Giap #10, VIIIa serie - La tempesta perfetta - 18 aprile 2007
1. Preambolo e annunci importanti
a. Il web e la carta
b. Refusi
c. Presentazioni
d. Posta arretrata
e. Livello 2 di manituana.com
2. Commenti, recensioni, audio, video, vaneggiamenti
a. Andrea Finizio is back!
b. Il delirio di Philopat
c. I senza nome su GQ
d. Manuel Agnelli e noi...
e. "Liberazione", intanto...
f. Tre recensioni
g. Le assurde basette di Wu Ming 1
h. Audio: la Compagnia Fantasma legge Manituana
i. Video: ohibò, un servizio tv su di noi!
3. The perfect Storm, ovvero: l'intervista-monstre
a. Ad originem
b. La ricerca storica e la stesura
c. L'ambientazione, i personaggi, lo stile
d. Il sito
e. Il qui, l'adesso, il d'ora in poi
f. La letteratura e il ruolo dello scrittore
PREAMBOLO E ANNUNCI IMPORTANTI
IL WEB E LA CARTA. Stavolta va meglio: il presente dispaccio, come il precedente, contiene sì molti link (una rassegna commentata di materiali, recensioni e invettive), ma anche tanta roba da leggere qui e ora, senza la necessità di cliccare e spiccare il volo ad altre lande. Questo per la gioia di chi stampa e legge su fogli A4 (cioè la maggioranza degli iscritti alla newsletter), con particolare predilezione per un certo luogo appartato, nei momenti di privacy sovente annunciati da un prot!
[Ci raccomandiamo: comprate risme (e rotoli) di carta riciclata]
Prima di iniziare, abbiamo alcune cose da dirvi.
REFUSI. Almeno una decina di paia d'occhi hanno perlustrato ogni anfratto di Manituana prima che il romanzo andasse in tipografia. Noi cinque lo abbiamo riletto con pedanteria, fino alla nausea, stesura dopo stesura. Capicollana, lettori di prova, redattori e correttori di bozze lo hanno letto e controllato. Decine di migliaia di persone lo hanno acquistato, letto, commentato, talvolta già riletto (e ri-commentato). Avevamo la ragionevole certezza che il libro non contenesse refusi.
E invece li contiene. E nessuno se n'è accorto a parte Wu Ming 3, che li ha trovati per caso. Li abbiamo segnalati all'editore perché li corregga nella prima ristampa utile, e ora li segnaliamo a voi:
Nel cap.10 della seconda parte, pag. 266, prima riga: la data corretta è 5 gennaio 1776 (e non 1775).
Nel cap. 19, seconda parte, pag. 311, prima riga: la data è 2 marzo 1776 (e non 1775).
La prima edizione di Manituana va dunque a fare compagnia alle prime edizioni di tutti i nostri libri. Stavolta erano molto difficili da scovare, così è mancata anche la pronta reazione da parte dei lettori, reazione su cui in passato avevamo costruito intere sezioni del nostro sito (vedi la pagina Debuggin' New Thing)
PRESENTAZIONI. Il calendario è pieno fino a dicembre, il che equivale a dire: il calendario è chiuso. Ci dispiace ma ci hanno presi d'assalto inviti e proposte, e siamo stati soverchiati. Noi cinque, voi migliaia, il divario numerico era superiore a quello registrato alle Termopili. Le persone a cui abbiamo risposto: "Ok, però dopo l'estate" sono pregate di rimettersi in contatto, così scegliamo e fissiamo le date. Per tutti gli altri: qualche data la faremo anche nel 2008, ma con ritmi più rilassati. Wu Ming 2 sta preparando un reading/concerto sulla rivolta di Pontiac, importate antefatto delle vicende narrate in Manituana. Non disperate, le possibilità di incontrarci non mancheranno, stavolta non faremo un vero e proprio Sabbatico.
POSTA ARRETRATA. Altro punto dolente. Cerchiamo di rispondere a tutti, ma non sempre è possibile. Richieste impegnative e stimoli a discussioni difficili possono arrivare nel giorno o nell'ora sbagliata, finire nella casella "Con più calma" e poi languire lì in attesa del mitico "momento giusto", per poi perdersi con l'arrivo delle successive infornate. Se ci avete mandato una mail più di sei mesi fa e non avete ricevuto risposta, conviene che rispedite.
LIVELLO 2 DI MANITUANA.COM. Grazie. Siete più di 300 e le discussioni sono bellissime. Per il momento non aggiungiamo altro.
COMMENTI, RECENSIONI, AUDIO, VIDEO, VANEGGIAMENTI
HE'S BACK! Andrea Finizio, l'uomo che anni fa scaricò il file di Q, ridusse il font a dimensione minuscola, eliminò gli a capo, e così facendo riuscì a stamparsi l'intero romanzo su una T-Shirt, davanti e didietro. Tutto intero, dal prologo all'epilogo. [Per gli scettici: il pdf si trova qui]. Beh... Ha fatto la stessa cosa con Manituana :-)
Gli autori che non mettono on line i loro libri non sanno cosa si perdono.
IL DELIRIO DI PHILOPAT. Su Giap n.9 segnalavamo un articolo di Marco Philopat su Manituana, uscito sul numero della rivista XL attualmente in edicola. Il titolo è: "Quando gli indiani crearono il punk due secoli prima". Adesso è anche on line, su manituana.com, e per la precisione qui.
