Fini, Bersani e la Madonna

La discussione in calce al primo post sul «Potere Pappone» non accenna a spegnersi e nemmeno a calare di intensità. Nel momento in cui scriviamo, siamo intorno ai 350 commenti e il livello è davvero molto alto. Nel frattempo, sono accadute due cose che, se possibile, mettono altra carne al fuoco. O meglio: cucinano in modi inattesi gli stessi ingredienti, fornendo ulteriori spunti, esempi, chiavi di lettura.
Lunedì scorso, nel prime time di Rai 3, è andato in onda il «doppio elenco» di Fini e Bersani sui valori della destra e della sinistra.
Ieri sera siamo andati alla prima bolognese dell’ultimo film di Guido Chiesa, Io sono con te. Prosegui la lettura ›

Loop, Stephen King, Pontiac, Tolkien, Foucault e altro

E’ uscito in edicola e in libreria il n.10 della rivista Loop, bimestrale di culture, linguaggi e conflitti dentro l’apocalisse. Si intitola “Giù la testa! Diritti e identità in saldo” e sull’immagine di copertina campeggia una frase di Don Wislow: “Si diventa ciò che si odia”. Il video qui sopra è il trailer.
Consigliamo l’acquisto perché contiene molti ottimi articoli, su concetti e argomenti che negli ultimi tempi abbiamo trattato anche qui.
Segnaliamo, in particolare, il pezzo di Mario Tronti, “Fenomenologia di Sergio Marchionne”, quello di Aldo Bonomi su “La piccola transizione italiana” e la riflessione di Andrea Fumagalli e Sergio Bologna sui lavoratori autonomi “di terza generazione”. Prosegui la lettura ›

Note sul “Potere Pappone” in Italia, 1a parte: Berlusconi non è il padre

di Wu Ming 1

0. Una premessa necessaria

Qui, ahimè, verrà usato il nome “Berlusconi”. Lo so, non ne potete più di sentirlo nominare. D’altronde, ritengo che il giochino di non nominarlo proprio mai, di usare solo l’iniziale “B.” o il pronome “Lui” (o addirittura nemmeno quelli), sia non solo snobistico e stucchevole ma, puntando i riflettori sulla sua assenza, finisca addirittura per ribadirne e amplificarne la presenza. Mi sembra sia quello che ha voluto dire Giovanni De Mauro sull’ultimo numero di Internazionale (n. 871, anno 18, 5/11 novembre 2010). Nell’editoriale Berlusconi non viene mai nominato… per dimostrare che è sempre con noi:

«Quel che è peggio è che ci ha colonizzato […] Ha colonizzato anni della nostra vita, ore e ore delle nostre conversazioni, delle nostre attenzioni, dei nostri interessi. Ha colonizzato perfino i sogni. Ha colonizzato la nostra vita privata e la nostra mente. I suoi guasti continueranno a farsi sentire a lungo, affioreranno nei tic, nei modi di dire, nei gesti. Anche per questo, prima ce ne liberiamo e meglio è.»

Tanto vale nominarlo, allora. E, nominandolo, dire che non si tratta dei “suoi” guasti, ma dei nostri.
Questa è la chiave per leggere quel che segue: “Berlusconi” non è solo  Berlusconi, individuo in carne e ossa. Prosegui la lettura ›

Animale di montagna. Harry Villegas, nome di battaglia “Pombo”


Spesso ciò che viene consegnato alla memoria come la fine di una vicenda è una costruzione intellettuale, un concetto. La realtà assomiglia più a un processo che a una collezione di fatti. Difficile, quasi arbitrario definire il principio e la fine. Sarebbe forse più giusto parlare di sorgere e declinare, di manifestarsi e di esaurirsi. Certo è che nelle vicende che costruiscono la storia degli uomini sarebbe difficile orientarsi senza definire coordinate. Senza un’idea di fine e di inizio, risulta impossibile applicare nozioni di ordine morale. Spesso la Fine è esemplare.
Prendiamo la vicenda di Ernesto Guevara in Bolivia. Il Che e i suoi, la guerriglia. La cattura. L’assassinio. La fine tragica, che determina il sorgere dell’icona cristologica. Siamo tutti d’accordo nel dire che la fine del Che è l’inizio della sua leggenda. Questa dinamica –fine che è anche inizio su un altro livello- ci è nota, la percepiamo come evidente, è quasi luogo comune.
Ma nella vicenda di Ernesto Guevara e dei suoi c’è qualcosa di concreto, di vivente, che sfugge alla morte, quel concetto che scambiamo per un fatto e che per noi è la fine per eccellenza. Qualcosa, o meglio, qualcuno: Pombo, Benigno, Urbano. Prosegui la lettura ›

