Da L'Unità Emilia Romagna, domenica 12 maggio 2002, rubrica Librintorno di Stefano Tassinari
I Wu Ming come Soriano
Certe cose, un tempo, riuscivano solo al grande Osvaldo Soriano, capace di manipolare a tal punto il rapporto tra fantasia e realtà da far arrivare in America sulla stessa nave di emigranti Charlie Chaplin e Stan Laurel, o da trasformare Richard Gere in un soggetto da romanzo poliziesco e così via.
Oggi, dopo aver letto l'ultimo "54" del collettivo letterario bolognese Wu Ming (Einaudi Stile Libero, pagg. 666, euro 15), possiamo dire che qualcuno altro è riuscito - a livelli molto alti - nell'impresa avviata dall'indimenticabile scrittore argentino. Pur nella diversità di stili e ambientazioni, infatti, l'ultimo romanzo degli ex Luther Blissett ripercorre, almeno per un tratto, la strada aperta da Soriano, specie per quanto riguarda l'inserimento di personaggi tratti dagli ambienti dello spettacolo, della politica e della mafia (da Cary Grant al maresciallo Tito, da Lucky Luciano ad altri ancora) all'interno di una storia dalla quale, in verità, sarebbero stati del tutto estranei. Ma i parallelismi finiscono qui, perché rischieremmo di non sottolineare l'originalità e i grandi meriti di questo romanzo.
Inizialmente costruito per parti separate, "54" si sviluppa intrecciando queste stesse parti, ognuna delle quali caratterizzata da un protagonista e da molti comprimari. Le varie vicende si svolgono nell'anno che dà il titolo al libro, il 1954, troppo vicino alla fine della seconda guerra mondiale per non riprodurne alcune tensioni. Stalin è morto l'anno precedente, gli occidentali temono un riavvicinamento tra l'Urss e l'"eretico" Tito, mentre nelle tre città italiane che costituiscono gli scenari principali del romanzo si consumano altrettanti modi diversi, e forse incompatibili,di affrontare il lungo dopoguerra. Trieste è ancora una città divisa e occupata militarmente, Napoli sembra una terra di confine priva di autonomia, Bologna è già diventata quella roccaforte della sinistra che resisterà qualche decennio, con tanto di ex partigiani con le armi nascoste in cantina, qualche assente giustificato (rifugiato politico nell'Est europeo), giovani comunisti campioni di ballo alla Filuzzi, scaramucce di quartiere, ma anche una grande umanità (nel senso del sentimento), tutta giocata attorno ai tavoli del mitico bar Aurora.
I rapporti tra questi tre centri urbani restano a distanza, quasi a voler rimarcare l'impossibilità di una vera ricostruzione democratica e identitaria di un Paese a sovranità limitata, condizionato da una sub-cultura fascista destinata, come ben sappiamo oggi, a non essere mai davvero superata.
"54", dunque, è anche un romanzo storico, ma a differenza dei precedenti "Q" e "Asce di guerra" privilegia il registro fantastico, connotandosi attraverso una leggerezza che non diventa mai disimpegno o facile intrattenimento, bensì funzionale strumento di avvicinamento ai grandi temi anche di un pubblico non abituato a misurarsi con questioni sociali e politiche. La parte bolognese, in tal senso, è un esempio perfetto di questa sintesi, con in più il valore aggiunto della ricerca sul linguaggio popolare e sui modelli comportamentali dell'epoca, una ricerca che consente ai cinque autori di introdurre molti cambi di stile e di ritmo, assolutamente necessari in un testo così lungo.
Poi c'è tutto il resto: la capacità di venire a capo di un'incredibile matassa di storie e sottostorie (di cui volutamente evitiamo di parlare), la documentazione precisa e quasi "maniacale", l'ironia, il senso critico e quant'altro.
In una parola sola: il talento.