità alla scuola e quindi che la maggior parte dei tamponi venga reindirizzata in quell’ambito. È eticamente corretto? Lo chiedo perché non lo so. A freddo mi verrebe da dire di sì, ma se ci penso un po’ mi vengono in mente tutte le categorie che rischiano di rimanere bloccate nel limbo in attesa di un tampone.
Be’, sono reduce da due giorni di riunioni “interpretative” sulle disposizioni scolastiche anti-covid per la primaria e per la secondaria. E la mia impressione è questa: se qualcuno si prenderà il virus non sarà a scuola.
Bambini e ragazzi si frequentano regolarmente fuori da scuola, vanno in giro insieme, fanno sport, giocano, i più grandi si fidanzano, si abbracciano, ecc.
A scuola entreranno scaglionati, con percorsi differenziati, metteranno astucci e quaderni in sacchetti chiusi, le mascherine dentro buste di plastica chiuse, staranno distanziati, non potranno scambiarsi oggetti né toccarsi, faranno la ricreazione in classe e ogni volta che si alzeranno dal banco indosseranno la mascherina. Alle elementari avranno perfino la borraccia o la bottiglietta d’acqua da casa e pasti monoporzione incelofanati.
Con queste regole mi pare veramente molto improbabile che la scuola possa essere un luogo di contagio. Fatta così sarà pure una scuola difficile e brutta, ma una cosa è certa: sarà il posto più al sicuro dal contagio di tutti quelli che i ragazzini e le ragazzine frequenteranno. E ho l’impressione che questo varrà anche per chi starà seduto alla cattedra.
Due giorni fa si è svolta, rigorosamente su meet, anche l’assemblea di classe di mia figlia, che lunedì inizierà la seconda media.
Con dovizia di particolari e malcelate contraddizioni, si è spiegata la sequenza dei singoli gesti che i nostri figli dovranno compiere per raggiungere, dal cancello di ingresso, il loro banco.
(Si è chiesta anche la disponibilità di alcuni genitori per mantenere l’ordine e la distanza di sicurezza fuori dalla scuola)
Non mi soffermo su questi protocolli, per me sono improvvisati canovacci di una pantomima.
Quello che mi ha sorpreso, ed ero preparato al peggio, è che per circa un’ora si è parlato di DAD (o meglio DDI, che fa più figo).
I ragazzi dal primo giorno verranno istruiti all’utilizzo di classroom, la nostra nuova, accogliente, aula virtuale. La DAD verrà attivata dal giorno successivo alla chiusura della scuola. Si svolgerà con i seguenti orari. Chi ha bisogno di un dispositivo tecnologico lo riceverà anche quest’anno. E via così.
Nel frattempo niente più laboratori e attività motoria in classe, seduti nei banchi.
Il primo giorno i ragazzi dovranno portare, firmato dai genitori, il patto di corresponsabilità, a cui è stato aggiunto un’appendice Covid-19 ed un’appendice DDI, in cui tra l’altro:
– “la famiglia si impegna a spiegare l’importanza della didattica digitale come risorsa alternativa ma necessaria in tempo d’emergenza.”
– “L’alunno/a si impegna a considerare che la DDI non è solo una condizione necessaria per continuare il percorso scolastico ma anche un’opportunità per maturare competenze digitali e prosociali;”
Quest’appendice DDI rappresenta, di fatto, il primo passaggio formale di accettazione della didattica a distanza da parte dei genitori.
La DAD elimina gli aspetti più positivi del sistema di istruzione pubblico e aggiunge gli aspetti più negativi dell’homeschooling.
Che fare, dunque se fra qualche settimana verrà imposta, più o meno a macchia di leopardo, la DAD?
Come si reagisce? Sarebbe bene cominciare a riflettere anche su questo, per non farsi trovare impreparati.
Accettarla per la seconda volta senza colpo ferire, significherebbe mettere una pietra tombale sulla questione.
