/Giap/#18quater - Ancora sulla battaglia di Praga - 1 ottobre 2000
Giovanni Francesio risponde a Caronia;
intervento di Franco "Bifo" Berardi.
intervento di Federico Montanari.
Date: Sun, 1 Oct 2000 01:35:28 +0200
Subject: Re: Prosegue il dibattito su Praga e su /Giap/#18
From: "mqnfr@libero.it"<mqnfr@libero.it>
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Ribadisco che a me la situazione italiana non sembra
peggiore di quella degli altri paesi europei, e dove lo è (vedi Berlusconi), è perché
è più avanti; aggiungo poi che Praga non arriva dalle cronache dei tg, che
non frequento, né dei quotidiani, ma dallinformazione diretta dei siti di carta,
sherwood eccetera. Io non vi sto parlando dalla luna, purtroppo, e la solitudine padana
non è quella di chi si sente circondato da una società ostile, ma quella di chi, essendo
invecchiato presto (anche se con il dubbio che siano gli altri ad ostinarsi a rimanere
giovani), non sente più la disponibilità interiore a cose come andare a
Praga (non sono certo le ore di lavoro, che in quanto scelta non sarebbero una
giustificazione, a trattenermi, ma il non sentire più mio un certo tipo di forma di lotta
politica), mentre si sentirebbe più che disponibile ad altre forme di impegno e lotta che
faticano però a concretizzarsi.
Tornando al movimento, mi sembra che Francesco Red e Mario
non siano molto lontani dalle mie perplessità, così come, pur con tutta una serie di
distinguo che vi risparmio, potrei essere daccordo con i punti 1 e
2 di Caronia. Ma è sul punto 3 che non capisco, e forse
non cè ironia, mi sfugge qualche cosa. Io le mie speranze le fondo sul fatto che
lautorappresentazione che la società oggi ha di se stessa si possa cambiare, e mi
chiedo come sia possibile farlo. Qui non è questione di buon senso, ma di razionalità.
Buon senso sarebbe non provarci neanche. E si è costretti a ingoiare la merda perché il
movimento di Seattle non ha la forza o la volontà di evolvere la propria forma di lotta.
Le due destre, appunto, oppure non votare, che almeno per me è sempre una rinuncia
pesantissima. Se la "politica" e' questa (e non ne vedo altra possibile,
adesso): ma è ben qui: la cosa da fare è cambiare la politica, è questo che dico,
perché laltra strada è la rivoluzione, la
rivolta diffusa, la guerriglia, comunque il cambiamento
imposto in modo violento, ma allora bisogna dirlo.
Ancora: non ci si puo' convincere che tutto lo spazio
che ci resta e' quello di mediare "politicamente" questa tirannia. Ma è
proprio quello che stiamo facendo adesso, mediare. Appunto, ben che vada, e non va, la
coscienza critica. E rappresentata da chi, per cinque anni?
Altrimenti ci mettiamo daccordo che votare è una stronzata, che il parlamento non
conta niente, e rifacciamo il mondo. Tra quanto?
Ultimo: ma se non siamo convinti che questo movimento
e' radicato in tendenze e in contraddizioni reali, piu' reali dei teatrini politici
nazionali e della miserabile autocoscienza sociale oggi in circolazione
.
Teatrini politici e autocoscienza sociale miserabile a me paiono sin troppo reali.
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From: lop1912@iperbole.bologna.it
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Date: Sat, 30 Sep 2000 19:22:36 +0200
To: GIAP <giap@wumingfoundation.com>
Subject: vittoria tragedia e futuro
Non so se è stata una vittoria o no, non so neanche cosa
vuol dire vittoria.
So che per la prima volta un organismo della dittatura
globale è stato costretto a chiudere i battenti in anticipo (neanche a Seattle era
accaduto).
So inoltre che molti delegati sia della WB che del IMF hanno
espresso sgomento, dubbio, comprensione delle ragioni dei contestatori.
Guardate questo è il più importante risultato di un anno di
mobilitazione globale: gli organismi del terrore economico sono sulla difensiva, e prima
di tutto i lavoratori che ne articolano il comando sono in crisi.
Le decine di migliaia di lavoratori che dipendono da World
Bank, IMF, WTO, OCSE etc. sono lavoratori cognitivi, e a loro il messaggio è giunto forte
e chiaro, e gli rimbomba ancora nelle orecchie.
Ora il messaggio deve giungere a tutti i settori del lavoro
cognitivo globalizzato.
Ma come?
C'è un sentimento di tragedia intorno a 26S Praga, che non
c'era stato in precedenza. La tragedia della violenza poliziesca, la violenza della storia
di un secolo in cui quella città è stata teatro dell'invasione nazista e dell'invasione
sovietica prima di esser teatro dell'invasione globalcapitaltista.
A Praga non c'erano gli operai dell'AFLcio, non c'erano i
coltivatori diretti, le monache buddhiste e neppure le migliaia di vecchi eredi
dell'anarcosindacalismo della West coast americana. Praga non è Seattle.
