/Giap/#11 IVa serie - I templari elettrici vegliano indefessi - 24 settembre 2003
0- Johnny Cash reazionario? [WM5, WM2, WM1]
1- Novità varie (sito, libri, presentazioni etc.)
2- Un chiarimento su carne, vegetariani, ambiente [testo collettivo di Wu Ming]
3- Le peripezie di un giapster che voleva comprare "Ecocidio" di Rifkin
4- Carovita e Junk food [Moroz]
5- A proposito di auto elettriche [Pier Paolo e Cinzia]
6- Sulle luci delle banche accese di notte [Rossano, WM1, WM5]
7- Un chiarimento di Erika sulla questione tumore, carne & fumo
8- Dubbi sull'idrogeno e problema delle Quantità [M., WM5, Massimo]
9- La raccolta differenziata [Stefano]
10- Nostra defaillance: brevetti sul software [un altro Stefano]
[WM1, WM2, Wm5:]
[Con riferimento ad alcune mail ricevute, in cui qualcuno si sorprendeva della dedica dello scorso Giap a Johnny Cash, dato che quest'ultimo era "di destra":]
Nel giudizio su una personalità complessa come quella di Johnny Cash giocano diversi fattori. Eravamo certi che più di un sopracciglio si sarebbe sollevato, perché l'equazione Country=destra è radicata e difficile da smontare, e perché certe prese di posizione esplicite di Cash non possono essere giudicate, dal nostro punto di vista, di sinistra. Ma il suo ruolo nell'industria culturale americana (il ruolo implicito, il ruolo del corpo, dell'anima e della voce di Cash) non è mai stato "reazionario". Tutt'altro. Pioniere dell'elettrificazione della musica folk americana, padre bianco del rock'n'roll, ha influenzato praticamente tutti, dai Byrds a The Band a Gram Parsons ai Cramps al “country punk" a Jon Spencer.
Di fronte all'apertura di spazi di libertà concreti e praticabili per il corpo e per la mente, certe affermazioni (che vanno contestualizzate all'interno dello specifico americano) patriottiche non ci sconvolgono più di tanto.
James Ellroy non è certo un compagno, anzi. Edward Bunker, se possibile, è pure peggio (convinto sostenitore della guerra globale, della risposta americana alla minaccia terrorista e altre stronzate... cfr.
http://sapere.virgilio.it/extra/035/intervista.html). Eppure, i loro romanzi sono un'altra roba. Se Ellroy scrivesse di vicende italiane - il caso Moro, le stragi, i tanti misteri - i suoi personaggi ambigui e assetati di potere, i suoi sbirri corrotti, i suoi viscidi intrallazzoni, finirebbero per facilitare una lettura conflittuale più di tante narrazioni catechistiche, da compagneria doc, da gente che sembra volersi far ricordare per la militanza prima ancora che per la scrittura.
Johnny Cash, l'Uomo in Nero, si inserisce a pieno titolo nella tradizione composita del "populism" americano (che non è proprio il populismo nell'accezione che usiamo noi - si potrebbe forse tradurre con 'popolarismo"). Politicamente sfuggente per via del suo background culturale, senz'altro ben più "a destra" di gente come Woody Guthrie, eppure più "a sinistra" di molti altri, anche... a propria insaputa.
Cash ha cantato il dolore degli oppressi, le minoranze, i carcerati. Ha scritto canzoni come As Long As The Grass Shall Grow (che narra di come la tribù indiana dei Seneca fu ingannata dal governo dei neonati USA), Custer ("Per alcuni è un eroe ma per me non valeva niente / ha ammazzato donne, bambini e cani / ma adesso non cavalca più tanto bene") o Drums, che denuncia addirittura con violenza lo sradicamento organizzato della cultura dei nativi americani, dal punto di vista di un bambino indiano che non si lascia "riprocessare" ("Signor maestro, dici che mi metterai a posto, ma lascia che ti dica / in cinquecento anni di lotta, non un solo indiano è mai diventato un bianco").
St.Quentin, poi, è una canzone bellissima contro il carcere, che ne dichiara a gran voce l'inutilità.
Per quanto riguarda il baraccone mediatizzato del country & western, più volte Cash ha tenuto a mantenere le distanze, in canzoni come Backstage Pass, che è una descrizione della fauna di scrocconi e falliti che affolla le quinte degli show di Willie Nelson, e ancor più esplicitamente in I Hardly Ever Sing Beer Drinking Songs ("Non canto quasi mai canzoni da birra / e quando suonano quei pezzi disonesti non canto mai in coro").
Anche la scelta delle cover e degli standard o comunque di canzoni non scritte da lui è rivelatrice: Another Man Done Gone è una canzone contro i linciaggi, Busted è una canzone sui contadini ridotti in povertà, Chain Gang è una canzone sui lavori forzati, Crystal Chandeliers And Burgundy è un inno alla libertà degli hobos che viaggiavano di nascosto sui treni-merci, Joshua Gone Barbados è una canzone di solidarietà ai tagliatori di canna da zucchero di Trinidad scesi in sciopero etc.
