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emergenza

矛盾 (máo dùn). In quali trappole cadiamo nel discutere di «emergenza coronavirus»

di Wu Ming
[Deutsche Übersetzung hier.]

Ormai più di due mesi fa, nella terza puntata del nostro Diario virale, cercammo di chiarire cosa intendessimo per «emergenza». Parlammo di «un equivoco di fondo, un malinteso concettuale che ci vedeva reciprocamente lost in translation», e spiegammo:

«C’era chi per “emergenza” intendeva il pericolo da cui l’emergenza prendeva le mosse, cioè l’epidemia.

Invece, noi e pochi altri – in nettissima minoranza ma in continuità con un dibattito almeno quarantennale – chiamavamo “emergenza” quel che veniva costruito sul pericolo: il clima che si instaurava, la legislazione speciale, le deroghe a diritti altrimenti ritenuti intoccabili, la riconfigurazione dei poteri…

Chi, ogni volta che si parlava di tutto ciò, voleva subito tornare a parlare sempre e solo del virus in sé, della sua eziologia, della sua letalità, delle sue differenze con l’influenza ecc., a nostro parere sottovalutava la situazioneProsegui la lettura ›

Cos’è stata la «Fase 1» dell’emergenza coronavirus? Uno storico getta un primo sguardo retrospettivo

di Piero Purich *

Cosa abbiamo vissuto dalla fine di febbraio ai primi di maggio del 2020?

In cosa è diverso il modo in cui si è gestita l’emergenza coronavirus dai modi in cui si affrontarono grandi epidemie nel passato?

Provo a gettare un primo sguardo retrospettivo, dal mio punto di vista, che è quello di uno storico. In sostanza, proverò a trovare analogie e differenze tra le politiche di contenimento del Covid-19 e le risposte ai contagi di massa verificatisi nella storia.

Premetto che purtroppo questo contributo ha due handicap di base:
1. la documentazione è limitata ai libri che ho in casa, alla mia memoria e a quello che ho potuto verificare su Internet, dal momento che le biblioteche sono ancora chiuse;
2. mi occupo principalmente di storia del Novecento, il periodo in cui, probabilmente, le epidemie hanno meno condizionato la vita dell’umanità – con la nota eccezione dell’influenza spagnola del 1918-20.

Questi gli handicap. D’altro canto, analizzare questo argomento da “novecentista” ha anche un vantaggio: il ventesimo secolo è il periodo in cui si sono sviluppate e raffinate tecniche che con questa pandemia hanno un legame strettissimo: le tecniche di propaganda e condizionamento sociale. Prosegui la lettura ›

La nuova centralità della working class in tempi di coronavirus (e le scritture per raccontarla)

I dipendenti FCA nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, foto di repertorio. Il 10 marzo 2020 sono scesi in sciopero spontaneo per strappare tutele contro il coronavirus.

di Wu Ming
[Deutsche Übersetzung hier]

Negli ultimi due mesi, la working class sembra avere riconquistato una visibilità sui media e una centralità nei discorsi che non aveva da molti anni. L’emergenza coronavirus ha riportato in auge questioni come le condizioni di lavoro, le nocività in fabbrica, il rapporto tra lavoro e salute, tra diritto del lavoro e medicina… La forma presa dal dibattito è stata quella della querelle su quali produzioni bloccare e quali no, quale voce si dovesse ascoltare di più, quali interessi dovessero prevalere.

Quali abbiano prevalso all’inizio diventa ogni giorno più chiaro: i catastrofici errori fatti nel gestire l’emergenza coronavirus in Lombardia – su tutti, non aver isolato la val Seriana – derivano in gran parte dall’aver anteposto le esigenze del padronato alla salute di lavoratori e cittadini. Tutt’intorno, nel mentre, si ricorreva al lockdown a macchia di leopardo e con continui riaggiustamenti, con piglio cialtrone e brancaleonesco.

E i lavoratori? Non pervenuti.

Non erano ancora entrati nello schermo del radar.

Per entrarci, hanno dovuto fare irruzione. Prosegui la lettura ›

Al ballo mascherato della viralità. Sull’obbligo di coprirsi la faccia anche quando non serve

Perché da un po’ di giorni ce la stanno menando così tanto con la mascherina? Perché alcune ordinanze regionali l’hanno già resa obbligatoria quando si esce di casa, nonostante medici, scienziati e la stessa OMS ripetano che indossarla ovunque è improprio e persino rischioso? Perché politici e amministratori si fanno fotografare accanto a cargo pieni di mascherine? Che scontro politico c’è intorno alla mascherina? Che ruolo avrà la mascherina nella cosiddetta «Fase 2» dell’emergenza coronavirus? Proviamo a fare il punto.

di Wu Ming

«Le mascherine erano pantomima». Così scrivevamo il 25 febbraio, nella prima puntata del nostro Diario Virale. In quell’epoca remota, poteva sembrare un’affermazione troppo netta. Gli ultimi dieci giorni di emergenza dimostrano invece quanto fosse precisa.

