Ieri si è scritta una delle pagine più nere della storia di Twitter in Italia.
Dapprima si sono visti “quelli che benpensano” ingoiare estasiati l’esca gettata dai media, stracciarsi le vesti, agitare cappî e manette perché durante il corteo No Tav dell’altro giorno alcuni dimostranti avevano scritto sui muri di Torino e gettato vernice su determinati bersagli.
Poco tempo fa, sempre a Torino, c’è stato un pogrom in stile Ku Klux Klan, ma non ricordiamo nemmeno un decimo dello sdegno suscitato nel week-end da qualche scritta e chiazza di colore.
In una fase dura come questa – con la crisi che devasta le vite, la collera sociale che si diffonde per ogni dove e ogni tanto erompe alla disperata, in modi anche autolesionisti – ogni adunata pubblica potrebbe finire come quella del 15 ottobre a Roma, se non peggio. Alla luce di questo, si può ben dire che il corteo dell’altro giorno abbia dimostrato autocontrollo. Lo stesso encomiabile autocontrollo dimostrato dal movimento No Tav in tutti questi anni di fronte alle calunnie, ai frequenti episodi di disinformazione, agli arresti e alle bastonate, ai fumogeni sparati in faccia, alla repressione.
Parlare delle scritte anziché del male di cui sono sintomo equivale a indicare lo sporco sotto l’unghia del dito che indica la luna in rotta di collisione con la terra.
Ma questo era solo l’inizio.
Col passare delle ore, è stata diffusa una bufala: i No Tav se l’erano presa specificamente con… Norberto Bobbio, o meglio, con un suo poster affisso in una vetrata. Avevano scritto “BOBBIO SERVO!” con lo spray. Orrore!
In poco tempo, si è visto sacralizzare in modo strumentale il nome (o meglio, il volto) di un filosofo morto, allo scopo di attaccare l’intero movimento e forse coprire il vero bersaglio polemico di quella scritta, cioè il giornalista de “La Stampa” Massimo Numa. Di quest’ultimo, i No Tav denunciano da tempo – denunciano anche in senso stretto – non solo gli articoli, ma anche presunti comportamenti da “guerra sporca”. E qualcuno, senza molto successo, ha chiesto spiegazioni al direttore del quotidiano, Mario Calabresi.
E’ plausibile che ai ragazzi che hanno lanciato quei gavettoni di vernice e fatto quelle scritte, di Bobbio freghi poco. Lasciamo ad altri valutare se ciò sia giusto o sbagliato. Il punto è che il bersaglio della scritta non era lui.
A quel punto, però, si è visto un gregge feroce mostrare i denti e belare odio.
E si è vista un’enorme lente d’ingrandimento mostrare impietosamente tutti i difetti causati dalla tumultuosa crisi di crescita di Twitter (ne avevamo già scritto).
La bagarre è proseguita anche quando diversi hanno fornito la prova fotografica che si trattava di una bufala.
Tutta la cronistoria del “falso ideologico” e della conseguente canea si può leggere qui.
C’è chi ha detto che un social network come Twitter è solo lo specchio della società. La metafora ci sembra inappropriata: uno specchio non accelera la tendenza all’entropia della realtà che riflette. Con la sua forsennata, ansiogena pulsione all’immediatezza degli scambi, un mezzo come Twitter, se usato assecondandone in toto la logica anziché contrastandola con l’autodisciplina e la creatività, diventa peggiorativo della realtà che trova, ne amplifica i tratti più retrivi. Se la parola fugge in avanti prima che si formi il pensiero, se quel che conta è l’iper-velocità nel rispondere, fatalmente si tira fuori il peggio.
Noi avevamo già riscontrato una nostra crescente inadeguatezza, una sempre maggiore difficoltà a usare Twitter in modo disciplinato e creativo. Di conseguenza, avevamo modificato il nostro modo di usarlo, ridimensionando la nostra attività su quel social network.
Ora, però, siamo davvero molto scoglionati. L’italo-Twitter ci ha rotto i maroni.
Il limite è nostro: siamo in overload, non abbiamo più la forza né la pazienza.
Del resto, noi siamo scrittori, la cosa importante è che scriviamo libri, non abbiamo obblighi di presenza in ogni angolo della rete (tant’è che abbiamo sempre disertato Facebook), né siamo costretti a “presidiare” questo o quel posto perché c’è l’abitudine a vederci lì. Abbiamo già questo blog, che insieme al resto del sito sfiora – e talvolta supera – i 200.000 visitatori unici mensili, ed è qui che preferiamo esprimerci.
D’ora in avanti, e per un bel pezzo, su Twitter di nostro si vedranno solo i link a questo blog (ai post e ai commenti che riterremo significativi).
C’è dell’altro: tempo fa abbiamo aperto un profilo su Identi.ca, che ora può tornare buono. Come ha scritto l’amico Piersante, “dicono che lì cresca ancora l’erba”. Se vorremo sperimentare qualcosa oltre Giap, lo faremo lì.
Grazie a tutt*.
Non ho seguito la manifestazione dal principio. Sono arrivato tardi: era già alla fine di via Po, quasi piazza Vittorio Veneto. La pericolosissima band dei clown giocava con i passanti. Ho ascoltato tutti gli interventi, nevicava e molta persone, alla spicciolata, cominciavano ad andar via. Clima sereno da fine manifestazione, dal microfono ripetevano a ogni intervento la sostanziale vittoria del corteo e l’invito a esserci il prossimo 25 febbraio. Ho seguito per un’altra mezz’ora una ‘coda di manifestazione’ che ha ripercorso a ritroso via Po: qualcuno ha scritto sui muri e qualcun’altro ha fatto notare che poteva bastare, che la manifestazione era finita, che le scritte non erano nella lista delle modalità organizzative etc http://bit.ly/zBMwDG, piccole discussioni sulla cosa e nulla più.
Poi il delirio su Twitter.
Ho letto qualche tweet sull’immagine di Bobbio, ho cercato in rete e ho trovato la posizione espressa da Perino (nel frattempo era stata twittata da @uomoinpolvere http://bit.ly/yLX74c) in cui condanna le scritte. Sulla vicenda Bobbio nn c’è scritto nulla. Neppure nelle domande del giornalista. Sentivo che qualcosa mi stava sfuggendo ma non capivo cosa. C’erano troppi input e tutto troppo focalizzato sull’offesa fatta all’immagine del filosofo. Vivo a Torino da un po’ e anch’io so che in via Roma c’era la sede della Stampa. Ci sono ancora le insegne! Eppure a me non è venuto in mente di collegare le cose fra loro. Anzi di far emergere le connessioni che già c’erano. Era stata presa di mira la ex sede del quotidiano e l’immagine di Bobbio, che era lì perché faceva parte delle vetrine della libreria, era stata colpita indirettamente. Ero distratto dal rumore dell’indignazione mediatica e anche se ho invitato alla calma, il vero aspetto della cosa continuava a sfuggirmi.
Qualcuno poi ha pubblicato la foto completa e lì mi son dato del cretino, perché ho capito che mi son fatto prendere nel frame dell’immagine imbrattata.
Più disciplina e creatività!
Sperando di non essere troppo complottista – anzi spero di non esserlo del tutto – inizio un piccola riflessione.
Se non vado errato Twitter acquista notorietà con le rivolte in Iran (2009) e già da allora poneva grossi problemi di credibilità e affidabilità. Già da allora uno dei problemi + grossi e trovare le persone di cui “fidarti” e da seguire – questo dal punto di vista di un utente come me che è più fruitore che produttore. Di questa sua scarsa affidabilità e nel contempo il suo ruolo di costruttore di verità se ne è sempre fatto uso per produrre rumore, eventi, indignazione, etc… In piccola o grande scala.
In fondo è una sorta di arma d’offesa: a disposizione di tanti. Dei movimenti come dei contro-movimenti. Pezzi reazionari piemontesi (e non) si sono “impossessati” dello strumento e lo hanno usato contro chi, come i notav, lo ha usato come strumento di conflitto sociale.
Io credo che siamo solo all’inizio.
Totalmente contrario alla presa di posizione di lasciare twitter come solo strumento “pubblicitario”…La presenza di tutti noi è fatta anche per indirizzare la discussione verso aspetti più realistici ed interessanti, la mia non è abitudine a vedervi li, ma nel vedervi attivi…buona fortuna…
@ pete85
non sei il solo ad aver espresso quest’opinione, già il “ridimensionamento” di fine 2011 aveva creato malumore e delusione, e in fondo ci fa piacere che la nostra attività su Twitter fosse apprezzata. Però, senza offesa: soltanto noi abbiamo chiara la quantità di tempo a nostra disposizione, e soltanto noi siamo in grado di valutare le nostre forze. Se fossimo entusiasti del mezzo, se usarlo ci divertisse ancora, magari ci industrieremmo a trovare un modo di “allungare la coperta”. Ma non è questa la nostra condizione attuale. Ci volete scrittori di romanzi o ci volete mediattivisti su Twitter? Perché noi siamo costretti a scegliere, e quindi anche voi. Noi scegliamo i romanzi.
@ Wu Ming 1
Preferiamo i romanzi, ma difendiamo li spazi…comunque se la mettiamo su una linea di “tempo perso”, è capibile la vostra scelta…Alla fine si tratta sempre di un mezzo futile, dove i maggiori argomenti di discussione si riducono a: Wesley Sneijder STAY
#10ThingsThatAreAttractive
@ WM
Letto ora lo storify.
Allucinante.
Io su twitter nn ci sono mai stato, ma se le cose stanno davvero così come leggo – sembra di guardare una gabbia piena di squali inferociti, pronti ad azzannare il primo brandello di carne che gli viene agitato davanti al muso – fate più che bene a ritirarvi, secondo me.
Qualcuno ha detto “tempo perso”?
Concordo in pieno.
Cmq noto che a Torino c’è proprio un bel clima… bah!
Saluti
So che questo “contributo” non servirà a molto, ma che la gente di “sinistra”, comunisti di vecchia data e di molto rigore, su Facebook comincino a inveire perché si scrive sui muri- si scrive sui muri !!- è davvero un segno di come si sia perso, ahimé, il senso della misura da quelle parti. Adesso non sono necessari cassonetti e macchine incendiate, basta uno spray. “Vogliamo la legge, l’ordine, la disciplina, sono momenti gravi per la nazione, tutti devono mostrare senso civico e amore per la patria e per lo stato ( e per il governo, visto che ci siamo)”.Sono rimasta sbalordita, per la prima volta ho capito la distanza che mi separa da questa gente. Ma non penso mai che si possa arrivare a tanta pidocchieria borghese di basso livello. Ma forse è solo una conferma, salutare. Buone cose.
Su Twitter si è già detto praticamente tutto nel thread di qualche mese fa. ma è interessante notare uno strano concatenamento di eventi: twitter comincia il suo boom sulla scena globale dopo che il marchio con l’uccellino viene appiccicato su tutte le rivolte in corso in Nord Africa e Medio Oriente (a partire, appunto, dall’Iran). Quelle diventano le “rivolte di Twitter”, con un’operazione di maquillage davvero incredibile operata dalla stragrande maggioranza dei media nostrani (dell’estero non so bene) per cancellare, ad esempio, il ruolo fondamentale svolto dai lavoratori nella rivoluzione egiziana.
Dopo questi eventi – o meglio, dopo le bugie che si sono dette su di essi – twitter è esploso anche in Italia, inserendosi da noi già in partenza come il social network “impegnato”, quello su cui si fa politica. I nemici questo lo sanno benissimo, e infatti è evidente come negli ultimi tempi stiano sperimentando il mezzo proprio in chiave reazionaria. Molti utenti, presi dalla foga e dall’ignoranza che avete descritto benissimo, poi fanno il resto. Twitter da noi ha quest’aura di impegno che da un di più a quello che si twitta, è una “piazza” molto più di facebook, perché è meno privato e più pubblico già in partenza, e inoltre, si sa, è lo strumento delle “rivolte”…
Twitter è sicuramente molto utile in generale, ma forse al momento rischia di diventare più utile ai reazionari che a noi, dato che dalla loro hanno tutti i difetti del mezzo e diversi carrozzoni mediatici con l’orecchio teso. Bisogna stare attenti ma anche, a un certo punto, lasciar perdere, perché purtroppo i suoi limiti, a mio parere, sono invalicabili. Per questo capisco benissimo la vostra scelta. E poi, che diamine, c’avete da scrivere! Su su! (batte le mani in segno di incitamento)
@Wu Ming 1
Esatto, e come voi scegliete i romanzi io ho scelto la strada e il partito.
Raga, meno twitter + organizzazione fisica.
@ pete85 @franzecke
quel tempo non sarebbe affatto “perso”… avendolo. E avendo ancora le energie, e la particolare forma di immaginazione che serve per usare il mezzo. Ma sentiamo di non avere più niente di tutto questo. Chi ha ancora tempo, forze e “foia”, continui a stare su Twitter per tenere aperti gli spazi, veicolare informazione e contrastare lo schifo. E’ giusto farlo.
Questi due anni e sbrisga trascorsi su Twitter non sono certo andati sprecati, abbiamo sperimentato, siamo cresciuti, e anche Giap ne ha tratto giovamento (non solo in termini di accessi, ma anche di “movimentazione” dei dibattiti). Tuttavia, è tempo (appunto, il tempo!) di andare oltre.
Mi sembra che il collettivo Wu Ming sia bravissimo a scegliere i modi e i canali con cui fare militanza, quindi rispetto la loro scelta che è dovuta anche alla loro posizione particolare all’interno della cinguettosfera (per dirla semplice: sono loro malgrado dei VIP e questo significa avere una grande potenza di fuoco ma anche subire una grande rottura di minchia).
Personalmente in questi pochi mesi di uso impegnato di Twitter ho trovato molti validi motivi per restare lì dentro, specialmente ora che è “diventato di moda”: è un contatto ruvido con uno spaccato della società italiana, inclusa tutta la sua buzzurraggine. Al di là del piacevolissimo e proficuo confronto con gente in gamba (e in testa alla lista ci metterei proprio i WM), che però è sempre possibile in tanti altri modi (per esempio, qua), il valore aggiunto per me è proprio che si veleggia sopra un abisso che non è piena di acqua ma di una sostanza decisamente meno limpida: è come volantinare al supermercato e trovarsi ad affrontare i pregiudizi più beceri della “gente qualunque”. Con la stessa logica, uso Facebook e altri strumenti.
Il punto importante di questo post mi sembra che sia là dove dice di non farsi trascinare passivamente dalla logica del mezzo che si è scelto, che naturalmente non è costruito sulle esigenze degli attivisti o degli utenti più riflessivi ma su quelle dei bimbominkia, dei modaioli, dei “consumatori” che rappresentano il core business dell’azienda Twitter come dell’azienda Facebook ecc.
Segnalo un penosissimo “articolo”di quegli sciacalli de “Gli Altri” dove un certo Nicola Mirenzi riesce a mistificare in modo spaventoso questo post: http://www.glialtrionline.it/home/2012/01/30/wu-ming-twitter-e-le-nuove-proscrizioni/
Si noti nelle cazzate di Mirenzi la presenza di tutta una serie di pregiudizi ideologici: il feticismo digitale (Twitter strumento di libertà), le rivoluzioni arabe come rivoluzioni dei social network, l’equiparazione di critica e censura, la penna degli intellettuali “cattivi maestri” che armano le mani dei terroristi (o le bombolette dei malvagi writer), l’irresponsabilità dei giornalisti presentata come un valore di democrazia (e quindi chi fa il nome di un giornalista cialtrone, come osò fare Femminismo a Sud, sta stendendo “liste di proscrizione”)…
C’è tutto un ambiente di giornalismo di centrosinistra che ha chiaramente dichiarato guerra al pensiero critico e alternativo e che sta usando il lato più ambiguo del Web come terreno privilegiato di questa battaglia. Le loro armi sono la calunnia basata su paralogismi e suggestioni irrazionali, l’ipocrisia pelosa, la saccenza da Puffo Quattrocchi, e soprattutto una rete di legami “io paro il culo a te e tu pari il culo a te” degni della peggiore massoneria.
A testa alta, con ironia e con competenza, e anche sapendo usare bene la nostra superiore familiarità con le nuove tecnologie ma soprattutto con il linguaggio della strada, dobbiamo accettare questa battaglia culturale e dargliene di santa ragione. Aux armes!!
ok…è sempre una opzione valida andare oltre. Ma oltre dove? Poco oggi ha la possibilità di veicolare notizie e pensieri come lo fa twitter, ad esmpio io vi seguo dalla Francia…Senza sarebbe molto più difficile…Ma ogni posizione va rispettata: più o meno http://www.youtube.com/watch?v=CdXEFt0XvIQ
PS: Mirenzi dice che è meglio non fare il nome di Massimo Numa, ma poi lo mette tra i tag del suo articolo… :-D
@ Mauro
rientra nell’insieme di quelli che abbiamo definito “instant-pezzulli”, tipologia di articoli ad argomento Twitter scritti in fretta e furia da giornalisti e affini che passano l’intera giornata sul social network in cerca di un qualunque appiglio per sollevare un “caso”, il più delle volte dal nulla. Caratteristica comune di questi pezzi è l’uso di espressioni spropositate, come “crociata” (era una “crociata” il nostro tweet in cui dicevamo che il Banco Alimentare è di CL), “appello alla migrazione” (era un “appello alla migrazione” da Twitter un nostro tweet in cui ricordavamo che abbiamo un account su Identi.ca) e “lista di proscrizione” (si compila una “lista di proscrizione” ogni volta che si cita un giornalista per nome e cognome, criticando un suo articolo).
