L’articolo che proponiamo è tratto dall’ultimo numero di Nuova Rivista Letteraria, semestrale di letteratura sociale fondato da Stefano Tassinari e pubblicato dalle Edizioni Alegre. Il n.4 della nuova serie è interamente dedicato al linguaggio, alle ideologie che lo informano, alle sue potenzialità inesplorate, ai suoi usi (anche) politici. Tra gli autori, oltre ai redattori “storici” e ad Alberto Prunetti, ci sono Giuliano Santoro, Girolamo De Michele, Selene Pascarella, Claudio Dionesalvi, Wolf Bukowski… Clicca sulla copertina per leggere l’indice e, se ti va, abbonarti. Due numeri all’anno costano 15 euro (20 se richiedi la spedizione via corriere).
di Alberto Prunetti *
0. Ieri: la lingua del duce
Le retorica teatrale di Mussolini ̶ perentoria, decisionale, volontaristica, carica di iperboli e di allitterazioni ̶ non doveva convincere ma sedurre: era magia fonetica priva di semantica. Il suo lessico era povero di elementi tecnici ma carico di velleità nominaliste che attingevano ora dal registro spiritualista («idea», «fede», «martirio», «comunione», «credere»), ora da quello militarista («combattere», «battaglia»), come dal volontarismo dell’azione («audacia», «dinamico», «formidabile», «osare»…). Quanto alla sua ironia, era una sarabanda fonetica che irrideva la vittime e strizzava l’occhio al carnefice: suffissi e postfissi, meta e –iolo, «ultrascemo» e «panciafichista», «partitante» e «schedaiolo». Le maiuscole abbondano, come le equazioni farneticanti: «Fascismo uguale Combattimento, uguale Vittoria», con l’enfasi militarista e guerrafondaia. Dopo l’autarchia linguistica, sono guardati con sospetto i forestierismi: «tassellato» per «parquet», «arlecchino» per «cocktail», «scialle da viaggio» per «plaid». Un repertorio indigesto che include la deformazione del nome del nemico; la posa pseudo-dotta satura di latinismi dannunziani, che alimentano l’immagine littoria e imperiale del regime; la confusione ideologica, con la capacità di arruffare dalla semantica di ogni campo ideologico, con l’occupazione strategica e lo svuotamento del campo semantico della sinistra, con la parola «rivoluzione» che viene adottata per privarla di senso. Ecco la «rivoluzione fascista», ovvero una reazione borghese antirivoluzionaria. Ecco la pretesa di andare oltre le vecchie ideologie, «l’essere né di destra né di sinistra», che è il metodo più furbo per far transitare a destra concetti della sinistra, privando quest’ultima di forze e di consenso. Con uno sforzo risibile la lingua si sforza di maschilizzarsi. È una lingua alla ricerca della virilità, proposito che la trasforma pateticamente in lingua morta, piena di forme logore e fatiscenti. Con la decadenza del progetto fascista e la fase cruenta dell’infame Repubblica sociale, l’effetto perlocutivo è spinto all’estremo nel tentativo di «rimettere in riga» e disciplinare in maniera paternalista gli italiani, trasformandoli in soldatini, trattandoli come bambini impertinenti, comunicando al tempo stesso l’immagine di un potere politico che non vuole rappresentarsi allo sbando: un potere risolutivo, imperativo, decisionale, esecutivo. In realtà un potere fantoccio dei nazisti. Prosegui la lettura ›