Ci risiamo, si dice.
E purtroppo ci risaremo. Ancora e ancora, finché non si farà marcia indietro rispetto alle scelte che continuano a violentare il territorio. Prosegui la lettura ›
Ci risiamo, si dice.
E purtroppo ci risaremo. Ancora e ancora, finché non si farà marcia indietro rispetto alle scelte che continuano a violentare il territorio. Prosegui la lettura ›
[Sabato 25 maggio i movimenti bolognesi per il diritto alla città hanno scritto un nuovo, importante capitolo della loro avventura. Un convegno intitolato: «Il Don Bosco fa scuola. Dalle Besta, il futuro di Bologna», dove «Don Bosco» è il nome di un parco pubblico, «Besta» quello di una scuola media, e «Bologna» quello di una città che vuole a tutti i costi essere “attrattiva”: per il turismo mangia e fuggi, per la logistica, per l’edilizia, per gli studentati da 800 euro al mese, per le compagnie aeree, per il traffico su gomma, per le imprese energivore, per la rendita urbana, per chi se la può permettere.
Come abbiamo già raccontato diverse volte, alla fine di gennaio il Don Bosco è diventato una piccola ZAD – zone à defendre – con tanto di casette sugli alberi e tenda-presidio per colazioni collettive. Il Comune vorrebbe demolire la vecchia scuola Besta, al centro del parco, per costruirne una nuova, sempre nello stesso polmone verde, ma in posizione più defilata, con un inutile consumo di suolo, arboricidio e sperpero di denaro pubblico (18 milioni di euro: 2 dal PNRR, il resto accendendo un mutuo). L’alternativa più ovvia sarebbe quella di ristrutturare l’edificio esistente, con gli stessi vantaggi (risparmio energetico, capienza, stabilità sismica, eliminazione di barriere architettoniche), con un terzo dei costi e senza devastare l’ambiente.
Dopo il tentativo di sgomberare il presidio a manganellate, per fare spazio al cantiere, la giunta Lepore – Clancy ha proposto al comitato Besta di ridiscutere il progetto, salvo poi precisare che la nuova scuola si deve fare, che la ristrutturazione è improponibile, che tutt’al più si può trovare il modo per ridurre i danni sul parco, e un mezzo milione di euro per curarlo dopo il massacro. Il tavolo, viste le premesse, è saltato nel giro di due incontri.
Nel frattempo, però, il comitato aveva raccolto una gran mole di materiali, analisi e pareri, confrontandosi con chi studia il clima, il suolo, gli alberi, la biodiversità, l’architettura scolastica, le leggi urbanistiche. Per condividere questi saperi con la città, un primo passo è stato l’organizzazione del convegno di sabato. Titolo di Repubblica, il giorno dopo: «Irriducibili No Besta. Ora ci prova Clancy:”Venite a trattare”». Da notare il rovesciamento della realtà, con l’etichetta «No Besta» appioppata a chi propone di salvare la scuola, e il parco che la circonda, mentre la giunta vuole abbatterla («No Besta!») e costruirne un’altra, con un altro nome («Quattro Foglie»). Significativa anche l’enfasi sulla presenza in sala della vicesindaca, a testimoniare la volontà di trovare un accordo con gli irriducibili, altro termine attribuito rovesciando le parti, perché è proprio il comune, rappresentato da Clancy, a non voler ridurre i costi, gli impatti, gli alberi abbattuti, il suolo consumato, i cantieri e l’arroganza.
Ad aprire il convegno è stato invitato Wu Ming 2, che ha proposto un’analisi delle 10 strategie con le quali la giunta bolognese si è sforzata di inverdire la pillola di un progetto insensato. Per farlo, ha utilizzato le ricerche svolte in questi mesi dal Comitato Besta e dall’intelligenza collettiva che difende il parco don Bosco. Ecco il testo del suo intervento. Lo si può anche ascoltare qui.] Prosegui la lettura ›
[Dopo aver letto la nostra inchiesta in due puntate – qui: uno e due – sulle frottole in salsa verde dell’attuale giunta bolognese, il Comitato Besta – impegnato in una delle lotte territoriali più incisive degli ultimi mesi, quella contro l’abbattimento delle scuole medie Besta e di parte del parco Don Bosco che le ospita – ha scritto una terza puntata e ce l’ha inviata.
L’articolo ricostruisce la vicenda e termina invitando alla manifestazione che si terrà sabato 16/12. Volentieri lo pubblichiamo, con questo addendum scaricabile in pdf: l’analisi del caso Besta che Fausto Bonafede, esperto del WWF, ha inviato il 27 novembre scorso all’amministrazione comunale e alla Soprintendenza alle belle arti. N.B. Le didascalie delle immagini sono nostre.
Buona doppia lettura. WM]
di Comitato Besta
Nella «città più progressista d’Italia», come enfaticamente il sindaco Matteo Lepore definisce Bologna, lo capisce anche un bambino che non c’è nulla di «green» nell’abbattere una scuola in mezzo a un parco per ricostruirne una nuova a pochi metri di distanza, consumando nuovo suolo per quindicimila metri quadri e abbattendo quarantadue splendidi alberi ad alto fusto da anni curati da un’associazione di residenti, il Comitato Don Bosco.