I SENZA NOME SU GQ. Tocca in sorte che uno dei migliori articoli mai scritti sul nostro conto si trovi sul noto mensile di pubblicità e arte varia, Gentlemen's Quarterly, che però nessuno conosce col nome intero, forse perché una rivista che avesse i "gentiluomini" come target andrebbe in malora in men che non si dica. Nell'articolo si accenna pure a un vecchio scazzo tra noi e il collega Giuseppe Genna, e ci si perita pure di dire che vi fu un lieto fine. A firma di Jacopo Guerriero, ora anche su manituana.com.
MANUEL AGNELLI E NOI. La recensione uscita sulla rivista Il Mucchio inizia così:
"Per alcuni di noi i Wu Ming sono un po' gli Afterhours della narrativa italiana, la nostra band intoccabile malgrado qualche naturale differenza di vedute, il nostro faro nella notte in tempi di crisi del romanzo e morte del libro, e soprattutto l'unico gruppo in grado di spiazzarci ad ogni prova narrativa, l'unico per cui arte voglia dire soprattutto e prima di tutto ricerca."
Orco can!
"LIBERAZIONE", INTANTO... Con elegante perifrasi, l'organo del PRC dice che Manituana è un libro di destra e noialtri siamo dei fascisti e degli spregevoli buffoni. Ecco lo stralcio:
"[I Wu Ming] sono invece gli entartainer della sinistra più involuta: quella che da un racconto scritto in una lingua falsa vuole ascoltare che chi ama la famiglia e la terra, rispetta le tradizioni, venera i morti e ascolta i vecchi sta dalla parte giusta. Non importa che mobiliti la retorica delle radici e del sangue, sposando i più spregevoli postulati dei correnti scontri di civiltà..."
La recensione completa è qui.
TRE RECENSIONI DAI BLOG. La prima che segnaliamo si trova sul blog Sottotomo e contiene un passaggio che ci è molto piaciuto, anche per il paragone che viene fatto e che troviamo calzante:
"Un consiglio: leggete con calma, anche se siete catturati dalla trama non abbiate fretta o vi perderete i particolari. E se potete, concedetevi il lusso di una seconda lettura. Alcuni personaggi, come Philippe Lacroix che mi ha fatto pensare molto all'Athos di Dumas, vi rimarranno dentro."
La seconda è sul blog Salgalaluna e anche di questa proponiamo un bel passaggio:
"Manituana non racconta la storia dalla parte di una fazione. La racconta, semmai, dalla parte degli uomini, della loro umanità, umanità che con la guerra si assottiglia, quasi fino a scomparire, per lasciare il posto alla vendetta, alla razzìa, all’insensatezza. Solo le donne - in qualche modo - riescono a pensare che anche l’anno dopo ci sarà un’altra primavera. Manituana [...] è - davvero - un racconto universale."
La terza, molto articolata, è sul blog di Andrea Fannini e contiene tra le varie cose questo passaggio:
"Una storia sempre più drammatica, quasi dell’orrore alla fine. L’orrore della guerra. Della morte. Delle crudeltà. Perpetrate da entrambe le parti. Della fame e del freddo. La genesi della più grande potenza mondiale scritta, marchiata, col sangue. Il sangue di una popolazione, di una società, estremamente diversa da come ce la immaginiamo."
LE ASSURDE BASETTE DI WU MING 1. Ovvero: c'è vita ar Pigneto. Un curioso commento sulla presentazione di Manituana fatta alla libreria L'Eternauta di Roma, la sera del 19 aprile scorso.
AUDIO: LA COMPAGNIA FANTASMA LEGGE MANITUANA. Ieri, 17 aprile 2007, la trasmissione "Humus" di Radio Città del Capo (nodo bolognese di Popolare Network) era interamente dedicata a Manituana. In studio con il conduttore Piero Santi c'erano WM2, WM3 e WM4. Non solo: c'era la Compagnia Fantasma al completo, che ha adattato e letto alcuni capitoli del romanzo. Prossimamente sul podcast. La Compagnia Fantasma ha già letto/messo in scena diversi nostri testi, per ascoltarli basta visitare l'audioteca, sezione di wumingfoundation a cui teniamo quasi come alle pupille dei nostri occhi.
Per completezza: Radio Città del Capo si era già occupata di Manituana in un altro programma, Sparring Partner. Qui l'intervista di Piero Ingrosso a WM2.
OHIBO', UN SERVIZIO TV SU DI NOI! Sovente ci contattano stazioni/trasmissioni televisive (via etere, via satellite o via web) e ci chiedono:
- Vorremmo fare una trasmissione con voi o su di voi, sappiamo che non vi fate riprendere, che ne dite se vi riprendiamo di spalle?
- No, grazie, sembreremmo dei pentiti a un processo di mafia.
- E allora potreste indossare delle maschere!
- No, grazie, sembreremmo delle teste di cazzo.
- E allora, mentre parlate, vi riprendiamo solo i piedi!
- No, per carità, sembrereste delle teste di cazzo...
E così non se ne fa mai niente. Orbene, due collaboratori di Arcoiris TV hanno tagliato il nodo gordiano, trovando così la soluzione: un servizio TV su di noi va fatto senza di noi. Era l'oeuf de Colombe! Il servizio riguarda la nostra politica del copyleft, lo hanno realizzato Christian Biasco e Francesca Terri e si trova qui.
