![La locandina di Fiume o morte!](https://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2025/02/fiumeomorte.jpeg)
La locandina del film. Il trailer è qui.
[WM: Fiume o morte! di Igor Bezinović, fresco vincitore del Festival di Rotterdam, è un’opera extra-ordinaria sotto ogni aspetto. Il film ricostruisce la cosiddetta «Impresa di Fiume» del 1919-1920 da una prospettiva finalmente non italocentrica, mettendo in atto a sorpresa il «talking back» della letteratura anticoloniale e decoloniale: il rovesciamento del punto di vista, la contronarrazione, qui affidata alle memorie – familiari, d’archivio, urbanistiche, architettoniche – della città stessa, la Fiume/Rijeka che allora fu invasa.
Gabriele D’Annunzio e i suoi legionari agirono in avanscoperta, da punte di lancia dell’imperialismo italiano nei Balcani. Il blitz intendeva rimediare alla cosiddetta «vittoria mutilata» nella prima guerra mondiale. «Mutilata», perché alle trattative di Parigi il Regno d’Italia non era riuscito a prendersi tutte le terre ex-austroungariche a cui puntava. Mancavano all’appello Fiume e il Quarnaro (o Carnaro, come un tempo si diceva), nonché la tanto agognata Dalmazia.
A partire dagli anni Novanta è stato in voga rivalutare “da sinistra” o in senso “libertario” l’occupazione di Fiume. Di tali letture, nella puntuale recensione che oggi pubblichiamo, il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki rileva l’infondatezza e l’angusto italocentrismo. L’ignoranza delle fonti non italiane è tutt’uno con l’indifferenza per gli abitanti di Fiume/Rijeka di lingua croata, ungherese, tedesca, ma anche italofoni contrari all’annessione. Non viene proprio alla mente, soggettività escluse a priori, tacitamente dichiarate inesistenti. Quel che provarono e subirono non ha importanza.
A essere rimosso dal quadro è l’aspetto imperialista e soprattutto razzista di quell’invasione. Per fare un solo esempio, ecco come si esprimeva D’Annunzio nella Lettera ai Dalmati, 1919:
«Il croato lurido s’arrampicò su per le bugne del muro veneto, come una scimmia in furia, e con un ferraccio scarpellò il Leone alato […]. Quell’accozzaglia di Schiavi meridionali che sotto la maschera della giovine libertà e sotto un nome bastardo mal nasconde il vecchio ceffo odioso…»
Contro gli odiati «s’ciavi» i legionari di D’Annunzio compirono aggressioni squadristiche e veri e propri raid, come quello contro il villaggio di Baška, sull’isola di Veglia/Krk.
Quando, tra grandi sospiri di sollievo dei fiumani, i legionari dovettero levare le tende, Fiume/Rijeka divenne una città-stato autonoma, ma durò poco. La fuga in avanti di D’Annunzio aveva anticipato le ulteriori espansioni a est dell’imperialismo italiano: nel marzo 1922 un colpo di stato di ispirazione fascista rovesciò la giunta autonomista di Riccardo Zanella e nel gennaio 1924 Fiume/Rijeka fu annessa all’Italia. Quanto alla Dalmazia, fu presa nel 1941, con l’invasione nazifascista della Jugoslavia. Che D’Annunzio, morto nel 1938, non poté vedere. Fece però in tempo a celebrare come coerente prosecuzione della sua «impresa» – e aveva ragione – l’invasione fascista dell’Etiopia.
Fiume o morte! talks back, ci rimpalla il discorso. Lo fa da Oltreadriatico e da angolature inattese, squadernando stereotipi e, soprattutto, lo fa collettivamente. L’effetto è vivificante.
In occasione dell’arrivo – ormai imminente – del film in diverse città italiane, la Federazione delle Resistenze sta organizzando iniziative e dibattiti. Consigliamo di tenere d’occhio il sito e/o il canale Telegram.
Buona lettura, buona visione, buoni incontri.]
di Nicoletta Bourbaki *
Il regista fiumano croato Igor Bezinović racconta che il suo film di imminente uscita intitolato Fiume o morte! documenta la prima volta in cui un saluto romano venne ripreso e impresso su pellicola. Era il settembre 1919, la scena si svolgeva nella città di Fiume/Rijeka e a tendere di fronte alla cinepresa il braccio destro nel saluto che appena tre anni dopo sarebbe diventato il marchio distintivo del fascismo italiano, e poi anche del nazismo tedesco, era il poeta e drammaturgo italiano Gabriele D’Annunzio.
