di Mariano Tomatis*
INDICE
Premessa
1. Sedicenti vendicatori mascherati
2. La scienza come retorica per l’arte
3. È in corso l’assalto finale al mentalismo?
4. Un radicale cambio di prospettiva
5. Come Rizzolini «mostra la sutura»
6. Uno spettacolo di mentalismo e sul mentalismo
7. Mentalismo resistente
Premessa
Sono trascorsi dieci anni dall’uscita dei due LADS. L’armata dei sonnambuli (Einaudi 2014) di Wu Ming e il mio L’arte di stupire (Sperling & Kupfer 2014) scritto con Ferdinando Buscema non condividevano solo l’acronimo del titolo. I due libri convergevano sul tema dell’incanto, indagandone gli opposti usi potenziali: arma per soggiogare o strumento di emancipazione? A partire dal Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario (2014), e recuperando i molti riferimenti all’illusionismo che caratterizzano l’esperienza del Luther Blissett Project sin dagli Anni Novanta, Giap ha aperto una piattaforma di confronto su modalità, possibilità e implicazioni – anche e soprattutto politiche – della «magia della mente».
Erano i giorni in cui in televisione impazzava il Renzi-mentalista di Maurizio Crozza, e di lì a poco una preoccupata Rebecca Traister avrebbe fatto notare che Hillary Clinton non aveva molte possibilità di vittoria contro Donald Trump, visto che il magnetismo personale era tutto dalla parte di quest’ultimo; la vittoria del magnate avrebbe dovuto farci «riconsiderare l’importanza del magnetismo» nel mondo contemporaneo.
Cinque anni più tardi, ne La Q di qomplotto (Alegre 2021) Wu Ming 1 avrebbe dedicato all’illusionismo pagine appassionate, valorizzandone il potere di ribaltare – attraverso un reincanto emancipante – il sortilegio in cui viviamo.
Ripartendo dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, nonché cogliendo, si parva licet, l’occasione dell’uscita del mio nuovo titolo Il mio libro di magia (Tlon 2024) – propongo una recensione dello spettacolo Th!nk di Andrea Rizzolini, che ha esordito la notte di Halloween 2024 e in questi giorni è in tour in diverse città italiane.
1. Sedicenti vendicatori mascherati
Il mentalismo ha un futuro? Se la confrontiamo con altre discipline, l’arte teatrale di simulare i poteri della mente rivela un punto debole specifico: funziona finché le sue tecniche restano segrete. È dunque logico interrogarsi sulle sue prospettive di sopravvivenza nell’epoca dell’informazione libera e accessibile con pochi clic. La domanda è ancora più pertinente in Italia, dove da qualche tempo l’intrattenimento psichico si trova sotto l’attacco incrociato di debunker che incarnano alla lettera la figura del «foratore di palloncini» descritta da Wu Ming 1 ne La Q di qomplotto:
«un individuo che si immagina con la durlindana a Roncisvalle, intento a infilzare nemici su nemici, mentre sta solo bucando palloncini con uno spillo, come un bullo a una festa di compleanno, facendosi detestare dalle persone che in teoria dovrebbe convincere.» (p. 258)
Tale disfida, non priva di una sua epica tragica, contrappone i più importanti professionisti italiani del mentalismo a giovani vendicatori mascherati che – dalla penombra delle loro camerette – commentano performance di altissimo livello con il sarcasmo di Beavis & Butt-head e la competenza di chi è in grado di smontare, pezzo per pezzo, il meccanismo dell’incanto. Parlo di epica perché l’urlo di debunking per eccellenza scagliato contro i potenti («il re è nudo!») sfiora in me corde emotive profonde, sanziona la hybris e rima con lo Shakespeare che ho voluto in esergo a Il mio libro di magia:
«Ah, il tempo della vita è breve, e se viviamo, viviamo per calpestare i re.»
Il lato tragico della questione è che l’attività di debunking dei vendicatori nascosti dietro le maschere è pura barbarie: dove passa non cresce più l’erba. Per inquadrarne la spietatezza basterebbe ricordare l’ammonimento di Gandalf a Saruman:
«Chi rompe un oggetto per scoprire che cos’è ha lasciato la via della saggezza.»