THE PERFECT STORM, OVVERO: L'INTERVISTA-MONSTRE
ossia: i migliori botta-e-risposta da: Pulp n.66 (marzo 2007), Il Mucchio n. 633 (aprile 2007), Tribe n.101 (aprile 2007), Carta n.12 (anno V, 31/03/2007), Off (23/03/2007) e ilveronese.it
Intervistatori: Alessandro Bertante (Pulp), Maura Murizzi e Aurelio Pasini (il Mucchio), Lucia Fabrizio (Tribe), Giuliano Santoro (Carta), Monica Mazzitelli (Off), Jonathan Zenti (Il Veronese)
a. Ad originem
b. La ricerca storica e la stesura
c. L'ambientazione, i personaggi, lo stile
d. Il sito
e. Il qui, l'adesso, il d'ora in poi
f. La letteratura e il ruolo dello scrittore
AD ORIGINEM
D. Come e quando nasce l'idea di scrivere Manituana?
WM1. Dopo 54, per qualche tempo ci siamo baloccati con l'idea di scrivere una saga ucronica. Si sarebbe svolta a fine Ottocento, ma in un continuum temporale dove gli USA non esistevano e la costa est del Nordamerica era ancora parte dell'impero britannico. Più di cent'anni prima, le Sei Nazioni irochesi si erano schierate all'unanimità con Re Giorgio, e avevano aiutato il suo esercito a schiacciare la ribellione di Washington e compagnia [...] Poi abbiamo pensato: nei romanzi collettivi ci siamo sempre concentrati sul momento che precede la biforcazione creata dal "what if", siamo sempre rimasti in bilico sull'ucronia senza mai praticarla. Ci siamo occupati di periodi in cui molte opzioni erano possibili e sarebbe bastato poco per cambiare la storia a venire. Quindi, perché non ambientare il romanzo - e la saga di cui è parte – direttamente nel vivo della guerra d'indipendenza, trattando quest'ultima come se l'esito non fosse scontato e non sapessimo come andrà a finire? All'inizio avevamo tre storie, tre sottotrame che si incrociavano, ma erano tutte talmente estese e piene di roba che abbiamo deciso di farne tre romanzi separati.
WM2. Oltretutto, ci siamo resi conto che la storia della Rivoluzione Americana era già un'ucronia. Rispetto alla storia che ci hanno sempre raccontato, almeno qua in Italia, come definire altrimenti un baronetto irlandese che va in battaglia pitturato come un guerriero e una matrona irochese che offre il tè agli ospiti con un servizio di porcellana cinese?
WM4. Non abbiamo scritto un romanzo sulla Rivoluzione Americana. Ci interessava andare alle radici dell'Estremo Occidente, del marcio che si annida all'origine della categoria stessa di Occidente, che non per niente significa "Tramonto", "Morte". Nei bassifondi di Londra per dire che un delinquente o un ladro di galline era stato giustiziato si diceva che era andato "a Ovest", perché il patibolo pubblico era oltre il West End, ma anche perché era il luogo del tramonto del sole, simbolo dell'Oltretomba.
D. Come mai avete deciso di raccontare la guerra d’indipendenza americana dal punto di vista degli indiani? Di solito non si ricorda che a perdere furono non solo gli inglesi, ma anche gli indiani. Si può parlare di post-colonialismo?
WM1. Se si guarda alla rivoluzione americana dal punto di vista dei nativi americani o degli schiavi neri, il rapporto oppressi-oppressori risulta esattamente rovesciato. Fu una rivoluzione fatta in gran parte da schiavisti che difendevano la schiavitù (già abolita a Londra e presto in tutto l'Impero), e da speculatori che vedevano nella Corona la protettrice degli indiani, il potere che impediva ai coloni di usurpare e mettere a profitto immense distese di terra. La frontiera era alla longitudine degli Appalachi, erano proibiti insediamenti bianchi oltre quella linea, e questo stava terribilmente sulle palle. Nasce in quegli anni la cosiddetta "ideologia della frontiera", che giustifica e al tempo stesso occulta il genocidio. Non credo si possa parlare di "post-colonialismo", quell'espressione indica la condizione sociale, culturale e psicologica delle persone nelle nazioni decolonizzate come, chessò, il Ghana o l'Indonesia. Per estensione, si definiscono "post-coloniali" anche le problematiche legate all'emigrazione da quei posti al Nord del mondo. Ma per i nativi americani non c'è stata alcuna decolonizzazione, al contrario: quando il Nordamerica era una colonia britannica, loro non erano colonizzati. Le nazioni indiane non erano suddite del Re.
D. Può un breve periodo di tempo racchiudere tutta la complessità di un periodo storico?
WM4. Non si tratta di comprimere la complessità, di chiuderla in un pertugio, ma di aprire uno squarcio, un varco che permetta al lettore di calarsi dentro un'epoca e dentro un contesto. E' vero, noi lavoriamo sulla storia, la usiamo come miniera di storie da scoprire e portare alla luce, ma è solo perché siamo convinti che il passato non sia alle nostre spalle, ma "sulle" nostre spalle. Il passato pesa sul presente, è ancora tutto qui. Il ritratto di George Washington è sulla banconota più circolante sul pianeta; il Canada ha tutt'ora un governatore (anzi, una governatrice) nominata dalla Corona inglese; le Sei Nazioni irochesi lottano ancora per riavere le loro terre.
D. A proposito di Q avete detto che la fine e l'inizio di un'epoca si assomigliano. Pensate che questa frase sia riferibile anche a Manituana, che racconta l'origine degli Stati Uniti d'America?
