99 mele guaste per i terremotati: il ritorno di Steve Workers

weFight different: Steve Workers è il guru del proletariato
Nei giorni dell’invadentissimo, appiccicosissimo e acritico cordoglio planetario per Steve Jobs (letteralmente: Stefano Lavori), nella twittersfera italiana prese vita – tattica di resistenza umana alla melassa padronale e gadget-feticistica – l’alter ego operaio del milionario, Steve Workers (Stefano Lavoratori).
Partì tutto dal “dirottamento” degli imperativi che in quei giorni saturavano l’aria, come ripetuti da milioni di pappagalli caduti nel laudano: stayfoolishstayhungry stayfoolishstayhungry stayfoolishstayhungry…

«Think different: billionaires are not on your side.
Stay foolish: fight capitalism.
Stay hungry: eat the rich.»

Mentre “sembrava rintoccata la mezzanotte nel secolo” ed esprimere un parere critico sul guru appena defunto esponeva a lapidazioni virtuali, la contronarrazione di Steve Workers giunse inattesa e consentì a un po’ di gente di respirare. Diverse persone – soprattutto nostri detrattori – ne attribuirono la paternità a noi Wu Ming, ed è vero che partecipammo (all’epoca eravamo ancora attivi su Twitter), ma furono altri a creare l’hashtag, altri ad aprire il blog su Tumblr, altri a produrre quei bellissimi poster e détournements, altri a far incontrare Steve Workers con la campagna “Eat The Rich / Magnammoce o’ padrone” (logo: falce e forchetta), altri a produrre il “graphic kit” da usare ai cortei. Al famigerato corteo romano del 15 Ottobre, prima che la rabbia travolgesse tutto, Steve Workers fu avvistato su striscioni, cartelli, volantini e T-Shirt.

Abbiamo rievocato quella performance perché ci è giunta notizia che i poster di/su Steve Workers – quelli realizzati da We are Müesli – saranno in mostra dal 5 luglio al 5 agosto presso BotteGas (caffetteria/bottega a filiera minima), via Colletta 31, Milano. La mostra si chiamerà “99 Bad Apples: The Lives and Deaths of Steve Workers”, le copie dei poster saranno in vendita e il ricavato andrà ai terremotati dell’Emilia. Qui sotto, la locandina.
Steve Workers è il guru high tech del proletariato. Steve Workers lotta differente.

I poster di Steve Workers in mostra a Milano

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19 commenti su “99 mele guaste per i terremotati: il ritorno di Steve Workers

  1. Speriamo ovviamente che il ricavato non faccia la fine dei messaggini per l’Abruzzo…

    • Dubbio più che lecito.
      Stiamo sondando la destinazione a destra e a manca, anzi: facciamo che in trasparenza massima chiunque ha ulteriori buone idee e contatti in loco ce le segnala qui?

      E grazie per la visibilità intanto,
      qui sotto copiamo-e-incolliamo il testo di accompagnamento della mostra che abbiamo buttato giù nei giorni scorsi.
      Let us know.

      99 BAD APPLES
      The lives and deaths of Steve Workers

      But if you go carrying pictures of chairman Mao
      You ain’t going to make it with anyone anyhow
      (John Lennon, da “Revolution”)

      In principio, come al solito, era il verbo.
      Il verbo “lavorare”, “to work”, per la precisione.
      Lo scorso ottobre, nelle ore immediatamente successive alla notizia della morte di Steve Jobs, uno spettro figlio di questo verbo cominciò ad aggirarsi per le timeline di Twitter: lo spettro di Steve Workers. Alcuni ingegnosi giochi di parole in memoria del co-fondatore di Apple si erano già affacciati sui social network: tra questi, un amaro “10 years ago we had Steve Jobs, Bob Hope and Johnny Cash. Today we have no jobs, no hope and no cash”. Ma – sarà stata una reazione allergica all’unanime ed acritica (almeno in Italia) agiografia dello “Steve Santo Subito” – qualcuno fece due conti, e un passetto in là:

