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Delta del Po

Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica. Per cambiare gli sguardi e i metodi d’intervento sui territori

L’area nordadriatica occidentale nell’anno 2100 con il mare più alto di 1 metro rispetto a oggi. Mappa interattiva curata dall’artista Alex Tingle a partire dal 2006.

[Tornare nel Delta al tempo della crisi climatica è stato distribuito per la prima volta in forma di opuscolo il 31 ottobre 2024, alla Factory Grisù di Ferrara, durante la prima presentazione del romanzo di Wu Ming 1 Gli uomini pesce. La diffusione del documento è proseguita a novembre, cogliendo le occasioni di altri eventi nel basso ferrarese, in Polesine, nella bassa bolognese. Oggi appare per la prima volta on line e ci auguriamo che viaggi, faccia discutere, solleciti prese di parola in altri territori. Lo ha scritto un’informale e multidisciplinare accolita ed è il primo frutto di un biennio di discussioni, letture condivise e soprattutto erranze nei territori qui descritti. Buona lettura, buoni vagabondaggi. WM

di Sandro Abruzzese (insegnante e scrittore); Marco Belli (insegnante, scrittore e fotografo, direttore artistico di Elba Book Festival); Davide Carnevale (ricercatore e docente di antropologia visuale, Università di Ferrara); Cassandra Fontana (ricercatrice in studi urbani, Università di Firenze); Sergio Fortini (architetto-urbanista, co-fondatore di Metropoli di Paesaggio); Marco Manfredi (attore, viandante, studioso dei rapporti tra cinema, narrazioni e territorio); Michele Nani (storico, ricercatore Consiglio Nazionale delle Ricerche – Ferrara); Giuseppe Scandurra (antropologo, Università di Ferrara) e Wu Ming 1 (scrittore e saggista, originario del Basso Ferrarese)

Si tramanda che nel secolo scorso, nelle miniere di carbone di varie parti del mondo, a fronte del pericolo rappresentato dal grisù e in assenza di sistemi di ventilazione, i minatori portassero con sé un canarino in gabbia. Molto più piccolo e dunque più sensibile al gas, il canarino cominciava ad agonizzare ben prima che i minatori sentissero gli effetti di quel che stavano inalando. Quando l’uccello cominciava a soffocare, era segno che la miniera andava evacuata.

Da qui la nota metafora del «canarino nella miniera», usata anche dal meteorologo Luca Mercalli durante una conferenza di alcuni anni fa, in un centro del Basso Ferrarese [1]. Il Delta è il canarino, ovvero l’area più esposta, quella a cui guardare per capire meglio gli effetti del cambiamento climatico. Prosegui la lettura ›

«Gli uomini pesce»: primo speciale dedicato al romanzo, mentre i fiumi esondano e le città si allagano

«Fracasso, orror, disgrazie, un finimondo
case e campi inondà che l’è un spavento,
tuto perso e quel diavolo contento
l’inferno seguita e no’ bada al mondo.
Cossa gh’importa d’ingiotir ‘na cuna
cossa gh’importa de ciapar a drita
o pur da l’altra come vôl la luna?
Quel ch’era drito, ‘desso l’è roverso,
combàtare col Po l’è tempo perso.»

Così il grande poeta polesano Gino Piva (1873-1946).

Nei giorni scorsi il Po è tornato a spaventare. I notiziari lanciavano collegamenti da Pontelagoscuro, dove incombeva il passaggio della piena. Il Comune di Ferrara aveva disposto l’evacuazione di un pugno di case e imprese situate nelle golene (eh, già, in Italia si costruisce nelle golene dei fiumi).

Durante un intero servizio un’inviata ha detto «Pontelagosturo», con la t, e al posto di «golene» diceva «lagune». Prosegui la lettura ›

Gli uomini pesce. Anticipazioni sul nuovo romanzo, in libreria a ottobre 2024

Il territorio in cui si svolge Gli uomini pesce

Ferrara e le sue valli negli anni Quaranta del XIX secolo, prima delle grandi bonifiche meccaniche.

Come annunciato già prima dell’estate, dalla nostra fucina sta per uscire un nuovo romanzo. Si intitola Gli uomini pesce. Ecco le prime anticipazioni per chi segue Giap, per il nocciolo duro delle nostre lettrici e lettori.

L’antefatto: nell’estate del 2022, durante la peggiore siccità che la val Padana abbia patito a memoria di vivente, muore a novantotto anni il ferrarese Ilario Nevi, partigiano, pittore, cineasta, pioniere dell’impegno ecologista in Italia.

L’evento porta con sé inattese rivelazioni. Affiorano segreti rimasti sommersi per buona parte del Novecento e poi nel secolo seguente.