D’Annunzio è il protagonista dello straordinario film di Bezinović, una produzione Croazia/Italia/Slovenia di imminente uscita nelle sale, vero e proprio ibrido narrativo non identificabile che racconta i sedici mesi dell’occupazione italiana della città di Fiume/Rijeka. Invasione guidata dallo stesso D’Annunzio, formalmente avversata dai governi liberali del Regno d’Italia, ma di fatto coperta alle spalle dal suo esercito, e ampiamente foraggiata da banche, capitali e massoneria italiani. Come nota Bezinović nella stessa intervista, in un agghiacciante parallelo storico Fiume o morte! esce nelle settimane in cui il saluto romano/dannunziano/nazifascista torna alla ribalta delle cronache per tramite di Elon Musk.
![Fotogramma da Fiume o morte! Il primo saluto romano](https://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2025/02/photo_2025-02-06-08.36.06-1-e1738827899616.jpeg)
Fotogramma di un filmato del settembre 1919 riproposto in Fiume o morte!
Ma il lavoro di Bezinović, al netto delle tragiche vicende che evoca, è tutt’altro che agghiacciante. La sua cifra narrativa è piuttosto improntata a una gioiosa e ben pianificata strategia che poggia da un lato sul’ibridazione di tipologie testuali, iconografiche e filmiche, dall’altro sull’idea di realizzare un’opera partecipata, sorta di progetto comunitario che ha coinvolto la cittadinanza di Fiume/Rijeka nel racconto di una pagina rimossa e fraintesa della storia della propria città e di tutta Europa.
Nelle sequenze iniziali vediamo alcune inquadrature fisse che mostrano gli attuali ponti sul fiume Rječina/Fiumara, alle quali vengono poi sovrapposte foto e disegni degli stessi ponti risalenti al Natale del 1920, ovvero successivamente al giorno in cui D’Annunzio, come racconta la voce fuori campo, ne ordinò la dissennata e inutile distruzione. Quel fiume, appena prima di sfociare in Adriatico, divideva all’epoca le città di Fiume/Rijeka e Sušak, oggi parti della stessa città.
Sušak, sulla sponda orientale, al tempo dell’Invasione dannunziana era abitata in maggioranza da persone che parlavano croato. Sull’altra sponda, quella occidentale, si parlava in prevalenza il dialetto istroveneto fiumano. Su questo aspetto multilinguistico, che connota storicamente tutta la regione dell’Alto Adriatico, si fonda il primo di molti elementi perturbanti del film: nei primi dieci minuti i commenti e i dialoghi sono in croato sottotitolati in italiano, ma nel momento in cui i cittadini/interpreti mettono in scena la rievocazione degli eventi storici, molti passano al dialetto fiumano che diventa la lingua del film fino al momento della disfatta dei «legionari».
L’effetto su chi guarda da una prospettiva italiana è allo stesso tempo comico e straniante: il fijumanski oggi è quasi scomparso dall’uso quotidiano, e oltre al regista stesso sono proprio le persone di quella città a raccontare come il tempo e gli eventi abbiano reso minoritario quel dialetto, il cui suono però in molte e molti evoca ricordi di vita familiare legati alle figure di genitori, nonni e bisnonne.
![Igor Bezinović, regista di Fiume o morte!](https://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2025/02/IgorBezinovic.png)
Il regista Igor Bezinović.
Un effetto voluto da parte di Bezinović e che specularmente fa sì che il pubblico croato sia «consapevole che gli italiani non sono arrivati con il fascismo, ma sono la popolazione autoctona di Fiume». In una città che «nel ventesimo secolo si è trovata in otto o nove stati diversi», quelle rievocazioni demoliscono anziché esaltare una supposta italianità o qualsivoglia identità nazionale della città. Servono invece a segnalare l’imprevedibile e ingovernabile vitalità umana dei luoghi, che nello stratificarsi delle vicende storiche e delle sovranità statuali finiscono per creare sempre nuove identità.
Bezinović usa in questo senso anche l’architettura della città, dove alle strutture e agli edifici di epoca asburgica si sono in seguito affiancati o sovrapposti quelli risalenti all’occupazione italiana, poi quelli della lunga stagione socialista e infine quelli attuali successivi all’indipendenza croata. In questo scenario composito di strati storici compresenti si muovono i personaggi nei loro costumi d’epoca, aumentando lo straniamento della visione.
