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Non è «maltempo», è malterritorio. Le colpe del disastro in Emilia-Romagna

Aggiornamento 29/05/2023: dopo quest’articolo scritto a caldo, mentre ancora pioveva,
 qui una nostra prima inchiesta su post-alluvione e crisi climatica.


malterritorio romagnolo

La narrazione che imperversa sulle alluvioni in Emilia-Romagna è  tossica e nasconde le responsabilità reali. Responsabilità che non sono del «meteo». E nemmeno, genericamente, del «clima», termine usato da amministratori e giornalisti più o meno come sinonimo di «sfiga».

Le piogge di questi giorni stupiscono, sembrano più eccezionali di quanto non siano, perché arrivano dopo un inverno e un inizio di primavera segnati da una protratta, inquietante siccità. E di per sé non sarebbero affatto «maltempo», concetto fuorviante, deresponsabilizzante e dannoso. Come diceva John Ruskin, «non esiste maltempo, solo diversi tipi di buontempo». A essere mala è la situazione che il tempo trova.

Veniamo da lunghi mesi a becco asciutto: montagne senza neve, torrenti e fiumi tragicamente in secca, vegetazione e fauna in grave sofferenza, contadini disperati, prospettive cupe per l’estate prossima ventura (già quella scorsa è stata durissima)… In teoria, le piogge dovremmo accoglierle con giubilo. Prosegui la lettura ›

Di nuovo in marcia: Alpinismo Molotov, il territorio aggredito, i sollevamenti della terra

I sollevamenti della terra, manifesto.

Dal 2014 il logo di Alpinismo Molotov mostra il profilo di una montagna dentro una bottiglia incendiaria con lo stoppaccio pronto a essere acceso.

Oggi andare in montagna vuol dire questo: attraversare un territorio infiammato e febbricitante, un paesaggio in pieno sconvolgimento. Il surriscaldamento causa siccità, provoca crolli e stragi e appicca incendi quasi indomabili.

Tutto questo ha ripercussioni atroci in pianura. La Marmolada che viene giù e l’Adriatico che risale il Po in secca – l’acqua salata ha già raggiunto Taglio di Po, tra pochi giorni arriverà a Bottrighe – sono due immagini della stessa crisi.

Il territorio si trasforma rapidissimo, mostrandosi sempre più fragile. Eppure il capitalismo non smette di aggredirlo. In montagna lo fa con nuovi trafori, nuovi impianti di risalita, nuove colate di asfalto e cemento, nuove cattedrali nel deserto di roccia, nuovi «grandi eventi».

Un tempo «andare in montagna» volle dire unirsi alla guerra partigiana. Anche oggi per noi l’andare in montagna è legato al conflitto. Rifiutiamo una pratica alpinistica ed escursionistica presuntamente “pacificata”. Siamo dentro una bottiglia incendiaria, e si va in montagna per esserne sempre più consapevoli. Consapevoli che il nemico, l’invasor, è il capitalismo.

Dopo un rallentamento post-pandemico, Alpinismo Molotov annuncia la propria ripartenza. Lo fa sul suo blog, riprendendo i fili di molti discorsi e comunicando la propria adesione a «I sollevamenti della terra», la marcia contro le grandi opere che nei giorni dal 2 all’11 settembre attraverserà il territorio bolognese, dalla Bassa al Corno alle Scale (quota 1945).

Oltre alla marcia, ci saranno altre camminate a tema organizzate direttamente da AM, che le annuncerà e spiegherà nei prossimi giorni e settimane. Il blog torna in piena attività, ci si rimette in cammino. Buona lettura.

A proposito del Po in secca, dell’«emergenza idrica» e di come raccontare quel che sta accadendo

Questa foto è del 2017.

Ci investe l’ennesima ondata di immagini del Po in secca, e ogni volta i media fingono stupore. Si parla di «emergenza idrica», ma l’espressione evoca uno stato di improvvisa eccezionalità ed è perciò falsante, sottilmente eufemistica e diversiva.

Ricordiamo che il futuro del Po, del suo delta, delle terre che circondano il suo corso tra Emilia e Veneto è proprio il tema del progetto Blues per le terre nuove, che Wu Ming 1 ha descritto qui.

Ricordiamo l’apparente paradosso di quel territorio: la siccità, insieme alla subsidenza del suolo e ad altre dinamiche in corso, agevola l’ingresso dell’Adriatico, che nel frattempo si innalza per lo sciogliersi dei ghiacci polari. La mancanza d’acqua prefigura un mondo sommerso. Di questo non parla nessuno. Riportiamo alcuni stralci del testo linkato sopra:

«L’Adriatico reclama già la costa. Ogni tanto divora decine di metri di spiaggia in un sol colpo irrompendo negli stabilimenti balneari. Lo fa sempre più spesso. In una di quelle occasioni, nell’inverno 2018, sul quotidiano La Nuova Ferrara ho letto l’ossimoro “fenomeni eccezionali sempre più ricorrenti”.