La geografa Antonia Nevi, nipote di Ilario, intraprende una personalissima ricerca, per ricomporre l’immagine dello zio, frantasi come un’onda in un sogno cubista. Lungo la strada scoprirà un altro uomo misterioso, Erminio Squarzanti*, e un’amicizia lunga un quarantennio, temprata nella clandestinità antifascista e nella guerra partigiana. Prosegui la lettura ›

A proposito del Po in secca, dell’«emergenza idrica» e di come raccontare quel che sta accadendo

Questa foto è del 2017.

Ci investe l’ennesima ondata di immagini del Po in secca, e ogni volta i media fingono stupore. Si parla di «emergenza idrica», ma l’espressione evoca uno stato di improvvisa eccezionalità ed è perciò falsante, sottilmente eufemistica e diversiva.

Ricordiamo che il futuro del Po, del suo delta, delle terre che circondano il suo corso tra Emilia e Veneto è proprio il tema del progetto Blues per le terre nuove, che Wu Ming 1 ha descritto qui.

Ricordiamo l’apparente paradosso di quel territorio: la siccità, insieme alla subsidenza del suolo e ad altre dinamiche in corso, agevola l’ingresso dell’Adriatico, che nel frattempo si innalza per lo sciogliersi dei ghiacci polari. La mancanza d’acqua prefigura un mondo sommerso. Di questo non parla nessuno. Riportiamo alcuni stralci del testo linkato sopra:

«L’Adriatico reclama già la costa. Ogni tanto divora decine di metri di spiaggia in un sol colpo irrompendo negli stabilimenti balneari. Lo fa sempre più spesso. In una di quelle occasioni, nell’inverno 2018, sul quotidiano La Nuova Ferrara ho letto l’ossimoro “fenomeni eccezionali sempre più ricorrenti”.

L’Adriatico reclama i corsi dei fiumi. Il Po è indebolito dalla siccità, dalla scomparsa dei ghiacciai e nevai alpini, dall’incuria… Durante l’estate il mare è più alto e più forte, e risale il fiume per chilometri e chilometri, creando problemi all’agricoltura – con quell’acqua non puoi irrigare i campi – e pericoli per la falda potabile. Nel 2017 l’intrusione ha toccato i diciotto chilometri, superando l’asta della Romea. Il record risale però al 2006, quando l’ingressione fu di trenta chilometri e mandò in tilt l’acquedotto di Taglio di Po. Dai rubinetti usciva acqua salata. Prosegui la lettura ›

Non basta tornare a parlare di clima, conta il come torniamo a parlarne. Primi appunti (post-pandemia e dal Delta padano)

La ricerca degli iconemi. Una delle cornici-capitolo della presentazione multimediale «Blues per le terre nuove».

PREMESSA: UN PERICOLO, DUE EMERGENZE, UN RISCHIO

Il testo che segue è stato scritto nell’estate 2020, durante la prima “tregua” concessa dall’emergenza pandemica, e pubblicato nell’ottobre successivo come saggio introduttivo a Quando qui sarà tornato il mare, romanzo «a mosaico» scritto dal gruppo Moira Dal Sito.

Il libro – risultato di un laboratorio su crisi climatica e scrittura collettiva che ho tenuto nel Basso Ferrarese – è arrivato in libreria in un momento sfortunato, mentre l’angoscia riscendeva le pareti del pozzo e, dopo le parziali riaperture estive, si tornava a chiudere tutto. Ogni attenzione era sui numeri della «seconda ondata» e  qualunque altro discorso era destinato a infrangersi contro l’Emergenza. Non è stato possibile organizzare presentazioni e l’esperimento – parte del progetto Blues per le terre nuove – ha attirato poca attenzione.

Ora la questione climatica è tornata in primo piano e ripartono le mobilitazioni sul tema, che è il tema dei temi, perché noi viviamo nel clima. Il clima è sempre stato la precondizione di ogni attività umana, di ogni modo di produzione, di ogni civiltà e società.

Forse è un buon momento per proporre quel testo su Giap, e riprendere i fili di Blues per le terre nuove.

Blues per le terre nuove è un progetto la cui fase preliminare è partita nel 2017 e che mi terrà impegnato ancora per diversi anni, probabilmente per tutti gli anni Venti. È imperniato sulla storia e la geografia del grande Delta del Po, in particolare del Basso Ferrarese, e sui modi in cui i cambiamenti climatici permettono di rivisitare tale storia. Quei territori, infatti, sono destinati a essere sommersi – con un’ingressione dell’Adriatico fino a trenta chilometri dalla costa – da qui alla fine del secolo. Dove la terra fu strappata all’acqua in secoli di bonifiche e ingegnerizzazione del territorio, l’acqua tornerà a regolare i conti.