      Se il nome di Steve Jobs si poteva tradurre con “Stefano Lavori”, Steve Workers è “Stefano Lavoratori”. C’è una bella differenza: Steve Workers è il rovescio di Steve Jobs sul versante del lavoro vivo in rivolta.
      (da “Un esempio di contronarrazione: #SteveWorkers” di Wu Ming)

      Quindi: qualcuno (qualcuno che evidentemente di cripto/pseudo/multi-identità alla Luther Blissett ci masticava) ci mise il nome. Qualcun altro, forse forse per demistificare il culto della personalità
      del primo Steve, disse: “perché non dargli un volto?”. E qualcun altro ancora glielo diede per davvero, un volto. O quasi. Ed è da qui che c’entriamo pure noi.
      Suggestionati anche da:
      A) un nostro recente progetto grafico ispirato al costruttivismo russo, dedicato all’attore Klaus Kinski;
      B) un nostro recente soggiorno a Pechino con annesso acquisto di libretti di propaganda vintage al mercato di Panjiayuan;
      ce ne usciamo con questa proposta di non-volto per l’autoproclamata “icona senza età di tutti i lavoratori sfruttati”: un berretto da Guardia cinese con il logo Apple rovesciato al posto della stella, gli occhialetti tondi di Steve Jobs, il colletto rosso vivo. E nessuna faccia, perché il messaggio con
      cui firmiamo il poster, accanto all’hashtag #steveworkers, dice: “the iRevolution is faceless”.

      Un bel malloppo di (auto)ironie e contraddizioni: la Cina, per esempio, ci sta dentro sia in riferimento
      allo scandalo delle condizioni dei lavoratori Apple/Foxconn (con relativa urgenza di consumo consapevole) sia per l’iconografia vetero-comunista che essa evoca. Ma, in fondo, il metodo è proprio qui (e lo enunceremo in un altro poster):

      Don’t deny it.
      Subvert it.
      Paint it red.
      Make it bad.

      Il malloppo, scambiato in forma anonima con nemmeno-noi-sappiamo-chi e moltiplicato tra Twitter, Tumblr e altri dazibao della civiltà digitale, nel giro di pochissimi giorni, nel suo piccolo, attecchisce.
      Ritroviamo questa – e altre variazioni grafiche sul tema che ci affrettiamo a progettare – sul sito di Rolling Stone come su manifesti autoprodotti attacchinati ai muri di Firenze; c’è chi se lo mette (e, tuttora, se lo tiene) come avatar sui social network e chi – fedele al mash-up e al DIY – ne ripropone ulteriori versioni (quella femminile di “St.Eve”, “Santa Eva”, per esempio).

      Poi arriva il 15 ottobre, giornata di mobilitazione mondiale per il “Global Change”; Steve Workers, (in)visibile nel bel mezzo di migliaia di ragazze e ragazzi che si riconoscono in quel 99% di cui cantano a Zuccotti Park, lucida le sue “99 Bad Apples” per sfoggiarle al main event italiano, la manifestazione di Roma.

      E lì – come se Genova, 10 anni prima, non avesse insegnato nulla – ci casca. E ci muore.

      Fast forward: sette mesi dopo, fine maggio.
      Un altro hashtag, tra i mille che ogni giorno si accaparrano su Twitter i propri 15 minuti (ormai secondi?) di fama, attecchisce sul serio: dice #terremoto.
      La terra trema in Emilia, fa morti, morti veri.
      7 alla prima botta, quella più forte. 20 alla seconda, meno forte, poco più di una settimana dopo.
      Perché?