Règaz,
la questione twitter è del tutto marginale.
Bene ha fatto wuming1 a sottolinearne la specificità, congiunturale, di ‘acceleratore’ di pratiche discorsive di merda e di esaltatore del nostro già tragico pressappochismo.
Ma è il paese che è un letamaio nauseabondo.
Un olezzo di fascistume fetido viene dall’alto e dal basso, una richiesta ossessiva di conformismo, una ferocia delle buone maniere che lascia basiti.
Non c’è un quotidiano che possa essere solo sfogliato, o un tg a cui dare un’occhiata. Enormi vaccate vengono proposte di continuo come sobrie e inconfutabili verità. Ciclopiche cazzate come analisi oggettive e temi fondamentali da approfondire. Anche dalle file cosiddette ribelli si odono robe inascoltabili. Tra trinacrie, neoborbonici e grillismi assortiti è un tale circo barnum di puttanate che l’arrivo sulla scena della donna barbuta verrà salutato come la resurrezione, in carne e ossa, di Marx.
Agli oltranzisti del ‘bisogna esserci’ voglio solo dire, per esperienza personale, che a ‘presidiare’ delle latrine non ci si ricava nulla, se non malessere e infezioni.
Credo sia arrivato il momento di dirsi che dobbiamo provare a liberarci da quest’ossessione di parola continua, obbligatoria, compulsiva. Bisogna che ci rendiamo conto che la nuvola mefitica di infotainment dentro cui siamo immersi, in assenza di eventi, eventi reali, è puro ‘niente mischiato con nulla’, che avvelena e basta.
Ai miei compagni di una vita ancora una volta dico: bene, giusto. Stabilire le priorità, la scaletta, la tabella di marcia.
Fare le cose che danno senso, soddisfazione, che indichino la direzione verso cui si procede.
Mandare affanculo tutta questa merda inutile.
L.
Cari Wuminghi, io sono uno di quelli che vi segue dalle prime mail di Giap, uno dei primi nell’ordine di decine di “followers” della mailing list, credo :-) Insomma uno che si perse a Frankenhausen…
E quindi mi so buttato pure io su Identi.ca che non conoscevo e vi ringrazio per avermici portato. Tra l’altro quando ho visto che Stallman mi ha “followato” mi sono commosso! eheh
“Dell’incapacità di correggere gli errori” http://bit.ly/wacbaz Pacatamente Mazzetta spiega cose che dovrebbero essere ovvie e non lo sono per niente…
Mi riconosco abbastanza, pur chiaramente disponendo di un millesimo della potenza di fuoco e di un centesimo delle rotture di coglioni su twitter rispetto a voi, nel ragionamento che fate.
Anche per me twitter è stato uno strumento utile, soprattutto nell’autunno 2011, in corrispondenza di alcune mobilitazioni, ecc., ma oggi diventa sempre più difficile da seguire in maniera tale da costruire una conversazione minimamente proficua. C’è rumore di fondo, certo, ma non solo questo: mi pare evidente come anche lì, come nei media e nella società in generale, la caduta di B. abbia provocato l’immediato riposizionamento di alcuni “opinion leader” che hanno incitato alla rivolta per mesi e ora al massimo commentano X Factor, per non rischiare di disturbare il manovratore…
C’è bisogno di spazi per pensieri se non lunghi almeno un po’ più larghi di quelli che una piazza ormai asfittica mette a disposizione. Per questo con alcuni fratelli e compagni abbiamo fatto partire http://www.ilcorsaro.info e per questo anch’io preferisco scrivere il più possibile lì, utilizzando twitter per far girare i contenuti che produciamo e discuterli insieme ad altri.
Magari questo ci servirà a far crescere la potenza di fuoco e a tornare in quella piazza meno sguarniti di quanto siamo ora. O magari domani la sentirò diversamente e cambierò idea.
Il problema è che vedete la pagina buia dove non c’è. Ed è una narrazione confortante e auto-assolutoria basata su un equivoco.
Equivoco che ho chiarito e raccontato qui, per filo e per segno. http://www.enrico-sola.com/2012/01/bobbio/
Visto che sono stato colui che per primo ha notato lo sfregio e ha montato la polemica su Bobbio (e, fino a quando non ho trovato – e correttamente diffuso – immagini più allargate, il presunto insulto), mi sono preso la briga di raccontare tutto e fare chiarezza.
Gradirei mi riconosceste una cosa, a proposito del mancato insulto a Bobbio: l’assenza di malafede e la correttezza delle mie azioni, come ho dimostrato nel post.
Non mi dispiace affatto polemizzare com WuMing: trovo che il naturale conflitto tra sinistra riformista e sinistra radicale sia interessante, perché racconta la lenta agonia degli anni Settanta e la modernizzazione della sinistra, tra cedimenti togliattiani alla voglia di farsi accettare dai diversi e crisi dei modelli novecenteschi a cui fanno riferimento buona parte delle nostre parole d’ordine.
Quindi se mollate Twitter fate male e perdete un’occasione. E in un modo o nell’altro mi mancherete. Come avversari, beninteso. :)
“Visto lo sfregio all’immagine di Norberto Bobbio, ho cercato – insieme ad alcune persone in Rete – di diffondere il più possibile l’immagine dello scempio e di far riflettere i miei contatti online sulla natura del movimento Notav, ormai ostaggio dell’ala violenta e antagonista, estranea alla Valle Susa” [cit.]
I tuoi tweet nn mi sono sembrati tanto “spunti di riflessione”:
“A tutti i #notav: guardate cos’hanno fatto all’immagine di Norberto Bobbio. Fascisti.”
“@umanesimo @halgher ecco cos’hanno fatto i #notav, tra le tante cose. Dando pure del servo a Norberto Bobbio. Vergogna!”
“@Samuele Chi infanga l’immagine di Bobbio è un fascista. Anche rosso. Ma il metodo è quello.”
“Questa cosa dello sfregio a Bobbio mi fa incazzare come una iena. Ma chi può essere così idiota da infangare la sua immagine? Non mi do pace”
***
Parlando di sineddoche, una è quella della “parte per il tutto”. La tua analisi affrettata sulla “parte” fotografica con Bobbio e la scritta “servo”, ha creato l’effetto-sineddoche “Bobbio+Servo => NoTav fascisti”. Lo stesso accadde il #15Ott quando si fece delazione sul web ad un giornalista che era stato fotografato prima vicino ai blackbloc, poi ai poliziotti (http://www.giornalettismo.com/archives/158613/chi-e-linfiltrato-tra-gli-indignados/)
***
La tua deduzione è stata fallace (http://it.wikipedia.org/wiki/Abduzione), perchè – come hai ammesso – dietro c’era una regola di partenza ideologica:”.
Il caso #Bobbio ha seguito questo iter:
– Regola: “il movimento NoTav sta diventando ostaggio dei violenti”
– Caso: “l’immagine di Bobbio è stata deturpata durante una manif. NoTav” (v.foto parziale)
– Risultato: “i NoTav hanno infangato Bobbio”
Si potrebbe anche parlare del principio di facilità (la tendenza a ritenere significativi gli elementi più appariscenti di un fenomeno: i lanci di vernice non erano “mirati” a Bobbio, se analizziamo la topologia casuale delle macchie) o del post hoc ergo propter hoc (Si assume una conseguenza e la si intende come causa della propria causa: se oggi i NoTav sono stati teppisti,significa che già lo erano) tipici del metodo deduttivo ermetico che imperversa sul web.
Ma il tuo riferimento al negazionismo nazista per pararti i fondelli dalla gaffe ermeneutica su #Bobbio è la ciliegina sulla torta – e chiude il discorso.
E’ preferibile, in linea di massima, che i commenti dettagliati a un post apparso su un altro blog vengano fatti, ribattuti, controbattuti su quel blog. Ovviamente, dipende da caso a caso, ma cerchiamo di mantenere questo spazio il più agibile possibile.
Manco su Tuitter da due giorni e mezzo e mi sono persa tutta la storia di Bobbio (per fortuna, direi, a questo punto).
In compenso, però, sono stata in strada. Sabato abbiamo fatto un presidio di solidarietà sotto alla Prefettura, qui a Benevento. Faceva freddo, noi eravamo in pochi, ma Benevento è una citta piccola, è fisiologico essere in pochi.
E poi, tra un intervento e l’altro, col megafono che si sentiva solo a tratti, andavamo a fare volantinaggio: le reazioni ai volantini e a quello che stavamo facendo non sono state migliori rispetto a quello che è successo su Twitter, anzi (menzione speciale per «Ma che cos’è la Val di Susa?», ndr).
Qualche giorno prima avevamo fatto un’assemblea sulla questione dei forconi e degli autotrasportatori, con agricoltori e autotrasportatori presenti. Tre ore di assemblea (dalle 19.00 alle 22.00) e alla fine avrei voluto tagliarmi le vene o qualcosa del genere, non per la lungaggine quanto per la depressione del quadro politico che ne era venuto fuori, che si andava ad aggiungere, del resto, a una settimana o più di tweet (con relativi tentativi di flaming a cui mi sono dovuta trattenere dal rispondere) sul tema.
Terzo fatto. Due settimane fa, a Napoli, dicevo alla cara compagna @danffi che avrei voluto prendere una pausa dal fare movimento, che ero in un periodo di stanca, di poca sopportazione di assemblee e cazzi vari.
Alla luce dei fatti, credo che Twitter psicologicamente centri in questo mio “periodo di stanca”: fino a qualche mese fa, quando le assemblee di movimento “reali” erano deprimenti, inconcludenti, alla “Bologna Social Enclave” e non esagero, dall’altro lato c’era Twitter, che invece era un terreno fertile, socialmente. Non ci si faceva la rivoluzione come sostenevano i media, però era sicuramente più “ricco politicamente” di molte situazioni reali, soprattutto per chi, come la sottoscritta, si ritrova a fare militanza in una città piccola e provinciale. Insomma, dava speranza, compensava le mancanze di pazienza generate dal reale. Adesso, invece, c’è l’overflow di sopportazione: le assemblee di movimento e di “confronto con la strada” fanno schifo, Twitter fa schifo e la pazienza non basta per reggerli tutti e due.
Perciò, dico due cose: la prima è che Luca ha ragione da vendere. Per il momento nelle strade non c’è la poesia (cit.), c’è al massimo un romanzo di Fabio Volo. La seconda è che se devo scegliere tra sprecare la mia (poca) pazienza in strada, nella realtà, e sprecarla su Twitter, scelgo la prima. Se proprio devo discutere, flame compresi, preferisco farli con gente vera.
Cheers. (mò, comunque, vediamo come funziona Identi.ca, che m’ero fatta secoli fa, e soprattutto quanta pazienza serve per starci)
gia’, luca ha ragione, di brutto. il clima e’ mefitico. questo passaggio dal berlusconismo al post-berlusconismo mi ha fatto tornare in mente una vecchissima vignetta di altan:
-piove merda
-finalmente un po’ di refrigerio
twitter #isthenew blog di grillo 4 o 5 anni fa: uno sfogatoio dove appunto la parola viaggia prima del pensiero (nonciclopedia, luttazzi, il banco alimentare… mi vengono in mente un sacco di esempi)
uhm..leggendo nel post di Mauro Vannetti di “gli Altri” mi è venuto facile, e vedremo quanto azzardato, l’accostamento con 2 thread fa, ovvere dire da destra che non si è nè di destra nè di sinistra. ora apro il loro blog e vedo se ho conferme..
Gli eventi delle ultime ore, l’esodo di massa su identi.ca e il post di @maurovanetti (il primo, quello lungo) mi sollevano domande (come al solito confuse). Parziali risposte da @luca ma c’è anche altro.
Io vi ho trovati (intesi, e mi perdonerete, come “ecosistema”, cioè non solo i WM ma tutti voi con cui mi piace interagire su tw e qui, e da sabato qualcuno finalmente anche di persona) dicevo vi ho trovati non perché qualcuno sia venuto a cercarmi, a suggerirmi, a fare apostolato: vi ho trovati perché ne avevo bisogno. Perché quello che avevo non mi bastava. E quando cerca a volte trova.
La domanda è: se ciò che conta si trova cercando, e si comincia a cercare perché si sente mancare l’aria, non sarà sufficiente esserci e fare la propria strada, ignorando bellamente la rissa con i troll? E lo stato penoso di twitter italia di questi ultimi mesi non sarà già una molla sufficiente per spingere alla ricerca quelli, tutti e soltanto, che ne hanno bisogno? E non è su questi, tutti e soltanto, che vale la pena contare?
Che dire, sottoscrivo parola per parola quanto detto da Luca. Onestamente non mi dispiace il vostro *riposizionamento* su twitter, anzi, perchè a essere sincera un po’ vi ho odiato :-) tutte le volte mi avete tirato dentro a certi merdai. Non che anche io non usi twitter a volte a cazzo di cane, ma insomma se lo faccio io è un conto, se lo fate voi che siete soliti proporre discussioni interessanti uno un po’ curioso di andare a leggere lo è, perde i filtri, e si ritrova a perdere tempo ed energie in cose che proprio non meritano.
Concordo sopratutto sulla definizione di “acceleratore di pratiche discorsive di merda”, ma non certo creatore, e basta entrare in un’edicola per rendersene conto.
Dubito che cambiare social network influisca su questo, se non per il fatto che magari la frequentazione è un po’ diversa, ma chissà fino a quando. Comunque questa è scelta vostra, io per non perdere i vostri post nel rumore di fondo userò comunque i feed rss.
Per concludere un link (di merda, ma appunto per questo in tema) “parte del progetto #hackweek, dedicato alla creazione del migliore/peggiore video di recruiting della storia del web”, recruiting di twitter ovviamente http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=vccZkELgEsU
[…] vedo dove stia il problema, a meno di non considerare la rete un feticcio estraneo alla realtà. Le riflessioni di Wu Ming sull’effetto ‘palla di neve’ che si genera su Twitter sono stimolanti e interessanti. Eppure, […]
Ho letto solo ora tutti i commenti. Le posizioni di Luca e di Mauro, le sento entrambe molto condivisibili, e mi ritrovo distante e vicino a entrambe, forse perché c’è bisogno di tutt’e due, ma poi ognuno sceglie la propria linea del fronte, che non è mai uno solo.
In molti, credo tutti, indipendentemente dalle posizioni assunte o auspicate verso di essa, avete sottolineato come sia cambiata la scena di twitter ultimamente. Si sono accavallate una serie di cose, sta cambiando la situazione politica italiana, twitter è diventato “di massa”, c’è il governo “tecnico” dell’austerity, c’è il fascismo e la reazione che avanzano… tutto vero, certo, ma forse sono cambiato pure io durante questo tempo, non soltanto twitter. E forse twitter, al di là della sua situazione attuale, non è uno spazio fatto per starci oltre un certo periodo di tempo, perlomeno in un certo modo, al di là anche del numero dei followers e dell’entropia proporzionale. Rappresenta una fase che è comunque destinata a essere superata. Mi chiedo anzi quanto la situazione italiana attuale possa offuscare la validità o l’invalidità di questa ipotesi; di certo rende difficile capire a me se è valida o no.
Spero di non cadere nel feticismo tecnologico, ma a me sembra che le forme attuali dei social network e più in generale dei mezzi di comunicazione informatici e dei modi di starci dentro sono ancora in una fase molto evolutiva. Forse è pure possibile che non si evolvano più, che regrediscano o che collassino insieme a questo modello di società nei prossimi anni/decenni, non lo so. Ma se è sensato pensare a un qualche tipo di evoluzione “potenziale”, mi vien da pensare che siamo ancora all’inizio, in una fase in cui tutto cambia abbastanza in fretta (o dovrebbe cambiare, ma poi magari rallenta o si ferma per cause più o meno “altre”, come i limiti dell’eco-sistema). Ovviamente questo non è un processo sganciato dalla società, come già avete ben discusso altrove, non ci sono “progressi” tecnologici senza cambiamenti della società che li “progredisce” (o regredisce).
E anche la nostra società, sottoposta alle “leggi del mercato”, accelera il disordine di questi cambiamenti; queste “fasi”, sono scandite dai diversi “prodotti”, che nascono, crescono e falliscono, e non si evolvono linearmente, puntano delle direzioni che per forza di cose saranno *sempre* dei binari morti, perché è un vicolo cieco lo stesso modello di società che li ha prodotti, e gli scopi (profitto, sfruttamento, controllo) che li hanno sovradeterminati. E così lo “starci dentro” è per forza di cose sottoposto a salti, passi indietro, stasi, fasi calanti e, per fortuna, riposizionamenti, che non hanno il senso dell’abbandono totale di queste modalità di interazione, in senso lato.