Ma soprattutto: a noi piace, la sua musica e la sua voce ci commuovono, quindi gli abbiamo dedicato un Giap. It's as simple as that.
[Cogliamo l'occasione per precisare che, anche se la versione di riferimento è ormai quella di Johnny Cash, The Man Who Couldn't Cry l'ha scritta Loudon Wainwright III°]1----
Attenzione: con tutta probabilità il romanzo solista di Wu Ming 2 (che non ha ancora un titolo definitivo) uscirà nel febbraio 2004 per Einaudi Stile Libero. Ovviamente vogliamo che esca su carta ecologica :-)
Abbiamo in programma un'operazione eterodossa, se non addirittura spericolata: pubblicare i nostri tre romanzi solisti a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. Avremo bisogno di tutto l'appoggio possibile e, se va bene, saremo avanzati non di qualche pollice ma di diverse yarde (ancora una volta cfr. il discorso di Al Pacino in Any Given Sunday di Oliver Stone - lo trovate in MP3 nei canali peer-to-peer, digitando "Pacino Inches").
Nel frattempo stiamo facendo ricerche per il nuovo romanzo collettivo.***
Wu Ming 2 legge la versione 1.0.0. del racconto open source "La ballata del Corazza"
(con ingegneria sonora di ElSo)
In doppia versione MP3 128k e OGG 112K, scaricabile qui:
http://www.wumingfoundation.com/suoni/suoni.html***
Nuovi commenti dei lettori su 54, disponibili qui:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/54/commenti_54_11.html***
Presentazioni di Giap! ottobre 2003 (quasi le ultimissime del tour)
Gio 9 0ttobre - BERGAMO
h.21:30, C.S.A. "Pacì Paciana",
Via Grumello 61/C Bergamo
Tel. e Fax 035/4373217
paciana@ecn.org
Mar 28 ottobre - LUGO (RA)
h. 18:00 Emò,
via Magnapassi 30
(angolo via Tellarini)
Tel. 0545/31590 - 338/3648766
Mar 28 ottobre - FUSIGNANO (RA)
h.21:00; Centro culturale Il Granaio
Piazza Corelli, 16
Tel. 0545.955611
cultura@comune.fusignano.ra.it***
Ultima chiamata per Nandropausa#4 bis. Lo spediamo il 28 settembre o giù di lì.
2----
A PROPOSITO DI CARNE, VEGETARIANI, AMBIENTE
Testo collettivo di Wu Ming
Il dibattito su carne, vegetarianesimo e consumo "consapevole" della carne, aperto dal nostro botta-e-risposta con Erika, è stato singolarmente acceso. Abbiamo ricevuto moltissimi messaggi, e ci siamo resi conto di avere dato troppe cose per scontate. Abbiamo anche riscontrato, una volta di più, che ragionare mettendo in campo una "dialettica del limite" suscita prese di posizione decise, frontali e alle volte anche allarmate. Siamo stati abituati a credere che il diritto d'accesso ai consumi sia una conquista indiscutibile. Noi possiamo mangiare carne molto più spesso dei nostri nonni, e questo è buono.
Esiste una vulgata che un vegetariano si sente ripetere almeno tre volte al giorno tutto l'anno per tutta la vita: chi mette in discussione la dieta a base di carne lo farebbe per motivi etici rispettabili ma contronatura: l'essere umano è sempre stato carnivoro, tant'e' vero che abbiamo i canini.
Molti sostenitori di questa vulgata ci hanno scritto lettere ben argomentate, che ci convincerebbero... se le premesse fossero le stesse da cui partiamo noi, e con noi molte altre persone che si pongono il problema.
Dall'altro lato della barricata, ci scrivono vegetariani e vegani dicendo che non abbiamo posto l'accento sulla necessaria empatia con l'animale sofferente, con la vittima.
Questi opposti schieramenti condividono almeno una delle premesse da cui non partiamo noi: mettere in discussione la carne sarebbe principalmente un problema etico, che atterrebbe esclusivamente alla sfera delle scelte personali, dei sentimenti etc.
Per noi, invece, il problema è principalmente ecologico, di impatto ambientale e sociale complessivo.
Riassumendo a beneficio di tutti, le posizioni espresse dal collettivo sono, con vari distinguo, più o meno queste:
1) Il consumo di carne sostiene un mercato che contribuisce in maniera decisiva alla catastrofe ambientale in corso: gas serra da deiezioni bovine e desertificazione sono gli effetti collaterali più evidenti dell'esistenza di un miliardo e trecento milioni di vacche (e altri animali fornitori di carni rosse) che calpestano e mangiano il pianeta aspettando di finire sul piatto. Non solo: tale mercato alimenta la fame nel mondo.
Quando ci si trova di fronte una fetta di carne non si ha la minima idea di quante risorse sono state sprecate e distrutte per produrla. Un po'di dati:
a) Nel nord del mondo la maggior parte dell'inquinamento delle falde acquifere è causato dagli scarichi degli allevamenti intensivi.