WM4. Sì e no. La differenza è che oggi gli Stati Uniti stanno subendo pesanti batoste sui fronti bellici dove sono impegnati, mentre due secoli fa nascevano proprio in virtù di una clamorosa vittoria militare (anche se agevolata dall'appoggio della Francia). La similitudine invece sta nell'attitudine espansionista che caratterizza la storia americana fin dall'origine. La repubblica stellata nacque sotto una spinta colonizzatrice talmente forte da pretendere l'indipendenza dal suo punto d'origine, cioè la madrepatria. Oggi quel processo è giunto alle estreme conseguenze.
LA RICERCA STORICA E LA STESURA
D. Il romanzo è molto vasto e la ricerca storica davvero approfondita. Come avete organizzato il lavoro di documentazione?
WM1. Biblioteche, film e Amazon. Decine di saggi ordinati su Amazon, come tutte le volte. Centinaia di euro investiti nella ricerca. Per i prossimi romanzi potremmo compilare direttamente una "wishlist" e chiedere ai lettori di regalarci i libri. Se cinquanta lettori ci regalano un libro a testa, abbiamo risolto il problema della documentazione. A dire il vero c'è stato anche il viaggio di uno di noi da New York al Québec, con tanto di passaggio (rapido) alla riserva mohawk di Akwesasne. Ma è stato nel 2001, quando nessuno di noi aveva in mente di raccontare una storia lungo lo stesso tragitto.
WM2. Più che mai si è trattato di work in progress. Il materiale era talmente vasto che non si poteva concludere la ricerca una volta per tutte e soltanto a quel punto cominciare a scrivere. Nella primissima scaletta, e nei primi capitoli scritti, tutto il viaggio che costituisce la prima parte del romanzo era completamente assente. Per questo pensavamo di poter intrecciare insieme tre filoni narrativi. Quando abbiamo capito di aver messo le mani su una storia così potente, le tre sottotrame sono andate a farsi benedire (o meglio, si sono trasformate in una trilogia).
D. Immagino che nella vostra ricerca, le fonti documentarie fossero rintracciabili soprattutto dalla parte “giusta” della Storia. Come avete ricostruito il passato di chi tramanda le proprie vicende principalmente con la trasmissione orale?
WM4. Per fortuna i discendenti delle Sei Nazioni irochesi curano molto il rapporto con la propria storia, e anche i discendenti dei coloni bianchi iniziano a mettere in discussione alcuni capisaldi della tradizione storica. In realtà le fonti ci sono sempre state e sono accessibili, basta guardare con la dovuta attenzione. Le biografie dei personaggi parlano da sole e raccontano una storia diversa da quella che ci è stata raccontata finora. Tant'è che nel nostro romanzo i personaggi inventati di sana pianta sono pochissimi.
D. In questi anni di collaborazione è cambiato l'approccio dei Wu Ming alla costruzione dei romanzi collettivi?
WM1. Cambia tutte le volte, il metodo subisce sempre variazioni. Il lavoro su Manituana è stato peculiare, perché per la prima volta scrivevamo in cinque. Quando è nato il collettivo e siamo passati da quattro a cinque membri, il lavoro su 54 era già cominciato, quindi Wu Ming 5 vi partecipò dall'esterno, soprattutto con consulenze sulla cultura popolare bolognese. Di fatto, Manituana è il primo nostro romanzo scritto in cinque. L'apporto di WM5 è stato fondamentale, ha certamente contribuito alla "piega" mistica e sciamanica del romanzo.
D. A confronto dei vostri precedenti romanzi Q, Asce di guerra e 54, Manituana, nonostante la complessità della storia e i molti personaggi, segue a uno percorso più lineare. Una scelta estetica?
WM2. Nella stesura dei primi capitoli abbiamo fatto un esperimento di scrittura col tipico narratore onnisciente dei romanzi settecenteschi. Il risultato era buono, ma rischiava di diventare stucchevole sulla lunga distanza. Allora abbiamo deciso di intraprendere una strada più estrema: un romanzo storico a struttura "classica", raccontato però da una dozzina di punti di vista diversi, sempre molto vicini alla "testa" dei personaggi. Salvo due o tre capitoli, la telecamera è sempre a spalla, nel cuore degli eventi. In Q c'erano le lettere a offrire una vista panoramica, in Asce di Guerra dei veri e propri capitoli storici, in 54 il bar Aurora svolgeva una funzione simile, supportato dai titoli di giornale. In Manituana non c'è niente di tutto questo. Siamo sempre convinti che si debba "sperimentare" con l'intreccio narrativo, oltre che con la lingua. Negli altri romanzi questo aspetto salta agli occhi. Oggi pensiamo che le migliori arditezze siano quelle che non si vedono.
L'AMBIENTAZIONE, I PERSONAGGI, LO STILE
D. A un certo punto del romanzo vi è la descrizione della Londra di fine Settecento. Metropoli modernissima con già presenti i sintomi di quella che sarà l'urbanizzazione industriale.
WM4. Non ci sono dubbi che la Londra del XVIII secolo sia il prototipo di ogni metropoli moderna, nel bene e nel male. Però noi abbiamo sottolineato ed esaltato alcune caratteristiche, schiacciando o impennando l'orizzonte urbano dell'epoca. Abbiamo immaginato Londra come una specie di Gotham City, dove si muovessero personaggi tanto bizzarri quanto moderni. Anche in questo caso riecheggia l'ucronia da cui eravamo partiti in origine. Sostituendo le prime due cifre alla data e trasformando il 1776 in 1976, per le strade di Soho avremmo potuto ritrovare curiosi figuri, con acconciature indiane e le facce pittate, che manifestavano fin dall'abbigliamento la loro alterità rispetto all'ordinata società britannica. In fondo è una pura casualità "dinastica" che Johnny Rotten cantasse God save the Queen, anziché ...the King.
