La nuova passione dei giornali italiani a reti unificate e dei governatori sceriffi sono le fotografie di «assembramenti». Funziona così: prendi una via lunga tipo seicento metri, con qualche bancarella di ortofrutta, una farmacia e un piccolo supermercato. Sabato mattina, possibilmente. Ti piazzi a un estremo e scatti col teleobiettivo a 200 o 300 mm, o con lo zoom digitale, in modo che la prospettiva risulti schiacciata: il palazzo là in fondo è come se ce l’avessi davanti alla faccia, e le trenta persone che ci sono – e in seicento metri stanno alla giusta distanza – le schiacci e comprimi in una scatola di acciughe, con un effetto ottico che te le fa sembrare una folla. Prosegui la lettura ›
Sul terrore a mezzo stampa: «Il virus è nell’aria», un titolo che farà molti danni
Su Repubblica online di oggi compare un articolo intitolato «Il virus circola anche nell’aria / L’oms si prepara a rivedere le linee guida» illustrato con foto di una mascherina. È anche nell’edizione cartacea, a pag. 5, col titolo ancora più tranchant: «Il virus è nell’aria / Gli Usa: usatele tutti / E l’Oms si prepara a rivedere le norme.»
Poiché su web l’articolo è a pagamento, il titolo è l’unica cosa che la maggior parte dei visitatori leggerà. E penserà che per infettarsi basti uscire di casa senza mascherina.
Noi invece siamo abituati a leggere gli articoli per intero, e se serve a verificarne le fonti. Prosegui la lettura ›
Dalle denunce penali alle supermulte: le nuove sanzioni per chi cammina «senza motivo» analizzate da un giurista (spoiler: di dubbia costituzionalità)
di Luca Casarotti *
Il 22 marzo scorso, nella mia postilla alla testimonianza di Pietro De vivo pubblicata qui su Giap scrivevo:
«per essere per lo meno conformi alla costituzione, [i divieti introdotti con decreto del presidente del consiglio dei ministri dall’inizio dell’epidemia] dovrebbero essere profondamente ripensati. Ciò che il governo, arrivato a questo punto, non può permettersi di fare: non può permettersi di ripensare alcunché, ma non può nemmeno permettersi di trasferire l’esistente in una legge. Sarebbe come ammettere di aver del tutto sbagliato a gestire l’epidemia, dopo oltre un mese dal suo inizio. Sarebbe come dire d’aver scelto strumenti inidonei.»
All’apparenza, il riassetto delle misure di contenimento operato con il decreto legge (d.l.) 25 marzo 2020 n. 19 sembrerebbe smentire la mia previsione. Io invece credo che in larghissima parte la confermi, pur con le precisazioni che farò subito. Prosegui la lettura ›
Cent’anni di isolamento. Come l’«emergenza nomadi» prosegue nell’emergenza coronavirus
di Nexus*
1. Una bufala al quadrato
La voce inizia a gonfiarsi nel penultimo weekend di marzo. Dice che diversi rom provenienti dal campo di Salone e «un rom» residente in una casa popolare del Quarticciolo sono ricoverati allo Spallanzani dall’11 marzo scorso poiché affetti da coronavirus.
La voce diventa notizia, rilanciata da diverse testate, e spinge la Direzione Sanitaria dell’ospedale a specificare – nel bollettino medico del 23 marzo – che «presso questo istituto non sono, allo stato, ricoverati cittadini rom».
Nel mentre, l’Ufficio Speciale Rom di Roma Capitale annunciava imminenti azioni di prevenzione e assistenza rivolte alle baraccopoli romane.
Bastano due giorni per scoprire che il bollettino è falso – tanto quanto la bufala sui «diversi rom» ricoverati. Sulle pagine del Messaggero arriva l’amara notizia della morte di Stanije Yovanovic, il «rom positivo» del Quarticciolo, ricoverato allo Spallanzani 3 giorni prima del fatidico bollettino e ivi deceduto per probabili complicanze dovute al virus. Aveva appena 33 anni ed è la più giovane vittima di Sars-Cov2 del Lazio. Prosegui la lettura ›
Sisyphus. Il devastante impatto dell’emergenza coronavirus su librerie e case editrici
[Per una volta, anche noi «partiamo da noi». Siamo scrittori. Da vent’anni circa siamo “stipendiati” da voi lettrici e lettori. Ogni volta che comprate una copia di un nostro libro, noi riceviamo una percentuale del prezzo di copertina, variabile a seconda dei titoli e dei contratti. Percentuale che dividiamo tra i membri del collettivo, «stecca para per tutti». Quella è la nostra principale fonte di reddito.
Per una radicata convinzione etica e politica che ci accompagna da sempre, i nostri libri sono anche scaricabili gratis da questo stesso blog, magari in cambio di una donazione, spiccioli con cui paghiamo i costi del server e altre spese tecniche; ma abbiamo sempre chiarito che senza le vendite di libri – libri di carta – non camperemmo. E non si parla di “largheggiare”, ma di sbarcare il lunario. In Italia, dove si legge pochissimo, chi scrive libri si rivolge a una ristretta minoranza di potenziali acquirenti.
Questa, in realtà, è la fotografia della situazione prima dell’emergenza coronavirus.