La rievocazione recitata dell’Invasione dannunziana è introdotta da un vero e proprio making of del film stesso. La troupe gira per un mercato chiedendo a fiumane e fiumani se sanno chi sia D’Annunzio. La maggior parte risponde di non averne una minima idea, finché qualcuno non comincia a rispondere: «sì, era un fascista». «Un fascistone che ha occupato Rijeka e dintorni, ce ne sono anche oggi purtroppo». Persino un gruppo di turisti italiani afferma di sapere chi era D’Annunzio ma che «non mi piace, perché era un fascista».
La troupe ferma anche tutti gli uomini calvi e gli chiede di presentarsi per il provino, dando a intendere che ne sceglieranno uno per vestire i panni del poeta. Invece li scelgono tutti, e D’Annunzio viene interpretato a turno da sette diversi attori non professionisti, tra i quali giornalisti, membri di band punk-rock croate e persino un pensionato torinese dell’Arma dei carabinieri trasferitosi nella città quarnerina.
Poi li fanno girare per la città in uniforme, rifacendo scene topiche dell’occupazione. D’Annunzio tiene discorsi infuocati davanti a nessuno, o davanti a poca gente che scuote il capo o ride.
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Un fotogramma di Fiume o morte!
La felice intuizione di Fiume o morte! come opera collettiva produce momenti di pregevole improvvisazione, spesso esilaranti ma anche molto significativi, come quando una signora si ferma davanti a un attore vestito da legionario e gli fa:
– Ma come ti sei conciato?
– Da soldato dell’esercito di D’Annunzio.
– D’Annunzio? Ci mancava solo lui! Sei un bel ragazzo, perché perdi tempo così? Dovresti andare in discoteca, corteggiare le ragazze…
– Lo farò dopo, signora, adesso sto solo interpretando un ruolo…
– D’Annunzio! Solo lui, ci mancava…
E se ne va borbottando contumelie.
La piega che avrebbero preso gli eventi, dopo l’inizio dell’Invasione nel settembre 1919, è già intuibile dalle prime settimane di “presenza” italiana, quando un numero crescente di giovani e giovanissimi militi italiani si pongono presto in irridente, arrogante, e infine violenta ostilità nei confronti della cittadinanza, in particolare quella croata, ungherese e slovena ma anche verso parte di quella italiana, che all’epoca rappresentava poco meno della metà del totale. Su una popolazione che nel 1920 contava circa cinquantamila abitanti, racconta una delle voci off, i giovani provenienti da ogni angolo d’Italia – «tutta una mularìa che a casa no i ga de far chissà cossa» – finiranno per essere diecimila, del tutto ignari di dove si trovino, convinti dalla retorica nazionalista di essere l’avanguardia di una civiltà superiore e del tutto impreparati anche sul piano militare.
L’inevitabile piega sciovinista dell’Invasione ha inizio con la parziale decapitazione del simbolo della città, l’aquila bicipite considerata a torto un emblema austriacante, nella realtà rappresentazione proprio dell’autonomia che Fiume, come Trieste, si era ritagliata nei confronti della corona austriaca grazie al suo ruolo di porto dell’Impero e alla sua molteplicità culturale ed etnica. Raggiunge poi un altro apice dopo tre mesi, con la devastazione dei seggi elettorali per il plebiscito convocato da D’Annunzio e da lui stesso annullato quando un barlume di lucidità nella mente del poeta, spesso «imbalado de cocaina», gli fa intuire che la popolazione voterà compatta contro la sua occupazione.
Segue la plateale conferma quando D’Annunzio introduce sanzioni e multe per la stampa che dovesse criticarne il governo, il divieto di riunioni pubbliche, la leva obbligatoria per tutti i fiumani tra 18 e 22 anni, il divieto di sciopero e di propaganda operaia di matrice comunista, socialista e anarchica, e persino quello di festeggiare il carnevale. E infine, nel luglio del 1920, arrivano le devastazioni squadriste contro esercizi pubblici e commerciali «non italiani», concertate con l’analogo e più noto incendio del Narodni Dom di Trieste e la simile azione a Pola, prendendo a pretesto i cosiddetti «incidenti di Spalato» tra alcuni militi nazionalisti italiani e la cittadinanza croata di quella città.