WM5. Tutta la seconda parte del libro è ambientata a Londra e questo ci ha permesso uno sfondamento nella contemporaneità. La capitale dell'impero è una megalopoli. L'ambiente americano è archetipico, quindi atemporale. Londra, invece, àncora un punto di vista temporale. I romanzi storici parlano del presente. Noi autori viviamo nel presente. Scrivere un romanzo storico non è rifugiarsi nel passato per evitare prese di posizione sull'oggi. Anzi. La contemporaneità ha molte storie potenziali, ma le fonti sono insondabili e si prestano a limiti interpretativi. Come romanziere scegli il periodo storico individuando le coordinate che ti avvicinano al presente. In Manituana il liberismo è alla sua prima enunciazione. Oggi, quasi tre secoli dopo, risuona pesante con tutto il suo portato ideologico. La visione del passato aiuta il lettore a fare le sue considerazioni sul presente mentre legge le tue sul passato. E' uno slittamento molto interessante. Scrivendo del presente si corre il rischio di essere didascalici.
D. E proprio a nella trasferta londinese descrivete alcuni episodi particolarmente significativi: come l'udienza reale della delegazione indiana e le vicende della gang di fuorilegge che scimmiottava gli indiani. Che significato hanno nello sviluppo del romanzo?
WM2. L'ambientazione londinese serve a mostrare il cuore marcio dell'impero. Senza quella, si poteva pensare che ci fossimo bevuti il cervello e che i "buoni" del romanzo fossero gli inglesi. La visita a Londra è il motore di tutte le scelte che si consumano nella terza parte, fino alla fine del romanzo.
Quanto ai delinquenti del "Mohock Club", sono ispirati a una vera congrega di esaltati, che terrorizzò le strade di Londra nel 1712, con una sorta di guerriglia "mediatica". Ne parla anche Jonathan Swift nel Journal to Stella e sul sito manituana.com si può scaricare un racconto "parallello" che narra quelle vicende con tutti i riferimenti letterari del caso.
Nell'economia del romanzo, il Mohock Club ha un'importanza centrale: basti pensare che nei suoi scritti deliranti è suggerita una delle chiavi di lettura dell'intera vicenda.
D. Un romanzo che accoglie e fa suoi gli aspetti femminini del mondo, anche quello maschile. Come ci siete arrivati?
WM1. Le cose sono cambiate tanto, rispetto ai primi anni di esistenza del collettivo. Intanto, abbiamo relazioni fisse e stabili, ambiti affettivi che ci siamo costruiti con fatica e pazienza. Dopodiché, alcuni di noi sono diventati padri, anche di bambine. Mettere al mondo il mondo cambia la prospettiva sulla vita e sulle cose. Mettere al mondo un pezzo di "altra metà del mondo" la cambia in modo ancor più radicale. Sicuramente, questa esperienza rigeneratrice ha trovato la via per infilarsi in Manituana, anche senza e oltre la nostra volontà.
D. Vi sono molti grandi personaggi nel romanzo ma su tutti spicca la figura di Joseph Brant, il leggendario Thayendanegea capo di guerra degli irochesi, realmente esistito come molti altri protagonisti. Dove finisce la ricerca storica e dove comincia la finzione letteraria?
WM2. Finora ci eravamo abituati a lavorare con fonti incomplete. In Q, c'è la pagina strappata del Costituto Manelfi, sul cui contenuto gli storici si interrogano tutt'oggi. In Asce di Guerra c'è il racconto di Vitaliano Ravagli, unico superstite di una minuscola brigata internazionale nella "sporca guerra" del Laos. In 54 c'è il periodo depressivo di Cary Grant, sei mesi che nessun biografo ha saputo illuminare. Sono buchi che possono ossessionare lo storico, ma per un narratore sono manna dal cielo. Puoi riempirli come vuoi, basta che sia verosimile. Nella Rivoluzione Americana non ci sono buchi del genere: è tutto mappato in scala 1:1. Ci sono una quantità esorbitante di fonti primarie consultabili on-line, senza barriere: diari d'epoca, documenti, dispacci. Poi ci sono gli studi dei reenactors, quelli che hanno il pallino di rappresentare i grandi eventi della storia americana. Elmore Leonard li descrive molto bene in Tishomingo Blues: gente capace di toglierti il saluto se sotto il costume dei Butler's Rangers ti sei messo i boxer invece dei mutandoni al ginocchio. Con un materiale del genere è molto facile lasciarsi ossessionare: se vuoi, puoi ricostruire se il bosco intorno a Fort Stanwix era di larici o di querce. Devi tenere sempre a mente che stai scrivendo una storia, che devi essere verosimile, ricostruire un ambiente, ma anche forzare, concederti licenze senza stravolgere i fatti. Altrimenti il tuo intervento narrativo si riduce a poca cosa. Per fortuna, due dei protagonisti principali sono personaggi del tutto fittizi, che ci hanno aiutato a lasciarci andare quando ce n'era bisogno.
D. Come sono nate le figure di Joseph e Philip? In che misura il loro destino personale è specchio degli eventi di cui fanno parte?