L’Adriatico reclama i corsi dei fiumi. Il Po è indebolito dalla siccità, dalla scomparsa dei ghiacciai e nevai alpini, dall’incuria… Durante l’estate il mare è più alto e più forte, e risale il fiume per chilometri e chilometri, creando problemi all’agricoltura – con quell’acqua non puoi irrigare i campi – e pericoli per la falda potabile. Nel 2017 l’intrusione ha toccato i diciotto chilometri, superando l’asta della Romea. Il record risale però al 2006, quando l’ingressione fu di trenta chilometri e mandò in tilt l’acquedotto di Taglio di Po. Dai rubinetti usciva acqua salata. Prosegui la lettura ›

Non basta tornare a parlare di clima, conta il come torniamo a parlarne. Primi appunti (post-pandemia e dal Delta padano)

La ricerca degli iconemi. Una delle cornici-capitolo della presentazione multimediale «Blues per le terre nuove».

PREMESSA: UN PERICOLO, DUE EMERGENZE, UN RISCHIO

Il testo che segue è stato scritto nell’estate 2020, durante la prima “tregua” concessa dall’emergenza pandemica, e pubblicato nell’ottobre successivo come saggio introduttivo a Quando qui sarà tornato il mare, romanzo «a mosaico» scritto dal gruppo Moira Dal Sito.

Il libro – risultato di un laboratorio su crisi climatica e scrittura collettiva che ho tenuto nel Basso Ferrarese – è arrivato in libreria in un momento sfortunato, mentre l’angoscia riscendeva le pareti del pozzo e, dopo le parziali riaperture estive, si tornava a chiudere tutto. Ogni attenzione era sui numeri della «seconda ondata» e  qualunque altro discorso era destinato a infrangersi contro l’Emergenza. Non è stato possibile organizzare presentazioni e l’esperimento – parte del progetto Blues per le terre nuove – ha attirato poca attenzione.

Ora la questione climatica è tornata in primo piano e ripartono le mobilitazioni sul tema, che è il tema dei temi, perché noi viviamo nel clima. Il clima è sempre stato la precondizione di ogni attività umana, di ogni modo di produzione, di ogni civiltà e società.

Forse è un buon momento per proporre quel testo su Giap, e riprendere i fili di Blues per le terre nuove.

Blues per le terre nuove è un progetto la cui fase preliminare è partita nel 2017 e che mi terrà impegnato ancora per diversi anni, probabilmente per tutti gli anni Venti. È imperniato sulla storia e la geografia del grande Delta del Po, in particolare del Basso Ferrarese, e sui modi in cui i cambiamenti climatici permettono di rivisitare tale storia. Quei territori, infatti, sono destinati a essere sommersi – con un’ingressione dell’Adriatico fino a trenta chilometri dalla costa – da qui alla fine del secolo. Dove la terra fu strappata all’acqua in secoli di bonifiche e ingegnerizzazione del territorio, l’acqua tornerà a regolare i conti.

Blues per le terre nuove è partito come idea per un libro, un «oggetto narrativo non-identificato» a tema geografico, sulla scia di Point Lenana e Un viaggio che non promettiamo breve. Nel tempo, però, si è trasformato in un progetto più articolato e transmediale, fatto di performances, esplorazioni, reportages, laboratori di scrittura, autoproduzioni letterarie e audiovisive… e opere «di avvicinamento» al libro vero e proprio, che includono anche un sequel de La macchina del vento.

Si tratta di lavorare sullo sguardo di chi scrive, forzarlo, usare la letteratura per sperimentare diversi modi di raccontare la crisi climatica. Raccontarla partendo dal territorio e dalla storia dei conflitti che lo hanno plasmato e strutturato. Un approccio che combatta rimozioni e diversivi, faccia a meno del fatalismo, non si esaurisca nella distopia, dia profondità di campo connettendo tra loro le epoche, e soprattutto tenga i piedi sulla strada. Anche con l’acqua già alle ginocchia. Un contributo peculiare – quello che sempre può dare la letteratura, persino quella che sembra art pour l’art – alla lotta generale.

Lotta che, non facciamoci illusioni, si farà più difficile. Prosegui la lettura ›

Dalla pandemia virale a quella di Opere Dannose & Inutili. Un monito dal Corno alle Scale.

Il lago Scaffaiolo e il Rifugio Duca degli Abruzzi.