A lasciare interdetti è l’amore verso il mentalismo professato durante quelle azioni di brutale disincanto, come se tanta ferocia fosse compatibile con la cura necessaria per la costruzione di un’esperienza teatrale di qualità. Come tritacarne, quei video riducono il mentalismo a una poltiglia, eppure chi li realizza si dichiara promotore di un nobile intento: punire al grido di «onestà!1!!!1!» i mentalisti che collocano le proprie performance in una cornice pseudoscientifica.
Quella furia esprime una pulsione incrociata di Amore e Morte, perché forzando il mentalismo attraverso quel filtro moralizzatore, di tale disciplina non resta nulla. A dircelo è la sua storia.
2. La scienza come retorica per l’arte
L’arte teatrale di simulare i poteri della mente (telepatia, chiaroveggenza, precognizione) è una branca dell’illusionismo che prende vita propria alla fine del Settecento. L’impulso arriva da Franz Anton Mesmer e dai suoi studi sul magnetismo animale: secondo l’ipotesi mesmerica, esiste uno stato mentale alterato (il sonnambulismo artificiale) che rende possibile e replicabile la percezione extrasensoriale.
Riproponendo i loro trucchi in questa cornice pseudoscientifica, illusioniste e prestigiatori si smarcano dalla magia occulta della tradizione esoterica per fondare una forma di intrattenimento psichico che sembra poggiare su solide basi razionali. È un inganno al quadrato, il modo in cui la prestigiazione riesce a sopravvivere all’assalto dell’Illuminismo, cambiando abito e riproponendo i vecchi trucchi con un approccio in linea con la contemporaneità. Per arrivare ai giorni nostri, il mentalismo dovrà cambiare pelle molte volte.
Parassitando il New Thought americano, il mentalismo di fine Ottocento associa l’espressione dei poteri paranormali a una forza di volontà capace di modificare la realtà attraverso l’uso della mente; il suo principale alfiere, che ha stilato La legge del mentalismo (1902), è Victor Segno.
Negli Anni Quaranta del Novecento, l’avvento della radio colloca la disciplina nel contesto teorico della trasmissione senza fili: nel nuovo paradigma, le informazioni passano da una mente all’altra attraverso onde invisibili come quelle elettromagnetiche; esplicitando in modo palese la metafora, numerosi artisti si contendono l’appellativo di «radio umana».
Trent’anni più tardi, nella stagione ESP (acronimo per «percezioni extrasensoriali») le doti paranormali sono studiate con un approccio statistico e quantitativo: il tentativo di spogliarli da ogni parentela con l’occulto ha l’obiettivo di vagliarne il potenziale per un impiego bellico, come raccontato da film come L’uomo che fissa le capre (2009) in ambito statunitense e da Peter Kolosimo a proposito del blocco sovietico.
Sono gli anni dell’impiego di un mentalista olandese, Gerard Croiset, per trovare il nascondiglio di Aldo Moro nell’ambito della lotta contro le Brigate Rosse. Parallelamente, per sottrarsi ai controlli scientifici, Gustavo Rol si smarca dal paradigma ESP e abbraccia la teosofia, promuovendo l’idea che la coscienza possa accedere a spazi trascendenti (come l’akasha induista) popolati da spiriti intelligenti e dalla memoria di tutto ciò che è stato e sarà.
Nei primi Anni Duemila, grazie al successo internazionale di Derren Brown, i prodigi del mentalismo vengono associati all’uso della psicologia e in particolare delle tecniche della programmazione neurolinguistica (PNL). Secondo questa nuova cornice pseudoscientifica, la lettura del pensiero si rende possibile attraverso l’interpretazione delle microespressioni corporee e le previsioni del futuro si devono alla capacità di forzare le scelte attraverso condizionamenti subliminali.
Da pochi anni la corrente più mistica del mentalismo fa appello alla meccanica quantistica e agli sconcertanti fenomeni che avvengono a livello subatomico per spiegare la trasmissione di informazioni che sembrano violare le barriere spazio-temporali.