      Ci siamo messi da parte un tweet, in proposito:

      Non si muore di #terremoto o “natura crudele”. Si muore di condizioni lavorative disumane e case costruite in maniera criminale.
      (Andrea Scanzi)

      Sì: perché, di quelle 27 persone, la maggioranza faceva uno strano lavoro, un lavoro che solo a pronunciarlo, oggi, nell’era senza materia dell’iCloud, ti devi quasi mordere la lingua per non passare – come certi poster – da vetero-comunista, per l’appunto.
      Facevano gli operai, i “workers” per antonomasia. Gli estinti, gli invisibili, i senza-faccia. Caduti, molto poco casualmente, sul lavoro, tanto da far parlare di “terremoto di classe”.
      La maggioranza. Non sarà il 99% caro all’Occupy Movement, ma è comunque una statistica aberrante, contro qualunque naturale concezione della morte come “‘livella” democratica.
      Per questo, per loro, per tutti gli steveworkers vivi e morti, Steve Workers è vivo, e dice:

      Think different: billionaires are not on your side.
      Stay foolish: fight capitalism.
      Stay hungry: eat the rich.
      (da steveworkers.tumblr.com,
      il sito “ufficiale” di Steve Workers)

    • Alfredo, scusami, ma che basi ha un intervento del genere? In pratica, introduci il dubbio che quello tra una piccola caffetteria facente riferimento ai gruppi di acquisto solidale e un gruppo di compagni grafici che hanno lavorato per un progetto controinformativo gratis et amore dei possa essere un connubio di truffatori. In base a cosa? Con signorilità, WAM lo definiscono “dubbio più che lecito”, ma io posso permettermi di non essere signorile, e di badare al sodo della tua frase. Che è di fatto un’insinuazione. Perché intervenire su Giap in questo modo? A cosa si deve l’immotivato e infamante paragone tra operazioni di falsa beneficenza su vasta scala e persone che cercano di dare concretamente il loro piccolo, limitato contributo?
      Come minimo, lo trovo un commento affrettato e maldestro. E se fossi in te, chiederei scusa.

      • Ovviamente, non volevo insinuare il dubbio sul progetto WAM, né paragonarlo alla Protezione Civile di Bertolaso. Questo perché ho avuto modo di conoscere il progetto, seppur limitatamente, seguendo la campagna di Steve Workers e perché, a naso, è una cosa che mi è più vicina.
        Forse è proprio per questo che mi sono permesso di lasciare un commento (c’hai ragione, affrettato) che avrebbe voluto e potuto chiedere un chiarimento in più e con più tatto.
        È ovvio che i livelli di paranoia, stando nella provincia del terremoto del 2009, mi si sono alzati dopo che ho visto coinvolti in quella storiaccia (ancora un pochino oscura) un istituto di microcredito che, fra le altre cose, ha dato vita a Banca Etica… Ok, mi si obietterà, mangiare la foglia (cosa che forse avrei dovuto far prima) non significa dover gettare merda, scrivendo la prima cosa che ti viene in mente, su progetti di ben altra natura e se WAM si è sentito merda addosso, chiedo scusa. Dal loro commento, signorilità o “abitudine” che sia, mi sembra che loro abbiano capito il tipo di richiesta.
        alfredo (sono sempre io, ma proprio oggi avevo aggiornato)

        • Chiarire è importante, precisare va sempre bene.

          La “storiaccia” dei soldi via sms rivelata qualche giorno fa dal Fatto Quotidiano è l’esito di una totale mancanza di trasparenza, mancanza che c’era sin dall’inizio ma di cui nessuno dei donatori si è preoccupato per tempo. Si è dovuto attendere lo scoop.

          Tecnicamente, non sembrerebbe nemmeno esserci alcunché di illegale. Non è una truffa, però si sono tradite le aspettative di miriadi di persone. Costoro credevano che i loro soldi sarebbero andati a chi più aveva bisogno, cioè in beneficenza senza contropartite, e invece – almeno stando al resoconto del FQ – sono stati usati (e nemmeno tutti) per normali *prestiti*, ai quali hanno potuto accedere solo i soggetti “solvibili”, quindi non quelli messi peggio.