WM1. Beh, Joseph è nato... senza il nostro aiuto, nel 1742 :-) E' uno dei nativi americani più famosi di tutti i tempi, certamente il più famoso (e famigerato) del XVIII° secolo. Viene anche nominato - anacronisticamente, dato che all'epoca era un fanciullo - nel film tratto da L'ultimo dei Mohicani. In Canada è considerato quasi un padre della patria. Il territorio mohawk di Tyendinaga, in Ontario, prende il nome da lui. "Thayendanega" significa "Lega due bastoni", "Tyendinaga" significa "Raccoglie i bastoni". Fu uno dei protagonisti della rivoluzione americana, benché dall'altra parte, la parte "sbagliata". Philip, invece, è totalmente una nostra invenzione. Rappresentano due modi di stare a cavallo tra mondo indiano e mondo bianco.
WM5. Philip è l'inconsapevole emissario della Grande Madre, e quella della Grande Madre è un'economia terribile, basata sull'alternanza morte-vita, sull'implicazione dell'un termine nell'altro. La Grande Madre è fondamentalmente una calotta cranica ripiena di sangue mestruale. E' da lì che germina la vita e questo, propriamente, è il Grande Mistero. Solo un mistico può accettare l'ineluttabilità, la maschera che sorride scoprendo i canini. Philip è un mistico a metà. E' un personaggio tragico, insieme a Molly è l'unico personaggio tragico in senso shakespeariano: tragico "perchè sa", non perchè "non conosce", come invece accade ai protagonisti della tragedia greca. Che cosa "sa" Lacroix? Sa che la logica della frontiera è la logica del massacro, più o meno da sempre, e nei massacri di grandi proporzioni non vincono i popoli che contano i membri a centinaia. Vincono i milioni di persone, vince la forza stolida del numero. Non è più il tempo dei guerrieri. Inoltre, Philip è un uomo allevato dai missionari francesi che diviene uomo dei boschi, ha conosciuto la cultura occidentale e sa che l'incontro con essa non può essere salvifico.
D. Il contesto storico è certo molto affascinante: stupisce la vita comunitaria dei primi coloni insieme agli indiani irochesi, un esempio di convivenza e contaminazione culturale.
WM4. Quando pensiamo agli indiani d'America ci vengono in mente branchi di cavalli selvaggi, cacce al bisonte su immense praterie, soldati blu che distruggono villaggi di tepee in nome del progresso e della ferrovia. Siamo tutti troppo influenzati dall'immaginario creato dal cinema western per ricordarci che non ci sarebbe mai stata una "conquista del West" senza una conquista dell'Est. Prima che lo scontro di civiltà sfociasse nello sterminio sistematico di un intero popolo, la civiltà dei bianchi e quella indiana si erano influenzate a vicenda per almeno un paio di secoli e avevano creato l'embrione di una terza cultura, quella euro-amerinda. Basti pensare che quando Benjamin Franklin dovette immaginare una forma costituzionale per le colonie americane si ispirò alla costituzione delle Sei Nazioni irochesi.
D. Ma c’è anche una certa lettura di "sinistra" e terzomondista, che tende a raffigurare l’indiano come il buon selvaggio. Manituana è spiazzante come gli studi postcoloniali degli ultimi anni, che ci restituiscono un Sud del mondo lontanissimo dagli stereotipi: profondamente meticcio e connesso all’Occidente.
WM4. Assolutamente sì. La visione da cui abbiamo voluto tenerci lontani è [anche] questa. Innanzitutto perché non serve a niente, è solo una favoletta, che non è interessante neanche dal punto di vista letterario. Buoni e cattivi stavano da entrambe le parti, gli indiani facevano politica esattamemente come gli altri. C’era diversità di opinioni, c’erano tentativi di raggiri, interessi privati che si mescolavano a quelli collettivi. La realtà era molto più complessa di quella che è stata solitamente rappresentata. E noi non abbiamo cercato di semplificare nulla, abbiamo cercato di rendere questa complessità, anche nella psicologia dei personaggi.
D. Il lettore ci mette un po’ ad abituarsi a una descrizione del re d’Inghilterra così spiazzante.
WM4. Abbiamo cercato di demolire progressivamente tutti gli appigli possibili a quanto di noto e ordinario venga associato a quegli eventi, per cercare di portare il lettore in un territorio nuovo e inesplorato. Pur sapendo come va a finire, tutti sanno che gli indiani hanno perso, ci è sembrato di muoverci nella Terra di mezzo, in un territorio fantasy in cui può accadere qualsiasi cosa. È un effetto voluto.
D. In questo specifico contesto c'è un evidente cambiamento di cifra stilistica riferita alla banda dei finti irochesi. A mio avviso inventate un linguaggio. Come mai questa scelta?
WM2. Cerchiamo di essere sempre molto attenti alle voci dei nostri personaggi. Nel Settecento l'inglese non aveva una pronuncia standard, anche tra parlanti della stessa classe sociale e della stessa città, non era scontato che ci si riuscisse a capire. Tra classi sociali diverse, o tra le due sponde dell'Atlantico, l'effetto babele era assicurato. Volevamo rendere questo effetto e siccome i capitoli del Mohock Club sono scritti dal punto di vista del capo banda, non ci siamo limitati a intervenire solo sui dialoghi. La direzione giusta ce l'ha indicata Bruce Alexander, autore di gialli ambientati nella Londra di fine Settecento, con protagonista il giudice Fielding (fratello del Fielding che scrisse Tom Jones). La lingua ce la siamo inventata partendo da quella che Floriana Bossi ha usato per tradurre Arancia Meccanica di Anthony Burgess.