Per conoscere Furio Jesi. Un’anteprima

Riga 31
Furio Jesi
a cura di Enrico Manera
e Marco Belpoliti
Presto in libreria  (2a metà di novembre)

LibreriauniversitariaLafeltrinelliUnilibrobol.itibs.it .
.

LA QUARTA DI COPERTINA

Mitologo, germanista, storico, traduttore, critico, militante, Furio Jesi (1941-1980) è stato uno studioso dai molti interessi e insieme uno straordinario scrittore. Scomparso a soli trentanove anni, Jesi si è dedicato in modo originale alla storia delle religioni, all’antropologia, alla filosofia, alla critica letteraria, alla traduzione, con un’intensa attività saggistica sul mito nel mondo antico, sulle sue sopravvivenze moderne e sulla sua “tecnicizzazione” politica nel corso del Novecento. Contro l’ideologica nozione di “mito”, ha coniato la definizione di “macchina mitologica”: produzione di “materiali mitologici” che legittimano il potere e ne stabilizzano l’identità. Di questa macchina, attiva nel XX secolo e non solo, ha colto la portata estetica e la capacità di generare nel medesimo tempo spazio letterario, immaginario e utopia, e soprattutto esperienze alternative e irrinunciabili che illuminano l’esistenza. La sua opera è una continua riflessione sulla cultura, sulla costante presenza della sfera mitica e sul suo valore politico e sociale. A trent’anni dalla scomparsa il suo “girare in cerchio” intorno al nesso tra sacro, potere e letteratura è più che mai attuale e offre strumenti per leggere i nostri anni. Prosegui la lettura ›

Live in Pavia, 2010 (preceduto da alcune note sul “frattempo”)

Premessa: alcune cose che ci frullano in capo

Abbiamo parlato più volte, qui su Giap, della necessità di un “frattempo”, un tempo nostro, sfasato e autonomo rispetto alle aggressioni della cronaca, dell’opinionismo, delle storie tossiche, delle voghe culturali. Un tempo non ansiogeno, che accolga in sé e rallenti pressioni e sollecitazioni, e ne smorzi l’impeto per rielaborarle. Lavorare con lentezza. Questo per non ridurci, come dice Alain Badiou, a topi:
«Topo è chi, tutto all’interno della temporalità dell’opinione, non può sopportare d’attendere […] Topo è chi ha bisogno di precipitarsi nella temporalità che gli viene offerta, senza essere affatto in grado di stabilire una durata propria.»
L’aria è piena del suonar di pifferi che ci richiamano in quanto topi.  Topo è anche il “tuttologo”, chi si precipita a farsi un’opinione su qualunque fatto, per gettarla subito in pasto al mondo. Topi sono certi “attivisti da click” che aprono gruppi su Facebook su qualunque cosa accada e montano campagne immaginarie su pseudo-eventi. La rete è piena dei “fossili” di cose fatte in fretta e poi abbandonate. Topo è lo scrittore che risponde a domande su qualunque argomento, a prescindere dalla conoscenza che ne ha. Topo è chi non si prende il tempo di elaborare e riflettere.
La “tentazione-topo” si presenta tutti i giorni, quando hai un blog molto seguito. Alla vigilia di ogni post che non sia “di attualità” (a pensarci bene, che espressione insensata!), noi ci chiediamo: “Ma possiamo davvero non parlare della tal altra cosa?”, oppure: “Che impressione diamo se, mentre succede la cosa X e tutti se ne occupano, noi pubblichiamo un post su tutt’altro?”
Prosegui la lettura ›