          Ad ogni modo, secondo me bisogna distinguere tra beneficenza e iniziative di solidarietà. La beneficenza è sempre basata su una distanza tra le parti, quindi è molto facile che sia “pelosa” o addirittura finta, una lavacchiata di coscienza e via. La solidarietà, invece, quando non è solo enunciata ma praticata, è sempre basata sul riconoscersi affini e sul sentirsi vicini, la premessa è la *comunanza*.

          Inviare un sms, senza saper nulla di chi lo sta ricevendo e di come gestirà i soldi, e poi disinteressarsi per anni di cosa è stato fatto della tua micro-donazione (o “micragno-donazione”), per poi cadere dal pero quando ti dicono che i tuoi soldi non sono stati usati come immaginavi… Beh, questa non è solidarietà. E’ “beneficenza” della peggiore, pigrizia spacciata per (fugacissima) empatia.

          Insomma, è consolatorio dire che “è colpa di Bertolaso”. E’ anche colpa di chi pensa di mettersi a posto la coscienza con un indolente messaggino.

  2. I poster sono molto belli. Mi auguro che la mostra sia un grande successo – ma senza esagerare, perché prima di metà luglio non potrò passare e mi dispiacerebbe non riuscire a portarmene a casa neanche uno ;-)

  3. Ciao a tutti/e
    se può interessare l’associazione culturale di Camposanto (MO) di cui faccio parte ha organizzato una raccolta fondi sin da domenica 20 maggio (http://www.kapipal.com/fdf20a6b48af4d95a60b46dab6a0ec54) su cui stanno confluendo molte iniziative organizzate qua e là, diversissime tra loro ma accomunate dal desiderio di aiutare i nostri paesi colpiti così duramente.
    Siamo in stretto contatto con gli amministratori comunali e altre associazioni di Finale Emilia, Camposanto, San Felice, Mirandola, dove viviamo, lavoriamo e distribuiamo Mumble: e dove, soprattutto nei primi giorni dell’emergenza, abbiamo prestato aiuto per il servizio mensa, le tendopoli, la raccolta, l’organizzazione e la distribuzione di aiuti materiali.
    Nei prossimi giorni sentiremo i pareri e le proposte di servizi sociali e uffici tecnici e ci attiveremo per finanziare alcuni progetti, dei quali daremo ovviamente riscontro.
    Nel frattempo stiamo anche continuando a organizzare concerti, incontri, banchetti a serate organizzate da altre associazioni o privati (http://www.mumbleduepunti.it/site/index.php/heartquake/) ..
    Se volete saperne di più potete scrivere a mumbleduepunti [chiocciola] gmail.com, intanto vi ringrazio per l’attenzione e spero di non essere andato fuori luogo!
    ciao

    ps vi giuro che il commento di alfredo dal 20 maggio lo sento 3 volte al dì ;-)

  4. (Per una possibile destinazione dei ricavati) Inserisco qui il link al post del blog delle Brigate di Solidarietà attiva sul lavoro che stanno svolgendo in alcune zone colpite dal terremoto: http://brigatesolidarietaattiva.blogspot.it/2012/06/chi-fa-da-se-fa-per-tutti-campi.html.
    Una volta ho collaborato con loro e mi sembra che le pratiche adottate, nella centralità data all’auto-organizzazione, siano parecchio interessanti.

  5. @iosonogek: ecco, io avrei consigliato proprio questa raccolta, conoscendo Mumble:.

