Giap #12 Wu-ming Sì da
Bologna ad Asti 17 giugno 2000
Il grande teatro dellArmata
Brancaleone
«Non vedi, dunque, le mie schiere!? »
Sul finire degli anni Settanta un
operaio grande e grosso, soprannominato Zeb per la vistosa somiglianza con il
personaggio di un telefilm allora molto in voga (Alla
conquista del West), litigò con un compagno-rapinatore alto un metro e cinquanta, ma
nonostante questo molto arrogante, il quale insisteva nel dire che la lotta contro lo
stato era solo una questione di volume di fuoco. Alla fine dello scazzo, Zeb
liquidò il nanerottolo con una battuta: - Se tutto si riduce al volume di fuoco, allora
abbiamo perso in partenza, perché lo stato ha i carri armati e i missili.
Da sei anni lEsercito Zapatista
di Liberazione Nazionale fa parlare di sé e lancia appelli a chiunque nel mondo sia
stanco di subire la dittatura neoliberista. Nonostante il nome altisonante, quella
zapatista non è una guerriglia militare: non
sostiene combattimenti contro lesercito regolare messicano e non libera territori;
molti dei guerriglieri zapatisti hanno schioppi ad aria compressa e fucili di legno, buoni
al massimo per spaventare i passeri.
Quella zapatista è una guerriglia
comunicativa. Una guerriglia di senso. La
comunità di uomini e donne che si cela dietro il passamontagna di Marcos ha capito che
alla globalizzazione dei mercati va contrapposta la globalizzazione delle idee e delle
esperienze di resistenza alla tirannide capitalistica. Ha capito limportanza della
comunicazione planetaria, che consente agli abitanti di una sperduta landa messicana di
parlare con chiunque nel mondo abbia qualcosa da dire,
da fare o da proporre contro il neoliberismo.
Solo un pazzo o un cialtrone può
pensare che la lotta politica, oggi come ieri, debba passare attraverso il raggiungimento
della supremazia bellica contro lo stato. Polizia, Carabinieri, Esercito sono più forti
di noi e se non ci spazzano via quando scendiamo in piazza (o saliamo sulla sierra) non è
perché ci temono, ma perché temono lo scontro: ovvero le imprevedibili conseguenze politiche che lo scontro può avere.
La mattina del 14 giugno a Bologna,
ho assistito allallestimento di un esemplare teatro bellico e ho partecipato a una
straordinaria vittoria comunicativa, quindi par
exellance politica.
Per fortuna mi sono ritrovato dentro
un teatro.
Per fortuna sono stato parte di una
coreografia.
Per fortuna ho potuto contare su una
regia sapiente.
E per fortuna, insieme ad altri
cinquecento, sono riuscito a mantenere il sangue freddo.
Se tutto questo non fosse stato, se
la regia fosse saltata, se la coreografia fosse crollata, se invece della simulazione
della battaglia mi fossi ritrovato in un vero scontro campale, se il teatro bellico si
fosse trasformato in guerriglia urbana, se a qualcuno fossero saltati i nervi
Se
tutto questo fosse successo adesso forse sarei allospedale con le ossa rotte e agli
occhi della gente le tute bianche sarebbero una banda di teppisti facinorosi.
Invece è andata bene.
Straordinariamente bene. Siamo rimasti calmi, non abbiamo reagito, ci siamo difesi dai
colpi, abbiamo retto per un lunghissimo minuto contro una fila di poliziotti in assetto da
guerra.
E a metà giornata abbiamo
abbandonato il campo vittoriosi. Vittoriosi, certo, perché lobiettivo non era certo
quello di raggiungere Piazza Maggiore, o di impedire linizio del convegno
dellOCSE. Occorre distinguere gli artifici retorici ad uso strettamente comunicativo
dagli obiettivi politici reali.
Sapevamo che non ci avrebbero mai
consentito di passare di lì, ce leravamo ripetuto mille volte. Sapevamo che gli
alberghi in cui erano ospitati i delegati hanno uscite sul retro, che potevano
tranquillamente scegliere un tragitto alternativo, che lOCSE non avrebbe aspettato
la carica della polizia per cominciare i suoi lavori.