Dai titoli dei giornali – Repubblica su tutti – a proposito del  «virus che circola nell’aria», alle ordinanze sull’obbligo di uscire mascherati, fino alle promesse a mezzo stampa di distribuire al popolo milioni di mascherine: intorno ai dispositivi di protezione individuale monta uno spettacolo sempre più evidente. Prosegui la lettura ›

Sul terrore a mezzo stampa, 2 | Le foto delle vie piene di untori

Genova, Sestri Ponente, 2 aprile 2020, via Sestri. Clicca per leggere l’analisi del fotografo Andrea Facco.*

La nuova passione dei giornali italiani a reti unificate e dei governatori sceriffi sono le fotografie di «assembramenti». Funziona così: prendi una via lunga tipo seicento metri, con qualche bancarella di ortofrutta, una farmacia e un piccolo supermercato. Sabato mattina, possibilmente. Ti piazzi a un estremo e scatti col teleobiettivo a 200 o 300 mm, o con lo zoom digitale, in modo che la prospettiva risulti schiacciata: il palazzo là in fondo è come se ce l’avessi davanti alla faccia, e le trenta persone che ci sono – e in seicento metri stanno alla giusta distanza – le schiacci e comprimi in una scatola di acciughe, con un effetto ottico che te le fa sembrare una folla. Prosegui la lettura ›

«È colpa di quelli come te se c’è il contagio!». Abusi in divisa e strategia del capro espiatorio nei giorni del coronavirus

di Pietro De Vivo*

(con una postilla di Luca Casarotti **)

Fino a venerdì 20 marzo, prima dell’annuncio della chiusura di tutte le attività produttive, ho continuato ad andare al lavoro, ovviamente rispettando tutte le precauzioni: abito sulla stessa strada dell’ufficio – a pochi numeri civici di distanza –, nei pochi metri che faccio a piedi non incontro nessuno, e in sede in quei giorni eravamo solo in due e ci tenevamo a distanza. Gli altri lavoravano già da remoto, veniva solo uno dei miei soci, che come me abita molto vicino e non vedeva praticamente nessun altro oltre al sottoscritto.

Era ancora consentito dai decreti (il telelavoro era solo consigliato, non obbligatorio), e oltre a dover usare per forza macchine e software dell’ufficio, trovavo che andare in sede fosse anche una buona pratica: per separare il tempo del lavoro da quello del non lavoro, per prendere un po’ d’aria, vedere un po’ di luce, e scambiare due chiacchiere col mio collega. Vivendo solo con il mio coinquilino, in una casa molto piccola anche per due persone, rischio di impazzire.

Ma ciò che a Roma di solito è un’enorme fortuna – abitare vicino a dove si lavora –, in tempi di quarantena e con le occasioni per camminare ridotte al minimo era diventato una prigione. Avevo preso allora l’abitudine, dopo aver staccato, di fare un giro largo per rincasare. Niente di che, neanche cinquecento metri, praticamente il periplo dell’isolato. Prosegui la lettura ›

Resistere all’emergenza: consigli per chi lavora in fabbrica o ha una libreria indipendente

libreria puntoeacapo Pisogne

La libreria Puntoeacapo nello spazio STORiE, Pisogne (BS).

Due segnalazioni – anzi, tre – che ci sembrano importanti.

■ Su Jacobin Italia il “nostro” Luca Casarotti analizza e smonta i decreti del premier Conte sull’emergenza coronavirus, dimostrando che contengono molte vaghezze e incongruenze.

Ciò è pericoloso, perché lascia molta discrezionalità alle forze dell’ordine e alle amministrazioni locali, situazione che sta generando abusi d’autorità e introducendo divieti che nel testo non ci sono. Molti esempi si trovano nei commenti in calce al Diario virale #3.

Di contro, pare proprio che le denunce a pioggia di questi giorni – per violazione dell’art. 650 del codice penale, ovvero «inosservanza di provvedimenti legalmente dati dall’autorità» – siano giuridicamente infondate. Un decreto ministeriale o della presidenza del consiglio è una norma giuridica, non un provvedimento dell’autorità, ergo non ricade nell’ambito d’applicazione dell’art. 650. Prosegui la lettura ›