da Pulp - libri n.37, maggio-giugno 2002:
Wu Ming, 54, pp.674, euro 15,00
54, che è il primo romanzo di Wu Ming davvero collettivo e senza collaborazioni con altri (dopo Asce di guerra, le cui storie provenivano da Vitaliano Ravagli, e Havana Glam, scritto dal solo Wu Ming 5), dimostra una ovvia filiazione dal modello di Q. Questo è comprensibile, perché il romanzo Q, firmato Luther Blissett, era stato scritto da quattro dei cinque Wu Ming; e tuttavia tra il 1998 (anno di composizione di Q) e il 2001 (in cui è stato scritto 54), si situano eventi modniali importanti per tutti, ma (a loro stesso dire) particolarmente importanti per il collettivo dei giovani scrittori bolognesi: e voglio dire lo svilupparsi dei conflitti planetari e il crescere del movimento internazionale contro il neoliberismo (impropriamente detto no-global). Perché la scrittura di Wu Ming, sempre molto attenta a una qualità "popolare", sorvegliatissima sul piano formale senza che ciò voglia dire alcuna concessione al formalismo tipico di tanta tradizione italiana - una scrittura, insomma, tutt'altro che "letteraria", è poi sempre al fondo una scrittura politica. In Q, che è una specie di manuale di sopravvivenza per i rivoluzionari in periodi controrivoluzionari, si sente ancora direttamente l'eco della sconfitta dei movimenti proletari e popolari consumatasi alla fine degli anni Settanta: ma ciò è possibile perché lo scenario degli eventi narrati (l'Europa degli inizi del XVI secolo) è abbastanza lontano da noi. In 54 il tono è un po' diverso, perché qui lo sfondo storico è quello appunto dell'anno 1954, anno in cui vanno maturando le condizioni per l'esplodere dei movimenti del 68-69 (preceduti dal prologo dei fatti di Genova del luglio 60). Senza forzature, Wu Ming riesce a trasmetterci questo senso di sospensione, attraverso i vari scenari che compongono il romanzo: la Bologna popolare degli anni Cinquanta, rappresentata nel gruppo di frequentatori del bar Aurora; la Napoli sottoproletaria e criminale che orbita attorno a Lucky Luciano, appena giunto dall'America; la Yugoslavia di Tito dopo la rottura col Cominform e delle prime persecuzioni dei dissidenti interni (Milovan Djilas). Niente paura, però: come appunto in Q, la Storia con la s maiuscola non occupa il proscenio se non attraverso la mediazione delle storie con la s minuscola: Robespierre Capponi, campione di ballo liscio, alla ricerca del padre, e quindi di se stesso; Steve "Cemento", luogotenente di Luciano, alla ricerca di una impossibile autonomia dal capo; il partigiano Ettore, espulso dal Pci, che continua a combattere un'individuale e disperata battaglia; e le due invenzioni più straordinarie del libro, cioè un Cary Grant in cui si fanno più insistenti i ricordi e gli incubi di Archibald Leach, cioè il se stesso prima della trasformazione in divo di Hollywood, e il televisore McGuffin Deluxe, a cui è affidato un ruolo chiave nello scioglimento delle vicende. 54 è un'altra prova convincente di quella fucina di narrazioni, controllate e partecipate, che è il collettivo dei narratori bolognesi. Ma naturalmente aspettiamo la prossima prova dei Wu Ming per vedere come confermeranno le loro doti e come sapranno liberarsi da un modello narrativo che rischia di diventare, per loro, un abito troppo stretto.
Antonio Caronia