Io continuo a sostenere che l’unica risposta plausibile, che non sia difensiva, anche rispetto alla DAD, è l’uscire fuori dalle aule. Questo significa una responsabilizzazione dei genitori, che siano privilegiati o disoccupati o latifondisti, comunque tutti quelli che si possono “permettere” di accompagnare i propri figli, e i professori, in questa pantomima, per alcuni mesi. Le difficoltà sarebbero organizzative e di chi si prende la responsabilità degli alunni fuori dalle aule, certo. Ma questo sarebbe un obiettivo concreto sul quale responsabilizzare e coinvolgere con chiarezza tutti gli attori. genitori, prof , presidi. So che non è una cosa facile, ma non riesco a immaginare alternative. se si accetta tutta la pantomima, dove i genitori praticamente non possono accedere nelle scuole, i bambini e ragazzi non si posso avvicinare, i prof sono lasciati da soli allo sbaraglio… si è così costretti che fare battaglie diventa sempre più improbabile e da una posizione sempre più debole.
rispetto a quello che diceva PLV su esempi virtuosi all’estero… qua in Spagna di virtuoso nulla. la situazione è ben peggiore che in Italia, a tutti i livelli. Margini di discussione nulli e imposizioni e divieti tassativi uniche misure contemplate. Nel plauso generale. Qua la scuola pubblica non è mai stata quello che è stato in Italia. è una propaggine dello stato post-franchista che è difficile prendere a cuore per uno che non è di qua. In Italia penso che ci sia molto più margine di lotta.
Qualche settimana fa Enrico Bucci e altri ricercatori avevano evidenziato come la curva dei contagi a metà agosto avesse un andamento simile a quello che si sarebbe visto probabilmente a dicembre, se a dicembre si fosse cercato il virus come lo si cerca adesso. Ovviamente da questi ricercatori, per quanto seri, non mi aspettavo nessuna riflessione “ottimistica” a partire da quelle osservazioni, anzi. E non mi sbagliavo. Ma a me è venuto subito da pensare che a dicembre e gennaio le scuole erano aperte, eppure non si è mai sentito da nessuna parte ipotizzare un ruolo significativo delle scuole nella diffusione del virus lo scorso inverno. Allora perché stavolta dovrebbe andare diversamente? Non c’è ragione, per come la vedo io. Specialmente con tutte queste precauzioni. Il problema è che ormai hanno puntato tutti i riflettori (e i fucili) sulla riapertura. Speriamo di no, ma ci vuol poco a far scoppiare il classico merdone, con tutta l’ansia che si è creata.
Mi spiego meglio, schematizzando il ragionamento che mi porta ad essere preoccupato per la possibile chiusura di alcune scuole.
Premessa: è importante sottolineare, come hai fatto tu, che (quasi) nessuno ha mai ipotizzato un ruolo della scuola nella diffusione del virus. E anche io non vedo perché stavolta dovrebbe andare diversamente.
Il mio ragionamento però prescinde dal problema della possibile diffusione del virus nelle scuole e si riallaccia ad una questione che hai sottolineato in un precedente intervento: “non si può perdere di vista la differenza sostanziale tra positività al test e malattia”. Che è come dire, aggiungo io, che definire malato un asintomatico è una contraddizioni in termini.
A dicembre/gennaio le classi delle scuole d’Italia erano decimate, spesso dimezzate, per l’influenza. Succede ogni anno e ragionevolmente succederà anche questo autunno.
Mi pare di capire che la scuola tratterà gli alunni con questi sintomi come potenziali casi di coronavirus. L’alunno va a casa e fa il tampone (o i tamponi perché si sta ipotizzando una necessaria doppia negatività per tornare a scuola).
Questo meccanismo, cioè la diffusione dei virus influenzali, porterà rapidamente ad effettuare un numero di test molto alto sulla popolazione scolastica, sintomatica o meno.
Se si testano massivamente gli alunni si troveranno un buon numero di casi positivi, indipendentemente dai sintomi (che saranno prevalentemente influenzali poiché i giovani sono per lo più asintomatici al Sars-Cov-2, quindi non malati di covid-19).
Parlo qundi di casi positivi al tampone (test che utilizza la pcr per un alto numero di cicli), non di malati né di contagiosi.
I casi positivi, uniti all’ansia che si è creata e al fatto che si è già pronti per la comoda DAD, porteranno, se le norme non cambiano, alla chiusura di alcune scuole.
Questo il ragionamento. Spero di sbagliarmi. Se così non fosse bisognerà prendere posizione.
Io credo che bisognerebbe farlo già adesso, non firmando il patto di corresponsabilità (per l’appendice DDI di cui parlavo), rimettendo in discussione l’equivalenza positivi=malati=contagiosi e, come hai scritto, gli strumenti diagnostici che sono alla base di questa equivalenza.