Poiché il mentalismo ha assunto sembianze così diverse, non è facile seguirne le tracce attraverso le varie epoche, ma l’elemento invariante che consente di riconoscerlo sotto i nomi più variegati è la sua collocazione alle frontiere di ciò che è noto, laddove la scienza confina con il mistero. Muovendosi alla velocità del progresso scientifico, la magia mentale ne occupa sempre il confine mobile su cui vero, verosimile, possibile e impossibile diventano difficili da districare.
Chiedere al mentalismo di togliersi da lì significa distruggerlo, perché la collocazione su quel bordo grigio è ciò che lo rende quello che è: la branca della prestigiazione più spiazzante e controversa, la disciplina teatrale che – ripudiando per statuto la propria natura illusoria – diventa di volta in volta laboratorio di disinformazione, bersaglio dei razionalisti, salvadanaio di spregiudicati operatori dell’occulto, spazio di emancipazione per le sonnambule che ho raccontato tra le pagine di Incantagioni (Nero 2022).
3. È in corso l’assalto finale al mentalismo?
L’attacco che sta subendo il mentalismo italiano sui social network costringe a rivedere l’espressione di Wu Ming 1: rispetto ai palloncini, la fragilità del bersaglio ricorda di più le bolle di sapone. I giochi di prestigio si reggono su segreti così fragili che per farli esplodere non c’è neppure bisogno della punta di un ago, basta il dito di una persona piccola.
È comune l’immagine di bambine e bambini che rincorrono le bolle di sapone per farle scoppiare, in un misto di curiosità (per la sensazione tattile che potrebbe derivare dal contatto con la loro superficie), sadismo e magia (visto che quegli oggetti fluttuanti spariscono al minimo tocco). Crescendo, la maggior parte delle persone impara a tenere a bada quegli istinti come condizione per ammirarne la bellezza impermanente, smettendo di trarre soddisfazione dalla loro distruzione.
Associare i numeri di mentalismo alle bolle di sapone può essere imbarazzante per chi li presenta a supporto di una narrazione teatrale superomistica e sensazionalistica: è come ammettere che il re è nudo, svelando la fondamentale fragilità di un progetto professionale costruito su basi molto effimere.
Raccontata così, l’arte del mentalismo sembra spacciata: non esiste difesa dagli estinzionisti mascherati che, insieme all’acqua sporca, buttano via l’infante e i genitori, in modo che la disciplina venga eradicata dalla faccia della terra.
Poi arriva una nuova generazione di artisti che, a partire da quelle macerie, mette in piedi uno spettacolo come Th!nk e tutto appare trasformato.
4. Un radicale cambio di prospettiva
Secondo il sito ufficiale, lo spettacolo portato in scena dall’artista milanese Andrea Rizzolini
«esplora i limiti di una forma d’arte – il mentalismo – ormai diventata tanto popolare quanto fraintesa.»
Rispetto agli annunci classici, siamo davanti a una rivoluzione copernicana, perché la promessa si incentra sull’aspetto che i colleghi di Rizzolini nascondono con più impegno: i limiti della disciplina. Assistendo alla replica proposta ad Alba (CN), il 9 novembre 2024 ho colto dal vivo il potenziale stuporoso di un cambio di prospettiva tanto radicale.
Th!nk è uno spettacolo capace di alterare in modo significativo i connotati della magia mentale contemporanea, spalancando le porte a una forma di spettacolo molto più resiliente verso i moralizzatori da tastiera. Un contributo tanto rivoluzionario poteva arrivare solo da una generazione capace di dire alle precedenti: non stiamo chiedendo spazio ma ce lo stiamo prendendo. Ventiquattro anni compiuti la sera dello spettacolo albese, Rizzolini ha scritto lo spettacolo insieme a un collettivo artistico di persone coetanee – tra cui Marco Morrone, Piero Venesia, Niccolò Fontana e Carolina Alfieri – disincantate rispetto alla possibilità (e restìe alla prospettiva) di sfruttare il mentalismo per alimentare l’ego di una figura prometeica.