Fiume o morte! rintuzza con sagacia una strategia utilizzata da esponenti di estrema destra europei per defilarsi dall’inaggirabile accusa di essere eredi del nazifascismo e per rifarsi una verginità, strategia che consiste sostanzialmente nell’etichettare come «di sinistra» i propri ingombranti progenitori, facendo perno su argomenti privi di qualsiasi fondamento storico e tuttavia rilanciati senza particolari contraddittori dal giornalismo mainstream: Mussolini era stato socialista, ergo il fascismo è roba di sinistra, non di destra. I nazisti erano nazional-socialisti, quindi socialisti, quindi anche loro roba di sinistra.
Ma rispondono alla stessa logica anche le dichiarazioni di Giorgia Meloni in occasione del Giorno della Memoria, quando ha affermato che il fascismo italiano fu, della Shoah, soltanto un «complice». Termine quest’ultimo del quale la storica Anna Foa ha sottolineato la vaghezza rispetto al fatto acclarato che la Repubblica di Salò si incaricò delle deportazioni verso i campi di sterminio per conto dei tedeschi e con altrettanto zelo. Tale vaghezza permette a Meloni di lasciare intendere una sua abiura del fascismo, a chi la vuole a tutti i costi intendere, ma anche, in questo preciso momento storico, di ribaltare l’accusa di antisemitismo contro chi a sinistra contesta i massacri israeliani a Gaza e in Cisgiordania.
A ben vedere la stessa strategia ha prodotto anche le narrazioni che nei decenni hanno attribuito alla cosiddetta «impresa di Fiume» il riconoscimento di un particolare spirito rivoluzionario e libertario, sovrainterpretando la presenza in quel contesto di personaggi eccentrici, artisti e avanguardisti dalla sessualità sfrenata e con la passione per la cocaina, e a partire da crassi fraintendimenti di passaggi estrapolati dai tossicissimi proclami dannunziani – in particolare la mai attuata «Carta del Carnaro» redatta dal sindacalista Alceste de Ambris.
Un esempio da manuale di queste narrazioni, e causa del loro rinnovarsi dalla metà degli anni Novanta in alcuni ambiti di sinistra «antagonista», fu la lettura sedicente «anarchica» di quell’esperienza che ne diede Hakim Bey nel suo Temporary Autonomous Zones, dove la vicenda fiumana è annoverata tra le Utopie pirata, ignorando, o fingendo di ignorare, che tale lettura ne rimuove del tutto la natura nazionalista, reazionaria e razzista, oltre ad essere del tutto infondata sul piano storico.
Lo stesso Bezinović nelle interviste sul film racconta di come da studente, leggendo TAZ e poi il saggio di Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione (2002), fosse stato preso dall’entusiasmo, ma anche dal sospetto che qualcosa non tornasse. E di aver capito in seguito che solo una rigorosa ricerca storica che partisse dal dato inequivocabile che l’«impresa» fiumana era stata prima di tutto un’occupazione militare, poteva permettergli di separare i fatti storici dal mito che gli era stato costruito attorno.
Mito che in Italia ha invece visto le più blasonate firme della «divulgazione storica» dargli dignità di verità storiografica – poggiante sull’assunto «ma D’Annunzio non era fascista» – e spingendosi al punto di descrivere l’Invasione armata di Fiume/Rijeka come antesignana di rivolte sociali di tutt’altra natura, non solo politica, che in Italia avrebbero avuto luogo mezzo secolo dopo.
C’è da aspettarsi che sarà proprio questo tipo di argomenti a essere utilizzato da eventuali recensori, più o meno apertamente schierati a destra, per tentare di sminuire il valore di Fiume o morte! Magari denunciando l’oltraggio di un’opera sul «Vate» realizzata da un regista croato. Denuncia che però dovrebbe a quel punto chiedere conto dei meritori sostegni alla produzione del film provenienti da enti istituzionali italiani quali il Ministero della cultura, il Fondo per l’audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, la Friuli Venezia Giulia Film Commission, la Regione FVG, la Veneto Film Commission. Anche la stessa Fondazione del Vittoriale ha collaborato permettendo le riprese nel complesso monumentale e le ricerche d’archivio.
