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Esternazioni

«Vorrei ma non voglio». I danni della DAD, il ruolo delle Regioni e le contraddizioni di Bonaccini

di plv *

Il 23 Dicembre 2020, in diverse città d’Italia, Priorità alla Scuola è scesa in strada davanti alle scuole con cartelli che dicevano «Ci vediamo il 7». Tutti sapevano che la scuola non avrebbe riaperto. Tutti sapevano che la curva dei contagi si sarebbe alzata, sarebbe stato impossibile il contrario. E a quel punto quali sarebbero state le misure prese?
Prima un rinvio (all’11). Poi un po’ di articoli adeguati sui giornali giusti. Poi un po’ di shopping e infine l’ennesimo rinvio. Ad eccezione di Toscana, Valle d’Aosta, Abruzzo e Alto Adige, l’apertura delle scuole è stata rimandata a più avanti. In alcune regioni fino al 31 gennaio.

Come volevasi dimostrare.

Sulla chiusura della scuola si assiste a un dibattito tra istituzioni preoccupante, dal momento che diversi attori, pur giocando un ruolo chiave, non si assumono la responsabilità politica, portando a un’opacità de facto. È opaco il modo in cui si arriva alle decisioni (spesso poco chiare anch’esse), e non si capisce nemmeno chi sia l’effettivo decisore. Questo è grave, anche a prescindere dalla scuola.

In un sistema fondato sullo scaricabarile, tocca guardare anche alle azioni di chi sta su un gradino diverso.
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La sinistra che trattiene. Parte seconda: fine del capitalismo e fine del mondo

di Wolf Bukowski *

[La prima puntata è qui.]

Nell’ascoltare gli stralci di conversazione che compongono il documentario Oeconomia di Carmen Losmann (2020) si coglierà il ricorrere del sostantivo Schöpfung, e cioè creazione. Si tratta, qui, della creazione ex nihilo del denaro su conti bancari, effettuata mille e mille volte al giorno negli istituti di credito del globo. Essa è a un tempo atto divino, nel suo costituire realtà sonante a partire dal nulla; e atto liturgico, cultuale, celebrato «senza tregua» nel senso indicato da Benjamin nel frammento con cui abbiamo aperto già la prima parte di questa riflessione. Il suo ripetersi, nelle cattedrali dell’alta finanza firmate da archistar, si riflette e anzi si radica nel riproporsi costante, in ogni recesso della società e del pianeta, delle dinamiche estrattive di accumulazione originaria (come peraltro il film esemplifica assai efficacemente). Queste dinamiche sono a loro volta rese possibili, all’inedita e devastante dimensione attuale, dalla tecnologia sviluppata dal capitalismo stesso. E a questa, appunto, veniamo. Prosegui la lettura ›

È colpa vostra che ci state a sentire. Covid e doppio legame.

«Visto? Il contagio rallenta. La curva flette. Erre con zero alla meno due: vai di zona gialla. Però non dappertutto. Serve un monito. Memento Abruzzi! Se fate i cattivi, finite come l’Abruzzo, branco di irresponsabili. Chiama i giornalisti, digli che salviamo i consumi, salviamo il Natale. Forza, diamoci dentro col cashback. Uniti! Però non esageriamo. Il troppo stroppia, ce lo dice la Scienza. Non così, perdio! Come osate? Assembramenti ovunque. Qua si balla sul ponte del Titanic. La terza ondata sarà disastrosa. Bastardi. Allora sapete che c’è? Niente pranzo di Natale in famiglia. Ben vi sta. Non si esce dal comune. Come dici? A Roccafritta non c’è manco una tabaccheria? E chissenefrega, vi fumate la merda secca. Servono sacrifici. Però dai, coraggio, se fate i bravi, forse tra qualche giorno permettiamo gli spostamenti dentro la Regione. E siccome siamo per la meritocrazia, i più fortunati possono vincere la lotteria degli scontrini e 5 mascherine in regalo col giornale. No, ma che vi salta in testa? Avete frainteso. Est virtus in aurea medio stat rebus! Tanta fatica per niente. Assembramenti anche a Roccafritta. La gente non capiscono. Siamo in guerra. Mai tanti morti dal ’44. Era il ’44, no? O il ’24? Boh, comunque sia, ve la siete voluta: niente pranzo di Natale, zona rossa a Capodanno, si esce solo con la giustificazione firmata dalla Befana. Lo sappiamo: avevate già in mente di eludere i robocop e i tracciamenti. Come “quali tracciamenti”? Ma che domande fate, lo vedete che siete negazionisti? Che delusione. In compenso, c’è tempo fino all’antivigilia per accumulare scontrini e combattere l’evasione. Guardate che poi ci ringrazierete, perché così il Natale è più autentico, davvero lo abbiamo salvato, giusto Francesco? Avanti, sbrigatevi a comprare tutto entro il 22. Stipatevi sui treni nel fine settimana del 19/20. Prendete d’assalto i negozi, sorridete ai fotografi. Fateci vedere cosa sapete fare. Così poi si ricomincia, non è divertentissimo? No, bastardi, è la guerra! Non avete capito. Tortellini proibiti dopo le 12.30 e dieci Avemarie. Vediamo se adesso vi pentite davvero!»