Scusate tutta la pappardella fuffosa solita. Il punto di ciò che vorrei dire è: voi dite “siamo scrittori”, e “il limite è nostro”, “ci siamo rotti i maroni”. In queste che superficialmente potrebbero sembrare solo ammissioni della propria inadattabilità a un peggioramento leggo qualcosa che secondo me è rimasto implicito, e cioè il senso della necessità di creare altri “modi” di esserci proprio nel momento in cui il “modo” di esserci attuale è al suo spannung; il senso della discesa imminente del modo-twitter, non soltanto dovuto alle condizioni della società italiana che lo compone (e di cui è parte), ma alla sua maturità intrinseca, una maturità che qui in Italia puzza precocemente di marcio e di morte, ma che è tale anche autonomamente da ciò. Una maturità del modo che spinge a cercarne/crearne altri. Siete tra i pochi scrittori italiani che fanno del parlare alla società un impegno primario, e capisco (perché anch’io l’ho provato) il dispiacere di molti che vedono in questo vostro riposizionamento un allontanamento da questo modo che a lungo è stato proficuo di “parlare alla società” proprio mentre sembra che la società stessa si sia riversata in massa nel luogo che avete occupato/costruito a lungo. E sottolineo sembra: secondo me è da approfondire il discorso che fa Wu Ming 1 quanto dice che twitter “accelera la tendenza all’entropia” e “non è uno specchio”. Innanzitutto, trovo proprio fuorviante l’immagine dello “specchio”: twitter è composto da una parte della società, da parti reali di essa, non è una sua rappresentazione di qualche tipo. Piuttosto direi che la forma/funzione che assume questa parte di società che ha occupato twitter è quella matura per twitter, e se in Italia fa particolarmente schifo sarà dovuto a cause esterne a twitter, ma questo non cambia la sostanza, secondo me, della situazione. La sostanza in mia opinione è che quando una grossa parte della società è entrata nella macchina-twitter, *allora* questa macchina si rivela per ciò che è, assume le sue piene funzioni, ed è sempre meno utilizzabile per scopi creativi/fondativi di diversità proficue/antagonisti al sistema/liberanti. Dove ci poteva essere agile, efficace strumento ed esercizio di sintesi, oggi c’è sempre più trasmissione di messaggi a onde cortissime. Il drammatico di questa situazione è la necessità di trovarsi sempre eterotopici rispetto alla macchina che ingloba in un determinato momento la parte maggiore della società in rete (“non siamo su facebook, siamo su twitter, lo troviamo più agile”, “non siamo su twitter, siamo su identi.ca…”) perché quella è la macchina che è riuscita a maturare al punto tale da esprimere in maniera schiacciante le istanze reazionarie del sistema che l’ha prodotta. Il deus di questa tragedia non può quindi essere ex-machina, deve provenire e interessare l’intera società, anche in quanto produttrice di macchine. Chiedo scusa per l’oscurità forse delirante di quello che sto cercando di dire, non è chiaro neppure a me. Non intendo assolutamente dire che non è possibile stare con la massa, o che la massa è in sé reazionaria e si sia costretti a parlare a un’élite (questo sì, sarebbe reazionario): intendo dire che questi luoghi virtuali che abitiamo, proprio perché inglobanti i tratti che ben avete descritto nel post sul feticismo digitale, modellano la società che li compone in maniera tanto più funzionale a quei tratti quanto più è grande la fetta di società che sono riusciti ad attrarre. Da questa contraddizione intrinseca nasce forse l’apparente dicotomia di posizioni di Luca e Mauro, e la sfida più alta del “saperci stare dentro”; a ciò si aggiunge la difficoltà a cui accennavo prima, quella dei “salti quantici” a cui costringe la scomposizione della rete in “prodotti”, in spazi più o meno recintati. Per fortuna c’è stata finora e continua a esserci una costante, questo preciso luogo, la vostra “stanza dei bottoni”, in cui il rapporto qualità-partecipazione è sempre notevole.
(Spero di non averle sparate troppo grosse, ma d’altronde ormai dovreste esservi abituati. :D )
Règaz, è arrivato anche “Il giornale”, con un suo instant-pezzullo che, ovviamente, virgoletta e attribuisce posizioni a casaccio, scrive che @uomoinpolvere ha pianto per Bobbio sfregiato (!), che noi avremmo riportato una presa di posizione di Riotta (dove? qui? quando?) che ora non c’è più, trasforma una battuta anti-NoTav (“Bobbio non sappiamo chi sia”) in una… presa di posizione dei NoTav etc.
http://www.ilgiornale.it/interni/si_puo_colpire_giornalista_ma_non_poster_bobbio/31-01-2012/articolo-id=569648-page=0-comments=1
Insomma, tra quello di Mirenzi su “Gli Altri” e questo sul “Giornale” di oggi, siamo in fondo agli abissi.
Due note veloci veloci:
– A leggere l’articolo di Mirenzi, sembrerebbe che io in questo articolo abbia attaccato Massimo Numa. Io ho scritto cosa pensano di lui i NoTav, ho premesso ai comportamenti segnalati l’attributo “presunti”, ho linkato il video di una conferenza-stampa e un post in cui Mazzetta chiedeva spiegazioni a Calabresi. Insomma, ho fatto informazione, mettendo insieme notizie e citando le fonti. Evidentemente questo è già un mezzo crimine, è già l’anticamera del terrorismo, dove regna l’opinionismo a 360° che monta fuffa 24 ore su 24.
– Questa l’ho già scritta, non posso fare altro che ripetermi, sono ormai un disco rotto: l’italo-twitter è ormai impraticabile con serenità perché pullula di giornalisti in cerca di scoop, lestissimi ad amplificare qualunque frase per rigurgitare instant-pezzulli, alzare polveroni e lanciare esche a cui abboccano troppi pesci. Certo, anche negli altri paesi Twitter pullula di giornalisti, ma forse (la mia è una mera ipotesi) l’incarognimento italico, una troppo frettolosa alfabetizzazione – etica e tecnica – nell’uso della rete e la peculiare purulenza del nostro sistema dell’informazione stanno creando effetti più distorti che altrove.
Parto da una frase di Luca che dice “è il paese che è un letamaio nauseabondo”. Trovo la frase estremamente giusta, siamo in un periodo di cambiamento in cui stanno affiorando quelle correnti sotterranee che hanno lavorato negli ultimi dieci anni e ora si stanno affermando. Siamo di fronte a un cambiamento di elevata magnitudo, una serie di scosse telluriche che ridisegneranno (già lo stanno facendo) il campo e l’orizzonte della nostra società.
Valori, riferimenti, concetti che un tempo potevamo posizionare chiaramente nella nostra topografia “politica”, ora non sono più così scontati e il fuoco “amico” si fa sempre più frequente, intenso e preciso. Tanto da domandarsi se sia veramente fuoco “amico” e se non sia il caso di lasciare che sia Dio a guardarci da nemici che dagli amici è meglio se ci pensiamo noi.
In questo scenario ci troviamo a operare con degli strumenti di comunicazione estremamente giovani, come uomoinplovere fa giustamente notare, e dei modelli di comunicazione particolarmente usurati, come fa notare EveBlisset.
Penso che prima di riflettere su twitter, facebook, identi.ca e altri sia necessario riflettere su quali sono le modalità discorsive e dialogiche tout court che agiscono il e nel corpo sociale. A me pare che il flame sia il modello dialogico che caratterizza oggi l’orizzonte comunicativo della società. Un paio di settimane fa, racconto l’aneddoto come esempio, mi sono trovato quasi per caso a moderare il dibattito che seguiva la proiezione di un breve documentario sulla manifestazione del 15 ottobre. Sala piena e rappresentanti degli “indignados” bolzanini in sala.
Quello che ho notato moderando la serata è stato che, a dispetto delle roboanti dichiarazioni di principio (“noi siamo diversi”), il modello dialogico più diffuso è proprio il flame (televisivo o internettaro poco cambia), per cui tono di voce alto, insulto pronto, provocazione, maleducazione, presenzialismo, iperpersonalizzazione della discussione. Questo dovrebbe essere il punto di partenza della riflessione.
Un tempo avevo una prospettiva ontologica sui media molto più marcata di quanto non sia ora e forse sarei stato d’accordo con uomoinpolvere quando dice “che quando una grossa parte della società è entrata nella macchina-twitter, *allora* questa macchina si rivela per ciò che è, assume le sue piene funzioni”.
Ma ora come ora mi pare che questo assunto non funzioni, o almeno non funzioni del tutto. Certo, la comunicazione frammentata e accelerata imposta dall’architettura del mezzo pesa nella definizione di certe pratiche discorsive, ma se questo fosse un limite ontologico del mezzo, allora non sarebbe stato possibile agire alcuna pratica liberante all’interno di esso (revolution will not be televised). Ma sappiamo che questo non è vero, almeno in parte.
Io penso che su twitter stiamo assistendo a qualcosa di molto simile alla dinamica descritta da D&G in Mille Piani a proposito dei concetti di liscio e di striato.
Storicizzando con l’accetta, lo sviluppo italiano di twitter ha delle peculiarità rispetto a quello americano. Negli USA il mezzo divenne celebre prima perché ti metteva in contatto con le celebrità (Lady Gaga, Justin Bieber) in una riedizione 2.0 della logica del reality show e solo in seguito venne usato per fare attivismo, agire pratiche liberanti, ecc. Si può dire che in Italia sia accaduto il contrario.
Il mezzo presenta quindi due logiche di utilizzo prese in una dinamica e mai chiaramente distinguibili: una verticale-liscia e una orizzontale-striata. La prima è caratterizzata dall’uso centripeto del mezzo in cui l’utente resta su twitter, la seconda da un uso centrifugo in cui l’utente deborda da twitter nei blog e, a volte, nella strada (#rogodilibri come esempio)
Io capisco la fatica e lo scoglionamento nel dover sempre cercare di “moderare” una pratica dialogica (il dibattito di cui sopra mi ha lasciato devastato fisicamente), e sono d’accordo con uomoinpolvere quando individua nella necessità di essere eterotopici il nucleo drammatico di questa dinamica. Ma si tratta appunto di una dinamica e almeno nelle semiosfere la mobilità esiste ancora.
La sfida è quella di creare ecosistemi sostenibili diffusiil più possibile, cercare di striare costantemente gli spazi lisci che abbiamo intorno, e al contempo riconoscere e affrontare le contraddizioni che abitano i nostri spazi.
a completamento dell’ultima nota di WM1:
fra i giornalisti calati recentemente su twitter ci sono Massimo Numa (@MNuma1) e Roberto Travan (@RTravan). Entrambi scrivono su La Stampa ed entrambi si occupano di TAV. Le loro posizioni sono trasparenti e sono nella legittimità di sostenerle. Analizzando la loro timeline si evince che il loro fine però non è quello di produrre gli istant-pezzulli di cui sopra. Giocano in maniera più “sottile”: chiamano in causa direttamente user che divulgano notizie #notav e ingaggiano con loro scambi basati su sofismi e paralogie. In seguito, affermazioni del tutto prive di prova documentale vengono presentate come opinioni meritevoli di rispetto. Io ho risolto la cosa con il tasto “block”. Non è accapigliandomi su twitter con con l’uno o l’altro che contribuisco alla verità e alla chiarezza.
Spero di aver messo tutti gli eufemismi giusti, in caso contrario lascio mano libera a WM di intervenire ed editare.
No, su “il giornale” non ci vado a commentare. Mi piace rimestare nella merda, ma entro certi limiti.
Provo a deviare leggermente il discorso verso lidi più vicini alle mie peregrinazioni. E mi scuso, nel caso, dello spazio rubato ad altri ragionamenti.
Condivido in parte alcune posizioni espresse fin qui (più o meno di tutte e tutti). Condivido in particolare la mancanza di poesia nella strada (e tremo al pensiero di un libro di Volo che mi attende all’angolo). Vorrei aggiungere un sassolino alle considerazioni di uomoinpolvere, andando oltre l’apparente dicotomia di posizioni fra *presidiare* e *alleggerire* la presenza su twitter.
Long story made short: sono convinto che l’unico modo per presidiare veramente un network complesso e *grosso* come twitter (come diventerà probabilmente identi.ca, e come in fondo è “la strada”) sia inocularvi racconti altri, altre rappresentazioni, farvi fluire informazione nostra, anche con modalità flame (per diffusione, non per registro). È sforzo sisifico cercare di fermare le epidemie di distorsioni della realtà prendendole per la coda. Indi ben venga, a mio avviso, il riposizionamento strategico.
Long story con divagazioni da matematico che vuol dire a tutti i costi la sua e diventa noioso, perdonatelo se potete: Twitter ha una massa critica di utenti e una rete di connessioni dinamica oltre quel valore di soglia (http://bit.ly/zbvvi6) per cui ogni infezione diventa epidemia (http://bit.ly/yTdr4a): per quanto poca presa possa avere una bufala, una campagna di delazione, un linciaggio questo trova la sua strada per esplodere. Pressoché ogni dichiarazione potrebbe diventare un flame, diffondersi con un burst come dice Barabasi. Su questo substrato è arduo e vieppiù inutile intervenire con misure correttive: le reti complesse non omogenee e distanti dall’essere complete (twitter) sono incontrollabili (http://bit.ly/zCNFeP). Il caso infame esplode e poi, quando ha fatto il suo giro, recede senza che sia possibile frenarlo in modo significativo: se ad un utente suscettibile (che non abbia già degli anticorpi specifici) arriva prima il virus che il farmaco, questi fa in tempo a diffonderlo a cascata. È dunque specificamente difficile presidiare uno spazio di questo tipo: lo è ancora di più se lo si decide di fare correndo dietro alle ricorrenti ed epidemiche bolle.
Quello che si può fare è, forse, usare gli stessi meccanismi, che sono insiti nel mezzo qualunque esso sia (identi.ca o twitter o …) per diffondervi epidemie positive. Raccontare la realtà e non, non solamente, cercare di correggere chi la racconta. Diffondere massicciamente le narrazioni non distorte in modo da ribaltare i ruoli del gioco. Difendere come attività e non come passività. Su twitter, identi.ca, la stampa, o altrove.
C’è da dire che molti di quelli che prima di me hanno commentato, e gli stessi Wu Ming, da ben prima di queste mie lungaggini, sono già degli ottimi generatori di narrazioni. Per cui non aggiungo nulla di nuovo, se non un personalissimo punto di vista.
@luca @Giornale (e molti altri) “è il paese che è un letamaio nauseabondo” e i giornalisti ci sguazzano dentro… Ci fanno o ci sono? :)
E’ da ieri che rifletto su questa vostra decisione, togliersi dalla piazza più affollata e proseguire il lavoro in una più piccola e tranquilla (primo disclaimer, questa è la prima, ma non unica, riduzione con l’accetta fatta in questo post, secondo disclaimer, il ragionamento è rivolto più alla comunity che ai WM, non oso pensare cosa sia 100 volte il casino che ho visto io), e la cosa mi stupisce molto, perchè fino a uno-due anni fa l’avrei pensata esattamente come @VecioBaeordo, cioè che bisogna esserci perchè chi cerca deve poterti trovare, ma non è necessario che sia tu a cercare lui, però adesso la sento una posizione insufficiente, avverto un’urgenza di andare a parlare anche a chi non vuol sentire (il che non esclude che poi quando ci discuto scazzi, e magari faccia più danni che roba utile, come successo negli ultimi giorni), anche perchè ritirandosi si rischia di lasciar campo ad altri, vedi movimento dei forconi e simili. Non è una certezza, è un dubbio, l’ho scritto e spero di leggere qualcosa che mi aiuti a capire
Su quel che dice @filosottile porto solo questo esempio in cui mi sono trovato in mezzo, per dire che il problema è vero e sicuramente è spiacevole e toglie forze per cose forse più utili però il mio dubbio resta: su identi.ca a chi parliamo, tra di noi che la pensiamo già circa allo stesso modo? Non è che magari noi ‘piccoli’ da meno di 1000 followers forse su twitter possiamo ancora fare cose utili? (in ogni caso l’account su identi.ca l’ho aperto, poi si vedrà)
(Be’, a leggere “il Giornale” sembrerebbe che alla fine abbiamo prevalso noi nell’imporre una lettura corretta della vicenda. :-) Lo so, vedo sempre la latrina mezza vuota.)
Sì ma vaffanculo, Il Giornale scrive che ho pianto per Bobbio sputato! Altro che mezza vuota, è una cosa che mi offende profondamente!
(#lol)
@ RobertoG
a ben vedere, la “svolta” di ieri non fa che asciugare dalle ambiguità e timidezze residue la decisione che prendemmo mesi fa: usare Twitter solo per veicolare link a contenuti esterni.
Su Twitter non discutevamo già più, l’intervento “correttivo” di ieri era dovuto a un’emergenza, uno strappo alla regola che stavamo osservando, e lo abbiamo detto esplicitamente.
Ieri, semplicemente, abbiamo deciso che per noi Twitter sarà solo un “iper-feed” dell’attività comunicativa che svolgiamo altrove. Qui su Giap, prima di tutto, ma non scordiamoci che abbiamo una libreria su Anobii (col suo “doppione” su Goodreads), un canale su YouTube e un blog in inglese. Tutti ambiti che abbiamo trascurato, plausibilmente anche per “colpa” di Twitter, ma che sarà il caso di riavviare, usandoli a supporto della modalità di interazione annunciata nel post su Benuzzi/Kenya: taccuino di appunti sui progetti in corso.
In realtà il passo avanti fatto rispetto a quanto annunciato pochi mesi fa è un passettino, era già nelle premesse di allora.
Non pretendiamo di rimpiazzare Twitter con Identi.ca, è chiaro che a ogni mezzo corrisponde un utilizzo. Noi abbiamo bisogno di lentezza, di raccoglimento (tant’è che sto scrivendo dal computer di una biblioteca, in una pausa dello studio), di “frattempi”, soprattutto di lontananza dalle corse di topi, e un network senza inquinamenti da “Trending Topic” è meglio del “rattodromo” che è diventato Twitter.