Una provincia di medie dimensioni come quella di Mantova, grazie alle porcilaie industriali, ha gli stessi scarichi inquinanti di una megalopoli di milioni di persone.
b) Negli Stati Uniti, i bovini mangiano il 70% dei cereali coltivati, il che significa che i sussidi agli agricoltori tanto contestati dai paesi poveri al recente vertice WTO, sono in realtà sussidi alle vacche. Detta in soldoni, per allevare queste ultime si strangolano le economie agricole del Sud del pianeta. Non solo: su scala mondiale, il 48% dei cereali del pianeta viene impiegato per nutrire le bestie. Solo che una vacca è un pessimo convertitore di energia, ne disperde moltissima. Per produrre 1 kg. di carne di manzo occorrono 9 kg. di mangime. Per produrre 1 kg. di proteine di manzo occorre consumare 16 kg. di proteine vegetali. Si è calcolato che nei soli Stati Uniti, in un anno, la quantità di cereali mangiata dalle vacche senza essere convertita in carne basterebbe a sfamare tutta la popolazione mondiale. Su 145 milioni di tonnellate di cereali e soia dati da mangiare alle vacche, soltanto 21 tornano a essere disponibili per l'alimentazione umana sotto forma di carne. (cfr. "Nutrire le bestie e affamare la gente", quinta parte del saggio di Jeremy Rifkin Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, Mondadori 2001). E stiamo parlando soltanto di quanto mangia una vacca. In questa sede sorvoleremo su quanto beve.
Ultimo dato a questo proposito: nel Terzo Mondo ogni persona consuma mezzo chilo di cereali al giorno. Nei paesi ricchi se ne consumano cinque volte tanti (in gran parte in maniera indiretta: latte, uova, carne).
c) L'allevamento di bovini e l'industria zootecnica/alimentare occupano il 24% della superficie del pianeta, se si calcola la superficie delle coltivazioni di cereali destinati ai bovini, dei grandi pascoli e delle aree disboscate per lasciare il posto agli allevamenti estensivi (che a loro volta lasciano il posto al deserto).
d) Quanto all'effetto-serra e agli sconvolgimenti climatici, forse non tutti sanno che ogni anno questi 1.300.000.000 bovini emettono circa 60 milioni di tonnellate di metano nell'atmosfera, pari al 12% dell'emissione totale di questo gas.
Nel rispondere a Erika abbiamo dato per implicita la conoscenza di questa situazione: dopotutto, sono vent'anni che si manifesta contro McDonald's in nome dell'Amazzonia, ma evidentemente non è ben chiaro cosa colleghi il primo alla seconda.
2) Consumo consapevole: alcuni di noi, anche per i motivi di cui sopra, hanno rinunciato alla carne, altri ne limitano fortemente il consumo e si rivolgono a carne biologica non proveniente da animali allevati in stabilimenti intensivi.
3) E' innegabile che, nonostante abbiamo scelto di concentrarci sul piano politico-ambientale-collettivo, il consumo di carne implichi riflessioni di carattere etologico, antropologico, culturale e storico che finiscono per definire un campo problematico di carattere anche morale. In cui, con tutta evidenza, ci asteniamo dal prendere posizione pubblicamente.
Il ciclo della produzione e consumo comprende anche il piano emotivo, relazionale, mentale, e lavora propriamente sulla fabbricazione di stati mentali connessi alla merce. Una merce (ad es. le Marlboro, o un auto di lusso) evoca uno stile di vita da adottare e in cui vedersi dall'esterno, non fosse che per il lasso di tempo in cui la sigaretta è accesa. Ecocidio esamina le implicazioni sentimentali, ideali e ideologiche del consumo di carne nella nostra cultura, il suo status di merce eccellente e suggerisce un legame diretto tra consumo di carne e immaginario di competizione & sopraffazione.
Il piano dell'argomentazione si articola non tanto a partire dai popoli inseriti in un'economia tradizionale di caccia e raccolta (come il cosiddetto uomo primitivo e poche comunità oggi sparse in Amazzonia, Australia e Africa Sud-occidentale) ma dalle le società di allevatori tese a creare un surplus di carne disponibile per la comunità.
Il discorso a questo punto si fa complesso: approfondendo i temi biologici e ambientali si arriva facilmente a toccare un piano etico, anche religioso. Sarebbe improprio da parte nostra pubblicizzare le nostre convinzioni su questo terreno: un Papa basta e avanza nel nostro paese.
E' d'altra parte futile negare che un discorso sul consumo della carne non sia anche un discorso sullo status degli animali nel Mondo. Gli animali sono davvero *vittime*. Gli allevamenti intensivi sono luoghi nati nelle menti di criminali sociopatici.
L'aspetto ecologico del problema rimane comunque, secondo noi, il più determinante e... convincente. Del resto, la BSE ha convinto molte più persone di qualunque discorso sulla sofferenza del pollo o dell'agnello. E' triste constatarlo, ma è così.