Oggi a Bologna, (alle diciassette, al Nettuno) ci sarà un presidio di Black lives matter per Willy. Io non ci sarò perché sarò, finalmente, in vacanza e mi dispiace moltissimo non esserci. La manifestazione di giugno a Bologna ha visto la partecipazione di una enorme quantità di persone giovanissime che, dopo mesi di clausura, sono scese in piazza per manifestare la loro rabbia. Forse sono anche le stesse persone che frequentano le nostre scuole: i nostri licei e la nostra università. Io mi auguro che, come in quella occasione, una risposta forte e chiara possa arrivare da questa generazione così colpevolizzata e criminalizzata. Non vedo, per il momento, altre forme di reazione a portata di mano. Le poche organizzazioni che hanno apertamente aderito al presidio si collocano tutte a sinistra. Senza se e senza ma, senza paura di parlare di fascismo e razzismo. Senza paura di chiamare le cose con il loro nome, rivendicando la piazza. Cosa che, per il momento, sta facendo solo la destra estrema: la settimana scorsa a Roma c’è stata una manifestazione che vedeva schierati, nel medesimo luogo, i fascisti di casa Pound con le associazioni di mamme preoccupate per come è stato ” pianificato” il rientro in classe. Credo che sarebbe importante partecipare a questo presidio accanto ai propri figli e che le associazioni di insegnanti dovrebbero essere presenti per parlare del ruolo che la scuola ha nella formazione degli individui. La scuola, per molti ragazzi non italiani, è l’ unico anello di congiunzione con la società da cui sarebbero ancora più emarginati ed esclusi se non si svolgesse “in presenza” e se il “piano di sabotaggio” della scuola pubblica fosse definitivamente portato a termine.
Scrivo in forma anonima, perché ho paura di ripercussioni al lavoro.
In uno dei licei principali della mia città (e sto parlando di una delle più grandi città del nord) la DAD è stata sdoganata completamente.
Dopo il primo collegio docenti di inizio anno, la maggior parte delle lezioni avverranno con metà classe in presenza e metà classe a distanza. La scusa è quella di classi troppo numerose e mancanza di aule. Ma da fine febbraio, ovvero da quando siamo chiusi, a oggi non si è fatto granché per cercare altri spazi comunali dove smistare questi studenti. Abbiamo l’obbligo, almeno di fatto, di usare Google Meet e Google Classroom, senza alcuna preoccupazione per ciò che questo possa fare alla privacy o alla libertà di insegnamento. (Un ragazzino di 15 anni con il poster di Che Guevara in camera lo “schediamo” già da minorenne?) Senza considerare i problemi tecnologici, di qualità della didattica o burocratico-amministrativi. Ad esempio, da un punto di vista legale, chi mi garantisce che una lezione di qualità sulle equazioni di secondo grado, non venga poi riciclata da qualche piattaforma che l’ha inopportunamente registrata, in futuro?
La cosa che mi rende triste è che la maggior parte dei colleghi queste circostanze non le percepisce neanche lontanamente come problematiche e “tira a a campare”.
C’è anche da dire che abbiamo la classe docente peggio pagata e più anziana d’Europa (mi pare che l’età media sia sopra i 50). Tanti colleghi, alcuni lo ammettono più o meno chiaramente, hanno semplicemente paura.
In questo senso, negare o minimizzare il virus è purtroppo, almeno a mio parere, una gravissima falsa pista, se si vuole la collaborazione del corpo insegnante. Così come continuare a raccontare i docenti come “privilegiati”. Forse gli anziani che ho sopra descritto. (1/2)
Avevo un collega che quasi piangeva, l’altro giorno, perché gli hanno negato una casa in affitto perché ha solo contratti annuali (da oltre sette anni!!!). E non parliamo se, con una bambina piccola, avesse voluto chiedere un mutuo. Tanti lavoratori firmeranno contratti capestri “da terminarsi nel caso la scuola venga chiusa in caso di coronavirus”, e purtroppo la battaglia fra poveri ci allontana gli uni dagli altri. Privilegiati stocazzo. Io l’anno scorso avevo due classi da 33 in aule nei sotterranei senza finestre.