Blues per le terre nuove è partito come idea per un libro, un «oggetto narrativo non-identificato» a tema geografico, sulla scia di Point Lenana e Un viaggio che non promettiamo breve. Nel tempo, però, si è trasformato in un progetto più articolato e transmediale, fatto di performances, esplorazioni, reportages, laboratori di scrittura, autoproduzioni letterarie e audiovisive… e opere «di avvicinamento» al libro vero e proprio, che includono anche un sequel de La macchina del vento.

Si tratta di lavorare sullo sguardo di chi scrive, forzarlo, usare la letteratura per sperimentare diversi modi di raccontare la crisi climatica. Raccontarla partendo dal territorio e dalla storia dei conflitti che lo hanno plasmato e strutturato. Un approccio che combatta rimozioni e diversivi, faccia a meno del fatalismo, non si esaurisca nella distopia, dia profondità di campo connettendo tra loro le epoche, e soprattutto tenga i piedi sulla strada. Anche con l’acqua già alle ginocchia. Un contributo peculiare – quello che sempre può dare la letteratura, persino quella che sembra art pour l’art – alla lotta generale.

Lotta che, non facciamoci illusioni, si farà più difficile. Prosegui la lettura ›

La visione dal basso. Una conversazione tra Wu Ming 1 e Italian Limes su clima, territorio, confini, esplorazioni

Spedizione di Italian Limes sul ghiacciaio del Similaun, quota 3330, 2 aprile 2016. Foto: Studio Folder.

Spedizione di Italian Limes sul ghiacciaio del Similaun, quota 3330, 2 aprile 2016. Foto: Studio Folder.

[Italian Limes è un collettivo di architetti, designer e scienziati che lavora sui rapporti tra storia, geografia e cambiamento climatico. Se ne è parlato sul blog di Alpinismo Molotov e alla seconda edizione di Diverso il suo rilievo, la festa galattica di AM (altopiano di Macereto, Monti Sibillini, giugno 2018).
Il progetto eponimo Italian Limes ha gettato luce su una conseguenza del climate change a cui pochissimi pensano: sciogliendo i ghiacciai e spostando gli spartiacque alpini, il riscaldamento globale sta spostando gli stessi confini d’Italia. A conclusione e documentazione di oltre cinque anni di lavoro, è uscito da pochi giorni un libro bellissimo e di grande impatto: A Moving Border: Alpine Cartographies of Climate Change.

Ricorrendo a un’ampia selezione di documenti provenienti dagli archivi dell’Istituto Geografico Militare e qui pubblicati per la prima volta, gli autori di A Moving Border tracciano una storia visiva dei confini alpini d’Italia, raccontandoli attraverso mappe, architetture, numeri, paesaggi ed ecologie precarie.
Il volume si apre con una prefazione del sociologo e filosofo francese Bruno Latour e include contributi del geografo Stuart Elden , dell’antropologa e storica del territorio Mia Fuller – che nel suo saggio affronta il retaggio dell’imperialismo italiano – e dell’architetta Francesca Hughes.
Pagina dopo pagina, constatiamo che l’idea di «confine naturale» è in realtà il prodotto di una precisa narrazione storica, politica e geografica, e ci si apre davanti agli occhi una verità più ampia: il cambiamento climatico mette in discussione dalle fondamenta l’idea stessa di sovranità territoriale.
A chiudere il libro, una conversazione con Wu Ming 1 dove si riflette sul rapporto tra scrittura ed esplorazione del territorio, tramite una “carrellata” sul lavoro fatto da Point Lenana in poi. Quella che pubblichiamo è la versione originale in italiano.
Ricordiamo che su questi argomenti – cambiamento climatico, viandanza, oggetti narrativi non-identificati ecc. – proprio stasera Wu Ming 1 terrà una conferenza-performance al Làbas di Bologna: Blues per le terre nuove. Come raccontare il cambiamento climatico: il caso del basso ferrarese / Delta del Po. Evento Facebook qui. Intanto, buona lettura.]

I confini italiani sono stati demarcati tra la metà dell’ottocento e la metà del novecento. Essi coincidono con lo spartiacque alpino per buona parte della loro lunghezza. Lo spartiacque attraversa ghiacciai perenni, molti dei quali si stanno sciogliendo a causa del cambiamento climatico prodotto dall’uomo. Quando i ghiacciai cambiano morfologia lo spartiacque si sposta, e con esso si spostano i confini, che in molti casi non coincidono più con le loro rappresentazioni sulla cartografia ufficiale. Per affrontare il problema, l’Italia, l’Austria e la Svizzera hanno introdotto il concetto di «confine mobile», riconoscendo implicitamente l’instabilità di elementi topografici, come lo spartiacque, che si pensava fossero permanenti. Prosegui la lettura ›