da "La Gazzetta del Mezzogiorno", venerdì 19 aprile 2002:
Il caso «Wu Ming»
Gruppo di anonimi
Giancarlo De Cataldo
1954. Dopo nove anni di governo militare alleato, esplode la protesta degli italiani di Trieste. Stalin è morto da un anno. Il maresciallo Tito si distacca da Mosca. No, anzi, contrordine, compagni: il maresciallo Tito si riavvicina a Mosca. In Indocina i francesi stanno per lasciarci le penne. E mentre il senatore McCarthy, dopo aver ripulito Hollywood, accusa l'esercito americano di essere un covo di checche & comunisti, Cary Grant, al secolo Archie Leach, scozzese di estrazione operaia diventato simbolo di un certo dandismo discreto e suadente, medita di tornare al cinema dopo due anni di abbandono: d'altronde, il suo grande amico Alfred Hitchcock gli ha appena fatto leggere il copione di Caccia al ladro. E la sua partner dovrebbe essere una bionda dotata in egual misura di charme e di sex-appeal: Grace Kelly.
Intanto, a Bologna, i vecchi partigiani affollano le osterie fuori porta e scendono in cantina a lucidare il mitra che potrebbe tornar utile in caso di rivoluzione. Il giovane Robespierre Capponi, detto Pierre, comunista con i grilli per la testa e gran ballerino, ama Angela, ma non ha un soldo e lei è la moglie del potente segretario della Federazione. Intanto, dal suo buen retiro di Napoli, don Lucky Luciano dirige il traffico internazionale dell'eroina; il suo luogotenente Steve Zollo, detto «cemento» in omaggio al metodo usato per liberarsi di scomodi concorrenti, medita un clamoroso tradimento; e uno scugnizzo senza né arte né parte, detto alternativamente Kociss o Capemmerda, si ritrova a sbancare il casinò di Montecarlo...
Sì, molte cose accadono nel 1954. Ma la più importante di tutte passa quasi inosservata: l'inizio delle trasmissioni sperimentali della RAI, e, dunque, l'avvento in Italia della televisione. Ed è proprio un esemplare dell'elettrodomestico destinato a cambiare la nostra società – e le nostre vite – il beffardo trait-d'union fra le varie sottotrame che animano questo 54, il torrenziale romanzone con il quale l'allegro collettivo bolognese di irriducibili ragazzacci che un tempo si chiamavano «Luther Blisset» e oggi «Wu Ming» (in cinese: «anonimo», «sconosciuto») mira a ripetere il successo del best seller intitolato Q (54, Einaudi Stile Libero, pp. 666, euro 15,00).
Come in Q, seguiamo una pletora di personaggi marginali le cui vicende, ora epiche, ora comiche, s'intrecciano con quelle dei grandi della terra, secondo una formula narrativa che risale al Brecht degli Affari del signor Giulio Cesare ed è stata ripresa, in tempi recenti, da autori del calibro di James Ellroy e di Paco Ignazio Taibo II. Come in Q, intrecci, sapori forti, commedia, retrogusto melò, scene d'azione, gli ingredienti tipici del romanzo d'avventura, insomma, si mescolano alla riflessione sui mutamenti della Storia. Come in Q, c'è il senso di una rivoluzione tradita – o forse solo fallita – che lascia sgomenti i sopravvissuti, incerti fra il letargo, la corsa all'arricchimento individuale o la ricerca disperata di una nuova «causa» alla quale sacrificare cervelli e coratelle.
Il lettore smaliziato si divertirà a rintracciare le numerosissime citazioni disseminate, e a individuare a quale dei «modelli» letterari (alcuni esplicitamente riconosciuti nelle note finali dagli autori, altri abilmente dissimulati) si richiama questo o quel capitolo: il televisore ricorrente, ad esempio, è una citazione da Underworld di Don De Lillo, che ricostruisce cinquant'anni di Storia americana d'oggi attraverso i passaggi di mano della palla da baseball protagonista di una storica finale di campionato. E l'omaggio a Cary Grant fa venire in mente un bel romanzo di qualche anno fa, Dissolvenza al nero, exploit narrativo del regista Davide Ferrario (Tutti giù per terra, Guardami) nel quale si narrava come un Orson Welles in stato di grazia facesse esplodere uno scandalo politico-finanziario nella primavera romana del '48.
Ma – citazioni a parte – i Wu Ming sono, e restano, pronipoti dell'unico, autentico Maestro del nostrano romanzo d'avventura: Emilio Salgari. Nei rivoluzionari mancati, nelle vocazioni fallite di grandi combattenti il cui immenso coraggio viene immancabilmente schiacciato dalle mene dei burocrati e dall'inadeguatezza dei mezzi rivive lo spirito di Sandokan e di Yanez. Tradizione e postmoderno si danno dunque la mano, ovviamente con gli opportuni aggiornamenti: primi fra tutti lo sguardo critico sul nazionalismo e la consapevolezza dei limiti di ogni utopia.