La spinta della DAD ormai avviene in modo spudorato, senza neanche più nasconderlo.
Inizialmente pensavo gli si sarebbe rivoltata contro: ad esempio, se si insegna da remoto, nulla mi vieta di insegnare in un altro paese, in cui pagano meglio (se parlo bene inglese, ovviamente). Pensavo avrebbero perso la maggior parte degli insegnanti, o sarebbero stati obbligati a pagarli di più.
Poi però, leggendo sul blog, mi sono reso conto che non farebbero una piega: e la scuola pubblica farebbe la fine che hanno fatto, almeno da queste parti, la sanità pubblica e i trasporti regionali a basso prezzo.
Per il Ministero è probabilmente anche un’occasione per risparmiare. Da tempo molti sindacati vicini alla scuola avvisano che questo settembre ci sarebbe stato il contigente di supplenti più numeroso della storia repubblicana. La DAD costa meno. Qualunque docente minimamente valido sa che la didattica è qualitativamente peggiore, in quel caso. Non solo per i ragazzi: anche per i docenti stessi: ad esempio, gli insegnanti bravi usano costantemente il feedback della classe per automigliorarsi. In classe in presenza lo vedi in un istante, quando i ragazzi sono annoiati, stanchi, non ti seguono più…quando alcuni sono confusi e sono rimasti indietro. I ragazzi tendono a non dirle queste cose, per altro, e un insegnante si abitua a leggerle nei loro occhi. Io queste cose non le riesco a fare, da un monitor. Che fra l’altro in alcuni casi è pure spento. Posso “declamare” la mia lezione come sempre, ma non è la stessa cosa.
Chiedo scusa per avere messo nello stesso post questioni piuttosto disparate fra loro. (2/2)
Per WM4. La questione (e il problema) non sta tanto nelle linee guida ma nella loro effettiva possibilità di applicazione. Esse rappresentano una bellissima manifestazione di intenti, ma il timore è che rimangano sulla carta. In teoria sono buone misure, ma nella pratica verranno osservate nei primi due-tre giorni, per essere poi disattese. Non riesco a immaginare bambini di elementari e medie (soprattutto questi ultimi) che non si toccano, che avranno la costanza, tutti i giorni, di mettere astucci, quaderni e libri in sacchetti chiusi, che osserveranno il distanziamento mentre sono in coda per l’ingresso scaglionato, che rimarranno rigorosamente all’interno dei percorsi segnalati, che non capiterà loro, involontariamente, di gridarsi addosso senza indossare la mascherina.
Queste linee guida sono una pezza messa all’ultimo momento per cercare di rimediare alle mancanze degli ultimi sei mesi, all’incapacità di programmare, alla scarsa volontà, all’incompetenza, e, soprattutto, rappresentano la foglia di fico messa davanti alla certezza di tornare alla DAD. Il governo sa che alternative non ci sono, e che quando tornerà ad imporla mugugneremo, protesteremo, ci incazzeremo ma saremo costretti ad adeguarci perché non potremo fare altrimenti. Nephila spiega bene il vero sotteso al discorso quando dice che che nelle assemblee si impiegano tempo e risorse per spiegare la DDI e magnificarne le bellezze.
Mentre siamo tutti d’accordo nell’argomentazione fondamentale secondo cui i bambini, le famiglie, gli educatori e la società meritano di avere scuole più sicure, l’attuale ecologia dell’informazione è passata dal sottovalutare la minaccia all’esagerazione dei rischi reagendo al clima politico. Questo nuoce enormemente al clima sociale.
Si spera che le statistiche forniscano una visione più obiettiva, ma mentre i dati solidi ci offrono approfondimenti, i numeri non parlano mai da soli. Anch’essi sono plasmati dalle nostre emozioni, dalla nostra politica e, forse soprattutto, dai nostri preconcetti.
Ad esempio, sebbene le prove emergenti suggeriscano differenze di età nella trasmissione, la precedente esperienza di pandemie influenzali ha lasciato molti con forti convinzioni sul ruolo dei bambini nella propagazione della diffusione nella comunità, disturbando l’interpretazione di questi dati.
Alcuni paesi hanno mantenuto le scuole aperte durante la pandemia e molti hanno aperto scuole in aprile / maggio – quindi l’argomento secondo cui non abbiamo abbastanza conoscenza o esperienza in questo senso non è corretto – possiamo imparare molto dalla loro esperienza.