Infine, la questione "onnivori o non onnivori", canini o non canini è mal posta. E' connessa al discorso idealistico sulla "natura umana".
L'umanità non è "l'idea di umanità": è la specie vivente qui, ora, determinata storicamente: qui e ora i vegetariani esistono e stanno benissimo. :-)
3----
<<Ho comprato Ecocidio, come da voi consigliato, ma a quale prezzo!
leggete qua: http://salgalaluna.clarence.com/archive/028905.html
a presto,
Lorenzo>>
4----
Moroz, 16/09/2003
<<[...] nella nostra società più si è ricchi più ci si può permettere cibo sano, mentre se si hanno pochi soldi in tasca è più facile essere spinti a ingozzarsi di schifezze (si può evitare, è vero, ma con un certo notevole sforzo). Esempio pratico: ora di pranzo, centro di Bologna. Con due euro si può comprare un bel pezzo di pizza fritta, effetto mattone nello stomaco, che sei a posto quasi fino al pranzo del giorno dopo. Per comprare un'insalata, o una bistecca ai ferri, di euro ce ne vogliono almeno cinque (senza bere, coperto né altro). Non parliamo poi della mensa universitaria, dove per cinque euro al massimo ti lasciano guardare i cibi. E'vero che basterebbe andare al supermercato, comprarsi due pomodori e mangiarseli così, crudi e sconditi, in mezzo a una strada... ma spero converrete con me che è decisamente meno pratico e comodo della pizza.
Io sono sempre in bolletta sparata, ma sono sicuramente molto lontano dall'indigenza. E quando posso mi permetto il petto di pollo biologico... che però, nei supermercati di Bologna, costa più o meno il doppio di quello non-bio. Così compro anche quello, bisogna pur sopravvivere.
Per comprare oggi dei pomodori freschi per fare la salsa bisogna essere imparentati con Berlusconi, mentre la salsa concentrata in tubetto (il sapore è dubbio, però) costa un decimo.
Un amico di recente a NY mi raccontava che la situazione lì è molto peggio: il VIP assume personal trainer e gira per ristoranti supermodaioli dove si mangia supersano (verdure, tutto biologico, tutto calibrato al Kj) mentre se si è al verde e ci si vuole nutrire l'unica è affidarsi a un Mc Donald's, o un clone di questo.
Addirittura mi diceva che i supermercati sono ripieni di: patatine, dolcetti, carni fritte, hamburger e compagnia, mentre per comprare un peperone bisogna: 1) cercare un fruttivendolo; 2) finire un blocchetto degli assegni.
Mi auguro di tutto cuore che in Italia non vada a finire così.>>
5----
Pier Paolo, 16/09/2003
<<[...] Sono progettista in un'azienda di controlli elettrici per trazione e dalla mia esperienza non ritengo l'auto elettrica uno strumento sostituibile (tranne in piccolissimi casi) all'auto a combustione (pur odiando anche me stesso perché costretto a farne uso).
Provo a riassumere gli svantaggi:
1) Autonomia (e prestazioni) insufficienti.
2) Le batterie sono tutt'altro che ecologiche, al giorno d'oggi, almeno, e il loro smaltimento è un discreto problema.
3) L'energia che serve (ed è tanta) viene comunque dalle centrali elettriche. Il rendimento del sistema controllo + motore è abbastanza alto (80-85%), ma un'altra buona fetta (che non riesco a calcolarvi) di energia viene dissipata nelle batterie e nel caricabatteria, durante la carica.
4) Nel motore (e tutt'attorno) ci sono intensissimi campi elettromagnetici dovuti alle forti correnti, probabilmente meno pericolosi solo perché a bassa frequenza.
Non voglio fare il guastafeste, ma l'auto ecologica per me può solo essere a pedali.
A proposito di pedali, se l'energia dei fanali accesi di giorno venisse prodotta con una dinamo pedalando, a nessun ministro (per quanto idiota) sarebbe mai potuta venire quella stupida idea.
Tecnicamente, secondo me, la soluzione praticamente più ecologica sono i mezzi pubblici elettrici. Che poi la nostra energia elettrica venga dal petrolio... quello è un'altro (grosso) problema. [...]>>***
[Abbiamo chiesto un commento alla nostra amica Cinzia, che si occupa di trasporto ecocompatibile e tra l'altro realizza le copertine dei nostri libri:]
<<Ciao, sono Cinzia e volevo confrontarmi con te sulle "auto elettriche".
Mi occupo di veicoli a zero o basso impatto ambientale e di progetti di riorganizzazione della mobilità.
Penso che nessun veicolo fino ad oggi progettato possa realmente sostituire i veicoli termici perché il vero problema è che bisognerebbe cambiare il senso e la percezione della mobilità. E' sbagliato ormai pensare ad un veicolo che vada bene per tutti, ad un unico tipo di approvvigionamento energetico. Siamo in tanti e qualsiasi cosa "prodotta per tutti" crea danni e disequilibri compreso l'idrogeno la cui produzione, se utilizzato da tutti, creerebbe dei serissimi problemi.
