Quando ero ragazzino, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, paranoia era una parola di moda. Il gergo degli hippie, dei fricchettoni, di quelli che assumevano droghe era ubiquitario, anche e soprattutto in settori della città abitati dal proletariato e dalla piccola borghesia. Questo gergo era nato circa un decennio prima, e si è evoluto fino ai nostri giorni. Farsi le paranoie indicava la condizione di chi, a tratti o in modo persistente, soffriva di manie di persecuzione. Indicava anche una preoccupazione eccessiva riguardo a un evento, o una contrazione generale del proprio rapporto con il mondo e con le cose del mondo. Essere in para dura, del resto, sembrava spesso più che giustificato. Prosegui la lettura ›
È fascista l’infarto? Un altro 15 ottobre – #15ott
di Luca (già Wu Ming 3)
Prendete questo commento come un intervallo.
Un time out di questa straordinaria discussione-elaborazione collettiva, per la quale non si può che ringraziare ciascuno.
Non ho seguito la manifestazione di sabato.
Venerdì 14, verso mezzogiorno, ho avuto un infarto.
«Infarto miocardico acuto st-elevato a sede infero-posteriore trattato con angioplastica primaria e stent non medicati multipli della coronaria destra.»
E’ una roba che dura di più di quanto uno immagina, almeno io, per nulla istantanea. Tanto da farmi supporre, ora, di averne avuti degli altri. E le indagini cliniche lo confermerebbero pure. Prosegui la lettura ›
Quattro note sparse per un «Libretto Rosa»
0. Affinità /divergenze tra i compagni di Finzioni e noi
Una rivoluzione copernicana. Capace di (ri)mettere al centro del sistema editoriale la comunità dei lettori.
In estrema sintesi, è questo l’intento che anima da cima a fondo Il Libretto Rosa del blog Finzioni.
Un vasto e sacrosanto programma al quale pure Wu Ming, fin dalla sua fondazione, ha consacrato sforzi, esperimenti ed errori.
Proprio in virtù di questo comune sentire, ritengo più utile alla discussione – e al programma stesso – evidenziare quali aspetti del Libretto mi hanno lasciato più insoddisfatto, invece di dedicare spazio alla tante consonanze, peraltro assai evidenti. Prosegui la lettura ›
Feticismo della merce digitale e sfruttamento nascosto: i casi Amazon e Apple
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La settimana scorsa The Morning Call, un quotidiano della Pennsylvania, ha pubblicato una lunga e dettagliata inchiesta – intitolata Inside Amazon’s Warehouse – sulle terribili condizioni di lavoro nei magazzini Amazon della Lehigh Valley. Il reportage, risultato di mesi di interviste e verifiche, sta facendo il giro del mondo ed è stato ripreso dal New York Times e altri media mainstream. Il quadro è cupo:
– estrema precarietà del lavoro, clima di perenne ricatto e assenza di diritti;
– ritmi inumani, con velocità raddoppiate da un giorno all’altro (da 250 a 500 “colli” al giorno, senza preavviso), con una temperatura interna che supera i 40° e in almeno un’occasione ha toccato i 45°;
– provvedimenti disciplinari ai danni di chi rallenta il ritmo o, semplicemente, sviene (in un rapporto del 2 giugno scorso si parla di 15 lavoratori svenuti per il caldo);
– licenziamenti “esemplari” su due piedi con il reprobo scortato fuori sotto gli occhi dei colleghi.
E ce n’è ancora. Leggetela tutta, l’inchiesta. Ne vale la pena. La frase-chiave la dice un ex-magazziniere: “They’re killing people mentally and phisically.” Prosegui la lettura ›
Il cervello di Himmler si chiama Heydrich. WM2 su «HHhH» di Laurent Binet
Anthropoid è il nome in codice di una delle più note azioni di guerriglia portate a termine con successo contro il nazismo.
– Più note? E chi la conosce?
Appunto. Come abbiamo ripetuto spesso, qua in Italia siamo piuttosto ignoranti sulla Resistenza europea, e anche chi festeggia volentieri il 25 aprile, di rado s’interessa di quel che accadde durante l’invasione tedesca in Polonia, Norvegia, Jugoslavia. Io stesso, sia ben chiaro, non ho affatto i titoli per fare il secchione: se conosco da tempo l’operazione Antropoide, non è per passione storica o politica, ma solo per via di un Interrail a Praga nel 1992. A zonzo per la città, è difficile non imbattersi nella chiesa dei santi Cirillo & Metodio, quella dove trascorsero gli ultimi giorni Jozef & Jan (Santi pure loro? Martiri? Eroi? Kamikaze?). Prosegui la lettura ›
Nostra legittima stranezza. Torna la «Storia della follia» di Michel Foucault
[E’ giunta in libreria da pochi giorni, a cinquant’anni esatti dalla prima uscita in Francia, una nuova edizione italiana di Storia della follia nell’età classica, capolavoro (storico? letterario? filosofico?) di Michel Foucault. Non si tratta di una mera ristampa, bensì di un nuovo esordio. Infatti, il libro è proposto per la prima volta in versione integrale. Il curatore, Mario Galzigna, ha reinserito nell’opera brani mai tradotti in precedenza e ha recuperato la Prefazione di Foucault all’edizione del 1961, espunta per volontà dell’autore dalle edizioni successive. Nella sua Introduzione, Galzigna spiega perché ha deciso di ripescare quel “reperto”, e in che modo la riscoperta del Foucault “lirico” dei primi anni Sessanta, con le sue riflessioni sulla poesia e sull’esperienza letteraria, possa gettare luce sul presente e le odierne pratiche di resistenza. Naturalmente, è un discorso che a noi interessa parecchio. Di più: è un discorso che incrocia le nostre riflessioni degli ultimi mesi e ha forti risonanze con il romanzo che stiamo scrivendo. Prosegui la lettura ›
Con le code degli occhi, ovvero: il corridoio di «Profondo Rosso»
[Rifrazioni è un quadrimestrale di cinema-e-oltre diretto da Jonny Costantino. Il n.7, uscito da pochi giorni, contiene un dossier intitolato “Folgorazioni”, nel quale diversi scrittori, critici, storici del cinema, registi e attori (si va da Wu Ming 1 a Enrico Ghezzi, e c’è persino un inatteso Rocco Siffredi) dedicano un pezzo a una scena di film che li ha colpiti, ispirati, meravigliati, o che riveste importanza nella loro vita e/o professione. Wu Ming 1 ne ha approfittato per ribadire una dichiarazione di poetica che riguarda l’intero collettivo. Qui di seguito, il suo contributo. E’ stato scritto il 28 aprile 2011, ciò spiega il riferimento a una “installazione” di quei giorni, realizzata a Roma da Mimmo Rubino. Attenzione: il testo contiene uno spoiler. Se non avete mai visto Profondo rosso di Dario Argento (1975), vi rovina la sorpresa.
Per leggere l’intro del dossier e alcuni estratti, cliccare qui.]
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Pensiamo all’espressione “coda dell’occhio”. Una coda sta sul retro di un corpo. Per la precisione, sopra le terga. E’ il prolungamento della colonna vertebrale, oltre il coccige. La coda dell’occhio, metafora per l’estremo margine del campo visivo, è dunque associata al “retro” di un corpo, è l’ultima parte dell’occhio a cogliere, a percepire qualcosa di uno spazio che si sta lasciando. Ciò che appare nella coda dell’occhio è ormai lontano dal focus del nostro sguardo, è in-distinto, non si staglia su nulla, è già tornato parte dello sfondo, di ciò che lasciamo in fondo. Prosegui la lettura ›