Non si sta suggerendo che i bambini siano “immuni” o che non trasmettano affatto, è necessario adottare misure appropriate, ma la copertura sensazionalistica di questo argomento, specialmente da parte di autoproclamati esperti e media, causa disagio alle famiglie, agli assistenti e ai bambini stessi.
La chiusura delle scuole ha portato in netto rilievo l’ingiustizia sociale, economica e razziale, con i bambini e le famiglie storicamente emarginati che soffrono di più e vengono aiutati meno. Molti bambini in età scolare si affidano alle loro scuole per pasti giornalieri gratuiti o a prezzo ridotto. Nonostante gli sforzi dei distretti scolastici per mantenere questi servizi, la maggior parte dei bambini non è stata in grado di accedere ai benefici nutrizionali completi a cui aveva diritto.
La riapertura sicura delle scuole per i bambini dovrebbe essere una priorità assoluta durante questa pandemia, il che può significare la chiusura dei servizi interni non essenziali se necessario. Affinché ciò avvenga, abbiamo bisogno di discussioni sfumate ed equilibrate.
Bella la citazione di Boris:
riflettevo sull’ ultimo rapporto CGIA di Mestre, che delinea lo stato dell’arte della relazione tra istruzione e lavoro: si denuncia l’ esistenza di questo iato tra quello che si studia e quel che si fà dopo essere usciti dagli studi; in Italia, nonostante la fuga di cervelli, spessissimo dice il rapporto ci si dedica a qualche mestiere che richiede un livello di istruzione minore di quello certificato dal sistema di istruzione, con una crescita di + 30% in 10 anni. Si intuisce che con un po’ di cinismo c’ è tra le altre cose un problema di produttività che in circolo vizioso si riflette nel rapporto tra le due sfere. Aggiungo questo: che ad agosto lo stesso centro studi pubblicava il rapporto per cui gli italiani pagano in vent’anni più tasse del 47,4%: un dato che corrisponde a 3,5 punti in più rispetto all’aumento del Pil nazionale (+43,9%).
Spero che la brutalità di questi dati e il taglio controtendenza della mia breve analisi possa contribuire all’ obliquità dello sguardo di qualcuno più realista tra voi giapsters, altrimenti mi scuso in anticipo.
Posso raccontare le mie impressioni a 2 giorni dall’inizio delle lezioni (io lavoro sul sostegno in una scuola primaria).
L’idea generale che è passata dal DS sino alle famiglie è che quest’anno sarà un anno speciale. Un anno con numerose incognite e che richiederà a tutt* assunzione di responsabilità e capacità di adattamento.
Le norme indicate da WM4 sembrano molto simili a quelle del mio istituto. Io avrò sia una quinta sia una terza. La proposta che si possa svolgere un tempo pieno da 40 ore (da 60 minuti) in queste condizioni mi sembra abbastanza folle, ma di fatto è una corvée che la scuola paga alle famiglie per tenere i figli il più a lungo possibile (peraltro il tempo pieno, anche in situazioni precovid, era una struttura fallimentare). Verranno attivati servizi di prescuola e postscuola.
Molti dei genitori si stanno fissando, secondo me stupidamente, sulla questione “mascherina”. Non è quello il problema reale di questa ripresa. Bensì la necessità di “restare fermi”.
Cosa accadrà realmente? I docenti difficilmente sono in grado di far rispettare le norme, e sono pressoché certo che in molti – arbitrariamente – si prenderanno la briga di decidere se certe situazioni sono a rischio oppure no. Trovo che questa sia una via sbagliata di approcciare il problema.
Non può e non deve in alcun modo essere scaricata sul docente la responsabilità di gestire questa situazione. Deve essere il collegio a trovare – per tutti – delle soluzioni concrete, sicure e praticabili, affinché gli alunni possano vivere nel modo migliore queste 8 ore in classe. Può darsi che a dicembre si vadano ad allentare le briglie, difficilmente si andrà avanti così sino a giugno [anche perché i dati riguardanti le scuole come possibili focolai mi paiono promettenti].
Bisognerà attendere, certo. Ma approfittare comunque degli strumenti in nostro possesso per costruire una didattica la più adeguata ai nostri tempi e appassionante per i bambini costretti in uno spazio limitato e limitante.