La mobilità va differenziata, va resa adeguata alle esigenze individuali.
Sai che uno studio fatto nientemeno che dal Comune di Bologna ha evidenziato che il 70% del traffico urbano non fa più di 34 Km giornalieri?
Ti immagini che vantaggio in termini sociali ed individuali se questo 70% utilizzasse un veicolo elettrico?
Non si deve pensare a questa tipologia mezzo come "l'auto che mi fa sognare ma ci metto dentro il motore elettrico":
1- bisognerebbe sognare pensando ad altro;
2- i veicoli elettrici sono per uso urbano quindi hanno senso o come autobus o come piccolo veicolo;
le versioni elettriche di quelle macchinine senza patente, i quadricicli leggeri, hanno ottanta km di autonomia, montano 6 batterie al piombo gel sigillato che durano circa 3 anni, una carica consuma 1 e 1/2 circa di elettricità.
Lo scooter elettrico ha 50 km di autonomia e consuma circa 0,50 centesimi, monta 4 batterie, il piombo gel si ricicla al 92%. Ce ne fossero!
La mia esperienza mi ha portato a capire che l'elettrico e ogni altra ipotesi di alternativa al petrolio è stata più o meno subdolamente boicottata perché questo è stato precisamente richiesto da alcune case di produzione di autoveicoli patrocinate, diciamo così, dalle multinazionali dell'oro nero.>>
6----
Rossano, 20/09/2003:
<<Sulle luci accese nelle banche alla notte.
Lo faccio notare ad un amico bancario e questi riesce a stupirmi (ma magari sono solo ingenuo e disinformato io...): infatti mi narra quanto segue.
Tutte le mattine lui arriva in ufficio ad un orario volutamente (dalla banca) variabile. A volte per primo(a turno coi colleghi, apre la filiale) a volte no. Perché ? Perché eventuali rapinatori non individuino colui il quale "apre" la filiale (norma di sicurezza in vigore da molti anni).
E anche le luci accese hanno una funzione della stessa natura, un "linguaggio"... mi spiego meglio: all'occhio attento di un appassionato del noto gioco della Settimana Enigmistica "Aguzzate la vista" non sfuggirebbe che quali luci sono accese, quali tendine sono tirate, che sportelli sono rimasti aperti e altri dettagli cambiano di giorno in giorno (o di notte in notte...), o meglio cambiano a secondo di quale dipendente chiude la filiale e di chi la riapre (secondo una procedura standard ben precisa)... come a dire... se luci, tendine o quant'altro sono nella tal condizione, allora tutto ok (il tal collega, come previsto, ha chiuso e tutto era ok), se no potrebbe essere entrato qualcuno o, peggio, essere ancora dentro...
Certo, questa funzione delle luci di notte non costituisce giustificazione allo sperpero di energia elettrica, ma io non lo avrei mai immaginato...>>***
[WM1:]
Avevo sentito dire di un sistema del genere, a metà tra 007 e "La settimana enigmistica". Qualche film contiene riferimenti ai "linguaggi interni" delle banche, come Bandits, con Bruce Willis e Billy Bob Thornton. Stai sicuro che i rapinatori ne sono ben al corrente, e - ammesso e non concesso di superare tutti i vari allarmi e le aperture a tempo, ché oggi le banche sono fortini ipertecnologici [*] - evitano di farsi prendere come dei pirla perché hanno spento una lucina. Tra l'altro, mi chiedo se sia necessario tenere accesi proprio tutti i neon, come in certe banche che vedi di notte, per costruire un codice. In ogni caso è un sistema che costa alla collettività (sono in costruzione 150 nuove centrali termoelettriche, per tenere in piedi questi bei giochini). Non è certo la colpa più grave delle banche, ma la aggiungiamo al carico.
E i negozi come le giustificano le luci accese?
"Homeland Security"?
"The War On Terror"?
[WM5:]
Io nella faccenda delle luci accese nelle filiali, di notte, vedo un che di teologico-epifanico ... I templari elettrici dell'equivalente generale che vegliano indefessi, e cose di questo genere. In questo quadro, un tocco di cervelloticità paranoica è la ciliegina sulla torta :-)
(*) Sulle trasformazioni delle rapine in banca, cfr. Klaus Schoenberger, La rapina in banca. Storia. Teoria. Pratica., Derive Approdi, Roma 2002, http://www.deriveapprodi.org/libri/larapina.htm
7----
[La lettera di Erika pubblicata sullo scorso Giap conteneva un passaggio su cancro, fumo e consumo di carne che ha suscitato reazioni perplesse. Abbiamo chiesto a Erika di spiegarsi meglio:]
<<Un chiarimento sulla contestata frase sul fumo. La premessa, che io non avevo fatto, è che consideravo la salute e la malattia non nell'ottica della medicina occidentale. Se consideriamo la mia affermazione da questo punto di vista, per la medicina occidentale questa affermazione è sbagliata. Tuttavia rifiuto questo modo di procedere perché credo che anche termini come salute e malattia nella nostra civiltà ce li siamo giocati. Esempi: ho un mal di testa, prendo l'Aulin, ossia indipendentemente dalla causa di quel mal di testa mi prendo un composto chimico che non mi fa sentire il mal di testa (n.b.: non me lo fa passare), nello stesso tempo questo mi rovina lo stomaco (anche perché noi facciamo un abuso delle medicine, non un uso sporadico!!). Se hai un tumore lo si risolve con la chemioterapia, mi è difficile chiamare salute tutta la sofferenza psicologica e fisica connessa: anche se uno guarisce, a quale prezzo? Meglio cercare di prevenire. e adesso veniamo a noi.