Lo spettacolo ripercorre fedelmente tutti i classici del genere: Rizzolini legge nel pensiero una parola, ne impianta subliminalmente un’altra nella mente, è capace di distinguere vero e falso dal tono della voce, decifra i segnali del corpo, coinvolge l’intera sala in un numero di ipnosi, rivela dettagli del passato limitandosi a stringere mani, attiva doti temporanee di chiaroveggenza in chi sale sul palco, accompagna una spettatrice in piena salute sulla soglia di un’esperienza di pre-morte, esplora il fenomeno della catalessi e propone esperimenti psicologici collettivi che insistono sulle potenzialità inespresse della mente umana.
Se avessi letto in anticipo una scaletta del genere, non avrei gridato al miracolo ma mi sarei chiesto per l’ennesima volta: esiste un modo per mettere in scena tutto questo, smarcandosi dal paradigma del supereroe che ha i riflettori su di sé perché capace di imprese sovrumane?
È l’interrogativo che mi ha spinto a scrivere Incantagioni: non trovando risposte originali sulla scena del mentalismo contemporaneo, ho trascorso tre anni in compagnia di veggenti e sonnambule vissute a cavallo tra Sette- e Ottocento per rintracciare traiettorie alternative, documentandone l’epica gaglioffa e il potenziale sovversivo.
Con mia enorme sorpresa (e una punta di sincera commozione), sin dai primi minuti Th!nk ha preso una piega sconcertante, portando la narrazione in uno spazio a cui negli anni ho dedicato fiumi di riflessioni teoriche e il cui potenziale indago da dieci anni nel corso di piccole esperienze live; facendone l’architrave di un intero spettacolo, Andrea Rizzolini ha portato quelle suggestioni al massimo grado, facendole fiorire come solo nei miei sogni più luminosi avrei potuto sperare.
5. Come Rizzolini «mostra la sutura»
Ne La Q di qomplotto Wu Ming 1 aveva sintetizzato così le nostre comuni riflessioni sul rapporto tra illusionismo e letteratura:
«Grazie a Mariano avevamo scoperto che nell’illusionismo contemporaneo si sperimentavano pratiche di “autodebunking”, modi di rivelare il trucco dietro un numero di magia senza rovinarne l’effetto, anzi, amplificando il senso di meraviglia e spostandolo su un piano di maggiore consapevolezza: dall’elementare stupore per l’effetto al più complesso stupore per le tecniche utilizzate e per il grande impegno necessario a far riuscire il trucco. Ci eravamo spesso riferiti a procedimenti simili con l’espressione “mostrare la sutura”, e con altre come “tenere aperta l’officina”, “mostrare all’opera i ferri del mestiere”, ecc. Si trattava di esporre e problematizzare le tecniche utilizzate nella scrittura di un nostro libro in modi che non spezzassero l’incanto della narrazione […] Mariano aveva suggerito analogie tra i nostri tentativi e l’approccio alla magia del duo americano Penn & Teller. […] Il duo era celebre per il suo mix di magia, comicità e performance art, e molti suoi numeri – cosa che nei primi anni di carriera aveva scandalizzato numerosi colleghi – includevano la spiegazione del trucco.» (pp. 288-9)
Per anni ho risposto «Penn & Teller» a chiunque mi chiedesse quale direzione originale avrebbe potuto prendere il mentalismo per sprigionare nuove potenzialità: mi riferivo alla loro capacità di spettacolarizzare le riflessioni teoriche più sofisticate intorno all’arte magica – nel loro caso, ricamando un’esperienza estetica intorno all’esposizione dei punti di sutura. Th!nk fa sua questa lezione in un modo originale e altrettanto sottile, alternando di continuo comunicazione e metacomunicazione.
Come ogni mentalista che si rispetti, Andrea Rizzolini è costretto a mentire per gran parte dello spettacolo e attribuire ogni gesto e prodigio a principi pseudoscientifici: tale comunicazione è mendace allo scopo di confondere le idee e distrarre l’attenzione dalle tecniche impiegate. In modo del tutto inaspettato e profondamente straniante, l’artista intervalla i suoi discorsi con aperte confessioni: non crederete che dica sul serio, vero? Naturalmente, quello che dico è una menzogna.