La sinistra che trattiene. Parte prima: il capitalismo come religione

Partita a scacchi tra Walter Benjamin (di spalle) e Bertolt Brecht, Svendborg 1934.

di Wolf Bukowski *

Al prossimo capodanno, avvolto nel coprifuoco notturno, s’aprirà il genetliaco secolare, almeno secondo la datazione accettata, del frammento Kapitalismus als Religion di Walter Benjamin. Possiamo certamente confermare oggi, come si legge nel breve testo, che il capitalismo risponde alle «stesse ansie, pene e inquietudini a cui in passato davano risposta le cosiddette religioni». Nondimeno, adesso, quel passato di appartenenza religiosa, almeno per la maggioranza dei cittadini della parte di mondo che abitiamo, è ormai remoto e avvolto nella nebbia dell’indifferenza e, salvo per curiosità personale, dell’oblio. Dunque, qui e ora, la dimensione religiosa del capitalismo si regge da sola, emancipata dalle sue assonanze con le esperienze religiose storiche. In ciò si manifesta l’attualità mordente di Benjamin, che tratta del capitalismo come «fenomeno essenzialmente religioso» in senso pieno, e «non solo, come intende Weber, come […] formazione condizionata dalla religione», e il riferimento è qui ovviamente al Max autore de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Prosegui la lettura ›

Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute.

di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni*

1.Cronache di una primavera e di un autunno

Nei primi giorni di maggio, sul finire della cosiddetta fase 1, in un lungo post intitolato Ammalarsi di paura, analizzavamo l’inaudita gravità della situazione lombarda con gli strumenti dell’antropologia medica e dell’etnopsichiatria e proponevamo di includere fra le concause di quel disastro anche l’effetto nocebo indotto dal «terrore a mezzo stampa». Come molti testi nati in quei mesi, anche quello, in qualche modo, si era scritto da sé in tempi rapidissimi, in una sorta di stato non ordinario di coscienza indotto dal trattenimento casalingo.

Subito dopo, la fase 2 ha portato nuove questioni, nuove angosce, un’enorme stanchezza e un diverso registro di visibilità. Lungo l’estate il moto emotivo collettivo è andato nella direzione di un certo oblio: sperando che tanto la pandemia quanto il governo fossero in remissione, non abbiamo avuto voglia di fare i conti con ciò che avevamo appena vissuto. Troppo faticoso da elaborare e poi il virus non c’è quasi più, pensiamo a ripartire… Prosegui la lettura ›

Il vittimismo fascista nelle città italiane: storia di una lapide.

di Wu Ming 2

Il 18 novembre di ottantacinque anni fa diventavano operative le sanzioni commerciali decise dalla Società della Nazioni contro il Regno d’Italia, dopo l’invasione fascista dell’Etiopia. Due giorni prima, il Gran Consiglio del Fascismo decideva che in tutti i municipi del paese doveva essere murata una lapide a ricordo dell’assedio economico.

Si dispose che le targhe fossero scolpite su una lastra di marmo di Carrara, in tre diverse dimensioni, ma con il medesimo stile e la stessa iscrizione:

18 novembre 1935, XIV. A ricordo dell’assedio / perchè resti documentata nei secoli / l’enorme ingiustizia / consumata contro l’Italia / alla quale / tanto deve la civiltà / di tutti i continenti.

Il testo era in linea con il tipico vittimismo all’italiana, gonfiato dalla propaganda di regime, dal momento che l’embargo durò appena otto mesi e fu tutt’altro che “enorme”, visto che vari paesi lo aggirarono, trovarono scuse e cavilli, mentre altri – come gli Stati Uniti – nemmeno facevano parte della Società delle Nazioni. Prosegui la lettura ›

A cosa serve l’epiteto «negazionista» e quale realtà contribuisce a nascondere

«Io dico sì a tutto, per non farmi dare del negazionista.»

di Wu Ming

Video “virali” del tizio o della tizia che gliele canta ai «negazionisti»; titoloni sul pericolo «negazionisti»; invettive contro i «negazionisti»; satira sui «negazionisti», grasse risate! I «negazionisti» sono ovunque, ed è colpa loro se le cose vanno male. Ecco allora i nostri eroi, i prodi che li contrastano, gettando loro guanti di sfida: «Vengano in terapia intensiva, i negazionisti!»

Sono sfide a nessuno, invettive contro fantasmi, colpi sparati nella nebbia. Chi sarebbero i «negazionisti»? Sì, esistono frange secondo cui la pandemia sarebbe finta, ma sono ultraminoritarie. In genere, nemmeno chi è aperto a fantasie di complotto su Bill Gates, i vaccini e quant’altro nega che sia in corso una pandemia e che il virus uccida. E allora di chi si sta parlando?

Il termine «negazionista» ha ormai una storia pluridecennale. Coniato negli anni Ottanta per definire personaggi come David Irving, Robert Faurisson o Carlo Mattogno, secondo i quali nei lager nazisti non sarebbero esistite camere a gas né sarebbe avvenuto alcuno sterminio sistematico di ebrei e altri prigionieri, in seguito è stato esteso a sempre più ambiti, diventando un’arma nelle culture wars del XXI secolo. Prosegui la lettura ›