Fiume o morte! ha, tra i molti meriti, quello di collocare nella giusta prospettiva il ruolo di D’Annunzio nella fase storica in cui il fascismo stava prendendo piede e Mussolini si apprestava a salire al potere. Il punto ovviamente non è se D’Annunzio si definisse fascista, e nemmeno in che misura Mussolini riuscì a «manovrarlo», ma quel che più di chiunque altro, con la mitica «impresa» di Fiume, riuscì a fondare. Vengono ricordati i molti contatti tra il poeta guerrafondaio e Mussolini, compresa la visita che quest’ultimo fece a Fiume per consegnare una grossa somma di denaro.
![](https://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2025/02/14_cartolinaincendio_fronte.png)
Trieste/Trst, 13 luglio 1920. L’incendio squadrista del Narodni Dom, la sede delle associazioni slovene cittadine.
Significativo anche l’entusiastico appoggio dello stesso D’Annunzio all’incendio del Narodni Dom a Trieste nel luglio 1920 – la sede delle associazioni culturali ed economiche slovene e croate della città, la cui devastazione fu l’atto fondativo dello squadrismo fascista. Di quel crimine fu ideatore e promotore Francesco Giunta, convinto sostenitore dell’Invasione di Fiume e colui che in seguito, nel 1922, si sarebbe incaricato di occupare nuovamente la città quando D’Annunzio se n’era già andato da più di un anno.
In alcuni fotogrammi particolarmente emblematici viene riprodotta una foto di D’Annunzio tra un gruppo di legionari, alle spalle hanno un muro su cui oggi sono vergate svastiche e croci celtiche, come a ricordare che il giudizio su quell’«impresa» va misurato anche tenendo presente quel che si portò dietro negli anni successivi, ispirandosi proprio alla retorica guerrafondaia, nazionalista e colonialista ideata da D’Annunzio stesso.
L’approccio registico del film di Bezinović viene presentato nelle sinossi ufficiali come «provocatoriamente punk», ma tale descrizione rischia di ridurne la cifra narrativa e soprattutto la grande intelligenza. Fiume o morte! potrebbe rientrare a pieno titolo tra le narrazioni che, nel contesto letterario italiano, Wu Ming 1 ha definito Oggetti Narrativi Non Identificati. Definizione che non ha a che fare con la mescolanza di generi – che nel film si affollano passando dal documentario al comico, dallo storico-biografico al grottesco, dal drammatico al musicale – quanto piuttosto con l’utilizzo di diverse tipologie testuali.
Tra i molti elementi che rendono la visione perturbante un posto di primo piano spetta proprio al modo in cui la sceneggiatura dello stesso Bezinović riesce a utilizzare materiali diversi in un amalgama bizzarro ma ben distante da qualsiasi frivolezza estetica. Ogni elemento, compresi i momenti di improvvisazione catturati dalla cinepresa, è strettamente necessario alla ricostruzione di una vicenda complessa che capovolge la descrizione tipicamente italiana di D’Annunzio come poeta, patriota e persino rivoluzionario.
L’efficacissimo utilizzo in Fiume o morte! dei materiali d’archivio fotografici e filmati ne esalta con onestà le doti di propagandista – in questo senso «uno dei più grandi talenti nella storia dell’umanità» secondo Bezinović – ma il capovolgimento lo fa emergere come il vanesio e grottesco guitto che era, e la sua «impresa» parte in chiave di pagliacciata e finisce in tragedia.
N.B. I commenti a questo articolo verranno aperti una settimana dopo l’uscita del film nelle sale, cioè il 24 febbraio 2025.
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* Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete, sulle false notizie a tema storico e sulla riabilitazione dei fascismi in tutte le sue varianti e manifestazioni. Il gruppo si è formato nel 2012 in seguito a una discussione su questo stesso blog e ha al suo attivo molte inchieste e diverse pubblicazioni.
Nel 2017 ha ideato e curato lo speciale «La storia intorno alle foibe» per la rivista Internazionale.
Nel 2018 ha pubblicato on line la guida didattica Questo chi lo dice? E perché?
Nel 2022 ha pubblicato per le edizioni Alegre il saggio d’inchiesta storiografica La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana.
Nel 2024 ha portato a termine la più completa ricerca mai realizzata sulla figura di Norma Cossetto, le circostanze della sua morte, le false notizie di stampo neofascista che la avviluppano.
Lo pseudonimo collettivo «Nicoletta Bourbaki» è un détournement transfemminista di «Nicolas Bourbaki», maschilissimo gruppo di matematici francesi attivo dagli anni Trenta agli anni Ottanta del XX secolo.
Nicoletta Bourbaki è su Medium e su Telegram.