Ma abbiamo vinto proprio perché il
teatro della guerra ha funzionato. Mentre ce ne andavamo da via Indipendenza i
telegiornali, praticamente a reti unificate, mandavano in testa lo stesso servizio, che
metteva a nudo la brutalità della carica della polizia: i manganelli rovesciati,
lassalto contro gente ferma, protetta solo dagli scudi di plexiglass. Mentre il
commentatore sottolineava il fatto che nessuno dei manifestanti aveva lanciato oggetti
sugli sbirri, che nessuno di noi aveva armi doffesa, le immagini mostravano la
scorribanda dei poliziotti sotto il portico, i fotografi manganellati, la gente buttata
per terra; e lo scudiero che è stato trascinato fuori dalla prima fila, con la faccia
tumefatta e sanguinante, sulla barella, che dice: - Mi hanno picchiato in dieci contro uno
e non avevo nessun oggetto contundente
Per non parlare dello spettacolare
effetto scenico della testuggine che regge lurto, senza spezzarsi. Questo è più
che teatro: è grande cinema, sembrava una scena di Any
given sunday, di Oliver Stone! Un film esaltante appunto. E una colossale figura di
merda per il Ministero degli Interni che da tre giorni aveva trasformato Bologna in
Belfast.
Senza lincredibile successo
mediatico delle 13.00 ci saremmo scordati di entrare in via Ugo Bassi il pomeriggio. E se
il blocco della mattina fosse sfociato nella mattanza, da cinquecento che eravamo, non ci
saremmo certo ritrovati in quattromila poche ore dopo! Chi non si rende conto di questo o
è un ritardato o è in malafede.
Ma ai ritardati in malafede voglio
dire anche che il nostro teatro ha rischiato fino allultimo di andare a rotoli. Il
copione prevedeva che il corteo si fermasse poco oltre lincrocio tra via
Indipendenza e via Righi. Lì ci avrebbero caricato, noi saremmo dovuti arretrare
lentamente e defluire in via Righi in buon ordine. Questo era stato pattuito con la
questura. Questo era stato annunciato dai megafoni.
Eppure niente di tutto questo è
avvenuto.
Prima di tutto perché abbiamo
forzato il confine invalicabile, spingendoci almeno cento metri più avanti del previsto,
e questo ha azzerato le trattative condotte fino a quel momento e fatto saltare i piani
degli sbirri. Secondariamente perché i parlamentari presenti sono continuamente rimasti
in contatto con Roma, chiedendo di non consentire la carica della polizia e in questo modo
ritardandola di oltre unora. Last but not least, perché qualsiasi teatro che abbia
per palcoscenico la realtà è soggetto a infinite variabili e imprevisti. Quelli della
vita reale, appunto.
Cosa
sarebbe successo se dopo la carica, invece di ricomporre lo schieramento, ci fossimo messi
a lanciare oggetti sugli sbirri, o ci fossimo dispersi lungo via Indipendenza? Chi
garantiva che la polizia a quel punto si sarebbe fermata, o piuttosto non ci avrebbe
inseguiti e respinti fino a casa del diavolo? Quanti feriti ci sarebbero stati in questo
caso? E che bei servizi televisivi
Invece lArmata Brancaleone ha
retto lo scontro, dando a tutti una lezione magistrale di determinazione e sangue freddo.
Questo hanno potuto vederlo tutti. E questa, cazzo, è una vittoria politica.
Il pomeriggio del 15 giugno, con pochissime ore di sonno alle spalle, ho guidato per trecento chilometri, fino ad Asti, dove dovevo intervenire a una tavola rotonda di scrittori, allinterno del festival letterario Chiaro/Scuro. La traccia del dibattito era Lidentità della maschera. Mi è sembrato sacrosanto salire sul palco indossando la tuta bianca e la maschera anti-benzene. Di fronte a me, comodamente seduto nel cortile della biblioteca comunale, un pubblico di ogni età: tranquilli astigiani interessati alla letteratura. Il mio intervento è consistito nel resoconto fedele di quanto è avvenuto il 14 mattina in quei pochi metri quadrati di via Indipendenza. Alla fine tutti si sono spellati le mani per applaudire le gesta di cinquecento folli che, armati solo di scudi di plastica, hanno sfidato gli uomini più potenti del mondo, allalba di un giorno di primavera. Poi in tanti sono venuti a complimentarsi con me personalmente. Ci sono cose che ti spronano a continuare.
Un ultima parola per quelli che oggi
sputano sul teatro bellico e sulle trattative, in nome della guerra vera. Se
quella del 14 giugno è stata una farsa, perché una di queste volte non venite a
divertirvi un po anche voi? Mettetevi in prima fila e dimostrate che è tutto un
gioco. Ma vi avverto che nella frazione di secondo in cui lo sbirro che vi sta davanti vi
strapperà lo scudo e alzerà il manico del manganello sulla vostra testa, potreste avere
un improvviso ripensamento.
Probabilmente è proprio per questo
che non ci sarete.
Per quanto riguarda il sottoscritto,
il grande vantaggio della tuta bianca è che non cè bisogno di stirarla per poterla
reindossare.
Wuming-Sì (Federico)
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