    @WM1: condivido quello che dici sulla differenza fra beneficenza e solidarietà, sebbene anche le forme che più ci piacciono (come quella di Mubmle: o l’evento di cui parla questo post) non siano affatto al riparo da questo tipo di partecipazione: si potrebbe benissimo dare il caso di gente che partecipa in modo pigro, consolatorio e fugace (forse un pelino più difficile nel caso dell’evento). Insomma, lavarsi la coscienza e fregarsene.
    Sulla storiaccia, stando a quel che ne sappiamo ora, il fatto che sia perfettamente legale è un problema, anche se non ci stupisce e anzi conferma una qualcosa di noto. C’è, comunque, tutta una fetta di popolazione, magari poco avvezza ad internet e che non conosce alcuni “giri”, che ha potuto considerare (in perfetta buona fede e magari con un sincero sentimento di solidarietà) quegli sms come un modo valido per aiutare. Per questo la chiam(av)o storiaccia.

  6. @spleen grazie per il credito ;-)

  7. nel 1966 aldo capitini donò una certa consistente somma di denaro a favore degli alluvionati di firenze. per farlo scelse il veicolo di un giornale nazionale, e le sue iniziali, che nessuno seppe all’epoca decifrare. a.c.

  8. Tra le forme di santificazione di S.J., i testi del “saggio breve” all’esame di Stato (l’ex esame di maturità) sull’incidenza della crisi tra i “giovani”. 4 estratti con alcuni dati quantitativi (i famosi numeri), più un articolo che glorificava l’individualismo del profeta affmato e folle. Nessun testo che narrasse la crisi, a fare da contesto.
    Inevitabile che buona parte di quelli che hanno scelto questa traccia (per fortuna ce n’erano di più creative e migliori) hanno seguito la scaletta implicita della traccia, citando più o meno in sequenza gli articoli dati, e concludendo con l’ultimo, che era l’appello a SteveJobbizzarsi: ossia a non farsi inquadrare dagli schemi altrui. In coda a un articolo/saggio breve svolto seguento in modo pedissequo lo schema dato, fa un certo effetto.

  9. Ultimi giorni di preparativi, sorry per la latitanza ma tra un poster e l’altro ci tocca pure lavorare :-)

    Come ci segnala anche Steve Workers in persona (?) c’è chi vorrebbe contribuire ma non può passare da Milano.
    Ergo: li si vende anche online.
    Per il 5 vediamo di metter su una paginetta con le modalità per l’ordine, dopodiché ci organizziamo per intubare con le nostre manine sante ogni singolo poster che ci sarà richiesto e inviarlo con quel che di spese di spedizione in più.
    Stay tuned sui tumblr nostro e di Steve per tutte le info precise.

    @iosonogek @Nashipae Grazie per le segnalazioni; l’impegno da parte nostra è proprio collegarci a chi sia in grado di (citiamo il sito di MUMBLE) “seguire e controllare ogni centesimo fino all’ultimo passaggio di mani” o, appunto, a far sì che le mani sian direttamente quelle giuste – vedi BSA.
    Che poi – non essendo noi personalmente sul territorio (anche se metà di noi due c’è stata, in Abruzzo) – è quasi più complicato che tirarlo su, il fondo.
    La mostra la facciamo in un locale a filiera minima; che a filiera minima sia anche la solidarietà.
    E comunque vada, abbiamo il posto giusto per parlarne apertamente, giusto QUI.

    Oh: stiamo pure aspettando il pacco di spillette (99, of course – come la tiratura di ciascuno dei 7 soggetti dei poster che mettiamo in vendita) che abbiam fatto fare da Rockin Bones!
    Banchetto distro Steve Workers che manco al Festival Beat di Salsomaggiore :)

  10. Pronti, partenza, via:
    stasera s’inaugura.
    Chi è a Milano e ha piacere, faccia un salto.

    Come vedete:
    http://www.mumbleduepunti.it/site/index.php/heartquake/il contatto con mumble: nato qui si è concretizzato. Pensiamo che più sul territorio di così non si può.

    La paginetta per la vendita online è pronta,
    nel weekend rifiniamo 2 questioni di paypal e la sbozziamo sul nostro cargocollective.

    E per qualunque cosa: wearemuesli [chiocciola] gmail.com