E’ che si continua – e noi in questo abbiamo un… concorso di colpa – a ragionare come se noi fossimo in primo luogo degli attivisti, mentre il nostro attivismo – che è politico *in quanto* culturale e letterario – non può essere sganciato dal nostro essere scrittori. Senza i nostri libri, senza il nostro lavoro letterario, noi non siamo niente. E un narratore fa il suo lavoro narrando, non ha alcun obbligo di “presidio” o di ronda democratica nel cyberspazio. Certo, può sentirsi di intervenire, di contrastare, di smontare un certo frame etc., ma solo finché quest’intervenire rispetta *lo specifico del suo lavoro culturale e di narratore*. Se invece va a suo detrimento, ha il dovere di raddrizzare la rotta e cambiare condotta.
cari wu ming, come siete restati in Einaudi per combattere la merda dilagante, non potreste restare – in qualche modo creativo – su Twitter così da cercare di far scendere, o perlomeno arrestare, il livello della suddetta che in questi ultimi giorni sta salendo irreparabilmente?
un vostro lettore
@ lulumassa
è diverso: in Einaudi siamo rimasti a fare il nostro lavoro *specifico*, a portare avanti la nostra missione primaria di romanzieri. Su Twitter resteremmo a fare altro. Ad ogni modo, ripeto: non è che Twitter lo abbandoniamo. Lo usiamo per valorizzare Giap, che è il nostro vero strumento di comunicazione.
@Wu Ming 1
Non era una critica a voi, nel commento dicevo “secondo disclaimer, il ragionamento è rivolto più alla comunity che ai WM, non oso pensare cosa sia 100 volte il casino che ho visto io”. Voi su twitter avete circa 100 volte i miei follower, ovvio che con una tale ‘massa’ i ragionamenti cambiano, io parlavo per gente come me, @uomoinpolvere, @maurovanetti… (se non si sentono offesi dal paragone), le domande che ponevo erano per noi più che per voi
@wm1
Giusto. Non avevo tenuto conto di questa piccola differenza. L’importante é che la vostra non diventi su twitter una comunicazione univoca, del tipo solo link ad un nuovo post, ma continui ad essere l’espressione di un punto di vista radicale ed alternativo che in un contesto come twitter è essenziale.
Per me la Rivoluzione (televised or not) è Alì, con tutta l’Africa sulle spalle, che con una sequenza fulminante di colpi, prima scuote George Foreman, e poi lo abbatte.
“Come un albero nella foresta !!” grida, roco e impazzito il mitico telecronista Howard Cosell.
E compie l’inatteso.
Subito dopo, come nel film di M. Mann, un tuono squarcia il cielo sopra lo stadio di Kinshasa e la pioggia cade copiosa sopra gli oltre centomila spettatori in estasi, mettendo fine a una lunga siccità.
Alì Boumayè.
Twitter non è George Foreman.
E’ solo uno dei tanti randellatori prezzolati in circolazione, e altri ancora verranno, e lo sforzo sovrumano che costerebbe realizzare quella sequenza, senza alcuna garanzia di riuscirci, va indirizzato altrove.
Il che non significa che tu debba abolire il randellatore twitter, o negarne l’esistenza, oppure vietarti di andare lì ogni tanto a tirare qualche colpo.
Ma.
Per Wu Ming (band di narratori), l’Industria Mondiale dell’Intrattenimento – pilastro essenziale del controllo dell’immaginario – è George Foreman.
Per Wu Ming (comunità allargata), il Farsi Natura del Capitale – che impedisce di pensare e realizzare la necessità della rivoluzione – è George Foreman.
E siccome Wu Ming (both versions) non è Alì, ma per diventarlo deve entrare in sinergia con migliaia di altri suoi simili, e al proprio meglio rafforzarsi reciprocamente, allora è necessario che si concentri su ciò che gli permette davvero di esprimerlo, il proprio meglio.
Il gancio più forte.
Wu Ming ( band di narratori) ci fa sobbalzare, ci scalda il cuore, ci affila la mente, quando racconta, romanza, storicizza, duetta, recensisce, sulla pagina, sul palco, sul palcoscenico, sullo schermo. Quando ci fa perdere a Frankenhausen, o ci fa ricevere dal sultano a Costantinopoli, o sbancare Montecarlo facendo l’occhiolino a Grace, e trionfare il comunismo ad Anatropoli.
Wu Ming (comunità allargata), dimostra il suo stupefacente potenziale quando qui sopra dà incredibile densità e profondità a ogni sorta di temi e discussioni. E poi, ciascuno alla propria maniera, li riporta altrove. E poi, in mille rivoli, produce giornalismo di alta qualità, e attivismo, e partecipazione e militanza attiva in strade e dentro lotte sparse ovunque, su ogni brandello di territorio.
Compagne/i, ci stanno facendo il culo. Ci vogliono ammazzare. Non possiamo sempre farci distrarre dall’ultimo coglione. Dall’ultima coglionata.
Ognuno, se ce la fa, stia dove pensa di poter contare qualcosa. di portare un contributo concreto, utile. E dove non è solo.
Bisogna stare dove si giocano le partite decisive.
Bisogna stare nello stadio di Kinshasa.
Certo, non è affatto facile capire quali sono, e dove si giocano.
Ma di sicuro, per me, quella di twitter italia, adesso, non è una di quelle.
Scusate la lunghezza.
Wu Ming Boumayè.
L.
Non ho seguito la smerdata #Bobbio in diretta ma grazie allo Storyfy di @uomoinpolvere.
***
Un altro autogol del “popolo della rete” e della sua supposta-democrazia. Si parla di uso pubblico della storia, ma con i social media è nato anche l’uso pubblico del *giudizio*.
***
Eppure questi giudizi vengono “dal basso”, sembrano spontanei, un tribunale mediatico – così com’è – è di natura popolare, non certo statale/partitica ma…
Come far capire a queste persone che la dimensione popolare, quando non è collettiva, diventa populismo-fai-da-te?
@RobertoG
io mi sento onorato dal paragone, altro che offese. Sull’utilità o meno di continuare a parlare su twitter, come ho già detto non voglio esprimermi, non penso ci sia una regola generale che valga per ognuno, né che il discrimine sia soltanto il numero dei followers di per sé.
Per quel po’ che ti conosco, per le manifestazioni che abbiam fatto insieme a Torino e in Val Susa in questi mesi, e per il tuo mettere in pratica le cose insieme alle persone e situazioni fisiche che hai vicino, mi sento di dire, senza piaggerie, che sei uno che non perde il contatto con la realtà, né in strada, né nei boschi e nemmeno su Twitter, dove a perderlo sono quasi tutti, e mi ci metto dentro anch’io. Twitter di cui infatti mi sembra tu stesso faccia un uso modico e per nulla tossico-in-mutande. Detto da te, ” forse su twitter possiamo ancora fare cose utili”, non può che essere condivisibile, a mio parere, perché tu Foreman sai dove abita e ogni tanto vai a bussargli, e non su Twitter. Ma considera che la quasi totalità di chi sta su Twitter il contatto lo ha perso, e per aprire un paio di occhi ce ne va di nuoto controcorrente nel letame, e il rischio d’intossicazione, e… ma queste son cose che devo dire a me stesso, non a te.
@Nexus
“Come far capire a queste persone che la dimensione popolare, quando non è collettiva, diventa populismo-fai-da-te?”
Non lo so; ma se non dico cavolate, il paio di volte che s’è ottenuto qualche (minimo) risultato è stato perché si è riusciti in qualche modo a metterle di fronte a se stesse, e per farlo il più delle volte si è usciti da twitter, si è usato qualcos’altro.
Ormai forse Twitter non è più tanto un luogo in cui si può stare “a carte scoperte”, “alla pari”, con le proprie idee con(tro) le altre, a dibatterle e a discutere di ciò che c’è nel reale (certo, qualcuno ci riesce ancora e ne ha magari le capacità), quanto piuttosto un fenomeno “speciale” di per sé, in cui può forse aver senso intervenire quando ben corazzati di culo-per-terra e idea chiara di cosa si sta facendo e perché, e come si intende farlo, qual è l’obiettivo perseguibile, e soprattutto consapevolezza di quello che è. O si finisce a far volantinaggio per “Che Fare” a un concerto di Gigi D’Alessio. (Il che magari a qualcuno non parrà neppure del tutto insensato.)
P.S. Col rischio serio di ritrovarsi un giorno a quel concerto, a cantare in coro.
Totalmente d’accordo con Luca. Twitter non e’ molto dissimile da facebook, sono acceletatori linguistici di stronzate.
Solo qualche pazzo puo’ pensare che siano meglio dei giornali o degli altri old media.
Alla fine vi e’ assoluta circolarita’ tra vecchi e nuovi media.
Ancora una volta si tratta di definire una nuova strategia di lotta comunicativa. Se si rimane intrappolati nel loro recinto del chiacchericcio si muore.
Bisogna romperlo questo recinto.
Ciao a tutti,
Vi scrivo perche’ stavolta, finalmente, ero anche io a Torino a marciare e soprattutto perche’ quando abbiamo imbrattato la vecchia sede della Stampa incitavo felice e gridavo “servi”. Questo non mi da’ titolo per parlare, ma insomma, quando ho letto la storia di Bobbio non ci potevo proprio credere. Non so in quanti si siano accorti del poster della vetrina. Io l’ho visto grazie alle foto, per esempio.
Da qui pero’ vorrei provare un’analisi precarissima sull’uso di twitter. Che twitter sia uno strumento delle borghesie “progressiste” e’ un fatto arcinoto fin dalle rivoluzioni arabe. In Egitto, come in Iran, ma anche in Colombia, twitter rappresenta, semplificando molto, prima di tutto quelli che hanno una connessione a internet in casa. Lo smart phone e’ un salto ulteriore che ci porta chissa’ dove. Nei luoghi che frequentavo normalmente ero l’alieno che credeva in una funzione di twitter.
Proprio oggi leggevo che l’Italia e’ dietro anche alla Colombia per numero di account di twitter. Siamo al 22esimo posto nel mondo. Il vero dato che forse ci spiazza e’ che in 6 mesi c’e’ stato un aumento del 140% di account, in cui molti users sono stati portati dalle televisioni. Siamo in forte crescita con una marea di gente che viene dall’esperienza lobotimizzante della TV in epoca berlusconiana. Quindi si crede un po’ a tutto, a prescindere, soprattutto se contro i movimenti. Il caso Bobbio ne e’ l’esempio. Pero’ come twitter non era la soluzione delle rivoluzioni cosi’ non mi sembra ora la nuova macchina spara cazzate.
Rileggendo il sempre ottimo uominpolvere e il suo storify ho notato qualcosa che mi ha fatto pensare. Gli unici che cercavano di calmare la produzione di questa psico-cazzata eravamo ‘noi’ ed eravamo in pochi. Come mai? Saremo mica diventati troppo autoreferenziali e lontani dalle masse analfabete di twitter? Probabilmente esagero, ma non vorrei si commettesse l’errore di sentirsi un po’ troppo elite di internet [qui mi escludo io per ignoranza mia, ma il concetto non cambia] e diventare poi una minoranza che si esclude da un possibile spazio del conflitto.
Piu’ che emigrare su altri lidi, in cui comunque sono emigrato per militanza e per forse scoprire altri lati del microblogging, direi che dovremmo riflettere su come cambiare il nostro uso di twitter. A me pare che l’Italia nonostante il vento siberiano sia abbastanza calda. Forse occorre migliorare i nostri repertori ma in ogni caso cercare di esserci.
Vabe’ grazie come sempre per la lettura e grazie di esistere!
solo un commento a margine, non su twitter, che non uso, ma sulle due immagini: la foto originale e quella trattata.
nella seconda c’è non solo il taglio clamoroso che elimina il senso originale e lo sostituisce con un altro, ma anche l’ingrandimento della parte di immagine che resta (ingrandimento conseguente? necessario?), e soprattutto l’inversione speculare, che mettendo bobbio a sinistra lo rende più visibile (almeno per noi che ‘da sinistra’ leggiamo), e ne fa il soggetto del predicato che segue (‘servo’). per non parlare della “distruzione” dello spazio fisico fotografato, poiché il corrispettivo reale di quell’immagine specularmente invertita ovviamete non esiste (ed essendo poi quello spazio fisico la vecchia sede della “stampa”, comunque un giornale d’informazione, un tale editing da parte di un presunto giornalista fa piangere).
scusate l’osservazione futile (e non so neanche se è corretta: ripeto, non uso twitter, ho solo scorso lo storify), ma mi perseguita da quando ho letto il post.
immagino abbia vagamente a che fare con una specie di amarezza per una sensibilità al “cadrage” che forse si perde (forse anche perché i nuovi mezzi hanno prodotto un ritorno all’interazione verbale come “normale”, dopo cinquant’anni di cura ludovico catodica per quella che l’aveva preceduta?), e che forse se fosse stata vegeta avrebbe indotto più gente al dubbio sull'”innocenza” della prima immagine, quella “falsa” (nel senso di editata contro ogni buona policy propriamente giornalistica, da photoreporter onesto, come ricorda Mazzetta).
non so se sarei riuscita a articolare tutto questo nel caso avessi visto prima o solo la prima foto, ma in ogni caso, mi pare, quella stride parecchio vista après coup.
forse dovremmo pensare anche a una rialfabetizzazione all’immagine (nel suo uso attivo e passivo) nel quadro dei nuovi mezzi (il che sarebbe un’altra declinazione della necessità del “cambio di frame”, o del ripensamento del processo di framing stesso, forse).
p.s.
non ho riguardato le foro prima di scrivere il commento, ma probabilmente l’inversione speculare me la sono sognata (anche perché ci stava bene). intendevo il cambio di orientazione della foto, vista in prospettiva da sinistra invece che da destra (ma in questo caso il mio argomento sulla distruzione dello spazio fisico fotografato ovviamente cade; non una grande perdita del resto ;) ).
@pastrocchio
“Saremo mica diventati troppo autoreferenziali e lontani dalle masse analfabete di twitter?”
Autocriticamente: come oggi identi.ca mi “mette al riparo” (finché dura) da twitter, è molto probabile che prima twitter mi abbia messo al riparo dal bar dell’angolo, dove peraltro *si fa* politica (si organizzano i pogrom, per dire). Anche lo stupore davanti all’abisso rivelato da quel genio di @Vendommerda mi deriva dalla “lontananza dalle masse” (odio la parola masse, ma è una citazione).
Le quali masse analfabete ci sono sempre state, ma ora grazie alla volgarizzazione degli smartphone alzano la cresta, si stanno arrampicando su twitter e vengono a scassare la nicchia, signora mia.
Sapete cosa mi ricorda? Quando negli anni ’60 lo sci diventò uno sport di massa. Io oggi mi sento affine a quelli (i cittadini, non i montanari) che sciavano già prima, e che ci guardavano schifati quando siamo arrivati noi peones (io ero un bambino peraltro).
Non sono più dalla parte dove dovrei stare, dove sono nato. Sto sbagliando qualcosa, o tutto.
Defollatemi.
Salve a tutti. Premetto. Io uso twitter solo da ottobre 2011. Quindi il mio punto di vista sarà quello di uno che lo ha usato nel periodo di grande espansione della merda.
Concordo con @WM1 che twitter non è uno specchio della società: “uno specchio non accelera la tendenza all’entropia della realtà che riflette.”
Come in altri post sull’argomento apparsi su giap, un grosso problema mi pare essere il tempo di twitter (e di altri SN chiaramente).
Diciamo che secondo me è fottutamente spazializzato. Per sua natura la TimeLine fornisce una scansione meccanica del tempo. Meccanica, inesorabile ed accelerata. Il tempo diviene facilmente monodimensionale, la TL è schiacciata e ripiegata su di un *presente continuo*.
Gli usi peggiori di TW (e di altri SN), credo, derivano dall’assecondare questo tipo di tempo senza spessore. Tutta quantità, compressa, “che se ne frega” di qualunque antecedente o conseguenza. L’importante è arrivare in TrendingTopic, *ora*. L’importante è dar corso a flame di cui non si conosce neanche l’innesco-inizo, perchè “chi se ne frega”, non è più (spazialmente) in TimeLine.
Gli usi migliori derivano da chi cerca di riconferire spessore a questo tempo schiacciato, tramite ad esempio gli storify, che *cristallizzano* i “messagi”.
O chi contrasta questo presente scivoloso, dotandolo di dimensioni molteplici, tempi-spazi dove si possa rintracciare-immaginare un *prima* ed un *poi*. Dove la discussione si possa articolare.
Di chi cerca e riesce insomma, a conferirgli una *durata* in contrasto ed opposizione ad un tempo potenzialmente reazionario, dell’ “ora é sempre.”
quindi… non è tanto il *mezzo* che si usa, ma il *modo* e i *fini* che lo dovrebbero qualificare.
tutto questo lo dico da utente alquanto ricettivo e poco produttivo di SN.
