da Kwlibri, 3 aprile 2002:
Totò, Peppino e il maresciallo Tito
In "54" l'ex gruppo Luther Blisset, ora con il nome Wu Ming,
torna a spiazzare il lettore con un colossale affresco che, a colpi di microtrame,
ci ripropone il gran enigma della Storia
di Marco Costa
La storia torna protagonista della nuova narrativa italiana in "54", l'ultimo titolo del collettivo bolognese presunto anonimo (Giovanni Cattabriga, Roberto Bui, Luca Di Meo e Federico Guglielmi i componenti) che nel '99 si firmò Luther Blisset per "Q", western teologico divenuto un importante caso letterario. Un quinto elemento viene ad aggiungersi alla formazione e dopo aver cambiato nome per l'occasione in Wu Ming (che in mandarino significa anonimo o non famoso), ecco che ci riprova, ricostruendo con cura millimetrica la cronaca di un solo anno, il 1954.
"Non c'è nessun dopoguerra", scrivono gli autori nelle primissime righe del romanzo. "Gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi dal fronte". Sullo sfondo di nuovi invisibili conflitti, si muove una folla di personaggi, per lo più straordinariamente marginali. Leggendo rincorriamo le loro storie nello specchio deformante di quel dopoguerra, metaforicamente rappresentato dall'anno 1954, che solo in apparenza può sembrare anonimo, in realtà fucina di impercettibili avvii che più tardi avrebbero rivelato la loro importanza.
Napoli, Nizza, Genova, la Dalmazia e il Vietnam, tra crisi personali, complotti internazionali e traffici d'eroina: l'obiettivo del Wu Ming è scandagliare la storia (e i suoi limiti) in luoghi diversi e lontani fra loro, costruendo una mastodontica trama in cui entrano il minuscolo e il gigantesco, il centrale e il marginale, in cui si passa senza stupore dal maresciallo Tito all'anonimo attivista bolognese Robespierre Capponi.
Microtrame raccontate a puntate, impossibili da sbrigliare per l'esattezza delle giunture; in questo libro ci sono contenuti sufficienti per dieci romanzi che si mischiano in un vortice dal sapore postmoderno. In tanto narrare spicca la figura di Cary Grant, icona pop assurta a simbolo di un ipotetico futuro liberato, che aleggia pensieroso fra le pagine del romanzo nel pieno dei suoi cinquant'anni, in un momento assai sterile della propria carriera.
"La rivoluzione è senza faccia!", era ed è lo slogan di questi autori, già dai tempi in cui furoreggiavano Totò e Peppino. Una scelta etica d'un comune anonimato, presa nell'intento di offrire ulteriore spinta ai polemici e poliedrici contenuti dei propri libri e al fenomeno parapolitico che il gruppo rappresenta. Questa la chiave non troppo originale dí una delle poche operazioni editoriali vincenti sul mercato Italiano.