A Praga c'era (per la prima volta, e questo è
importantissimo, forse è la cosa più importante) un movimento composito di nomadi
internazionalisti, di libertari senza patria. E dall'altra parte c'era la potenza
congiunta della dittatura economica globale e dell'aggressività di una polizia che è
erede dei totalitarismi novecenteschi.
Adesso dobbiamo trovare un modo intelligente e efficace per
liberare le centinaia di attivisti che sono rimasti tra le grinfie di una polizia che un
tempo ha servito Hitler e poi ha servito Stalin e poi Gustav Husak.
Lanciamo una campagna di denuncia della polizia ceca.
E inoltre dobbiamo cominciare a pensare in maniera non
ripetitiva al futuro di questo movimento, e cercar di definirne una forma che sia adeguata
all'esperienza europea, allla forma delle città europee, al peso della storia che in
Europa pesa ben diversamente che a Seattle.
Nel futuro di questo movimento dovremo affrontare la
questione, specificamente europea, delle identità aggressive, della violenza identitaria,
e al tempo stesso possiamo ricominciare a ragionare su quel che significa
internazionalismo oggi, senza alcun ideologismo, nella realtà difficile dello spostamento
coatto di masse di disperati.
Non possiamo continuare nell'alternativa: andare al massacro
o limitarci ad azioni puramente mediatiche.
Dobbiamo inventare forme efficaci e comunicative di
contestazione, oltre il corteo, oltre lo scontro.
Con Praga si è conclusa la prima fase del movimento globale
antiglob.
La dittatura economica è messa in questione, gli stessi
funzionari della globalizzazione ora sono sulla difensiva, molti di loro cominciano a
soppesare gli effetti spaventosi del loro operato.
Ora si deve costruire una nuova fase, indipendente dalle
scadenze interne al capitalismo globale. Una nuova fase non più episodica e non soltanto
spettacolare.
In questa nuova fase saranno centrali a mio avviso :
la decostruzione degli automatismi tecno-economici
la creazione di imprese indipendenti dal terrore economico
la sperimentazione di tecniche paradossali di ritualizzazione
e di decostruzione della violenza e dell'aggressività identitaria.
Quando arriveremo ai prossimi appuntamenti globali (Montreal,
in primavera, Genova, in estate) questo movimento dovrà essere ormai capace di definire
il suo percorso autonomamente.
Altrimenti finirà per essere la variabile dipendente e
riottosa di un processo senza alternative.
berardi
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From: cas1821@iperbole.bologna.it
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Date: Sun, 1 Oct 2000 17:14:22 +0200
To: GIAP <giap@wumingfoundation.com>
Subject: Re: Ancora su Praga
A partire dai molti punti che sono emersi con forza dagli
interventi su "battaglia di praga" -- "isolamento" e "fatica di
coinvolgere altri ed essere coinvolti" o, d'altro canto, modi di "essere
percepiti e raccontati dai media" o dell'"evolvere forme di lotta" --
voglio riprendere due questioni.
Di cui si è parlato anche in altri luoghi di discussione
(come nella lista "ReKombinant", e dico questo perché è, fra l'altro,
interessante vedere l'intreccio di discussioni in parallelo consentito dalla Rete);
riprendo due questioni non per pedanteria, ma perché forse
(per chi ne ha voglia, naturalmente) si potrebbero continuare ""analisi
critiche"" -- per quanto appassionate -- di ciò che è accaduto.
Sennò, almeno per me, "non si riece ad andare
avanti"; ma per andare dove?
(e qui risponderei alla Toto': "per dove dobbiamo
andare" e "dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?" Si vedrà).
- Quella del rapporto "modi dell'espressione" e
"costruzione di identità"; modi di espressione (tutebianche, ecc) che
potrebbero non attestare l'"identità" di un movimento "che c'è
già"; ma che dovrebbero PRODURRE un
movimento a venire: di qui al futuro.
In questo senso, di bellezza e intensità ce n'è stata (una
cosa che, dicevo, mi aveva colpito della "diretta" fatta da Indymedia su Praga
era quella degli email in tempo reale, da tutto il mondo, a commento delle immagini; ad
esempio, da un australiano sulle "tute bianche": frasi come "siete belli e
"continuate così per noi!").
Non è solo tifo; è "patchwork globale"; una
manifestazione fatta di pezzi di materie eterogenee: sul territorio, sulla rete, "per
immagini" e "per gommoni"). Né Nestrike né Realstrike, ma Hybridstrike o
Multistrike.
Sicuramente, la bellezza e l'intensità possono produrre
anche autocompiacimento e autocelebrazione (ma non viene fuori certo questo dal racconto
di Giap che è invece potente); in tal senso le perplessità di molti sono condivisibili;
però non dobbiamo tarparci le ali, né, appunto, fare snobismo.