Spero di non aver espresso troppe ovvietà già dette…
Attenzione anche a non assolutizzare alcuni discorsi rispetto ad altri. Mi pare ovvio che un hashtag come #Bobbio sia soltanto un appello al linciaggio, ma se vogliamo un quadro completo e non unilaterale proviamo a guardare per esempio cosa sta succedendo oggi (2 febbraio 2012) qui: http://twitter.com/#!/search/realtime/%23postofisso
Non sono così sicuro che il Paese reale sia stato già domato, ricordiamoci che siamo la patria di molti fascismi ma anche di moltissime resistenze.
Ma infatti c’è il rischio, anche grazie a letture distorte apparse altrove (e qui già linkate) che le nostre considerazioni sulle *pratiche* dell’italo-Twitter, con tutti i riferimenti alla nostra esperienza peculiare e tutte le sfumature dubitative del caso, vengano scambiate – non da chi interviene qui, ma in giro per il web – per un “decreto” sull’inutilità dello strumento. Ripeto: se lo si usa con autodisciplina e creatività, se si alimentano costantemente *buone pratiche*, lo strumento può essere usato, anche contro la sua logica di fondo. Siamo noi ad aver esaurito la “vena”, il tempo, le forze per continuare questo lavoro. E senza vena/tempo/forze, non si può stare sull’italo-Twitter senza provare schifo e pena. L’inadeguatezza, in questa fase, è tutta nostra. Se qualcun altro è in grado di alimentare buone pratiche e volgere il medium contro se stesso, è sacrosanto continuare a farlo.
@pastrocchio “Saremo mica diventati troppo autoreferenziali e lontani dalle masse analfabete di twitter?” Sì. Ma non penso che questo sia un problema limitato ai social network, è un problema che riguarda più in generale tutta la comunicazione di sinistra (forse vado troppo lontano, ma per me è IL problema per cui praticamente non esiste più una sinistra nel panorama politico italiano). Non dimenticate che disagio economico si accompagna spesso a disagio culturale e basso livello di scolarizzazione. Come fanno le categorie più disagiate, quelle che dovrebbero essere “naturalmente” di sinistra, a essere motivate ad ascoltare e interagire con chi fondamentalmente li disprezza perché guardano il grande fratello, o il tg1 o leggono Fabio Volo? Da chi disprezza a prescindere il concetto stesso di massa e strepita e spintona per assicurare il proprio milieu di NON farne parte, di questa massa di mononeuronici? Ecco detto ciò, la soluzione per uscire da questa situazione non ce l’ho, sicuramente non è rivalutare il grande fratello ma sicuramente neanche chiudersi in un cerchio sempre più stretto a farsi pompini a vicenda.
La mia non è assolutamente una critica ai Wu Ming, di cui capisco le ragioni, e forse il mio intervento è off topic, nel caso scusate.
Scusate, ma a me sembra che ci sia un secondo equivoco di fondo, e riguarda la “composizione di classe” che si esprime in certi flame su Twitter. C’è davvero qualcuno convinto che una roba come #Bobbio sia stata l’espressione di masse disagiate e poco scolarizzate etc. etc.?
Vero, Twitter è cresciuto molto negli ultimi mesi, ma è ancora molto lontano dalla dimensione “di massa” di FB, e in ogni caso nemmeno quest’ultima rispecchia la composizione sociale del Paese in tutte le sue componenti. Anche dopo l’invasione dei VIP, Twitter coltiva il residuo di una connotazione più “acculturata” e blandamente hipster rispetto a FB.
Su Twitter, l’altro giorno, io ho visto per l’ennesima volta all’opera un ceto di professionisti e semi-professionisti dell’informazione su web, intento ad aizzare gli “animal instincts” di una piccola borghesia codina e canagliesca, e tanto più codina quanto più si crede “di sinistra”.
Insomma, quelle non erano le masse popolari sviate che una sinistra eccessivamente intellettualizzata non riesce più a intercettare etc. Al contrario: quella era una pseudo- o ex- sinistra sedicentemente intellettualizzata che calunniava una lotta popolare di massa, quella dei No Tav. E lo faceva perché ormai aliena a ogni realtà di lotta… e forse aliena a ogni genere di realtà, tout court.
E’ stato chi si è adoperato a denunciare la mistificazione e rovesciare il frame a mantenere un contatto con una realtà di lotta e di massa.
Su “Gli Altri” il povero Dimitri Chimenti, quando i suoi interlocutori si sono ritrovati privi di argomentazioni, è stato gratificato dell’ultima, extrema, intelligentissima accusa che viene rivolta in casi del genere: Sei un Wu Ming sotto mentite spoglie!!! :-D Riconosco anche un certo… stile, nel modo in cui è proposta l’insinuazione.
Don’t feed the (usual) trolls, bro.
il problema che riscontro in twitter è che può essere facilmente ‘bulimico’. non riesco proprio a comprendere gli account che seguono migliaia.
poi ci sono le dinamiche da ‘star’ tipiche dei social network
una annotazione su nomfup, basti ricordare che è stato lo spin doctor di rutelli per inquadrarlo
Almeno non mi hanno offeso la mamma ;-P
Sono intervenuto su Gli Altri dopo aver letto questo sul “Chi siamo”: persone che sappiano rinnovare la sinistra senza avere paura di ascoltare la destra.
L’hanno ascoltata piuttosto bene, direi.
Ok, oggi gran cagnara sull’ultima cazzata di uno degli uomini più supponenti, spocchiosi e arroganti che mi sia capitato di ascoltare e del suo omologo governo.
E allora?
Sta succedendo qualcosa?
Ritengo sia un errore gravissimo scambiare le pur legittime e anche divertenti risposte che piovono ora nei 140 caratteri per resistenza.
Si tratta di minchiate in risposta ad altre minchiate.
Per favore.
L.
Concordo con @maurovanetti che “il paese non è giá domato.” la lobotomia di cui sembra vittima speriamo sempre che sia apparente. Come Quella del “grande capo” in “qualcuno volò sul nido del cuculo” (anche se poi sappiamo la fine che fa…). Ció che mi pare importante, come ricorda WM1, è e rimane il rapporto con la realtà, con il fuori dal web.
Se un SN può essere considerato cone un ponte fra web e mondo vissuto, il movimento di attraversamento di questo ponte non può essere univoco. Se riesco a portare sul web il maggior numero di tematiche di lotta possibili, ho fatto un gran lavoro. Ma nn è solo con un numero elevato di cancelletti “militanti” o di opposizione sociale, che posso pensare di aver raggiunto un completo utilizzo del mezzo. Ci dovrebbe essere un movimento di riattraversamento, di quel ponte, che dalla rete riporti nella realtà vissuta, delle lotte che tutti i giorni migliaia di persone portano avanti nel mondo reale. Tenendo “il culo per strada.”
Un doppio movimento.
@Luca
Gli slogan, le scritte sui muri, le imprecazioni contro i potenti… hanno sempre avuto meno di 140 caratteri. Non sono resistenza, ma non si è mai vista una resistenza che non avesse anche quello. D’altronde proprio tutto questo discorso nasce da una storia di resistenza reale e da un corteo che mentre marciava lasciava delle scritte sui muri, a volte simpatiche, a volte semplicistiche, a volte pure un po’ sciocche.
Io sui muri ci ho sempre scritto, ma hai ragione tu se stai dicendo che non è a slogan e scritte sui muri che si fanno le rivoluzioni.
@Wu Ming 1
Sono pienamente d’accordo sulla “composizione di classe”, anch’io ho usato impropriamente “massa” e ciò poteva dar luogo ad ambiguità. Penso che lo stesso si possa dire, per gradi diversi, di tutti i social-network, anche facebook come fai notare tu non rappresenta tutte le componenti sociali.
Però vorrei aggiungere una riflessione, allargare un po’ il discorso, assolutamente non in contraddizione al tuo chiarimento. Col rischio di andare off-topic (scusate). La lotta No-Tav è sì una “lotta popolare di massa”, (una lotta a cui ho partecipato solo ultimamente ma che condivido profondamente), ma è una lotta in cui la composizione di classe che si esprime, se considerata di per sé, potrebbe far nascere parecchi dubbi. La differenza forse è piuttosto la presenza (nella lotta notav) o assenza (su twitter) di *punti reali*. Dici bene infatti, secondo me: “ormai aliena a ogni realtà di lotta… e forse aliena a ogni genere di realtà, tout court.”
La presenza di quel punto reale, il TAV, è ciò che svela in maniera lampante la contraddizione capitalistica, la sua nocività al genere umano tout-court, e riesce a coagulare la lotta superando le contraddizioni di classe (non senza rischi, secondo me). Ma su twitter *non c’è alcun punto reale*, è veramente una lotta armata al bar, ed è questa forse la grande falla; non a caso è la stessa falla di facebook, dove eppure c’è più “massa”.
Disclaimer: non voglio certo dire che non ci sono questioni di classe nella lotta Notav; solo che non sono così “centrali” o perlomeno non così tematizzate (*finora*, almeno, mi è sembrato così), e infatti è mancato quel quid, quello che voi a settembre chiamavate “l’ecceità del ciclo di lotte”. E forse è proprio grazie a questa mancanza che riesce ad agire il discorso reazionario/slegato dalla realtà: discorso che ha molto meno presa in altri contesti anche virtuali dove la questione di classe viene affrontata. Sottolineo quel “finora”: le cose potrebbero cambiare, potrebbero stare già cambiando; non a caso Perino stesso (che sembra -a me, che però sono ignorante- normalmente poco incline a tematizzare il discorso di classe) ha sottolineato la “coincidenza” degli arresti con la fase attuale di “protesta” diffusa. By the way, anche quest’ultima soffre credo la stessa mancanza, e rischia di rimanere ostaggio di elementi reazionari, la cui funzione (cosciente o meno) è far abortire la lotta sul nascere. Per concludere questo lungo e sconclusionato off-topic (di nuovo, scusate), penso che sia importante come non mai interrogarsi sulla composizione di classe, che è secondo me il vero discrimine tra vandee più o meno mascherate, più o meno virtuali e vere lotte; non per nulla i più sfruttati, gli immigrati, sono proprio quelli che vengono esclusi dai capipopolo reazionari e finto-rivoluzionari, e dalle nuvole del virtuale. Sono i “finora grandi assenti” senza i quali secondo me un vero ciclo di lotte italiane potrebbe non partire mai.
Ancora, scusate per il lungo off-topic e per le probabili castronerie.
uomoinpolvere ha scritto (4.53 p.m.): “non per nulla i più sfruttati, gli immigrati, sono proprio quelli che vengono esclusi dai capipopolo reazionari e finto-rivoluzionari, e dalle nuvole del virtuale. Sono i “finora grandi assenti” senza i quali secondo me un vero ciclo di lotte italiane potrebbe non partire mai”.
anch’io penso che quest’assenza vada tenuta ferma, sempre presente quando si scruta “il volto” della lotta per capire se è amica o nemica (io penso che solo tutte le lotte amiche siano la stessa lotta).
ma cos’è che fa di una lotta una lotta amica? cito ancora lo stesso post di uomoinpolvere:
“La differenza forse è piuttosto la presenza (nella lotta notav) o assenza (su twitter) di *punti reali*
…
La presenza di quel punto reale, il TAV, è ciò che svela in maniera lampante la contraddizione capitalistica, la sua nocività al genere umano tout-court,, e riesce a coagulare la lotta superando le contraddizioni di classe (non senza rischi, secondo me). ”
ecco, secondo me parlare di questi “punti reali” è fondamentale. io non so come li immagina “uomoinpolvere” (a parte l’esempio del tav) e come li immaginino tutti i giapster – ve lo chiedo appunto – ma per quanto mi riguarda sono una versione possibile del “territorio” inteso non come spazio da occupare e tenere (twitter o qualsiasi altro SN o spazio fisico come “presidio”, appunto), ma come spazio che in qualche modo si esplica/esprime/produce (in termini anche fisici nei casi migliori, ma comunque di senso) a partire dal “ritornello” che lo produce: a partire da un potere ancora in fase di empowering, se si vuole: un potere che si sta ancora producendo e sta producendo il proprio spazio di senso e il proprio margine di manovra allo stesso tempo.
ora “gli sfruttati, gli immigrati” citati da uomoinpolvere, sono secondo me la classe potenzialmente rivoluzionaria più probabile proprio perché loro sono gli unici che davvero non hanno alcun “territorio” oltre questo che il loro stesso ritornello tende a creare (dal nulla, o contraendo, comprimendo e rimodellando lo spazio rubato al “potere” nel senso governamentale e disciplinare).
per esistere e per muoversi loro sono costretti a crearlo questo spazio, e a portarlo con sé e a espanderlo e rideterminarlo qualunque cosa facciano.
devono produrlo dal nulla o inglobando e riplasmando spazio e senso ostile ogni volta che aprono bocca per parlare una lingua che non è la loro, per trovarsi -occupare- una casa, per lavorare per vivere, per ottenere diritti in uno stato che non li riconosce neanche come locutori legittimi per generazioni, per ribellarsi a chi vuole parlare e agire al posto loro, ecc.
in questo contesto il “social network”, che in un certo senso altro non è che un sottoinsieme tecnologicamente implementato della “rete sociale” fra le persone che cercano di vivere insieme in un posto e di parlarsi – non ha nessuna ovvia vitalità propria, sganciato da chi lo usa, cioé da chi lo sceglie o lo accetta per cantare il ritornello, per crearsi lo spazio di senso intorno (fermo restando che ha invece una sua subdola potenza d’illusione, quella del feticcio, che pero’ puo’ essere visto anch’esso come una sorta di mostro che ingloba e distrugge, annulla, lo spazio che investe: come le sweatfactories degli sfruttati cinesi che vengono ingoiate e sopite dal bel design materiale e applicativo degli accessori apple).
e quindi in questo contesto secondo me non ha tanto senso interrogarsi troppo sulla rivoluzionarietà intrinseca di twitter, per esempio (sa meno che non lo si faccia in modo estremamente tecnico, come per esempio in tratti della discussione al post sul feticismo della merce, a mia poca memoria di user recente di giap), o di qualsiasi altro mezzo, senza agganciarla a dei soggetti situati: a uno spazio potenzialmente rivoluzionario, a un “territorio” in formazione, che sta venendo prodotto da assenti, ancora quasi “invisibili”, come dice uomo in polvere ( e ripensavo anche a balestrini, a monte della “carpa”), ma di cui già quasi si sentono le voci, o piuttosto i ritornelli, cioé qualcosa che va comunque verso un linguaggio articolato in voce e discorso (cioé una voce che parla nella lingua “altra” e agli “altri” in modo che “gli altri”, cioé “noi” possano finalmente comprendere).
a questo punto, quando una massa critica di voci incorporate e situate (e territorializzate in senso rivoluzionario) si costituisce, inizia anche un altro processo, che in altri contesti si chiama “meticciato”, ed è considerato intrinsecamente rivoluzionario; e questo è anche il momento in cui gli orologi vengono spaccati, o vengono dimenticati, poiché il tempo “esce dai cardini”, e se ne forma poco a poco uno nuovo, coeso al nuovo spazio, che porta con sé nuovi micropoteri, e nuove riterritorializzazioni non rivoluzionarie (per intenderci), e altre istituzioni, “amiche e nemiche”, e poi daccapo altro potere disciplinare e governamentale, e tocca ricominciare tutto da capo..
bah, all’inizio speravo di dire cose sensate e vagamente utili, e invece ho scritto la mia solita favoletta della buonanotte; dovrei commentare di giorno, quando sono più sobria; ma di giorno sono troppo timida <:)
in ogni caso mille scuse a tutti per la prolissità e il probabile off-topic, e grazie soprattutto a uomoinpolvere per avermi rimesso in bocca tiritere dimenticate.
Signori, io però sono un poco sconcertato.
In questo commentarium, da una sì fine pletora di analisti, mi aspetto uno scarto.
Twitter non è IL problema
Intrinsecamente non lo è per i WM.
Wu Ming 1 sopra ha scritto, «Siamo noi ad aver esaurito la “vena”, il tempo, le forze per continuare questo lavoro».
Twitter non è IL problema.
Intrinsecamente non lo è neppure per noi altri.
Per me è una discreta fonte di notizie aggregate – grazie alle persone che seguo – e, al contempo, il non luogo per qualche boutade, dove “incontro” poche persone che rendono migliore la mia giornata.
Provo a tenere la giusta “misura”, onde evitare i meccanismi di compulsione da twit che Wu Ming 2 ha descritto bene da qualche parte.
Che ognuno lo usi secondo le proprie possibilità e aspirazioni.
Nei primi tre anni, fino al 2010, ho praticamente solo “letto” la mia TL.
Per voi sarà lo stesso o altro. Va bene.
Ho letto di qualcuno che vuole stare nella mischia per continuare la propria opera di alfabetizzazione rivoluzionaria.
Si, va bene. Ma andateci piano con le aspettative.
Andateci piano con il disegno e la strategia.
A margine, ricordo discorsi analoghi per le BBS, le chat varie e IRC, i forum, i Social Virtual Worlds.
Con Twitter, l’accelerazione di trasmissione naturale che il mezzo si porta sminuisce automaticamente il valore di qualsiasi scambio.
Lo stimolo psicofisico all’immediato non solo precede il pensiero (come scritto in questo post), ma in più lo anestetizza.
A quanti durissimi hashtaggati diverbi abbiamo assistito nell’ultimo anno? Boh, diversi. Forse ne riesco a ricordare la questione centrale e l’orientamento, ma difficilmente ne ricordo risultati a saldo, risoluzioni d’intesa e neppure dettagli e partecipanti.
