Accade all’Università di Bologna, la più antica del mondo, quella che non perde occasione di vantare i suoi nove secoli di vita. Chi oggi la governa intima a un’associazione studentesca di ritirare dalla circolazione il numero della rivista che redige (si chiama Fornofilia e Filatelia) e di cambiare stile editoriale, lasciando intendere che in caso contrario ci saranno ripercussioni. Dato che l’associazione riceve finanziamenti dall’università per il suo progetto culturale, le ripercussioni consisterebbero nel ritiro dei finanziamenti stessi.
Il motivo dell’ingiunzione? Sull’ultimo numero della rivista compare una vignetta ritenuta blasfema e oscena, ovvero lesiva dell’immagine dell’ateneo. [scarica il pdf e guarda la vignetta nel contesto per cui è stata pensata]
Prosegui la lettura ›
Quel che pensiamo del caso Luttazzi
Aggiornamento del 15 giugno 2010
Forse ci siamo spiegati male. Sarà che stiamo invecchiando. In giro per la rete, alcuni hanno interpretato l’articolo qui sotto come una difesa di Luttazzi e una critica nei confronti dei “nitpickers”, quelli che gli hanno fatto le pulci. Noi siamo caduti dalle nuvole e ci siamo chiesti: com’è possibile?
Evidentemente il tentativo di mantenere un equilibrio e di ampliare il discorso ci ha fatto dire troppo en passant cose che invece andavano sottolineate con più forza. Proviamo a ricapitolare, per comprendere cosa non ha funzionato. La nostra riflessione parte dando per assodato che:
1. Luttazzi ha torto. Abbiamo scritto che «[ha copiato] in modo ambiguo, [ha] più volte eluso la questione, reagendo con vittimismo, spocchia e aggressività, conducendo una disgraziata ‘guerriglia’ sul web e gridando a imprecisati complotti.» E abbiamo specificato: «Dire che Luttazzi ha sbagliato non può essere la conclusione, ma l’apertura di un discorso più vasto.» Quindi, tentiamo di fare un discorso più vasto, ma partendo dal fatto che Luttazzi ha torto.
2. Luttazzi non è riuscito, anzi, probabilmente non ha mai voluto (per motivi che oggi risultano ovvi) creare un rapporto di fiducia coi suoi fan. Abbiamo scritto che «se c’è stato un deficit di fiducia in questo frangente, significa che c’era già prima, latente ma operante. C’era una distanza colma di non-detti.»
3. Se Luttazzi è in malafede (e ormai a molti pare evidente che lo sia), comunque constatarlo non ci basta. Abbiamo scritto: «vorremmo sapere da cosa nasce la malafede, perché ha preso quella forma e non altre. Sono in gioco pulsioni profonde.»
4. Luttazzi criticava le aspettative distorte sul ruolo della satira, ora è il primo idolo a cadere, e noi abbiamo scritto «pianga se stesso», perché la colpa è sua. Però, abbiamo aggiunto, un rapporto distorto si costruisce in due: artista e pubblico. Da qui l’esempio del doping nel ciclismo.
5. L’inchiesta dal basso dei “nitpickers” va benissimo. Abbiamo scritto che gli hanno fatto le pulci «giustamente!» (con tanto di punto esclamativo), e che è stata una «manifestazione di intelligenza collettiva» (cit.). Non sono i nitpickers il problema ma quelli che arrivano dopo (anche moooolto dopo) e fanno il carnevale su Facebook senza riflettere su nulla.
Forse il problema è che nel nostro articolo mancava qualcosa: non avevamo previsto un manifestarsi tanto virulento di “familismo amorale”, cioè di difese ideologiche, acritiche, “benaltriste” da parte di gente che non vuole informarsi né si pone alcuna domanda, ed è disposta a giustificare qualunque cosa abbia fatto Luttazzi solo perché Luttazzi è un nemico di Berlusconi (cfr. moltissimi commenti sul blog de “Il Fatto Quotidiano” e in altri luoghi di discussione). Così facendo, costoro si dimostrano berlusconiani nel profondo, intaccati e immerdati dal berlusconismo.
Insomma, noi abbiamo impostato l’articolo così:
«Luttazzi ha torto però constatarlo non basta, va fatto un discorso più ampio».
Verso la fine dell’articolo, avremmo dovuto rimarcare con maggiore nettezza che
«Sì, va fatto un discorso più ampio, ma si può fare solo se non ci scordiamo che Luttazzi ha torto».
Questo spostamento di accento non c’è nell’articolo, ma è molto evidente e ribadito nella discussione che trovate sotto.
_
Daniele Luttazzi divorato dai suoi fan, che nel distruggerlo pèrdono una parte di se stessi. E’ il suicidio di una comunità, un rituale auto-cannibalistico. Anzi, no, un carnevale, nel senso bachtiniano. Quando descrisse la dinamica del carnevale, del mondo che si rovescia, Bachtin aveva in mente le purghe staliniane: un giorno eri membro del comitato centrale, potente, riverito; il giorno dopo eri processato da traditore e finivi morto o nel gulag. Il carnevale scarica tensioni, realizza temporanee catarsi, ma non contesta il funzionamento del potere, anzi, ne rafforza i meccanismi. Questo carnevale ci insegnerà qualcosa solo se non ci accontenteremo del lavacro, del sacrificio, di veder punito il reo.
Occorre precisare: reo non tanto di aver copiato, quanto di averlo fatto in modo ambiguo e di avere più volte eluso la questione, reagendo con vittimismo, spocchia e aggressività, conducendo una disgraziata “guerriglia” sul web e gridando a imprecisati complotti.
Dire che Luttazzi ha sbagliato non può essere la conclusione, ma l’apertura di un discorso più vasto. La malafede, parola usata da molti, non è spiegazione sufficiente. Non ci soddisfa dire che uno “è in malafede”, vorremmo sapere da cosa nasce la malafede, perché ha preso quella forma e non altre. Sono in gioco pulsioni profonde. Ipotizziamo che, all’inizio, Luttazzi intendesse omaggiare i suoi idoli comici, poi sia entrato in un vortice che ha cambiato la natura di quei “prestiti”. Luttazzi è a sua volta un fan, e i fan si riappropriano della cultura che amano. Solo che non ci fanno soldi sopra, e soprattutto non impugnano il copyright per impedire ad altri di fare quel che han fatto loro. Ecco il fulcro del biasimo. Che però, appunto, non basta. Chiediamoci cosa sia successo nella testa e nel cuore di un uomo, e ragioniamo sui rapporti tra artista e pubblico, ruolo del comico e comunità dei fan. Prosegui la lettura ›