Nell’anno 1187, il generale curdo Ṣalāḥ al-Dīn sconfisse l’esercito cristiano alla battaglia di Hattin. Successivamente mise sotto assedio Gerusalemme e la riconquistò al mondo islamico, impossessandosi anche del transetto della Vera Croce. Su spinta del papa Gregorio VIII venne bandita una crociata – la terza – per riconquistare la città santa e la santa reliquia, alla quale aderirono i principali stati cristiani.
Per finanziare la partecipazione inglese al pellegrinaggio armato, il nuovo re d’Inghilterra Riccardo I emise una tassa straordinaria sui beni immobili dei suoi sudditi, mise in vendita le cariche politiche ai nobili che erano interessati, e quelli già in carica furono costretti a pagare ingenti somme per mantenere il loro posto. Raccolta la cifra necessaria, nel marzo del 1190 attraversò la Manica e partì per la Terra Santa.
Durante la sua assenza, il fratello minore Giovanni Senzaterra congiurò con alcuni grandi nobili inglesi e con il re di Francia per destituire Riccardo e sostituirlo sul trono.
Questo il background di La vera storia della Banda Hood (Bompiani 2024, €16, in libreria il 3 aprile 2024), romanzo solista di Wu Ming 4 che ha un antefatto ambientato nel 1190 e si svolge nel biennio 1192-93, per concludersi con un epilogo nel 1194.
È un romanzo storico piuttosto “agile”, dato che conta solo 230 pagine, che recupera alcune delle atmosfere della produzione “classica” del collettivo, per così dire: Q, Manituana, L’armata dei sonnambuli, in particolare. La storia però è più semplice e snella, basata su archetipi universali, concepita in modo tale che potrebbe essere ambientata anche nel Far West “spagnolo” di Sergio Leone & compañeros; così come nell’America proibizionista di Dashiell Hammett & soci, con lo scontro tra due gangster che si chiamano Rick Corleone e Jack Lackland; o in un qualche futuro più o meno prossimo. I conflitti di genere, di classe, di potere, che connotano la trama, non hanno epoca.
Come non ha epoca il fantastico. Perché c’è anche questo in La vera storia della Banda Hood: una foresta incantata, abitata da creature che affollano la fantasia popolare, nate dalla mente collettiva. Un luogo nettamente contrapposto alla città, dove invece vivono creature d’altro tipo, non meno pericolose e spietate.
A questo punto una domanda potrebbe sorgere spontanea: «C’era bisogno dell’ennesima versione della leggenda di Robin Hood?»
Considerando che soprattutto il cinema ha prodotto versioni una più implausibile e grottesca dell’altra – con due sole eccezioni: il classico Disney di Wolfgang Reitherman (1973) e il film Robin e Marian di Richard Lester (1976), rilettura senile del finale della leggenda – e che le più celebri versioni letterarie sono quelle filo-monarchiche di Scott e Dumas… ebbene sì, veniva davvero voglia di raccontare quella storia da una prospettiva diversa, all’insegna del «come sarebbero potute andare veramente le cose».
To be continued.
Breve passaggio sui due film citati.
Il film di Lester, così diverso dall’action movie medievale che poi sarà, è veramente molto toccante. E, tra le altre qualità, una delle migliori prove attoriali per Sean Connery e Audrey Hepburn. Non ha il “realismo” de “Il mestiere delle armi”, ma senz’altro non si può confondere con i film successivi (e precedenti) ispirati alla figura di Robin Hood. Ricordo ancora a tanti anni dalla visione le scene di stanchezza e fatica dei combattimenti, delle armature pesanti, di Robin Hood che si pulisce i denti con un rametto di menta. E anche il toccante monologo finale di Marian m’è rimasto impresso.
Anche il film Disney – in cui la figura memorabile è proprio John Lackland/Peter Ustinov – riesce ad uscire in modo notevole dai binari “agiografici” su Robin Hood, seppur meno meraviglioso di altri classici d’animazione ispirati al periodo (penso, ad esempio, a “La spada nella roccia”).
Non vedo l’ora di leggere il libro!