Il mio non voleva essere un invito al fumo, ma mi sembra ipocrita fare una correlazione stretta tra fumo e cancro al polmone. Per prima cosa fino a 2-3 generazioni fa la gente fumava di più (raramente all'epoca dei miei nonni e bisnonni un uomo non fumava), ma non si moriva di tumore con la stessa frequenza di adesso. Seconda cosa: se una persona non fuma, ma respira per 70 anni aria inquinata dallo smog è forse "salva"? Credo che la correlazione di cui sopra serva molto a mettere in secondo piano altri problemi legati alla vita che ci costringono a vivere le nostre "avanzate" società. la gente oggi si ammala di tumore perché c'e' inquinamento, vive una vita stressata e mangia male. Il nostro corpo ha enormi capacità di autocura, ma queste capacità sono ridottissime perché sprechiamo le nostre energie nella digestione di cibi troppo complessi che non vengono mai eliminati del tutto (e sostano in putrefazione nel nostro intestino) e nella gestione di una vita frenetica e ormai insostenibile da tutti i punti di vista. Se una persona "sta bene" (vive una vita rilassata, si alimenta nel modo corretto, etc etc) 5 sigarette al giorno possono benissimo venire smaltite come i miei 4-5 caffe' quotidiani.
Perché il cibo? Partire dal cibo perché è la cosa che gestiamo in prima persona, nutrirsi è il primo livello della vita, la cosa che con più facilità si può modificare. Andare da uno a dirgli "vivi una vita rilassata" è un'idiozia, non c'e' il pulsante "adesso mi rilasso", dire "cambia alimentazione" è alla portata di tutti.
La civiltà del "benessere" sta implodendo come un budino, la nostra vita è minacciata da gravi malattie e accompagnata da un quantitativo abnorme di medicine (nessun medico osa mandarti a casa senza una scatola di prodotti chimici quando vai da lui), siamo al collasso. E' la nostra civiltà che si strafoga di carne, che vive in città inquinate una vita da schizofrenici quella che poi muore di tumore, chi nel mondo ha un'alimentazione più povera, che la carne se la sogna, ma quasi sempre fuma non si ammala di cancro con la la nostra frequenza.
Fare semplicistiche correlazioni, tipo dire che fa più danni il tabagismo dell'inquinamento, porta a ridurre il problema ad una responsabilità individuale (tu fumi, tu ti pigli il cancro) e non a mettere in discussione e a denunciare chi è responsabile dell'inquinamento atmosferico. Così si esulta per le denunce a carico delle multinazionali del fumo, cose che quando le sento mi chiedo se chi fa causa abbia ancora il senso del ridicolo, visto che magari ogni giorno staziona nel traffico per 3 ore, ma non pensa a denunciare la situazione.
Per dare un fondamento alla notizia contestata vi do la fonte: è tratta da un libretto agile, di N. Marumoto intitolato Il medico di se stesso, ed. Feltrinelli, pag. 90.>>
8----
M., 14 settembre 2003:
<<In merito alla discussione sulle forme ecologiche di energia tra Vin e WM1, in Giap#10, vorrei fare un piccolo appunto alle affermazioni sull'uso dell'idrogeno. spacciato come 'ecologicò, mi risulta infatti che l'idrogeno - non esistente puro in natura - richieda un processo dìestrazione', una lavorazione - ad esempio - dell'acqua che necessita di un dispendio di energia. la quale, se non eolica o solare, sposterebbe semplicemente il problema (nel caso delle auto dalla cappa di smog in centro alla cappa di smog vicino alla centrale di produzione dell'idrogeno), peraltro incrementandolo a causa dello spreco dovuto all'immancabile dispersione di ogni processo di trasformazione. tutto questo basandomi più su delle voci e sulle poche reminiscenze di fisica che mi ritrovo, ovvero con più dubbi che altro. non è una critica, è una richiesta di chiarimento.>>***
[WM5:]
Il problema è che non si può produrre energia. Le leggi della termodinamica ci dicono che l'energia può solo essere trasformata. In un certo senso hai ragione, quindi: se per produrre idrogeno dobbiamo bruciare combustibili fossili, stiamo solo spostando il problema. Ma se il consumo di combustibili fossili è localizzato solo nelle aree di cosiddettàproduzione", è già un passo avanti. Il pianeta tirerebbe un sospiro di sollievo.