WM1. Nel libro non una sillaba è messa senza pensarci dieci volte. La cura maniacale per il linguaggio si è spinta fino a discussioni di mezz'ora su tenere o meno una particella pronominale. Però questo lavoro non deve dare sfoggio di sé, anzi, deve essere discreto, stare "schiscio", mettersi al servizio della narrazione. Noi citiamo sempre un'immagine di Paco Taibo, quella della sperimentazione – anche linguistica – come "cucitura invisibile". Dopo aver lavorato sull'alchimia della lingua, occorre uno sforzo altrettanto immane per dissimulare quel lavoro.
IL SITO
D. Uno dei vostri sforzi dichiarati è quello di essere cantastorie, di trasformare gli eventi in narrazione e di restituirli continuamente alla comunità. A che comunità si rivolge Manituana?
WM4. A chiunque abbia voglia di farsi guidare in un viaggio attraverso territori inesplorati e mappare un mondo fantastico. La narrativa è condivisione di storie, nient'altro. Più gente sceglierà di popolare l'universo di Manituana, tanto più sarà possibile espanderlo, renderlo vivido, animarne i popoli e i personaggi.
D. Oltre a uno splendido booktrailer, il sito di Manituana è ricchissimo di molte altre suggestioni. Come è nata questa idea e cosa vuole generare?
WM4. Siamo sempre più consapevoli di un fatto: noi non facciamo letteratura in senso stretto. La "letteratura pura", il mondo dei letterati, ci causano claustrofobia. E' un orizzonte angusto, contemplato da conventicole autoreferenziali. Noi siamo "narratori con ogni mezzo necessario". Abbiamo fatto scorribande nel cinema, nei fumetti, nei giochi di ruolo. Ci siamo formati nel Luther Blissett Project, che era quanto di più multimediale e transmediale si potesse immaginare. I romanzi sono forse il nostro principale strumento d'espressione, ma non sono l'unico.
D. Avete aperto una sezione del sito dedicata ai “suoni”. Di quali fonti sonore si potrà arricchire col tempo?
WM5. Difficile prevederlo. La tendenza va verso l’eterodosso, verso la diversità. Speriamo che la sezione diventi un’allegra babele. Va bene tutto, dal garage punk al free jazz, dipende solo dalla capacità del romanzo di accendere la lampada dell’evocazione nella mente di chi suona.
D. Avete sviluppato sul vostro sito, un Livello 2 di Manituana, da affrontare dopo la lettura del romanzo. Come si rapporta la parola scritta agli altri modi di fruire un racconto?
WM1. Tutti i modi sono compresenti, in ciascuna fase della nostra percezione. La parola scritta suscita immagini nella mente di chi legge, evoca suoni, stimola il pensiero e l'interazione con la storia. In potenza, la parola scritta contiene già ogni tipo di esperienza. Noi cerchiamo di passare dalla potenza all'atto.
IL QUI, L'ADESSO, IL D'ORA IN POI
D. Cosa ha aggiunto Manituana a Wu Ming?
WM1. Qualche problema di salute in più, qualche diottria in meno, sovraffaticamento, necessità di un impossibile riposo. Un po' di consapevolezza in più, nuove metodologie di lavoro collettivo, maggiore padronanza della lingua rispetto agli anni di Q e 54. E poi l'acquisizione più importante: la convinzione che da qui non si torna indietro, si può solo alzare la posta ogni volta, ogni volta la va o la spacca. L'esito di questo romanzo definirà il futuro del nostro progetto collettivo.
D. Le riflessioni su Londra di Philip Lacroix tracciano perfettamente il rapporto tra centro e periferia. Qual è, se c'è, il collegamento con il presente?
WM4. Quello che abbiamo raccontato era già un mondo globalizzato, nel bene e nel male. Il rapporto tra centro e periferia era intenso e vitale, motore di scambi e conflitti, di ricchezza culturale e flagelli su larga scala. La guerra d'indipendenza americana è stata una guerra mondiale, che ha visto coinvolte le principali potenze dell'epoca, ma anche i popoli nativi e le culture locali. In questo senso l'identificazione tra gli abitanti dei bassifondi di Londra e gli irochesi è una delle chiavi di volta del romanzo.
D. Nel trailer del romanzo riferendosi all'ambientazione storica a un certo punto la voce narrante dice: "Quando tutto era ancora possibile". Cosa era possibile secondo voi?
WM4. Proviamo a riformulare la domanda in un altro modo: cosa sarebbe successo se i ribelli americani non avessero cacciato il re, abolito l'aristocrazia, e non avessero fondato una repubblica? Con i "se" e con i "ma" la storia non si fa, dice la massima. Eppure un "se" concreto sta proprio lì a due passi, sull'altra sponda di quei Grandi Laghi che sono scenario del nostro romanzo. E' il Canada. Nel 1775 i ribelli americani non sono riusciti a esportavi la rivoluzione e così il Canada non è entrato a far parte della federazione dei "liberi e dei coraggiosi". D'altro canto in questo modo non ha nemmeno vissuto una sanguinosa guerra civile per abolire la schiavitù, tanto meno è diventato la potenza imperiale più pericolosa e incontrollabile del pianeta, con dieci milioni di cittadini nullatenenti e cinquantamila morti all'anno per arma da fuoco. In compenso oggi il Canada ha un governatore generale donna di origini afro-americane. Un bel paradosso, non c'è che dire, un bel "what if" su cui interrogarsi.
WM1. In Bowling For Columbine Michael Moore si interroga proprio su questo e decide di fare un esperimento: superato il confine, entra nella prima cittadina canadese, prova la maniglia di una porta, vede che non è chiusa a chiave, si affaccia dalla strada e saluta il padrone di casa. Fa per congedarsi, è già di spalle, ma si rende conto di una cosa. Si gira e rivolge al tizio un'ultima frase: "Grazie per non avermi sparato!"