Il cosiddetto “sviluppo sostenibile”, in Italia, ha da sempre un andamento altalenante: quando il piatto piange, le tasche sono vuote e bisogna accontentarsi del poco che c’è, allora la necessità può diventare virtù, e qualche progetto benemerito vedere la luce; non appena però si profilano all’orizzonte fondi sostanziosi, finanziamenti europei e soldi a pioggia, subito la sostenibilità torna ad essere soltanto una foglia di fico, un paravento retorico, dietro al quale innalzare opere inutili e dannose. Prendete ad esempio il settore del turismo: in tempi di vacche magre, un sindaco di montagna potrà anche convincersi a investire sulla rete dei sentieri, l’ospitalità diffusa, le produzioni locali, i cammini storici, il paesaggio. E pure questo non senza contraddizioni, con il pacchetto vacanze nell’antico borgo venduto come se fosse un soggiorno all-inclusive al Club Med, col vino rosso al posto del mojito e le faggete invece della barriera corallina. Ma lasciate che quel sindaco annusi l’odore della grana, di un bando che si sblocca o di un imprenditore che mette mano al portafogli, ed ecco che torneranno in pista gli impianti di risalita, le grandi strutture ricettive, i bob a rotaia e tutto l’immancabile luna park d’alta quota, ad uso e consumo di chi sta in città e ha denaro da spendere. Eppure, nonostante  l’inversione di marcia, si continuerà a sbandierare un grande impegno “per rispettare l’ambiente”, fingendo che non ci sia contraddizione tra il piano B per quando si era poveracci e quello adatto alla nuova, insperata liquidità. Anzi: i risultati ottenuti col primo verrano esibiti come un lasciapassare verde per il secondo. Prosegui la lettura ›

L’Appennino ferito e i miraggi dello sci. Il caso del Corno alle Scale.

Il lago Scaffaiolo sul Corno alle Scale

Venerdì 12 marzo, sul nostro canale Telegram, abbiamo segnalato la raccolta fondi Questa è la VIA!, promossa dal comitato “Un altro Appennino è possibile”. L’iniziativa ha lo scopo di incaricare un legale che presenti ricorso al TAR, in merito al progetto di una nuova seggiovia quadriposto, nel Parco del Corno alle Scale, approvato dalla Regione Emilia-Romagna senza nemmeno una Valutazione di Impatto Ambientale.

Il comitato si proponeva di raggranellare 7000 euro in ventun giorni. In ventiquattr’ore ne ha incassati più della metà, con 160 sottoscrizioni. Lunedì 15, dopo tre giorni esatti, l’obiettivo era già raggiunto. Mentre scriviamo queste righe, il crowdfunding ha superato gli 11mila euro, con più di 400 persone che lo hanno sostenuto. L’eccedenza, rispetto alla cifra minima prevista, servirà per far fronte agli inevitabili imprevisti e per organizzare nuove azioni in seguito al ricorso. Nel frattempo, alle associazioni che fin dall’inizio aderivano al comitato, se ne sono aggiunte altre, in un’alleanza senza precedenti tra tutti i principali soggetti che si occupano di escursionismo, ambiente e montagne sul territorio regionale.

Questo straordinario risultato va ben al di là del caso specifico e delle sue ricadute locali. Ci sembra l’indizio di una mutata sensibilità, sia nel rapporto tra metropoli e terre alte, sia in quello tra i cittadini e le amministrazioni pubbliche. Prosegui la lettura ›

«Quando qui sarà tornato il mare». Scrittura collettiva per pensare e immaginare il disastro climatico (nel Delta del Po)

Clicca sull’immagine per aprire la copertina completa (con quarta e bandelle). Per ordinare il libro, clicca qui.

L’8 ottobre arriva in libreria, pubblicato da Alegre, Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende, del collettivo Moira Dal Sito. Un «romanzo di racconti», scritto da una ventina di autrici e autori. È il risultato di un laboratorio su cambiamento climatico e scrittura collettiva coordinato da Wu Ming 1 nella biblioteca comunale di Ostellato, basso ferrarese, nel 2018-2019 (con una coda fin dentro il 2020).

Il laboratorio era parte del progetto transmediale di WM1 Blues per le terre nuove, progetto che durerà diversi anni.

Si tratta della prima uscita editoriale di Alegre dopo il furto con effrazione che ha rischiato di affossare la cooperativa… e la straordinaria manifestazione di affetto e solidarietà che le ha permesso di tirare un sospiro di sollievo e ripartire più forte di prima.

L’obiettivo del crowdfunding era diecimila euro in un mese. Ne sono arrivati ventimila in dieci giorni. Più di cinquecento persone hanno deciso di sostenere Alegre in questo modo, e noi le ringraziamo. Ricordiamo che la sottoscrizione resterà aperta ancora per una settimana.

A seguire:
■ il testo che appare sul risvolto di Quando qui sarà tornato il mare;
■ un frammento del testo introduttivo di Wu Ming 1;
■ il link per ordinare il libro sul sito dell’editore (ma chi può lo compri in una libreria indipendente).

Precisiamo che l’operazione è un benefit: curatore, autrici e autori devolveranno tutte le royalties ad associazioni e movimenti attivi sul fronte del disastro climatico.

In coda al post, e indipendente dal libro, un frammento wuminghiano, una «considerazione inattuale» su quanto avviene in questi giorni. Prosegui la lettura ›