Tali rivelazioni si svolgono sul piano della metacomunicazione e dovrebbero distruggere quello che è stato detto in precedenza; ciò nonostante, si rilevano inefficaci ad annientare l’incanto. Un attimo dopo l’artista torna sul piano della comunicazione e prosegue l’esperimento come se nulla fosse, mantenendo il più stretto riserbo sulle (vere) tecniche necessarie all’impresa. Lo stupore al termine di ogni numero resta intatto, perché la consapevolezza di assistere alla dimostrazione di una persona bugiarda è solo un pezzo del puzzle più grande, e non certo quello che risolve l’enigma di ciò che è andato in scena.
Non appena lo schema del gioco diventa chiaro – il pubblico è esposto a una spiegazione pseudoscientifica plausibile, seguita dalla confessione che si tratta di una bugia, poi è lasciato libero di orientarsi tra le ipotesi restanti – le regole cambiano: un sondaggio per alzata di mano ha come oggetto l’interpretazione di ciò che è accaduto e la domanda che di solito ci si pone tra sé e sé («Ma come ha fatto?») diventa materia di confronto collettivo.
Tra una votazione e l’altra, Rizzolini evidenzia che in epoche e paesi differenti le statistiche sarebbero diverse: meglio abbandonare la concezione rigida di realtà e preferirle il concetto antropologico di «cosmologia». Ho un brivido a immaginare il potenziale in chiave decoloniale di un approccio di quel tipo alla magia.
6. Uno spettacolo di mentalismo e sul mentalismo
Ripercorrendo con poche e suggestive pennellate la storia del mentalismo, l’artista tiene aperta l’officina dell’incanto, spiegando che i trucchi del mestiere sono gli stessi da secoli: a cambiare sono le cornici narrative. Quello che fino a un attimo prima era uno spettacolo di mentalismo è diventato uno spettacolo sul mentalismo.
Ma poiché tutto mette sempre in discussione ciò che è avvenuto fino a quel momento, l’intera platea si ritrova complice di una lunga routine illusionistica i cui meccanismi – di solito segreti – sono visibili in piena luce: a interrogarsi sul trucco è un singolo spettatore, isolato dal resto del pubblico e unico destinatario della elaborata illusione. Per godersi pienamente la performance bisogna oscillare tra il proprio punto di vista e quello dello spettatore ignaro del trucco, immedesimandosi nella sua prospettiva e spegnendo per un istante la consapevolezza di ciò che rende possibile l’evento prodigioso.
Tale oscillazione avviene in quello spazio liminale che, nel libro As If: Modern Enchantment and the Literary PreHistory of Virtual Reality, Michael Saler chiama «incanto disincantato». Th!nk offre la preziosa opportunità di esercitare tale attitudine per oltre un’ora e mezza: si tratta dello stesso equilibrio a cui ne La Q di qomplotto ci riferiamo con l’espressione «smark» (p. 284).
Per alcune persone può rivelarsi un’esperienza poco confortevole: chi cerca nel mentalismo teatrale gli scenari rassicuranti offerti dalle cornici classiche rischia di trovarsi spaesata. Rifiutare le soluzioni facili, svestire i panni del supereroe e accompagnare il pubblico sull’orlo di un abisso che può dare le vertigini – correndo anche il rischio di risultare impopolare – sono dimostrazioni di profondo rispetto per l’intelligenza di chi assiste allo spettacolo; Rizzolini lo esplicita nel finale, quando spiega che un applauso guadagnato millantando doti che non possiede davvero avrebbe poco valore. In quelle parole si avverte l’eco del Jonathan Franzen che, in Più lontano ancora (Einaudi 2012), si era interrogato sulle conseguenze di una comunicazione che resta ancorata al registro della menzogna:
«Se riuscite a piacere agli altri solo raggirandoli, sarà difficile che poi non proviate un certo disprezzo per quelli che ci sono cascati. Costoro esistono per farvi star bene con voi stessi, ma quel senso di benessere sarà davvero affidabile, se vi è fornito da gente che non rispettate?» (p. 7)
7. Mentalismo resistente
Appartenendo alla «generazione X», solitamente gettata in un unico calderone insieme ai boomer, colgo una critica profonda: Rizzolini dice al pubblico che noi vecchi mentalisti ci siamo sempre fermati alla spiegazione pseudoscientifica, mentre lui lo porta un passo oltre, ammettendo che si tratta di una bugia; troppo attaccati al nostro ego, abbiamo scelto la reticenza con la scusa che serviva a proteggere l’incanto – e davanti a Th!nk siamo costretti a ricrederci: lo stupore è salvo e noi illusionisti del passato siamo nudi.