Poi si potranno fare considerazioni più sistemiche, o politiche se preferite, ma per me la priorità resta come sempre la testa dei miei bimbi nel momento in cui entrano in aula. Anche perché è l’unico tempo a mia disposizione per poter concretamente fare qualcosa di significativo.
Vorrei capire una cosa: “stare fermi” è sano per dei bambini? Qualcuno ha messo in conto quali conseguenze sulla salute mentale può avere una simile imposizione?
Questo porterà ad avere una scuola brutta e più difficile come affermato da WM4, soprattutto se non si sono pensate e programmate strategie pedagogiche atte a compensare quanto sopra ipotizzato.
Nella riunione a cui ho partecipato (in remoto…) con genitori e maestre di tali strategie ovviamente non si è sentita parola.
Perchè? Perchè probabilmente non sanno che pesci pigliare, non hanno esperienza di situazioni simili (e questo è comprensibile) e non hanno formazione specifica in merito (e questo non lo posso comprendere perché il MIUR di questo si sarebbe dovuto anche occupare (non solo di banchi a rotelle e altre scempiaggini).
Ho l’impressione che una totale e rassegnata accettazione di noi genitori di tale situazione venga data per scontata, visto anche che – se non fosse stata per la domanda specifica di una mamma – la questione dell’educazione fisica avevano bene evitato di affrontarla, tant’è che nel presentare la suddivisione delle varie materie tra le maestre, la ‘ginnastica’ non era stata proprio menzionata.
In via personale ho chiesto al dirigente scolastico spiegazioni più specifiche tramite mail, e nel momento in cui – dopo la prima risposta – ho chiesto cosa intendono fare quando le attività all’aperto non sono più possibili per motivi meteorologici, non ho più avuto risposta.
Questa cosa potrebbe sembrare una quisquilia ai più, ma secondo me è invece sintomo di una decadenza presente da tempo nella visione della scuola del ‘futuro’, che con la situazione pandemica rischia di avere un’accelerazione preoccupante. Lascia passare il pericoloso messaggio che ci sia qualcosa di ‘sacrificabile’ nell’offerta formativa della scuola pubblica.
Boh, forse ora è prematuro fare considerazioni su come sia andata “l’apertura”, anche considerando che pure qui, nell’evidenziarne i problemi e le contraddizioni, ci sono diverse sensibilità su ciò che ciascuno ritiene sia il “giusto” modo di coordinare salute, pedagogia e diritto allo studio, i cui “pesi specifici” sono soggettivi.
Io evidenzio la contraddizione fra la formale ricerca di “assoluta” sicurezza sanitaria fra i bambini e il fatto più prosaico che poi, a partire da linee guida nazionali, ogni Preside ha dovuto interpretare le norme e dare misure di dettaglio a modo suo e con i mezzi a propria disposizione.
Ad esempio (scuola elementare) so di istituti dove hanno interrotto l’uso del grembiulino, mentre in altri si continua a usare (cosa credo irrilevante a fini sanitari, ma se qualcuno l’ha pensata avrà avuto una ragione? O è mera “formalità” venuta in mente così?). Ci sono istituti dove ogni mattina si deve autocertificare la misurazione e l’assenza di febbre, mentre in altri si considera l’autocertificazione avvenuta in automatico con la sola presentazione dell’alunno a scuola, dato che tale prassi (misurazione giornaliera e non presentazione a scuola in caso di febbre) è definita nel patto educativo sottoscritto dai genitori.
Nella “nostra” scuola poi (non ho capito se è così dappertutto) si sono concentrati sugli oggetti: i libri non si possono portare a casa (i bimbi più grandi per studiare a casa li leggeranno sulla versione on-line) e l’astuccio con le penne e le matite viaggia da casa a scuola in una busta di plastica nello zaino con il materiale “di giornata”, anch’esso in busta trasparente. Anche la ragione pratica di questa cosa mi sfugge. Cioè, posso immaginarla a livello teorico se fossimo in un laboratorio alle prese con qualche virus o spora tipo Ebola o chissacché, un po’ meno parlando di una scuola elementare nel contesto attuale: serve a proteggere chi? I nonni a casa dal potenziale contatto con un libro contaminato? Probabilisticamente quanto è utile sta cosa? Gli stessi nonni che senza il tempo pieno si tengono i bambini in casa tutto il pomeriggio?
