Per non dimenticare. Brevi note su Emergenza di Stato di Andrea Miconi

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Il libro di Andrea Miconi, Emergenza di Stato. Intellettuali, media e potere nell’Italia della pandemia (Giometti & Antonello, 2022, €12), è un testo necessario ma destinato a rimanere raro, forse unico.

Il motivo è presto detto: sarà difficile trovare ribadite le evidenze che in pochi abbiamo registrato durante i due anni di gestione emergenziale della pandemia di Covid19 in Italia, sovrastati com’eravamo dal frastuono della propaganda. È una pagina di storia – pubblica e personale – che tanti preferiranno rimuovere, mano a mano che le conseguenze di quella svolta si faranno più chiare.

Miconi ha riflettuto sulla gravità di quanto stava accadendo già in medias res, nel  pamphlet della primavera 2020 Epidemie e controllo sociale (Manifestolibri). Oggi il sociologo riprende quelle intuizioni e le mette in prospettiva, per dirci che in quei ventiquattro mesi è successo qualcosa di inedito nella vicenda pubblica e nella società italiana.

Se si dovesse distillare una tesi dai saggi raccolti nel libro potrebbe essere questa: mai nella storia repubblicana si era assistito a un tale intruppamento di intellettuali, attivisti politici e governo.

Mai, dal ventennio fascista, era capitato che chi per vocazione e ruolo dovrebbe esprimere un pensiero critico sulle politiche governative, sull’emergenza come instrumentum regni, sulle strategie diversive, sull’ipocrisia del potere, giustificasse in blocco l’azione dello stato in eccezione a ogni diritto costituzionale; e che lo facesse fino a trasformarsi in megafono – diretto o indiretto – della retorica di governo. Mai, nemmeno negli anni delle leggi speciali «antiterrorismo», si era assistito a una tale abdicazione dell’intelligenza critica in quella che Miconi si ostina a chiamare genericamente «sinistra».

L’impietosa mappatura – qualitativa, quantitativa e anche nominale – di tale débacle lascia sgomenti. Dopo avere visto consumarsi l’estinzione della propria rappresentanza, durante il biennio pandemico la sinistra si è infine suicidata, sostenendo i provvedimenti più illogici e liberticidi in nome del «bene comune».

Concetto vaghissimo quest’ultimo, fa notare Miconi, nient’affatto politico e di cui potrebbero esistere tante versioni e concezioni quanti sono coloro che lo evocano. Eppure questa vaghezza ha fatto al caso di chi ha pensato di salvarsi l’anima e la vita – nonché l’anima e la vita altrui – accettando l’arbitrio e l’abuso di potere sui corpi, cioè obbedendo all’istinto che sta alla base di ogni sistema autoritario, proprio come alla base di ogni sistema di diritto moderno sta l’habeas corpus. La trasformazione dei “critici” in “sostenitori” è il capolavoro prodotto dall’emergenza di stato in nome dello stato d’emergenza.

Quello stato che si è autorappresentato in lotta contro l’indisciplina sociale e l’egoismo, cioè come paladino della salute pubblica contro gli stessi cittadini, mentre della salute pubblica faceva carne di porco. Uno stato che non solo non ha saputo tutelare il diritto alle cure e alla vita di chi rischiava di morire ed è morto, ma che ha compromesso e reso infernale la vita di tutti. Uno stato che ha condannato l’intera popolazione alla reclusione domestica, che ha instaurato il coprifuoco, criminalizzato gli «assembramenti», allestito il teatro delle mascherine all’aria aperta, imposto a lavoratrici e lavoratori un lasciapassare «verde» i cui utilizzi non seguono alcun raziocinio epidemiologico, e via così, calpestando ogni diritto…

…eccetto uno: quello della grande borghesia industriale e finanziaria di fare profitti. Perché – sia detto in un inciso – di stato e governo capitalistici si sta parlando, e non averne tenuto sufficientemente conto è un altro dei capi d’accusa a carico degli scampoli di sinistra critica che hanno rinunciato al proprio ruolo, magari blaterando di «reddito di pandemia».

La chiusura dei parchi – come delle spiagge e dei boschi – e delle scuole mentre si garantiva l’apertura delle fabbriche e degli hub della logistica rimarrà la rappresentazione plastica della gestione pandemica e della bancarotta morale di chi l’ha sostenuta.

Quanto più di fronte al tabù della morte si è dimostrato di non avere alcun anticorpo contro l’arbitrio del potere, il doppio legame e il ricatto morale, tanto più ci si merita l’irrilevanza politica a cui si è condannati. La battaglia al fianco dello stato autoritario a detrimento dei diritti umani e della classe lavoratrice, in nome di una pseudo-lotta al virus spacciata per difesa della salute pubblica, sarà stato l’ultimo atto politico significativo di tanti “intellettuali”. Un epilogo tragico.

Il muro di conformismo propagandistico analizzato da Miconi nel periodo 2020-2021, quel cortocircuito di mass media e social media, fatto di asserzioni pseudoscientifiche, pogrom mediatici, indicazione di capri espiatori – dai comuni podisti a insigni filosofi ai famigerati «No Vax» – e autoassoluzione del potere, risulterà sempre più impressionante con il passare dei mesi e degli anni. Almeno agli occhi di chi vorrà ricordare.

Ma probabilmente saranno pochi a volerlo fare, si diceva. Perché, come scrivevamo già dopo il primo lockdown, l’immagine di sé data da tanti e tante nel periodo più cupo dell’emergenza di stato è qualcosa che facilmente si vorrà dimenticare.

La domanda inevasa che chiude il libro di Miconi è drammatica e ci porta direttamente alla questione etica che nessuna analisi sociologica o storica può dirimere. È il problema del male prodotto nella storia e della sua arendtiana banalità. Il male sistematicamente inflitto agli altri per salvaguardare o aumentare il proprio potere, per semplice istintiva autoconservazione.

Su questo non ci si interrogherà mai abbastanza, suggerisce Miconi, accennando appena a un problema enorme, da far tremare i polsi: quanto male si possa fare in nome del bene comune, attraverso la scorciatoia del dominio sull’esistenza altrui, e quale sia l’essenza di tale dominio. Le ombre di Hobbes e Schmitt incombono sull’analisi di Miconi, ricordandoci che la questione si colloca al cuore del pensiero occidentale, prima ancora che della storia di qualsivoglia sinistra. E il suo peso non può essere alleviato.

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Come spiegato nell’ultimo aggiornamento complessivo, in questa fase Giap funziona “col motore al minimo”. Soprattutto, mancano le energie per gestire lo spazio commenti. Ecco perché sotto i nuovi post mettiamo il “lucchetto”. Ce ne scusiamo, purtroppo va così.

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