Quella dell' "economia all'idrogeno" è già una vexata quaestio, in realtà. Quello che ti ho esposto è un parere personale moderatamente ottimista, lontano dagli estremi dell'entusiasmo acritico e della denuncia come truffa non-scientifica (denuncia probabilmente pagata da qualche major petrolifera).***
Massimo, 16 settembre 2003:
<<Vi sono già studiosi americani, (il che equivale al motto "l'hanno detto in Tv."), che facendo ricerche sull'idrogeno, con proiezioni matematico-computerizzate, hanno rilevato che l'aumento di emissioni di idrogeno in quantità pari a quello delle sole vetture in circolazione al momento, creerebbe danni, per conseguenze, simili a quelle dell'effetto serra in una parte differente della stratosfera. L'emissione zero non esiste, tranne nella cupidigia dei tiranni neoliberisti e nella testa degli ottimisti!
Cosa fare, dunque, spararsi?
NO, non c'e' bisogno di essere ingegneri della NASA, o di qualche altro cazzo di posto del genere, ma con il semplice buon senso, si arriva a capire che il problema non sono le scorie in se' che si producono, a creare i Problemi, molto più semplicemente, o per chi preferisce logicamente, sono le quantità. Insomma, il Problema dell'umanità di inizio millenio sono le Quantità, e il problema delle quantità è dovuto alle pessime abitudini culturali, unite ad una ormai intollerante sovra-popolazione di esseri umani! Ma come uscirne tra popolazione in continuo aumento, e "pessime abitudini culturali"? Non si commetta l'errore di colpevolizzare sempre dei problemi umani, il Terzo e Quarto Mondo. Infatti, sul problema Sovra-Popolazione, tutti puntiamo il dito a Est ( o se preferite a Sud, il che è la stessa cosa), Cina e India. Apparentemente (i mistici parlerebbero d'Illusione) può sembrare vero, ma un diverso punto di vista sconfessa la tesi.
Se la maggior parte della popolazione mondiale vive con meno di 1? ( in modo del tutto fascista, ho licenziato il Dollaro come misura di tutte le cose) al giorno, è facile fare delle proporzioni sui danni procurati da coloro (NOI) che vivono con più di 1? al giorno. Esempio: chi guadagna 12.500 euro netti, diviso 365 gg = 34, 3. Quindi se noi, come famiglia, generiamo un pupo, è lecito, se la misura di tutte le cose è il denaro, che il cinese possa generare 34,3 pupi. Ma non arrivando a tanto neanche il più 'tantrico" degli indiani, gli è più che lecito, sempre in virtù del denaro come misura di tutte le cose, rimproverarci di essere i veri distruttori di tutte le cose.
Ora, mi si farà osservare, vivere con 1? al giorno è impensabile, e io rispondo: "per noi di sicuro, ma visto che la maggioranza degli umani vive in tale situazione, o di poco superiore, almeno abbiamo la decenza di non de-responsabilizzarci puntando il dito sugli "altri", e cerchiamo di fare meno figli possibile, nonostante l'incentivo fascista di 800,00? pro creature nuove, e soprattutto di spendere, e quindi guadagnare, meno soldi possibili. Così potremmo ottenere i due famosi piccioni con la stessa fava:
1.Meno figli è sempre meglio che più figli.(detto del famoso "filosofo" del XXI° secolo: Bramano che guarda il muro.)
2. Spendere meno, vuole dire per forza "consumare" meno. Nonostante l'etica pubblicitaria di quell'imbecille che spendendo a destra e a manca fa girare l'economia, e i pecoroni del gregge ringraziano. Anche su questa pubblicità ci sarebbe da dire molto, ma un'altra volta.
3. E ancora più importante, spendendo meno, si può guadagnare meno (anche se l'aumento intollerante di prezzi procura lo stesso effetto senza i vantaggi del meno lavoro, ma questo un'altra volta), e forse non saremo così pessimisti verso la possibilità di ridurre le ore lavorative settimanali.
Leone Trozky già alla fine del secolo XIX, faceva presente che in alcune città Russe industrializzate, sotto lo zar, si lavoravano le attuali 40 ore settimanali! E senza dover sperare nell'emancipazione totale dal lavoro, promossa e promessa dal positivismo dei primi anni del XX°, le 35 ore, che hanno voluto far fallire in Europa, sono il minimo della decenza per questo inizio di nuovo secolo, e nuovo millennio.