Gli hashtag sono un fuoco freddo. Infiammati picchi si esauriscono in un giorno o due e ti resta un pugno di cenere che neppure sporca: è cenere virtuale.
La partecipazione in rete si fa passiva. In un’ottica approssimata di convergenza il “mi piace” e i “trending topics” sono poco più del telecomando e della guida TV.
E non cambia proprio niente quando Repubblica o simili riportano pedissequamente l’indignazione del popolo della minchia e giustappongono la keyword Twitter alla metà dei loro titoli.
Resta qualcosa di più solo se qualcuno decide di analizzare e scriverne fuori, farci un post, uno storify [storicizzare sempre :-)].
La ribellione non è quella twittata.
Che vogliamo fare?
Vogliamo conquistare il 51% su Twitter?
Come e perché?
Scusate l’amara metafora, ma mi ricorda alcune strategie patavine di egemonia culturale mai andate vicino ad alcuna rivoluzione.
Twitter non è il problema, Identi.ca non è la soluzione
Un’analisi rozza di Twitter presenta due piani: il modo in cui vi si immettono 140 caratteri e come questi sono presentati.
Anche se implementa alcune cose in più (personal tag cloud, supporto XMPP, FOAF export), Identi.ca è disegnato per avere le API compatibili con Twitter, quindi il design è quasi lo stesso ed è di conseguenza percepito in maniera analoga dai più: cambia un po’ il modo in cui i 140 byte sono presentati (threaded messages), non ci sono i trends e, se uno lo vuole, c’è il “following simmetrico” automatico.
Poi cambiano le dimensioni e la qualità della platea (dunque WM vi si ritrova meglio).
Infine la GUI nativa è brutta, cosa che potrebbe essere un vantaggio, perché incoraggia l’uso di piattaforme software diverse per l’interazione (ma accade già con Twitter e Twitdeck, Osphoora…).
Identi.ca va benissimo se si cerca una diversa dimensione comunicativa, ma non è la soluzione: semplicemente perché il problema non esisteva.
Vi aspetto su MySpace,
ah ah,
C_
Vorrei chiarire solo una questione per ritornare alla marcia di Torino e cosa ne e’ venuto fuori da Twitter. Ricordo brevemente che si trattava di una marcia per 25 arresti e per una situazione in Valsusa che mi pare rappresenti un chiaro limen del diritto e delle lotte sociali italiani. Ora credo non debba sottolineare piu’ di tanto la palpabile rabbia di quei gruppi notav che sono stati piu’ colpiti dalle investigazioni poliziesche e la frustrazione diffusa per essere sempre gli stessi a subire la repressione. La marcia in questo senso ha mostrato ancora una volta la maturita’ del movimento notav nella gestione delle emergenze e nella capacita’ di compattarsi intorno alla ‘terra’ rappresentata dal comune interesse “NoTav”.
Ora l’opera alfabetizzante per fini rivoluzionari la restringerei solo a questo spazio di lotta perche’ e’ nella capacita’ di sbocco della parola e della costruzione di narrazioni ascoltate del conflitto che si articola la nostra umile lotta. I Wuminghi in questo per me sono stati e continuano ad essere maestri.
Quello che e’ successo con la questione Bobbio e’ un fatto grave e deve essere un campanello d’allarme da prendere in seria considerazione per il futuro. Se davvero para-esperti di comunicazione sono riusciti a catturare l’attenzione di chi cerca di aprire gli occhi sull’informazione “in tempo reale” e auto-prodotta probabilmente dobbiamo cambiare i nostri repertori o comunicare di piu’ durante gli eventi per essere pronti ad arrestare prima certe macro-cazzate. Seriamente parlando a tutt* ad oggi e’ stata una gran fortuna che non ci sia stato il morto in Italia. Non voglio essere allarmista dopo solo un mese di Italia e dopo due anni quasi in ‘guerra’ e manterrei sempre bassi questi discorsi, pero’ dobbiamo fare molta attenzione per evitare degenerazioni e accettare vecchie dinamiche vissute in Italia negli 70-80. Dobbiamo fare un passo ulteriore. Non so come. Non so dove.
che poi quale morto non c’e’ ancora stato in Italia…
Intervengo nel modo peggiore possibile:
credo che l’intervento di @Christiano sia perfetto….
Ma…. – Scherzo :)
Mi ci riconosco in ogni singola parola
Nel frattempo le fogne traboccano…
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/03/lattacco-alemanno-zingaretti-profili-finti/188823/
Però sostengo i WM. Le poche risorse a disposizione vanno tenute sulla strada, non certo a contrastare i cugini di alemanno che, assunti a spese nostre da qualche parte, si guadagnano il pane trollando su internet
Visto anche che quando poi arriva un troll satirico onesto si becca la denuncia:
http://storify.com/uomoinpolvere/piccolo-storify-lolloso-di-neve
“Il nostro modello è la Danimarca.”
Se potete, qualcuno twitti per me questo, è molto importante, se no la rivoluzione non si fa:
Ma vai a fare in culo.
L.
Ok, quel che diciamo facciamo. Sistemato tutto, “dismissione” e transizione completate.
Da oggi, su Twitter “Wu_Ming_Foundt” sarà esclusivamente aggiornamenti automatici da Giap, dalla nostra “libreria” su Anobii e dal nostro canale su YouTube. Scegliamo di non usare più Twitter come social network, ma solo come newsfeed.
Chi non è interessato a quest’utilizzo, può smettere di seguirci su Twitter e, se proprio vuole interagire con noi su un social network (dando tempo al tempo, senza trending topic e corse di topi), può farlo su Identi.ca.
Altrimento, com’è ovvio, può smettere di seguirci su Twitter e basta.
Se continuate a seguirci, per favore, non indirizzateci tweet chiedendoci risposta, e non chiedeteci di fare RT di qualsivoglia contenuto.
“A mano”, là, non faremo più niente. “Wu_Ming_Foundt” è un ro-bot. Ciau.
probabilmente non dico nulla di nuovo ma, a proposito di twitter in italia, ieri sera ho cercato un po di numeri per comprendere meglio i pesi e le misure.
devo dire che non ne ho trovati tantissimi, in ogni caso i dati più interessanti che sono siuscito a ricavare sono questi:
– ci sono 1,03 milioni di account attivi, dove per attivi si intende che hanno pubblicato almeno 1 messaggio dalla fine di settembre 2011.
non credo che il parametro sia particolarmente indicativo in quanto andrebbe calcolato il tasso di pubblicazione in un lasso più breve ed una base di partenza più alta tipo il cui tasso di ‘contributo’ dove attivo è valiso se >1 tw alla settimana (con RT che facciano da’refresh del counter).
– nel 2011 l’italia ha avuto un tasso di crescita degli account (in toto quindi considerando anche quelli ‘defunti’ in base al calcolo trimestrale) del 140%
– nonostante il tasso di crescita notevole l’italia perde una posizione nel ‘ranking’ e si colloca al 22° posto, -1 rispetto al 2010.
il dato andrebbe ponderato rispetto alla popolazione / demografica degli utenti, alfabetizzazione informatica, etc. purtroppo non ho trovato dati assoluti e quindi fare confronti con altri paesei (in particolare quelli coinvolti nella primavera araba) sarebbe interessante ma solo speculazione.
– l’utente con più follower è ronaldinho (che, benchè consoca il calcio solo attraverso ISSpro, credo abbia molti ammiratori anche all’estero) con 2,963,208 followers. al secondo posto si piazza il service twitter_ita (da info utili per i neofiti ma non è ufficiale ed usa lo stesso logo dell’help ufficiale in italiano quindi, eticamente, pessimo) che comunque è ‘staccato’ di oltre 2 milioni di follower. seguono ‘eroi popolari che van bene a tutti’ tipo jovanotti e valentino rossi (per l’ultimo credo valga il discorso di ronaldinho). la prima twitstar che ‘prende posizione’ è, purtroppo, grillo con 358,821 (ovviamente, poichè non chè un taso di approvazione, non dobbiamo credere che tutti i i follower siano grillini). la prima fonte di informazioni è, come per il web, Srytg24 con 340,631, seguita da ‘la Repubblica’ che, con 288,317 supera la gazzetta dello sport di oltre 60mila follower… ma è superata da Radio105 che ne ha 307,819 (secondo me è un dato indicativo)
detto questo… non è che siamo 4 gatti?
comunque, considerato che mancano i dati di overlap dei follow, il numero dei RT, i parametri per la TT, la possibilità di filtrare gli ‘attivi’, etc. direi che la mia è poco più di una pippa mentale
p.s. se qualcuno fosse in possesso dei dati completi, o sapesse indicarmo dove recuperarli, sarei più che felice di fare un DB, ovviamente da condividere, con tutte le info
Che su Twitter si sia “quattro gatti” non è la conclusione del discorso: è la premessa, nel senso che non mi sembra una grande scoperta :-)
Un sessantesimo degli italiani ha un account su Twitter considerato “attivo”, ma la definizione, come hai fatto notare tu, è priva di significato: è considerato “attivo su Twitter” anche uno che si è iscritto nel settembre scorso e ha scritto “Ciao stra-LOL, sono anke io su Twiter!!!!” e poi nient’altro.
Quanti saranno gli italiani davvero attivi su Twitter? Io non ne ho idea. Di certo, non stiamo parlando di grandi masse. E solo una piccola frazione di chi usa il mezzo lo fa a scopi di agitazione politica, attivismo sociale e lavoro culturale. E solo una frazione ancor più piccola di costoro ci segue/seguiva. Abbiamo superato i 13.000 follower, ma nessuno può sapere (per fortuna, perché son fatti loro!) in quanti ci seguissero davvero. D’ora in avanti, è ovvio, quel numero decrescerà. Sta già decrescendo.
In generale: quando Twitter ha funzionato bene, è sempre stato merito di “minoranze agenti”, di “unità mobili e intelligenti” che si aggregavano e comunicavano per uno scopo preciso: inquadrare in modo efficace un problema, fare informazione rapida e polifonica su un evento etc. Inquadrature e informazioni che poi da Twitter – presto o tardi – passavano su altri media.
Insomma, si è sempre trattato di guerriglia, non di guerra campale. La guerriglia è l’unica modalità di combattimento in cui “quattro gatti” possono mettere in crisi massicce operazioni militari di un nemico molto più grande.
Insomma, non stiamo rinunciando a un contesto e un seguito di massa. Noi su Twitter non lo abbiamo mai avuto, un seguito di massa. Se pensiamo che Q in Italia ha venduto oltre 300.000 copie, su Twitter in due anni e mezzo di sbattimento abbiamo raccolto in follower circa il 3% di quel dato :-)
No, non stiamo rinunciando a un seguito di massa. Stiamo spostando il terreno e il focus della (nostra) guerriglia, perché in quelle lande non ci muovevamo più tanto bene.
Mi interessano queste statistiche, potrei sapere quali sono le tue fonti? Io ne ho trovate alcune, che hanno dati molto diversi tra loro (suppongo per la data in cui sono state stilate) e sto cercando di capire. Thanks.
@uomoinpolvere
scusa, mi sono dimenticato di indicarle. http://goo.gl/pF6Ay per i dati sugli accessi e http://goo.gl/N69u1 per i follow.
@wm1
:-) in ordine sparso:
i dati erano poco indicativi, so lo, ma sono gli unici che ho trovato. giuro che, se avessi a disposizione i numeri assoluti, ci giocherei più di quanto non giochi a WoW (nerdpride). cmq ritengo che l’influenza di TW sia sovradimensionata (specialmente dai media).
sul decrescere dei follower di WMF non credo sia rilevante… se il follow/unfollow “è trendy” credo si escluda a priori dal messaggio (che il media sia il messaggio è, a mio giudizio, una cazzata paurosa)
gli utenti attivisti sono, ad essere ottimisti, un centesimo dei 4 gatti, poi, per le dinamiche dei follow, credo che a leggerne i messaggi siano pochi follower… che fine avrebbero fatto 0,004 gatti a frankenhausen? :-)
comunque il mio non era un discorso sull’autoreferenzialità. era semplicemente il guardarmi intorno un attimo per ricordarmi che il mio ‘inner circle’ non è rappresentativo della società… comunque, date le caratteristiche dello strumento, non ho mai considerato tw come una piattaforma di confronto/dibattito… piuttosto come uno scandaglio ed un collettore di link
p.s. delle 300.000 e + copie di Q… almeno 15 sono le mie… ed ognuna è stata passata a più di un lettore :-P
p.p.s. case history ho passato una serata amena con il dir. marketing di una casa farmaceutica parlando di Q e di come il messaggio possa essere rapportato al quotidiano.
p.p.p.s. sarò ridicolo ma ho trovato dei paralleli tra la narrazione distorta delle discussioni su tw fatte dai giornali, specialmente in quelle relative a ‘comunità’ che frequento, e tra concetti espressi in ‘totò peppino e la guerra psichicha 2.0″
4p.s. altro fenomeno che sarebbe interessante da analizzare sono le ‘twittstar’, come nanscono, i picchi di crescita, le modifiche semantiche a partire dall’ingresso nel “contesto autorevole” e, non da poco, l’utilizzo del ‘follow’ come strumento di self promoting (purtroppo, come prima, non ho i numeri assoluti con cui poter giocare)
No, ok, ho cercato meglio e mi pare che i dati che hai fornito siano i più aggiornati:
[…] gli italiani iscritti risultano essere 4,1 milioni (22° posto), mentre a gennaio 2011 erano 1,7 milioni. Tra settembre e novembre il 48% (1,97 milioni) si sarebbe connesso, ma solo il 25% (1,03 milioni) avrebbe postato almeno un tweet. Fonte: http://vincos.it/2012/02/01/nazioni-cinguettanti/
Faccio notare anche che il numero di italiani attivi su internet (in generale) è di circa 27,3 Milioni, di cui circa 13 milioni attivi quotidianamente. Fonte (con altri dati utili: http://robertoventurini.blogspot.com/2011/12/dati-italia-utenti-internet-facebook.html).
Posso inserire dei numeri anche io, un po’ , così come viene? Sarà che i numeri mi danno allo stomaco. E sarà che io non vedo grandidifferenze tra social network e social network. Tutti partono con la storia di essere un luogo libero di scambio di dati e informazioni e bibibi e bababa e dududu. ma la deriva è sempre la stessa: il cortile. l’aia. Il posto dove si riuniscono le megere a parlare e a sparlare. La rete ci da l’illusione di essere in contatto. Ci da l’illusione di essere vicini e di condividere. Ma in realtà mi rendo conto che da quando usiamo ‘sti aggeggi ci si vede parecchio meno. e ci si organizza parecchio peggio. è una grande bolgia. continuamente bombardata da link che non mi portano da nessuna parte. Piena di informazioni sommarie. qualunquismi e vetrine. ecco cosa sono i social network. vetrine! io sono quello che posto. io mi definisco, non per chi sono, perchè io non sono nella rete ma io mi configuro nella rete, per quello che dico di ascoltare, di leggere, cagare.
scusate forse è meglio se me ne vado a dormire.
Era per dire che tutte ‘ste pippe su chi se ne va torna resta su twitter. su chi posta. chi risponde chi lolla e chi rt. o toglietevi da twitter. chi vi vuole seguire troverà il modo. l’ha sempre trovato.
ma si potrà sta due settimane a fa polemica su quello che da ora in avanti scriverete. e quello che semmai piuttosto non scriverete più. e quello che di sicuro non vorrete più leggere.
e fate un cazzo di log-out e vaffanculo.
Sempre per spaccare il cappello in quattro: come sono raccolti i dati di Semiocast? La loro ricerca non lo indica, e di solito non è facile farlo in modo affidabile (data l’alta volatilità del grafo)…
Interessante notare anche la posizione relativa di BBC news per gli UK (alta) e di SkyTg24 per gli italiani: sembra indicare proprio un differente utilizzo del mezzo…
[…] sia rocambolescamente cominciato un discorso. La sensazione è che in questo momento, nonostante i rischi che è giusto considerare, Twitter resti una risorsa preziosa per un Paese ancora ingessato. A chi avuto la pazienza di […]
TWITTER IN DUE DOMENICHE. @akaOnir riflette su Twitter, la massa, il pavlovismo, le possibilità, attingendo anche da questo thread:
http://lettereinrete.blogspot.com/2012/01/twitter-muri-suicidi.html
Sono al primo post e so che sicuramente utilizzerò un registro linguistico più basso rispetto a quello utilizzato finora e spero vogliate perdonarmi. Io penso che il problema di twitter in italia non sia il fenomeno di massificazione che si sta verificando negli ultimi tempi. Questa infatti è secondo me una questione secondaria se non addirittura un falso problema. Il solo fastidio che ne deriva è vedere tra i TT cose insulse e offensive per un’intelligenza media, ma in fin dei conti è sopportabile e anche divertente se ogni tanto ci si cimenta nell’augurare la morte alla star dei teenagers in cima alla classifica dei trending topics in quel momento (forse sembrerà infantile ma è catartico scambiare piacevoli insulti con quindicenni innamorate ogni tanto).