All’incirca un mese fa, tutto il mondo del lavoro culturale è stato sconvolto. Nessuna lavoratrice o lavoratore delle filiere culturali sa se e come riuscirà a superare questa fase. Soprattutto chi era già in condizioni di precarietà, oggi vive nell’angoscia, in un limbo dentro il limbo. Tra non molto, buona parte della working class di quei settori – editoria, musica, cinema, teatro: tutti dichiarati «non essenziali» – sarà letteralmente alla fame.
Per quanto riguarda il nostro comparto, le librerie sono chiuse e non si sa quante riusciranno a rialzare la serranda «dopo»; dentro le case editrici non si sa ancora quali progetti andranno avanti, quali titoli usciranno e in che forma, quali contratti saranno rinnovati, se e quando arriveranno i pagamenti.
E bisogna allargare l’inquadratura, perché intorno alla scrittura e alla pubblicazione di libri si è sempre mosso molto altro. Nella nostra esperienza, è sempre stato centrale l’incontro con lettrici e lettori, indispensabile momento di promozione dei nostri titoli ma anche di confronto, di verifica del lavoro compiuto e ispirazione per il futuro. Eravamo abituati a macinare chilometri, in vent’anni migliaia di incontri pubblici: presentazioni, conferenze, laboratori, corsi, escursioni a tema… E anche reading e spettacoli, che in alcuni casi ci hanno aiutato ad arrotondare i proventi dei romanzi. Ora anche quest’aspetto è congelato. Musicisti, teatranti e circensi con cui abbiamo collaborato in questi anni riusciranno a risollevarsi? E quando e come sarà ancora possibile ritrovarsi in una sala piena di gente a parlare di libri?
È un mondo che è stato spinto in un cono d’ombra, e allora lo raccontiamo, dal punto di vista degli editori e librai indipendenti, con quest’articolo di Pietro De Vivo delle edizioni Alegre.
Colonna sonora consigliata: Pink Floyd, Sisyphus, dall’album Ummagumma, 1969.
Buona lettura. WM ]
di Pietro De Vivo *
1. Una fatica di Sisifo
La sensazione è quella di girare in tondo, compiendo un percorso sempre uguale senza arrivare da nessuna parte eppure facendo uno sforzo enorme. È questo ciò che si prova a lavorare coi libri durante la crisi del Covid-19. Prosegui la lettura ›
L’emergenza Covid-19 vista da Palermo, tra lavoro sociale coi ragazzi e rivolte destinate ad allargarsi
di Totò Cavaleri *
1. «Casa», o quel che ne fa le veci
Scorrendo la lista delle attività che il Dpcm dello scorso 22 marzo definisce come «essenziali», arrivando al codice Ateco 87 si trovano i «servizi di assistenza sociale residenziale». Non c’erano molti dubbi, del resto, sul fatto che la comunità in cui lavoro non avrebbe chiuso, anche perché per i cinque ragazzi italiani e i cinque ragazzi stranieri che ci abitano, quella è l’unica cosa che si avvicina al concetto di «casa».
Anzi, per tutti loro #RestoaCasa vuol dire proprio restare tutto il giorno in comunità. Per carità, di questi tempi, per alcuni versi, è anche meglio. Almeno si sta in compagnia di altri ragazzi e qualche adulto, e di sicuro ci si annoia di meno.
Ma come se già il decreto #RestoaCasa non fosse abbastanza esplicito in merito alle limitazioni individuali per tutti i cittadini, le varie istituzioni con cui abbiamo a che fare si sono preoccupate di scriverci cosa fosse necessario sospendere in modo specifico per i ragazzi della comunità. Prosegui la lettura ›
Ma è vero che nel mondo tutti «fanno come l’Italia»? Il «divieto di jogging o passeggiata» c’è anche altrove? E l’autocertificazione? Abbiamo dato un’occhiata.
di Wu Ming
In questi giorni di emergenza coronavirus, molti organi d’informazione, uomini politici ed «esperti» italiani ci ripetono che «in tutto il mondo l’Italia è un esempio», che tutti i governi – chi prima e chi poi – ci stanno seguendo sulla strada del lockdown con chiusura di scuole, fabbriche, uffici, luoghi pubblici e norme severe di distanziamento sociale.
Ogni volta che un paese entra nella grande famiglia dei «chiusi per Covid-19», parte una specie di ola, di applauso mediatico, a dargli il benvenuto dalla parte giusta del fronte. «Anche la Russia chiude bar e ristoranti!», «Coprifuoco in Ungheria», evviva!
Al contrario, i paesi non-all(in)eati vengono additati come folli, indifferenti alla salute dei cittadini, e ci si prepara a recitare un «noi ve l’avevamo detto», per quando finalmente si renderanno conto di avere sbagliato tutto.
A noi sembra che questa sete di conferme internazionali dimostri in realtà una certa insicurezza, o quantomeno il bisogno di mezzo gaudio nel mal comune.
In realtà, le situazioni dei vari paesi non sono davvero paragonabili, perché sono diversi i sistemi sanitari, le risorse, la demografia, le fonti giuridiche, i territori e i numeri del contagio.
Tuttavia, crediamo sia interessante verificare più da vicino se davvero il «modello Italia» sia stato «imitato in tutto il mondo» e quali siano le principali differenze, specie rispetto alle attività all’aria aperta, alle uscite con i figli e all’utilizzo degli spazi pubblici. Prosegui la lettura ›