Trovo centrato il commento di WM4 sopra: «[…], ma una cosa è certa: sarà il posto più al sicuro dal contagio di tutti quelli che i ragazzini e le ragazzine frequenteranno. E ho l’impressione che questo varrà anche per chi starà seduto alla cattedra.»
Questa è la contraddizione lampante su cui far leva, se non fossimo un paese così ipocrita.
(PS: scusate il doppio post, ho cercato di tagliare tutto il tagliabile ma alla fine rimanevano 149 caratteri di troppo senza i quali non riuscivo a dire tutto)
Sulla riapertura sto avendo conversazioni raccapriccianti, ma a me il dato più impressionante non mi sembra sulle linee guida e le modalità da tenere in classe. Il dato che mi impressiona è che non ci sono i docenti. Ci sono istituti che fanno la metà delle ore perché manca, letteralmente la metà del personale. Le convocazioni sono partite al singhiozzo e lentamente e quindi dove ci devono essere 6 ore ce ne sono 3.
6 mesi per pensare a come riaprire: 6! E manca il personale.
Non scrivo per minimizzare la questione delle norme interne, ma a me sembra allucinante che si sia partiti così e che i giornali minimizzino la cosa scrivendo che tutto sommato le cose stanno andando bene.
6 mesi purtroppo *asterisco*.
A marzo erano usciti proclami ministeriali, finiti poi nel decreto legge, che a causa del Covid il ministero non sarebbe stato in grado di gestire la riapertura delle graduatorie d’istituto (adesso convertite in graduatorie provinciali).
Dopodiché, levata di scudi e di lance, viene fuori che invece si può (siamo arrivati a fine giugno nel frattempo), con immissione delle domande nella prima settimana di agosto, e mille mila problemi ampiamente prevedibili nel gestire una piattaforma digitale de facto non ancora pronta.
Credo che quanto tu racconti, Cugino_di_Alf, possa a buon diritto rientrare nell’alveo della ritualità che spesso qui su Giap è stata citata in relazione alla gestione dell’emergenza Covid. Non si risolvono i problemi strutturali ( e atavici) della scuola italiana, ma l’attenzione si sposta su pratiche che sembrano carpite da un soggetto affetto da disturbo ossessivo compulsivo e sulla cui utilità si potrebbe ampiamente discutere.
Allego un link ( scusandomi se lo copio così ma ho la connessione in palla e non riesco a fare altrimenti):
https://m.huffingtonpost.it/entry/limmunologa-viola-sanificare-quaderni-e-penne-di-scuola-e-aria-fritta-non-serve_it_5f6075acc5b6e27db1323be2?utm_hp_ref=it-homepage&ncid=other_homepage_tiwdkz83gze&utm_campaign=mw_entry_recirc
Per chi fosse interessato a conoscere il complesso e variegato movimento di Priorità alla Scuola, la piattaforma che organizza la manifestazione del 26, è uscito un libretto da far girare che sintetizza e rilancia alcune tematiche
Lo trovate qui: http://www.euronomade.info/?p=13833
Se qualcuno lo volesse pubblicare in qualche forma, questa è la sinossi:
Nato su Internet, cresciuto nelle piazze, esploso in mille incontri, quelli che ci sono già stati, quelli che ancora ci devono essere. È questa la storia di Priorità alla Scuola, il movimento che a partire da Aprile 2020 ha reclamato la necessità di un ripensamento imponente della politica scolastica, a partire dall’emergenza Covid e soprattutto al di là della retorica. Senza fondi per l’organico, spazi e presidi sanitari un futuro per la scuola pubblica non esiste, anche perché l’attuale crisi ha inasprito ancora di più le disuguaglianze e le falle di un sistema che la politica ha ripetutamente maltrattato negli ultimi trent’anni.
Gli slogan della politica, dal mito dell’inclusività a quello della meritocrazia, fino a quello, drammaticamente urgente, della sicurezza, si sono dimostrati una distorsione di quanto movimenti, associazioni, sindacati, studentesse e studenti, docenti vanno chiedendo da anni: un luogo dove le sopraffazioni della società vengono rifiutate con forza.
