Da L'Espresso del 14 marzo 2002, recensione di Enrico Arosio.

Che buffa Italia, sembra Nashville
Romanzi/ il ritorno degli autori di "Q"

Titolo: "54". Pagine: 666. Riecco la premiata ditta Luther Blissett.
Con un nuovo pseudonimo. E un kolossal. Divertente. Ma deludente...

di Enrico Arosio

Einaudi lo presenta così: "un ambizioso opus magnum". Sul magnum non v'è dubbio: 666 pagine, e una pletora di personaggi da film corale di Robert Altman. Sull'opus invece ci si chiede: sì, ma di che tipo? E' letteratura alta, questo molto atteso "54" di Wu Ming ("anonimo" in mandarino; sono i cybernauti bolognesi che prima si firmavano Luther Blissett, e che col precedente Q vendettero 110 mila copie [errore: 80.000, N.d.WM.]? E' un romanzo di genere? E' una forma innovativa di trivialliteratur? "L'Espresso" l'ha letto e propone: "54" (Einaudi Tascabili Stile Libero) è un furbo esempio di letteratura artificiale. Per nulla cyber, ma costruita a tavolino, come al tempo dei nonni.
Wu Ming racconta l'anno 1954. Il processo Rosenberg, la terza via di Tito, Einstein contro McCarthy, Dien Bien Phu, il delitto Montesi e l'accordo per Trieste. Quindi usa modalità da romanzo storico e di documentazione, con molti rinvii all'attualità, titoli di giornale compresi, come faceva il Gruppo 63 ai suoi bei dì. Ma "54" è una storia d'azione, sicché ha come protagonisti uomini d'azione: Robespierre Capponi e gli ex partigiani bolognesi, Lucky Luciano e i trafficanti di eroina, guappi napoletani e clan marsigliesi, gli agenti dell'MI6 e quelli del Kgb. Nel prologo si fa il verso a Beppe Fenoglio, si prosegue con prosa giornalistica, e a tratti ci si ritrova tra Lino Ventura e Massimo Troisi. Non basta. "54" è Italia del Dopoguerra, e l'Italia è lunga. I bolognesi ballano la filuzzi ed esclamano: "Soccia!"; gli jugoslavi parlano storto ("Non qui. Lui partito. Due, tre mese"); gli inglesi sono ricopiati su David Niven e Ian Fleming (il primo presente, il secondo citato); i napoletani pazziano, tra guaglioni, criature e 'a Madonna che chiagne. Cary Grant, poi, altro protagonista di questa vicenda assai spassosa, muove e veste come l'uomo più chic dell'anno. Ma se serve appare come un proto-Bertinotti: "Nella società senza classi, tutti avrebbero potuto essere Cary Grant". E Tito? Il perfetto deviazionista. E l'imperatore del Vietnam in esilio a Cannes tra servi e cocottes? Dichiara: "La puttana sono io", come Flaubert.
La trama? Non si dice. Leggetelo, è divertente. Ma si sappia che tra citazioni e parodie, "54" saccheggia Hitchcock, James Bond, il "Midcult", ruba di qua, imita di là. Con alcuni spunti geniali, come il rapimento di Grant ospite di Tito in Dalmazia. Sono furbacchioni di tre cotte, i Wu Ming. Altro che avanguardia web. Peccato per alcune gaffes (non ci s'improvvisa borghesi): Grant non porta reggicalze (pag.59) ma giarrettiere; il camiciaio londinese non è Turnball (89) ma Turnbull & Asser; la porcellana è Wedgwood, non Wedgewood (120);la Schwindsuechtigstrasse di Vienna, via Tubercolotico, è ridicola (272). Goffo, poi, il paragone (226) tra Telemaco, il partigiano Pierre e Ulisse suo papà. Ci aveva già pensato Joyce, nel 1922.

[Per decine e decine di righe Arosio si domanda cosa mai sia questo romanzo, se letteratura "alta" o "bassa", tirando in ballo cose che non c'entrano nulla (il Gruppo '63 - come se l'uso narrativo dei titoli di giornale non facesse parte della tradizione noir e poliziesca fin dai tempi di Edgar Wallace).
Questo interrogarsi, unitamente alle espressioni vagamente dispregiative "letteratura artificiale" (come se ne esistesse una naturale) e "costruita a tavolino" (esistono forse romanzi che non lo sono?) tradisce l'evidente intenzione di sminuire il libro a prescindere da tutto.
Solo che il povero Arosio non trova nessun appiglio, elenca come fossero pietre dello scandalo cose che invece sono normalissime, e alla fine è costretto ad aggrapparsi a pochi refusi trovati qui e là, spacciandoli per gaffes. O cercando di fare la punta ai chiodi, come nel caso della giarrettiera, che nell'inglese di Archie Leach si dice sì "garter", ma in quello di Cary Grant si dice "[sock] suspender" ed è quindi accettabile tradurlo con "reggi-calze".
Chi ha letto 54 si accorgerà anche che Arosio ha recensito soltanto la prima metà del romanzo (senza nemmeno terminarla, peraltro).
La frase "La puttana sono io!" fu veramente proferita da Bao Dai per difendere una prostituta del suo seguito. Cosa c'entra il celebre motto di Flaubert "Madame Bovary c'est moi" (il cui tema era il rapporto tra autore e personaggio) a parte il combaciare di predicato verbale e complemento oggetto? Mistero.
E cosa c'entra l'Ulisse di Joyce con l'uso metaforico delle figure di Ulisse e Telemaco da parte di un giovane proletario bolognese degli anni Cinquanta? Altro mistero.
Altra cosa che ci ha stupito è l'uso di una parola da tempo obsoleta come "cybernauta", retaggio di quando in Italia c'erano pochissime connessioni internet e sembrava che navigare in rete fosse un'attività più o meno specialistica, praticata da gente che non faceva altro.
Questo articolo ci pare emblematico di una gravissima impreparazione professionale: il giornalismo culturale italiano, nell'anno di grazia 2002, storce ancora il naso di fronte alla letteratura di genere (o che dal genere parte). O meglio: se si tratta di autori non italiani, si srotola il tappeto rosso. Se si tratta di italiani, per carità! E' sconveniente. Cosa penserebbero Croce e Gentile? E questo avviene anche su una rivista sempre più trash e caciarona come L'Espresso. Anzi, più si è trash e caciaroni in cronaca e nel costume (lo stesso Arosio scrive delle "tendenze" più improbabili) , più si alza il mignolo sorbendo il tè scrivendo di gente che scrive. La quintessenza del kitsch piccolo-borghese.
Per farsi una buona idea dell'attenzione critica con cui l'Espresso ha scritto di noi fin dall'uscita di Q, consigliamo di leggere quest'articolo datato 31 luglio 1999: http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/310799.html
Per farsi un'idea dell'affidabilità di questa rivista, del resto, è più che sufficiente leggere la gragnuola di rettifiche che è costretta a pubblicare ogni settimana camuffandola da rubrica delle lettere.
Un'ultima cosa:
Nel 1996 Arosio partecipò alla demonizzazione di Marco Dimitri e alla montatura ai danni dei Bambini di Satana, con un articolo (datato 3 ottobre 1996 e menzionato in Lasciate che i bimbi) in cui amplificava - senza verifica alcuna- le sparate di Giuseppe Ferrari, capo del ratzingeriano - e famigerato - GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette) tra cui la seguente: "abbiamo registrato contatti [dei satanisti] con gruppi di autonomi e di anarchici".
Da qui, forse, il riferimento al "666", riportato finanche nel catenaccio.
]