Si devasta così un’area verde frequentata e amata dai cittadini e dagli abitanti del quartiere, un polmone nella sempre più cementificata zona Fiera dove l’aria che si respira è tra le più inquinate d’Europa.
Eppure l’assessore ai lavori pubblici sostiene che a fine opera «il parco sarà più bello di prima» e se lo dice lui, che ci abita di fronte, come dubitarne?
Il Progetto delle nuove scuole medie Besta, nel quartiere San Donato, è un chiarissimo e concreto esempio di come la giunta stia distruggendo l’ambiente cittadino, con progetti di intervento che sembrano riportarci al secolo scorso, quando cantieri e cemento significavano – nel senso comune – progresso e benessere, ecologia era una parola sconosciuta ai più e quasi nessuno si preoccupava degli alberi in città.
Il paradigma dominante era quello della crescita infinita. La giunta bolognese è rimasta lì, come se nel frattempo non fosse cambiato nulla. Il sindaco Dozza aveva fatto la tangenziale, ora Lepore e Bonaccini la raddoppiano, convinti, come nei favolosi anni Sessanta, che più macchine girano più il popolo sta bene. Prosegui la lettura ›
di Wu Ming
Sta facendo cerchi nell’acqua – l’acqua sporchissima del post-alluvione – la notizia dell’ultimo blitz pro-cemento della giunta regionale emiliano-romagnola, quella capeggiata da Stefano Bonaccini.
Blitz fatto ad agosto, come da cliché, quando l’attenzione generale, tra canicola e vacanze, perde colpi. Infatti il caso è esploso un mese più tardi: prima una lettera di Italia Nostra poi un articolo di Paolo Pileri su Altreconomia hanno attirato l’attenzione su questa mossa esecranda. Prosegui la lettura ›
di Wu Ming
«Le acque stan via anni e mesi, poi tornano ai loro paesi.»
«L’acqua rosica anche il ferro.»
(Proverbi delle terre del Delta padano)
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La narrazione che imperversa sulle alluvioni in Emilia-Romagna è tossica e nasconde le responsabilità reali. Responsabilità che non sono del «meteo». E nemmeno, genericamente, del «clima», termine usato da amministratori e giornalisti più o meno come sinonimo di «sfiga».
Le piogge di questi giorni stupiscono, sembrano più eccezionali di quanto non siano, perché arrivano dopo un inverno e un inizio di primavera segnati da una protratta, inquietante siccità. E di per sé non sarebbero affatto «maltempo», concetto fuorviante, deresponsabilizzante e dannoso. Come diceva John Ruskin, «non esiste maltempo, solo diversi tipi di buontempo». A essere mala è la situazione che il tempo trova.
Veniamo da lunghi mesi a becco asciutto: montagne senza neve, torrenti e fiumi tragicamente in secca, vegetazione e fauna in grave sofferenza, contadini disperati, prospettive cupe per l’estate prossima ventura (già quella scorsa è stata durissima)… In teoria, le piogge dovremmo accoglierle con giubilo. Prosegui la lettura ›
«Ogni albero ha il suo nemico, pochi hanno un avvocato.»
J.R.R. Tolkien
Nei primi mesi di quest’anno, Bologna e l’Emilia-Romagna sono state spesso sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, per via del duello tra il presidente della Regione Stefano Bonaccini e la vicepresidente Elly Schlein. In gioco, la carica di segretario del Partito Democratico. Molto inchiostro s’è versato per rimarcare le differenze tra i due, e la vittoria della candidata più giovane ha rinfocolato le speranze in una svolta ambientalista del PD.
Come abbiamo già scritto altre volte, si tratta di una fiducia mal riposta.
L’Emilia-Romagna e il suo capoluogo sono terra di industrie e di interessi economici che marciano compatti in direzione opposta rispetto alla tutela degli ecosistemi, alla riduzione del riscaldamento globale, al tentativo di fermare lo stravolgimento del clima.
Si va dalla Motor valley di Lamborghini, Ferrari, Maserati e Ducati alla Packaging valley degli imballaggi di plastica (centinaia di aziende tra Bologna e Reggio Emilia), fino alle innumerevoli death valley degli allevamenti concentrazionari di polli, vacche e maiali.
Il PIL della Regione dipende dagli hub della logistica che divorano suolo da Piacenza a Rimini, dalle cooperative di muratori trasformate in enormi finanziarie del cemento, dalla grande distribuzione di Coop Adriatica, dall’agritortura intensiva del piano padano, dal turismo insostenibile della Riviera e da quello energivoro dello sci d’Appennino.
La classe dirigente emiliano-romagnola viene selezionata per difendere quest’economia. Possono cambiare le retoriche, possono colorarsi di verde le parole, ma non si vedono eccezioni alla regola, comprese le nuove leve, i pesci piccoli, i «civici» coalizzati con la maggioranza, gli antagonisti convertiti al leporismo. Prosegui la lettura ›