Invece, ci ritroviamo a Settembre con una scuola rattoppata, nel panico, coacervo di nuove forme di autoritarismo che stanno aggredendo tutti i settori della società. Una scuola in cui il ricorso alla tecnologia, e quindi alla DaD, è utilizzato come escamotage per non affrontare i problemi strutturali esistenti.
Questo libretto è pensato come uno dei tanti strumenti per costruire un discorso ampio e collettivo. L’attacco che stiamo subendo è imponente e l’istruzione e l’educazione sono oggi campi di battaglia decisivi. La scuola è un diritto e se salta quello salta anche tutto il resto. Ma è anche per prenderci tutto il resto che lottiamo per la scuola.
Priorità alla Scuola, Settembre 2020
Grazie per l’articolo e grazie anche per il libretto, ho girato entrambi a mia madre, docente in un liceo di Bologna che non legge su questo blog di sua spontanea volontà, ma tramite le mie imboccate (vi leggo da tempo, ma mi sono registrato solo oggi, chiedo venia).
A proposito di panico, oggi alla suddetta docente è stato imposta la quarantena domiciliare in quanto una sua alunna è risultata positiva al noto virus. In attesa della chiamata dell’AUSL, lei già si prepara, rassegnata, a rimanere fino al 29 in isolamento (regola del doppio tampone negativo).
Alle mie domande su come verrà considerata questa assenza forzata (malattia, ferie, X?) e se dovrà passare obbligatoriamente a utilizzare la DAD, la sua risposta è stata: “nessuno sa cosa dobbiamo fare adesso”.
Ah, e ciliegina sulla torta: le è vietato scendere a buttare il rusco, ma al tendone della Croce Rossa ci deve andare in bici per evitare eventuali contagi. Ovviamente i familiari sono liberi di muoversi come più gli piace, a quanto pare magicamente immuni a tutto e tutti, come da protocollo della Protezione Civile.
Ora, io non riesco a capire chi ci guadagna in questa gestione da panico furioso della situazione. Gli alunni no, la docente nemmeno, la Scuola non ne parliamo e la salute pubblica tanto sbandierata penso abbia già un piede nella fossa se si continua con questo andazzo privo di logica elementare.
Cui prodest?
Se non ho capito male, l’evento del 26 è unicamente capitolino. Spero non sia così, per vari motivi sia teorici sia pratici. La scuola è una realtà presente su tutto il territorio nazionale, provincia per provincia, città per città, e costringere tutti in un luogo solo potrebbe disperdere le energie.
Io mi auguro che si torni ad organizzare una marcia regione per regione, altrimenti dovrò osservare a distanza la manifestazione.
Sul resto, le istanze sono più che condivisibili. Io lavoro in una scuola “fortunata” per molteplici aspetti, ma so che ci sono realtà messe molto peggio. Penso anche soltanto al mio settore (il sostegno).
Poi sarebbe interessante parlare un po’ anche di come si potrà fare il docente di sostegno quest’anno, perché ne verrebbero fuori cose che voi umani (al ministero) non potreste immaginare…
Bella domanda,
è la stessa che mi chiedo da gennaio.
Chi ci guadagnerà da questa situazione lo scopriremo forse tra 10 anni, chi ci perderà si incomincia a delineare già adesso: chi è morto per covid, chi sta morendo per mancanza di cure di altro, chi è andato fuori di testa, chi ha perso e perderà il lavoro, chi in quiest imesi di quarantena ha subito violenze domestiche, le generazioni future che avranno addosso un altra zavorra di debito pubblico da pagare, ecc.
A me sembra che ci stiano educando ad essere ancora più individualisti, a pensare solo a sè stessi. Il messaggio è non avvicinarti ad alcuno perchè potrebbe essere un potenziale contagiato.
Si stanno creando le basi per una società disumana.
Intanto siamo ad ottobre e stiamo iniziando a ottenere un quadro basato sulle evidenze di come stanno andando le riaperture scolastiche e l’apprendimento a distanza, e le prove puntano in una direzione: le scuole, infatti, non sembrano essere una delle principali fonti di diffusione della COVID-19.
Articolo davvero interessante su the Atlantic.
Utile strumento nel mondo della scuola per lottare affinché le scuole non richiudano qualora si ipotizzi di richiudere le scuole con l’aumentare dei casi.
https://www.theatlantic.com/ideas/archive/2020/10/schools-arent-superspreaders/616669/