Per fortuna, l’operazione di Rizzolini non cade nel vuoto: da qualche anno in Italia una manciata di professionisti è impegnata a smarcare il mentalismo dagli aspetti più sfacciatamente fascistoidi – quelli che ha magistralmente descritto Thomas Mann ritraendo il mago Cipolla nel racconto Mario e il Mago (1930); ispirandosi ai lavori di Eugene Burger e Robert Neale, gli illusionisti “resistenti” mettono al centro l’esperienza magica del pubblico, operando un decentramento che valorizza la narrazione, con un’attenzione speciale per gli aspetti del folklore locale e per le storie minori.
I risvolti di queste scelte stilistiche vanno ben oltre la nicchia delle persone addette ai lavori: tematizzare i limiti della disciplina durante lo spettacolo è anche un gesto capace di decostruire la figura maschile, mettendone in discussione la classica immagine tutta-d’un-pezzo. Nei giorni del trionfo di Donald Trump, esponente del machismo più becero e tracotante, Th!nk è un atto di resistenza culturale immune alle accuse di buonismo: Andrea Rizzolini non si gonfia il petto per la generosità dimostrata ma muove una critica senza sconti al mentalismo che ha ricevuto in eredità dalla nostra generazione; non svela i trucchi come uno youtuber gentista qualunque («smonto la magia disonesta perché me lo avete chiesto in tanti») ma punta i riflettori sulla fragilità dell’esperienza magica, seducendo chi è in sala all’idea di lasciarsi ingannare per trarne un godimento estetico effimero e impermanente.
Se si scagliassero contro Th!nk, i moralizzatori mascherati risulterebbero sgraditi prima dal pubblico che dal performer, una figura che dal primo istante si tiene un gradino sotto la sommità del podio.
«Piantatela di dire che siete scioccati e sconvolti». In occasione della prima vittoria di Donald Trump nel 2016, Michael Moore aveva scosso chi non lo aveva votato proponendo di opporsi a Trump e a chi lo sostiene smettendo di piagnucolare e muovendosi con azioni concrete. Il regista mirava a stimolare l’elaborazione collettiva di «antitrumpismi», azioni quotidiane e pratiche, alla portata di tutti, in grado di mettere in discussione l’idea di mondo proposta dai nuovi fascismi.
Th!nk dimostra che l’ingannevole arte di simulare i poteri della mente può relazionarsi con la contemporaneità in modo maturo e onesto, rispettando l’intelligenza del pubblico, tematizzando i propri limiti e facendo leva sulle proprie specificità, senza sacrificare un grammo di stupore né rifugiarsi nel nostalgismo della retromania: nel catalogo degli antitrumpismi urgenti da diffondere (tra chi ha la passione per il mentalismo ma non solo), lo spettacolo di Andrea Rizzolini è un contributo di abbagliante profondità.
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Illusionista e scrittore, Mariano Tomatis collabora con la Wu Ming Foundation dal 2014. Il 20 novembre 2024 è in uscita il suo manuale di illusionismo antifa Il mio libro di magia (Tlon 2024). Il suo sito è marianotomatis.it
Se da un lato sono sicuro che anche una “magia svelata” possa avere il suo fascino – se non altro, nell’ammirazione per l’abilità di chi la mette in scena – dall’altro penso che nemmeno il più solerte dei debunker sarà mai davvero in grado di distruggere l’incanto, benevolo o meno che sia: e questo perché il suo potere è direttamente proporzionale al desiderio di credervi.
Ci sarà sempre qualcuno disposto ad avere fede in qualcosa che sia collocato al di là della “realtà”, a volte persino cooptandone il linguaggio (ieri era tutto “energetico”, oggi “quantistico”…).
Non che ci sia qualcosa di male nel voler cercare una via di fuga da chi vorrebbe quantificare, misurare e predire tutto (non di rado a scopi malevoli), l’importante è non smarrirsi lungo la strada, come purtroppo spesso vediamo.