Senza le auto non ci sarebbe stata la Terza Rivoluzione Industriale. L'auto e il suo indotto, di cui il petrolio è il più fidato alleato (leggere la storia di H. Ford, e anche la storia del proibizionismo della canapa, che per quanto assurdo è proprio legata al petrolio!), rappresentano il cuore "energetico" dell'Impero. Per dieci anni ho lavorato all'interno del mercato auto, 3 anni in Alfa, 4 in Fiat-Lancia e 3 in Bmw. Nei primi annì90, il gruppo Fiat riciclava meno del 10% delle proprie autovetture, Bmw era già al 70%! Poi si domandano a destra e a manca il perché la Fiat è destinata a chiudere. E' in questo ambiente che sono diventato allergico alle Quantità!>>
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Stefano, 16 settembre 2003:
<<Due parole sul riciclaggio dei rifiuti: da noi il riciclaggio del vetro è fittizio dato che viene raccolto insieme quello di più colori e quindi, a meno di una cernita manuale tra i vetri di vario colore, inutilizzabile ai fini di un riutilizzo (penso che ci si limiti a non inviarlo in discarica e quindi, dopo averlo sminuzzato, gettato là da dove viene, il mare).
Questa è cosa che i più consapevoli, ossia quelli che hanno visto come è sul serio la raccolta differenziata negli altri paesi, sanno da sempre, ma la raccolta differenziata è nata essenzialmente come momento didattico visto che l'adeguamento tecnologico a valle di questi processi è assai complesso e costoso e quindi ancora inattuato anche in grandi città come Roma. Solo il riciclaggio della carta e del cartone ha motivo di essere fatto infatti la carta viene raccolta a parte e il resto nei cassonetti multimateriale (vetro alluminio plastica) ossia materiali che non marciscono e che possono essere smaltiti altrimenti e non in discarica. Mi è stato detto che solo quando la raccolta differenziata supererà una certa percentuale o meglio un certa quantità di tonnellate che il riciclo sarà considerato redditizio e quindi attuato in maniera capillare. Anche a Roma è un privato che gestisce la raccolta differenziata e pare che sia lo stesso che gestisce la discarica di Malagrotta, unica e sola della città e quindi di dimensioni colossali, altro che le "collinette" di Bologna.
Questo non vuol dire che non si debba fare la raccolta differenziata, ma bisogna evitare di illudersi della sua effettiva funzione e sperare che prima o poi si cominci a fare questo sul serio, cominciando dall'obbligo di tenere più contenitori in casa a seconda dei tipi di rifiuti prodotti e facendo pagare (salato) solo quello da avviare in discarica, come si fa in alcuni grossi comuni del nord (mi sembra che Trento sia uno di quelli).
Chi vivrà vedrà, ma credo che sia necessario liberarsi del nanopelato e della sua banda di grassatori, altrimenti nulla potrà concretizzarsi, magari faranno un condono sulla "monnezza".>>
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Stefano ci scrive chiedendoci come mai non stiamo facendo granché contro l'osceno disegno di legge europeo sui brevetti nel software. Riportiamo le sue parole:
<<Sono rimasto abbastanza sorpreso del fatto che negli ultimi numeri di giap non avete fatto nessun accenno alla questione della prossima (pessima) legge europea sui brevetti sul software. Credo che i più tecnologici di voi conoscano bene il problema, la questione vi dovrebbe interessare quanto meno per l'affinità con le battaglie che sostenete da anni sul copyright.
Le ragioni per cui questa legge è odiosa e dannosa sono tante, non mi dilungherò su questo... c'e' chi l'ha fatto già molto bene:
http://swpat.ffii.org
http://www.bfsf.it/documenti/brevetti_volantino-1.0.pdf
http://petition.eurolinux.org
Questa legge è un grande regalo alle multinazionali del software, un autentico atto di autolesionismo (più del 75% dei brevetti in questione non sono europei), ma soprattutto un precedente culturalmente pericolosissimo in pratica si sancisce la brevettabilità delle idee.
Purtroppo questa sacrosanta preoccupazione non si avverte al di fuori del movimento opensource/free software, tutti i grandi media stanno ignorando alla grande la cosa.
Giap ha ormai una discreta tiratura... fate la vostra parte!>>
Purtroppo il tempo è poco, e negli ultimi mesi sui temi della proprietà intellettuale abbiamo scritto tanto, forse troppo, i neuroni vogliono esercitarsi su altro... Già da tempo abbiamo linkato la petizione, ma non siamo riusciti a raccogliere le idee. Ecco, ne parliamo rispondendoti. Aggiungiamo anche un link a un articolo de L'Unità on line molto chiaro e comprensibile:
http://www.unita.it/index.asp??SEZIONE_COD=&TOPIC_ID=29024
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Ci hanno scritto davvero tantissim* giapsters. Alcuni botta-e-risposta sono tuttora in corso. Ci scusiamo, ma era proprio impossibile includere in questo Giap tutto il materiale ricevuto. Ancora una volta invitiamo a uno sforzo di concisione (parola antipatica, lo sappiamo) e massima comprensibilità. Grazie a tutt*. Promettiamo di tornare a occuparci anche di narrazioni e letteratura, a breve.
Prossimo Giap a ottobre. Il lavoro redazionale per questo numero è stato piuttosto faticoso.
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Iscritt* in data 24 settembre 2003: 4487
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