Di rischi ce ne sono: ad esempio, che "ce la raccontiamo
fra di noi"; o che, in futuro, alle prossime occasioni, si riproponga un copione già
scritto (sempre all'inseguimento del circo barnum Wto-Fmi, che a questo punto avrà
bisogno del ""popolo di Seattle"" per farsi pubblicità, inseguito a
sua volta dal circo mediatico).
Bisogna quindi che questo "noi" si agganci a molti
"altri" (da chi crede a lotte più "piccole", locali e disseminate sul
territorio, anche padano; a chi proprio non c'è ma che potrebbe esserci; ma che intravede
la sofferenza
prodotta da questo stato delle cose e la felicità
possibile).
E bisogna che questo "noi" si muova in fretta e si
trasformi rapido (altrimenti veniamo doppiati e "blobbati" da media e Wto).
Mi viene in mente, a questo riguardo, l'aneddoto raccontato
da Bourdieu (sulla rivista "Posse"): Michelangelo era talmente disobbediente
alle norme dell'etichetta dei cerimoniali di palazzo e del potere che chi gli
commissionava i lavori, il papa Giulio II, era costretto, continuamente e con grandi
sforzi, a tentare di sedersi il più in fretta possibile durante le cerimonie, per cercare
di impedire che l'artista lo facesse prima lui.
Insomma, dobbiamo farli ballare, e in modo imprevedibile.
L'opportunità è data dall'agganciarsi ad altre lotte e ad
altre "forme di vita" (in questo non siamo "un movimento" ma un
possibile "affollamento" che si allarga; ed è vero che a praga non c'erano gli
agricoltori ecc., ma
bisognerebbe fare in modo che la prossima volta ci sia non
solo josé bové, e gli immigrati pachistani ma pure impiegati che si rompono il culo
davanti ai loro computer; così come il tipo venuto da bhopal; e altri ancora che non si
sa ancora chi siano).
Ed è qui che bisognerebbe insistere nel progettare anche sui
gruppi (gruppi di contatto, gruppi-rete, gruppi operativi, gruppi che lavorano; anche per
gestire, nelle situazioni di manifestazione, la violenza -- per continuare
a ritualizzarla, trasformarla, a volte stopparla o
incanalarla --, come sottolineava, sempre nella discussione "rekombinant", lo
psichiatra leonardo montecchi).
- Il secondo punto è sulle strategie di comunicazione: a noi
non ce ne deve importare niente che biscardi, o la tv, accomunino Praga ad una qualunque
trasferta di ultras; al contrario, pensare però che la comunicazione vada gestita. E
cercare di calcolarne gli effetti: anche la comunicazione, lo sappiamo tutti, è un campo
di battaglia con i suoi effetti: ovvio? sì, ma quasi mai attuato.
Faccio un esempio: l'agenda-media di questi giorni ha
soffocato Praga immediatamente per 1)elezioni in federazione jugoslava (tematizzazione:
"est europa"; + "piazze in subbuglio" + subito dopo
"violenza": pedofilia
ecc): non c'era più posto per "la battaglia di
praga". Poi puntuale è arrivata la battaglia di Gerusalemme. Sarebbe stato possibile
far sentire una voce, una connessione, su belgrado, ecc.
Insomma, non per fare del cinismo-tv ma, subito dopo si è
prodotto un bell'effetto nebbia; con il risultato che nessuno, vergognosamente, ha più
parlato della violenza nazi-stalinista della polizia di praga (nemmeno,
attenzione, Manifesto e Popolare network; e questo, ha
ragione wuming, la dice lunga, non certo sul valore in sé di queste testate, quanto sugli
effetti, di "assorbimento", di "nebbia" e "narcotizzazione"
prodotti, automaticamente, dall'"officina mediatica"; non da qualche
"cattivaccio").
Non si tratta di 'bucare' -- stupidamente e ingenuamente --
lo schermo: basta un sasso per questo, basta un vetrina rotta il sabato pomeriggio; a
patto che non sia tutte le settimane; sennò viene a noia.
Si tratterebbe forse di produrre e operare su vari livelli
(un grande esempio: gli grandi scioperi "hard" -- così come vengono definiti da
Le Monde diplomatique, in contrapposizione a "mobilitazioni soft", del tipo
"a
rete", in stile Seattle, ma non certo per criticare
queste ultime -- in Francia di metà anni 90).
Ma si tratterebbe, banalmente, anche di pensare e valutare
cosa, e come, vogliamo far passare dai media: cosa vogliamo che gli "altri"
raccontino di "noi".
Ce ne frega? pare proprio che debba fregarcene (si
chiamerebbe, appunto, "strategia", anche se minima).
Poi sul dove, quando, come e "chi" debba pensarla
ed attuarla è un altro paio di maniche;
e non si tratta certo di pensare all'avanguardia vecchio
stile che "pianifica e pensa"; per amordiddio.
Ma per questo esiste la Rete con i suoi diversi luoghi --
come ad esempio wuming.
federico (montanari)