La vera difficoltà nasce secondo me da cause esattamente opposte: sono infatti pochi gli utenti davvero attivi e provengono quasi tutti dalla stessa formazione. Si tratta per la maggior parte di giornalisti e traffichini legati ai media che pertanto hanno caratterizzato il social network secondo la loro ristretta e sensazionalistica visione del mondo. Ecco quindi che all’audience si è sostituito il TT e ai lettori i followers ma i meccanismi che si stanno instaurando sono purtroppo quelli che già dominano il nostro asfittico e limitato panorama mediatico. Il social network non è un luogo dove provare ad introdurre e valorizzare argomenti nuovi ma riflette sempre più ciò che viene inculcato dai media main stream. L’italico mezzo assomiglia sempre più ad una piazza di un piccolo paese in cui si commentano i fatti che dominano la cronaca dei giornali, vedi il casus belli di Bobbio, utilizzando i più biechi luoghi comuni che diventano fighi perchè invece che esclamati al bar sono scritti in rete. Non pochi sono infatti quelli che passano la metà della giornata a parlare di twitter su twitter e la restante porzione a sparare cazzate ultrasuperficiali sugli avvenimenti che l’agenda televisive propone. Si capisce quindi come per tutte queste persone twitter sia solo un nuovo mezzo per esprimere vecchi concetti con vecchi modi. Non voglio certo indicare a tutti voi quali sono i difetti del mezzo ma trovo poi assurda tutta questa fiducia nel social network come strumento di libertà. Le polemiche sulle scelte in materia di censura che i CEO di Twitter sono semplicemente ridicole. Questo non perchè non siano giuste ma perchè sembrano ignorare la natura stessa di Twitter, creazione di una società privata, a base capitalistica e che si muove quindi secondo logiche di mercato capitalistico. Prima di questi fatti una spia forte che mi ha fatto riflettere molto circa la natura e la pericolosità del mezzo è stata la vicenda di #opMegaupload. In quell’occasione infatti gli amministratori di twitter hanno deliberatamente censurato un topic che stava appassionando tutta la rete, ben al di fuori dei limiti del social network.
Personalmente sento sempre più l’esigenza di non essere invischiato in questo deterioramento dei contenuti e delle modalità di espressione e condivido in pieno, per quanto questo possa non essere minimamente interessante, la scelta dei WM di utilizzare il proprio account twitter come una vetrina di un’agenzia di viaggi, la quale invita a recarsi in posti dove è davvero possibile esprimersi liberamente, la quale da sulla piazza principale di un piccolo paese sempre più decadente
Secondo me hai toccato un punto piuttosto importante, anche se sono solo parzialmente d’accordo con quanto dici. La discesa in massa su twitter di molti giornalisti di testate mainstream italiane è infatti piuttosto recente, ma non era così originariamente. In Italia i primi giornalisti ad usare questo mezzo sono stati infatti giornalisti spesso precari o comunque *di nicchia*, che hanno utilizzato twitter non solo come mezzo di autopromozione, ma di divulgazione di temi che sui media mainstream restavano marginali oppure venivano trattati in modo molto superficiale procedendo per luoghi comuni. Accanto all’opera più strettamente divulgativa hanno messo poi in atto modalità a mio avviso interessanti e inverse rispetto a quelle delle grandi testate, creando comunità on line *cooperative* di reporter che lavoraravano anche per diverse testate ma che scambiavano informazioni e puti di vista su un modello simile a quanto avviene in alcuni casi per le comunità scientifiche. Questo ha reso possibile a molti non addetti ai lavori di seguire in maniera approfondita quanto di proprio interesse senza doversi spulciare le testate di mezzo mondo per farsi un opinione su determinati fatti e di avere informazioni piuttosto plurali una vota scelte le proprie fonti da seguire.
Per esemplificare ti faccio il mio caso: appassionata di Cina per solo hobby, mi sono aperta un account su twitter iniziando a seguire quelle che ritenevo delle fonti specifiche e affidabili su questo paese e da lì ho ampliato questa rete proprio grazie al fatto che queste persone proponessero non solo i loro articoli, ma tutti quelli che ritenessero interessanti, svolgendo al contempo la funzione di divulgazione ma anche di filtro *attendibile* (non facendo la giornalista di professione non è che possa trascorrere la giornata a leggere tutto di tutto).
La stessa cosa potrebbe darsi per le rivoluzioni arabe, o per qualsiasi realtà al di fuori dei confini nazionali.
Cara tina,
io non contesto Twitter ab origine. Sono infatti sicuro che fosse così ed è l’uso che per un certo periodo di tempo ho fatto anch’io del mezzo. Il problema sorge secondo me negli ultimi tempi, dopo che twitter è stato “sdoganato” in tv. Solo allora si sono visti i fenomeni che ho criticato nel mio post, forse è proprio questo l’effetto deleterio della massificazione di cui si parlava in precedenza
@malakunin
In effetti l’arrivo di molti giornalisti mainstream è assimilabile ai gruppo di inglesi che al sabato (approffittando dei lowcost) sbarcano a Barcellona ne fanno di ogni e alla domenca senza aver dormito e ancora sbronzi se ne tornano a casa… Molti giornalisti mainstream – su tutti Riotta – sono saccenti, spocchiosi, ignoranti e si muovono come elefanti in un negozio di cristallo facendo saltare quel reticolo di relazioni basato soprattutto sull’affidabilità e autorevolezza di questo o quest’altro utente.
Legata alla prima questione una seconda.Un conto se twitto io – un cazzone qualsiasi – un conto Wuming: i cialtroni di cui sopra ci si buttano a capo fitto. Questi per un titolo ucciderebbero la madre. Da questo punto di vista la sottrazione degli stessi è assolutamente comprensibile anche se spiace la mancanza di quel fraseggio breve e quotidiano che aiutava a riallacciare relazioni frammentate da tempo.
Per quelli come me – i cazzoni qualsiasi – la vita su twitter è più semplice. Come il ragno riorganizziamo la nostra tela nella consapevolezza che è enormemente meno faticoso sfanculare chi ti da fastidio o rompe e basta ;)
Twitter, e la rete in generale, è solo uno strumento. Come può esserlo un volantino, un megafono, una fanzine.
Non è colpa di twitter e dei social network se le persone tendono a non verificare le informazioni. Ma non succede solo in rete. La Lega trova linfa in una serie di discorsi da bar che piano piano sono diventati la realtà, dagli immigrati che hanno maggiore punteggio nell’ottenere le case popolare agli sgravi fiscali concessi a chi assume stranieri. Pisapia ha vinto anche grazie al geniale ribaltamento di accuse solitamente molto efficaci, per la propaganda della destra; il tuttacolpadipisapia ha annacquato qualunque domanda, creando un effetto nonsense, rendendo indistinguibile l’attacco su argomenti reali rispetto a quelli inventati. La rete è uno strumento, come tale va utilizzato, padroneggiandolo. Nello specifico, a false accuse si reagisce utilizzando il vecchio strumento della contro-informazione.
Capisco il tuo discorso, ma da come la metti giù sembra che i media siano “vuoti” (cioè neutri) e sia solo questione di riempirli dei giusti contenuti. Quest’impostazione non mi convince. Credo che nessuno strumento sia “neutro”: ogni tecnologia di comunicazione ha una sua peculiare logica di funzionamento, ha inscritto in sé un codice, ha algoritmi che le imprimono una sorta di “spinta inerziale”. In parole povere, un medium tende a comportarsi in un certo modo e non in altri. Quest’inerzia può essere accettata da chi la usa, e assecondarla è comodo, oppure può essere contrastata, ma ciò comporta più impegno e fatica, perché bisogna inventarsi pratiche, fare costantemente “ingegneria inversa” del mezzo etc.
Nel primo caso, si crede di agire ma in realtà si è “agiti” dal mezzo. Anche quando si fa controinformazione. Penso alla controinformazione che passa nei programmi di Santoro, ai collegamenti dalle piazze o dai centri sociali, alle “ospitate” dei movimenti in quelle trasmissioni: un insieme di codici e “algoritmi” (la logica ineluttabilmente frontale del mezzo televisivo, il format della trasmissione che premia la rissa in studio o tra lo studio e la piazza, l’obbligo della presenza di politici etc.) fa sì che quella controinformazione venga disinnescata nel momento stesso in cui è veicolata: diviene intrattenimento, simulacro di mobilitazione che dura giusto il tempo del programma e non si sedimenta, non fonda, non diventa basamento di niente.
[Anche perché, va detto, si predica ai convertiti.]
I social network, poi, non sono solo strumenti: sono ambienti. Con questo intendo dire che non sono solo mezzi, ma sono essi stessi il proprio fine. Il fine dell’interazione su Facebook è… l’interazione su Facebook, l’autoriproduzione dell’ambiente e delle sue logiche. Perché quest’autoriproduzione genera profitti. Ragion per cui, Facebook (ma anche Twitter) incita e “premia” i comportamenti che assecondano la sua spinta inerziale, e scoraggia quelli che la contrastano.
A questa spinta non si possono opporre controspinte frontali, si sprecherebbero solo energie. La logica di fondo va “incidentata”, spiazzata, aggirata. E’ una guerriglia quella che va condotta. Su Twitter, pratiche oggi normali come il retweet e l’hashtag sono risultati di una guerriglia condotta nella prima fase del network. Ma allora era più facile: Twitter era ancora in formazione ed era piccolo, non era la balena di adesso. E chi ci stava dentro dava per scontato che lo strumento/ambiente andasse plasmato dal basso. Oggi è molto più difficile, la spinta inerziale è molto più forte, e per fare la guerriglia servono una disciplina, un’abnegazione (anche nel gioco), un’inventività, una capacità di mobilitarsi in tempi rapidi (ma prima ancora di capirsi) che l’iper-velocità degli scambi rende molto, molto difficile conseguire.
Ha ragione Wu Ming 1. Come dicevo nel post linkato sopra, questi giorni sto sentendo troppo spesso la solita solfa del “dipende da come lo usi” che nasconde un fondo di verità ma al contempo rischia di troncare alla base ogni discorso e esperimento che cerchi di cogliere le specificità di ogni mezzo. Forse è anche un bene, di meta-riflessioni sui media e social media ne ho le palle piene pure io che c’ho dedicato mesi e mesi per la tesi, però mi sembra tanto innegabile quanto importante affermare che certi “posti” inibiscono o favoriscono il verificarsi di determinati atteggiamenti. Così come rimarcare che tra Twitter e Facebook c’è ancora tutta la differenza del mondo. Nb: premettendo che Twitter è un social fatto a su misura per me (se usato insieme a un blog e a un mezzo tipo Skype) mentre Fb mi ha sempre innescato un profondissimo e crescente rigurgito, mi sto convincendo che certi istinti animali forse Twitter li favorisce perfino di più.
non capisco cosa significa: twitter “scoraggia” i comportamenti di contrasto. Credo invece di capire cosa significa che “premia ” e quindi favorisce gli istinti animaleschi
Poi miei due soldi da mettere ce li avrei pure io, ma dopo il commento di Luca sotto ve li risparmio :)
Nel momento in cui “premia” certi comportamenti e non altri, finisce per scoraggiare questi ultimi. Non c’è bisogno di scoraggiarli in modo attivo, quello passivo/inerziale basta e avanza.
allora non sono d’accordo :)
L’uso distorcente del mezzo che (forse) si può fare, funziona indipendentemente da se quello che vedi nella colonna dei TT “premia” il tuo uso.
Esattamente come c’è chi fa cinema sperimentale anche se i cinema danno solo blockbusters.
La differenza in twitter è che sei esposto ad un sacco di brutta gente e non puoi fanculizzarli tutti. Capisco che uno decida di non andare in un bar frequentato da gente che non sopporta (come qualcuno ha già detto). E se questi “prendono possesso” del bar che ti piaceva, e tu sei costretto a sentire il brusio dei loro discorsi idioti, cambi bar. Non c’entrano nè l’uso, nè il mezzo.
Se per “premio” intedi solo i TT, ok. Ma i modi in cui Twitter soddisfa certe pulsioni sono molteplici: i retweet di un tuo commento, l’aumento dei follower, tanta gente che ti dà ragione, trovarsi tutti insieme a usare un hashtag per attaccare un capro espiatorio etc. I TT sono solo una “fotografia” parziale di tutto questo.
Tutto quello che ho appena elencato è previsto nel codice, è ciò che Twitter tende a essere se lasciato a funzionare da solo, se la sua logica non viene contestata e ridefinita tramite pratiche conflittuali.
Ora, immaginiamo un elenco di altra fatta: scrivi una cosa impopolare o che richiede un secondo in più per essere capita, e all’istante ti arrivano miriadi di reply ostili attirati dall’hashtag che hai usato, e/o la gente ti “defollowa”. Usi un hashtag per criticare l’uso dominante che ne viene fatto e, quasi all’istante, una folla ebefrenica si gira contro di te, e twitteri più famosi e con più seguito di te ti additano al pubblico ludibrio.
“Scoraggiante” è l’aggettivo più lieve che si possa usare per una simile situazione, che non è certo infrequente. Senza rendersene conto più di tanto, ciascun utente sta partecipando a un mobbing di massa, semplicemente abbandonandosi alla spinta inerziale del mezzo.
A me sembra chiaro che la dinamica del mezzo/ambiente premia le pratiche che assecondano il codice dominante, e scoraggia quelle che non l’assecondano.
A me la metafora del bar introdotta da Francesco non piace granché, devo dire. Non sono mai stato su Twitter come altri stanno al bar, né l’ho mai considerato “il mio bar”. Al bar non ti interroghi continuamente sull’ergonomia del design del bancone, sul calcare che resta nei bicchieri usciti dalla lavastoviglie, sulla posizione del televisore in fondo alla mensola in alto, sul modo in cui i clienti salutano o non salutano quando varcano la soglia… Al bar non ci vai a scopo di “inchiesta”, e invece molti di noi, e certamente quasi tutti quelli che stanno discutendo qui, stanno su Twitter anche a quello scopo, si pongono interrogativi, socializzano dubbi.
Detto questo, se proprio vogliamo usare la metafora del bar, se qualcuno “prende possesso” del “tuo” bar e lo trasforma in tutt’altro spazio, in che senso “non c’entrano l’uso né il mezzo”? Se uno spazio viene radicalmente trasformato, se cambia l’atmosfera, se le cose che dici producono effetti nuovi e a volte sgradevoli, e se magari il comportamento del barista comunica fretta (la classica occhiata da “sbrigati a consumare ché il tavolo serve ad altri”), praticamente ti trovi in un altro spazio. Quello di prima non c’è più. O cambi il tuo modo di starci, o vai da un’altra parte. Nel caso di un bar, tertium non datur, ma nel caso della rete il tertium è possibile: noi con Twitter abbiamo fatto entrambe le cose, abbiamo cambiato il nostro modo di starci (e quello nuovo ci sta anche sorprendendo in positivo!) e al contempo siamo andati da un’altra parte.
Premesso che mi piace molto il nuovo uso che Wu Ming fa di twitter. E’ straniante, stranamente invadente e avvolgente :)
Ti cito:
“Ora, immaginiamo un elenco di altra fatta: scrivi una cosa impopolare o che richiede un secondo in più per essere capita, e all’istante ti arrivano miriadi di reply ostili attirati dall’hashtag che hai usato, e/o la gente ti “defollowa”. Usi un hashtag per criticare l’uso dominante che ne viene fatto e, quasi all’istante, una folla ebefrenica si gira contro di te, e twitteri più famosi e con più seguito di te ti additano al pubblico ludibrio.”
Su questo hai ragione. Ma non lo definirei scoraggiante. Non mi pare che ci lasciamo “scoraggiare” dalla spinta inerziale di un nessun mezzo. Detto questo, però sia chiaro che non ho assolutamente nulla da dire sulla vostra scelta, anzi.
Tutte le dinamiche mezzo/ambiente sono fatte per incoraggiare l’adesione funzionale alle stesse. Un bambino di 6 anni che non riesce a stare seduto nel banco non viene additato dalla maestra e dai compagni? E se è bambina è pure peggio. Credo che tutti noi siamo “scoraggiati” ogni minuto della nostra esistenza dall’ambiente reale e virtuale in cui siamo immersi.
Che poi, per me twitter è proprio simile a un bar (dipende come ci stai al bar). Forse se fossi un interior designer mi interrogherei su come e perché c’è quel bancone e senz altro se la tv è troppo invadente mi chiedo il perché. Invece mi interessano e dinamiche sociali e la costruzione dei significati, così mi interrogo su un mezzo di comunicazione. Anche se le risposte le trovo più facilmente al suo esterno.
Sarà che per me twitter non è prioritariamente un luogo di inchiesta sociale né tantomeno, come dice Mauro, una piazza in cui volantinare. Twitter è per me un luogo di scambio di informazioni (e a volte cazzeggio) con persone con cui condivido gli interessi. Non a caso mi è capitato di ri-acchiappare persone con cui in passato avevo già condiviso spazi. Ed è con loro che mi pongo interrogativi e socializzo i dubbi.
Beh, allora sostituisci l’aggettivo con “disincentivante”. Quel che volevo dire in risposta a Stellarossa1906 è che un mezzo di comunicazione non è neutro: ha inscritta in sé una logica che incentiva certi usi e ne disincentiva altri. Poi c’è chi non si lascia disincentivare, anzi, si sente spronato a inventarsi modi “illogici” (nel senso di estranei alla logica del mezzo), e allora si produce lo scarto dalla norma, l’impensato.
@danffi quello che scrive @wm1 alle 1:37 di oggi (qui http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=6991&cpage=1#comment-11098) ha molto a che fare, ma detto molto meglio, con quello che mi hai chiesto di spiegare qui: https://twitter.com/#!/VecioBaeordo/status/166867317991542784
;-)
visto che l’argomento è ancora caldo, metto i miei quattro spicci anche io. È un articolo che ho scritto per un sito locale, in cui tra le altre cose commento la bufala della foto di Bobbio.