D. Cosa rimane di tutto ciò nella cultura e nell’immaginario statunitense contemporanei?
WM4. C’è sicuramente un grosso precedente letterario, come il ciclo di cinque romanzi di Occhio di falco di James Fenimore Cooper, da cui è stato tratto L’ultimo dei mohicani. Il protagonista Nathan Bumppo, cioè Occhio di falco, si trova a metà fra la cultura bianca e quella indiana. Ovviamente noi abbiamo avuto maggiore libertà, visto che Fenimore Cooper ha scritto quei libri nell'Ottocento. Nella memoria statunitense c’è l'eco di quella cultura meticcia. Ma quando poi la frontiera si è spostata ad ovest l'immagine dell’indiano è diventata quella texwilleriana, quella del sioux. Ma è già una storia diversa, perché la conquista del West è stata un lampo in termini storici, è stata una corsa senza freni a chi si accaparrava un pezzo di terra cominciata dopo la Rivoluzione. Non c’è stata quella lunga fase intermedia che ha caratterizzato l’attrito tra le tredici colonie, la Lega delle nazioni e gli indiani dell’entroterra. Il lento processo di colonizzazione ha investito più di due secoli e ha dato spazio e possibilità alla nascita di una cultura meticcia. Ai tempi della conquista del West non c'era più re Giorgio tra i piedi che ponesse dei limiti all’espansione delle colonie. È questo è un altro dei paradossi della storia: alle volte quello che è un tiranno cattivo per i bravi rivoluzionari può diventare l’ultima speranza per chi deve salvare la pelle.
D. Sul vostro sito si legge che Manituana è il primo romanzo di un trittico che vi impegnerà "almeno fino al 2012". Da ciò si deduce che avete preso a cuore la rivoluzione americana e che manterrete un ritmo di produzione quasi cinese (se anche gli altri due romanzi dovessero avere mole simile)! L’idea della trilogia è venuta in fase di scrittura di Manituana (tanto era il materiale accumulato) oppure siete partiti fin dall’inizio con l’idea di un serial americano alla maniera del vostro venerato Ellroy?
WM5. In origine avevamo pensato a un romanzo mondiale, ancora più vasto, con l’oceano Atlantico come interfaccia tra le varie parti del mondo e le molte storie che dovevano intrecciarsi. Ci siamo resi conto presto che era un romanzo impossibile da scrivere: avrebbe preso dieci anni, e c’era il rischio dell’illeggibilità. Così abbiamo deciso che le tre linee narrative principale dell’Ur-romanzo dovevano diventare tre momenti distinti, i tre aspetti di un trittico.
LA LETTERATURA E IL RUOLO DELLO SCRITTORE
D. Chuck Palahniuk dice che il vantaggio dei libri risiede nell’abilità di affrontare tematiche e di descrivere scene che nessun altro mezzo di informazione può fare. Poiché nessuno legge, e ai libri è rivolta un’attenzione molto ridotta da parte del pubblico, gli scrittori sono addirittura privilegiati nel raggiungere certi estremi. Siete d’accordo con questo teorema, ovvero col fatto che la scrittura dà una libertà incredibile proprio perché i libri non interessano a nessuno?
WM1. Negli ultimi anni, uno degli scrittori che più ha sperimentato, forzando e trasgredendo quasi tutte le regole del romanzo, inventandosi linguaggi, "amputando" parti della narrazione solitamente ritenute fondamentali, contaminando, digredendo all'infinito, sfidando il fallimento e la messa in ridicolo, è Stephen King. Uno che, quando gli va "male", vende comunque decine di milioni di copie in tutto il mondo. Uno i cui libri sono attesi e divorati da una vastissima comunità, da un intero universo di affetti e aspettative. Uno le cui opere non smettono di influenzare tutte le arti, dal cinema ai videogames passando per il cinema e i fumetti. Al contrario di quanto dice Palahniuk, io credo che più i tuoi libri interessano, più spazi di libertà puoi ricavarti. Nel nostro piccolo, senza avere alle spalle successi come Q e 54, non avremmo prodotto libri ostici e sperimentali come New Thing e Free Karma Food.
D. In questi anni siete stati molto reticenti ad apparire in trasmissioni televisive o a rilasciare fotografie per le interviste. Questo è dovuto solo a un motivo tecnico, dato che la radio vi consente di mantenere l'anonimato, o c'è un rapporto speciale con questo mezzo?
WM1. Più che reticenti, siamo proprio contrari. Niente fotografie, niente riprese. Una volta che lo scrittore diventa un volto separato e alienato (nel senso letterale), comincia una ridda cannibalica, quel volto appare ovunque, quasi sempre a sproposito. La foto testimonia la mia assenza, è un vessillo di distanza e solitudine. La foto mi blocca, congela la mia vita in un istante, nega il mio trasformarmi in qualcos'altro, il mio divenire. Divento un "personaggio", un tappabuchi per impaginazioni frettolose, uno strumento che amplifica la banalità. Al contrario la mia voce, con la sua grana, con i suoi accenti, con la sua dizione imprecisa, le sue tonalità, ritmo e pausa, tentennamenti, è la testimonianza di una presenza anche quando non ci sono, mi porta vicino alle persone, e non nega il mio divenire perché è una presenza dinamica, mossa, tremolante anche quando sembra ferma.
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