Muri puliti
Perchè le scritte sui muri sono più pericolose dell’altà velocità?
Viviamo un mondo veloce. Le tecnologie si susseguono rapidamente, i mezzi di trasporto sfrecciano ad alta velocità, le mode passano in fretta, la comunicazione è ridotta a 140 caratteri.
La velocità come emblema, emblema di consumi e modello di riferimento teorico, con nefaste conseguenze pratiche. Il web non è immune al virus della velocità. In particolar modo il settore della comunicazione. La voracità di notizie “fresche” spinge pseudo-giornalisti a divorare tweet per digerirli sotto forma di articoli.
Ma andiamo per ordine. quali sono le ragioni che spingono a riflettere su queste tematiche? Pochi giorni fa è scoppiata una polemica riguardante l’imbrattamento del poster di Norberto Bobbio (filosofo politico torinese) da parte di alcuni partecipanti al corteo no tav.
La città è stata presa di mira dai manifestanti con scritte e lanci d’uova, come reazione alla carcerazione di 26 persone accusate di aver preso parte agli scontri del 3 luglio di Chiomonte.
Scritte sui muri che urlano la rabbia di un movimento sotto attacco da anni, sotto attacco dell’opinione pubblica e della magistratura. Scritte sui muri che parlano di un movimento che non ha paura, forte delle sue ragioni, convinto che la vera violenza si annida tra chi decide di svendere il territorio, bene comune, al profitto. Profitto sotto forma di velocità, alta velocità.
Quindi la città è stata decorata, tra slogan e “avvertimenti” i NO TAV hanno ribadito la loro determinazione.
Ma, c’è un ma.
L’immagine di Bobbio deturpata da vernice e accompagnata dalla scritta “SERVO” ha scatenato lo sdegno del “popolo della rete” Hastang come #Bobbio, #orapulite, nel giro di pochi minuti diventano popolarissimi, e la polemica monta.
Il “vilipendio” a Bobbio è stato segnalato da un account che rimandava a questa foto, che mostra la foto di Bobbio imbrattata e accanto la scritta :” Servo!”. Ma se scendiamo alla seconda foto si nota uno scenario diverso: “Numa merda. Servo!”. (chi è Numa?)
Va da se che tra la pubblicazione della prima foto e la seconda ne è passato di tempo, almeno quello necessario a far crescere l’indignazione virtuale contro i violenti no tav, rei questa volta di aver profanato una figura da tutti rispettata e da tutti venerata.
Ma, c’è un altro ma.
Se la bufala della foto è stata presto smascherata (qui un ampia ricostruzione dei fatti), la rabbia contro il movimento è rimasta tale. Che sia un giornalista piuttosto che un “santo” filosofo la questione non cambia: ora pulite è il messaggio da recepire.
Già, ci si scatena per un po’ di vernice sui muri metropolitani, però ci si piega di fronte alla devastazione ambientale che porterà la tav. Ci si indigna per i costi necessari a dipingere le “violenze spray” ma i costi dell’alta velocità non ci preoccupano.
Sempre dal “favoloso mondo del Web” si incita il movimento “sano” quello formato dai non violenti val susini ad emarginare la frangia militaresca, riproponendo una dicotomia “buoni-cattivi” che speravamo fosse morta e sepolta dopo Genova. ( ma che così non è, basti vedere la caccia alle streghe su Fb dopo il 15 ottobre..).
Alla fine, da questa storia ci perdono tutti. Ci perde il web, specie twitter italia, che vede perdere un pezzo importante. I Wu ming lasciano il portale, motivo?
“Quando a Torino, poco tempo fa, c’è stato un pogrom stile Ku Klux Klan, non abbiamo visto 1/10 di questo sdegno x le scritte…La causa (notav) è portata avanti da 20 anni da un’intera valle, tra calunnie e repressione, nn saranno 2 scritte fuori luogo a ucciderla…Il pressapochismo esibito con la bufala #Bobbio e la voglia di vellicare il perbenismo di massa scrivono una pagina NERA di Twitter..E’ che il mezzo(twitter), con la sua spinta forsennata ad accelerare ogni scambio, diventa *peggiorativo* senza un’autodisciplina…Siamo scoglionatissimi verso l’andazzo sull’italo-Twitter. Overload. Limite nostro: non abbiamo più la forza, tantomeno il tempo…”
Da alcuni tweet dei Wu Ming 30/01/2012
Come dargli torto?
MadB0mber
I social network hanno rotto i coglioni.
L’ossessiva autoreferenzialità diventa ogni giorno più imbarazzante per l’intelligenza di chi li frequenta.
Non se ne può più.
L.
La rete non è neutra, ok.
I social network hanno rotto i coglioni/ovaie per l’imbarazzante autoreferenzialità, ok.
“Su Twitter, pratiche oggi normali come il retweet e l’hashtag sono risultati di una guerriglia condotta nella prima fase del network. Ma allora era più facile: Twitter era ancora in formazione ed era piccolo, non era la balena di adesso. E chi ci stava dentro dava per scontato che lo strumento/ambiente andasse plasmato dal basso. ”
Tutte analisi che finora condivido. E dunque? Che si fa? Si cercano spazi sempre più ridotti, sempre più di nicchia o si va alla guerra? Oppure invece di usare termini così forti, se provassimo a dare meno importanza e usassimo la rete in maniera assolutamente strumentale? Come si fa?
In questa mia annata di twitter sono partito con una idea e me ne sono fatta un’altra: ho cominciato col “segare” tutti questi o queste invasate dall’esperienza #occupy. Non perché è mio interesse denigrare una pratica e un percorso del genere bensì proprio perché non mi interessava farne un feticcio come ho visto fare. Esperti o ed esperte di blog, di Rivoluzioni® via social network, di pratiche internaute di autorganizzazione. Tutti discorsi che mi fanno sorridere.
La rete non è la panacea. E’ utile spesso, dannosa altrettanto spesso. Siamo passati per comunicare e far circolare informazioni dalle mailing-list ai blog oppure a FB o TW. Secondo me un passetto in avanti in questo senso lo abbiamo fatto ;) eppure rimane che il principale spazio di discussione è quello verbale e del vis-à-vis.
Le RivoluzioniArabe® che tanto hanno esaltato i bloggers nostrani (gli stessi o le stesse che post 15 hanno assunto posizioni discutibili) ce l’hanno menata su quanto fosse stato fondamentale il ruolo degli SN: una forzatura. Non voglio fare il saputello, ma la mia sensazione che soprattutto nei paesi del maghreb, lo stare in strada, il parlarsi, l’avere spazi di condivisione (che fosse anche un bar o un suk) e di confronto, sono stati il miglior veicolo per far circolare idee, proposte o appuntamenti. Come ho la sensazione che i blogger nordafricani, svolgano il loro lavoro più per la stampa e movimenti occidentali che per il “fronte interno”. Sono sensazioni.
Sul Bobbio, scritte sui muri, etc etc. siamo alle solite. Nulla di nuovo. Quando non ci sono “scontri” si va a cercare il pretesto: a volte è una canzone, altre volte le scritte sui muri, una vetrina infranta, una scazzottata, stronzate varie applicate. E noi qui a parlarne invece di fare una sonora pernacchia a chi vive di queste polemicucce. Spezzoni di movimento compresi.
A volte sarebbe intelligente prendersi meno sul serio, anche noi utenti twitter. Anzi soprattutto a prendersi meno sul serio e all’essere il meno autoreferenziali possibile. Ne vale la pena, sarebbe un bell’esercizio di intelligenza. Sapere usare uno strumento non neutro è importante ma non fondamentale.
D’accordo sulle rivoluzioni Arabe. Stare fisicamente insieme (per strada ecc) favorisce la condivisione di idee più efficacemente, e a volte anche più rapidamente, che postare sui troppo autoreferenziali social networks.
Quando il governo di Mubarak ha bloccato le comunicazioni lo scorso 28 gennaio, la gente si raccolse nelle strade per condividere informazioni e idee, per contarsi, favorendo/accelerando una presa di coscienza collettiva che poi ha portato al crollo del regime.
E’ detto meglio in questo bell’articolo su le monde diplomatique http://bit.ly/zwKlf0, non so se accessibile senza password, che conclude provocativamente: Could censoring Twitter be more revolutionary than Twitter itself?
Sacrosanto.
Bisogna augurarsi che governanti ottusi (ne abbiamo a iosa) facciano mosse idiote alla Ben Alì e compari. Ma dalle nostre parti è difficile che avvenga, sono ottusi ma più scafati.
La stronzata che i SN facevano la rivoluzione in tunisia o in egitto era clamorosa già mentre i fatti accadevano. Significa ignorare del tutto le condizioni materiali dei partecipanti.
In Egitto hanno fatto molto, molto di più gli ultras e le giovani donne che sti cazzo di sn.
In nessun caso parteciperei a petizioni e altre cazzate di firme contro la censura dei sn.
Inquisitori, fate il vostro mestiere.
L.
Va poi detto che ‘sta discussione sulla rava e la fava di Twitter comincia anche a rompere giusto un po’ il cazzo, eh! :-D
I quote Wu Ming 1 :)
lì volevo arrivare!
Vi lascio due parole che ho scritto sul mio blog incattiviti.altervista.org
La rivoluzione non sarà tweettata!!!
scrivevano a il Cairo…
Qui nasce il dilemma, il problema filosofico: l’atto rivoluzionario è ancora possibile nel mondo delle non-guerre? Nelle cyber-war twitter è come un Ak47, un arma leggera che non abbatterà mai un blindato, ma che fa male. uccide? serve a chi si ribella? Non uccide e serve. Ma quanto questi strumenti servono all’atto rivoluzionario? quanto la rivoluzione con il suo spirito distruttivo e di rinascita è presente nell’immaginario del cyber-uomo del ventunesimo secolo?
L’argomento è complicatissimo, e io non sono preparato, rischio di scadere nella mera filosofia da panchina al parco, è essenziale che comprendiamo quanto è importante la concretezza dell’atto rivoluzionario, la violenza che ne fa parte. dobbiamo capire se il suo rovesciare fatto di lacrime e sangue sia un male o qualcosa di necessario per la rivolta. Nessuna rivoluzione è pacifica, qui si tratta di una guerra, una guerra di ideali, di modi diversi di vedere il futuro…non si può ribaltare il potere e pensare di farlo con le bandiere arcobaleno di sabato pomeriggio e credere che il lunedì l’élite cambierà il suo modo di vedere il mondo.
Twitter serve alla cyber-war, ma cosa serve alla rivoluzione delle piazze? Servono i forconi? Ma chi sono io per dire queste cose, io che ho scritto queste parole e che poi le ho postate sul mio blog. la mia arma bianca è twitter, la mia guerra la fo comodamente seduto difronte al mio notebook, sorseggiando e magnando, incazzandomi e indignandomi, buttando l’occhio, ogni tanto, al mio fottuto gioco on-line. Sono ridicolo, I know. Ma il mio pensiero è forte e potrebbe un giorno governare le mie azioni, portare le mie mani a compiere atti di guerra!
devo essere consapevole che l’atto rivoluzionario è legittimo tanto quanto il regime democratico. Nulla è perfetto e nulla è per sempre, è ora del cambiamento! Sparando tweed come fossi un Ak47 forse qualcuno si convincerà.
La democrazia imprigiona la rivoluzione! ma siamo sicuri di essere ancora in democrazia? o invece, come credo siamo in un regime di “post democrazie dominate dai media e dalla finanza. Il social-liberismo in cui ci vogliono far credere è in realtà un ossimoro: il liberismo infatti non è per niente sociale. La crisi potrebbe segnare la fine del capitalismo per come lo conosciamo, a vantaggio di una forma di fascismo che consentirebbe ai ceti alti di mantenere il loro tenore di vita.” (Latouche)
à chacun sa revolution.
i fatti stanno a zero…e queste parole non valgono un cazzo! il vostro Mik
Grazie, comunque in questi casi basta un link + un paio di righe che spiega di che si tratta.
sorry sarà per la prossima volta… thanks
(La cosa per me curiosa è che poco prima che scoppiasse tutto questo discorso avevo scritto per un concorso un raccontino su Twitter, i social network e le loro perversioni – le star, il #buongiorno, le cazzate autoreferenziali, gli “instant-pezzulli” – e la lotta di classe e la socialità online/offline. Mi hanno scritto da Ancona che me lo pubblicano in un’antologia, vado dunque domenica alla premiazione nel cuore di Narnia, fermandomi sabato nell’altrettanto innevata Topologna. A rileggerlo ora mi sembra di averlo scritto in risposta a questo thread… Tutto si tiene, diamine, davvero.)
Alcune considerazioni
Il “dipende come lo usi” di cui parla Akaonir secondo me ha un senso che dipende dal contesto e dal perchè lo usi: se si pensa di farci la rivoluzione secondo me non serve a un cazzo e punto. Concordo pienamente con Zeropregi sul fatto che nei paesi arabi non abbiano certo fatto la rivoluzione coi sn, al massimo saranno stati utili per diffondere date e appuntamenti, sicuramente per comunicare dal di dentro al resto del mondo quanto stava accadendo, ma non certo come piazza in cui scendere, altrimenti avrebbero al massimo spodestato qualche tiranno dal proprio account. Pensare altrimenti secondo me significa aver perso totalmente il contatto con la realtà e vivere del prorio avatar.
Ci sarebbe poi da dire che l’Egitto non è la Tunisia, o lo Yemen e via discorrendo, e che dinamiche e attori non sono stati gli stessi da un luogo all’altro, ma questo è un altro discorso.
Rispetto a quanto diceva WM1 circa “i modi in cui Twitter soddisfa certe pulsioni” mi vengono diverse considerazioni. Una è che molto dipende da quanto noi siamo permeabili o meno ai meccanismi che si instaurano e questo dipende almeno in parte dall’uso che facciamo del mezzo, nel senso di scopo per cui ci stiamo. Se lo scopo è una certa militanza o anche il dibattito attraverso ‘sti 140 caratteri, credo siamo molto pù permeabili (e per var motivi; a partire dal fatto che un discorso un po’ articolato risulta impossibile, che a meno di non avere una solida base comune non si riesce proprio a capirsi, per finire col fatto che diventiamo inevitabilmente vittime del nostro klout). Se lo scopo è invece molto meno ambizioso, come strumento di reperimento e scambio di informazioni, forse siamo un po’ più impermeabili (come in fondo lo è chi davanti a giornalacci come ce ne sono tanti non si scandalizzerebbe minimamente nel trovare informazioni distorte). Se lo scopo è infine fare controinformazione, beh con 140 caratteri ce e vuole di capacità di sintesi! Ottima quindi la prassi di postare link ad altri luogi.
A ruota mi viene poi da interrogarmi su quanto certe modalità siano insite nel mezzo twitter e quanto invece non siano proprie di noi umani che li utilizziamo. E infatti mi pare si sia parlato, rispetto a pratiche deteriori, di “incoraggiare” non di “creare”. Insomma pensando anche a molte modalità assembleari, siamo certi di poterci dire immuni, se non singolarmente, perlomeno in realtà di gruppo da tali pratiche deteriori? Eccetto assemblee femministe e poche altre realtà per mia esperienza posso dire che uno non vale uno, c’è chi di più, c’è chi di meno. In questo senso credo che il concetto espresso dal klout prescinda da twitter e sia molto precedente ad esso.
P.S. Uso il termine Klout sia nel senso proprio del termine, sia in senso più lato inglobandoci dentro tutte le dinamiche descritte da WM1, perchè mi sembra che sia la massima espressione, e quindi anche la sintesi, di tutte queste diamiche deteriori. Infine mi viene in mente un post letto non ricordo dove in cui si dibatteva de ‘sto klout e di chi ce l’aveva più lungo (il klout).
Sei delus* e sconcertat* dalla barbarie perbenoide e forcaiola dell’ItaloTwitter? Non sopporti più l’odio, la voglia di linciaggio, la ricerca di capri espiatori? Ti ritrovi naufrag* nel mare color piscio dei social network? Dirigi la tua zattera qui:
http://identi.ca/wumingfoundt
Non è un’isola felice, ma è un’isola. Non verrai accolt* al suono dell’ukulele, ma verrai accolt*. Non sempre si riesce a discutere, ma si tenta di farlo. Anche lì ci sono stronzi, ma per ora fanno meno danni. Nessuno sa come andrà, ma una cosa è certa: almeno per adesso, si sta meglio che in una fogna! :-D
E c’è anche il gruppo “Giap”:
http://identi.ca/group/giap
[…] Serra vs twitter avete capito a cosa mi riferisco). Quello strumento che proprio Michele Serra, e Wu Ming prima di lui, hanno additato (non senza ragioni) di conformismo e incapacità di sintesi è […]
Post breve ma centrato di @LeonardoBlog su #Twitter vs. #Serra vs. #la_gente:
http://leonardo.blogspot.it/2012/03/twitter-vs-serra-vs-lagente.html?showComment=1332060320775#c6623231461167857551
[…] son objeto de críticas. Los novelistas de @Wu_Ming_Foundt dejaban de tuitear hace unas semanas quejándose de que “acelera la tendencia a la entropía” y “amplifica a los sectores más […]