Giap
#2, Xa serie NELL'ITALIA DEI "RUMORI PUBBLICI" ottobre 2 0 0 9 , terza settimana A Carlo Venturi nome di battaglia "Ming" (1925-2009) PREAMBOLO CON CITAZIONI UTILI: ROBERT DARNTON SUL... "GOSSIP"* [...]
La polizia prendeva sul serio i libelli perché questi avevano un serio
effetto sull'opinione pubblica; e, negli anni dell'Antico Regime
declinante, l'opinione pubblica era una forza potente. Benché
continuasse a considerarsi assoluta, la monarchia assoldava pamphlétaires
mercenari come Brissot e Mirabeau per riverniciare la propria
reputazione. Tentò persino di manipolare le voci, giacché nel
Settecento i "rumori pubblici" (bruits
publiques) potevano condurre a tumulti (émotions populaires).
Per esempio, nel 1750 scoppiò un tumulto a causa della voce che la
polizia stava razziando bambini di famiglie operaie affinché un qualche
principe del sangue potesse fare, letteralmente, il bagno nel sangue.
Presi insieme, la primitività di queste "emozioni" e il potere
dell'opinione pubblica spiegano la vulnerabilità del regime ai libelli.
[...] E' anche possibile immaginare un effetto cumulativo, che dopo Luigi XV produsse il diluvio. La vita privata di Luigi fornì materiale in abbondanza per la Vie privée de Louis XV, la quale a sua volta diede l'avvio a una lunga serie di Vies privées dedicate a personaggi della corte. Queste opere scurrili battevano sempre sugli stessi tasti; e lo facevano con una tale feroce determinazione che probabilmente raggiunsero il loro scopo, perlomeno in rapporto a qualcuno dei loro temi preferiti: la success story sessuale della Du Barry (dal bordello al trono), il dispotismo di Maupeou (di cui si raccontano i tentativi di trovare un uomo che gli costruisse una macchina in grado di impiccare dieci vittime innocenti alla volta) e la decadenza della corte (non soltanto il lusso sfrenato e gli adulteri, ma l'impotenza: per come la dipingevano nei libelli, l'alta aristocrazia non era in grado né di combattere né di fare l'amore, e riusciva a perpetuarsi soltanto grazie agli apporti extraconiugali delle più virili classi inferiori). [...] Al tempo del regno di Luigi XVI, la magia aveva ormai abbandonato i Borboni. Lenoir racconta che con l'avvicinarsi della Rivoluzione egli non riuscì più a metter insieme una folla per applaudire la regina, neppure pagando, laddove in precedenza gli applausi scrosciavano spontanei. [...] Quale spettacolo! Un regime che riuniva sotto la stessa etichetta ["libelli", N.d.R.] la sua filosofia più moderna e la sua pornografia più degradata era un regime che minava le sue fondamenta, che costruiva con le sue mani il suo sottomondo clandestino, e che incoraggiava la filosofia a pervertirsi in libellistica. Ridotta alla clandestinità, la filosofia perse il suo autocontrollo e il senso del suo legame con la cultura delle élite sociali. Rivoltandosi contro i cortigiani, gli uomini di chiesa e i re, s'impegnò a rovesciare il mondo. Nel linguaggio dei livres philosophiques, si trattava di minare le fondamenta dell'edificio sociale e di abbatterlo. La controcultura invocava una rivoluzione culturale, e fu pronta a rispondere all'appello del 1789. (R. Darnton, L'intellettuale clandestino. Il mondo dei libri nella Francia dell'Illuminismo, Garzanti, Milano 1990, pagg. 210-215.) * Fa sempre piacere raccontare aneddoti su come certi libri hanno incrociato il tuo percorso e sono diventati parte di te. Amo ad esempio narrare di come ho incontrato Castaneda a Istanbul, in una stanza d’albergo, più di trent’anni fa. Trovai il libro in un cassetto del comodino, lo aprii e non riuscii a staccarmene fino al mattino dopo. Il mio incontro con Darnton è stato meno eroico, e certo meno casuale, ma l’effetto sui miei ritmi sonno-veglia fu abbastanza simile. Sono tra coloro che ritengono i buoni saggi avvincenti come romanzi, e Il grande Massacro dei Gatti rimane uno dei titoli che ha prodotto in me il maggior grado di soddisfazione nella lettura. Come dicevo, nessuna apparente sincronicità nel mio incontro con il professore emerito di Princeton, che ora cura la biblioteca di Harvard. Il Grande massacro dei Gatti era infatti tra i testi obbligatori in un esame di storia dell’età dei lumi. Non ricordo se fosse il 1995, o il 1996: avevo appena finito di scrivere Skinhead, lo stile della strada e lavoravo in stretto contatto con il mai abbastanza compianto Valerio Marchi. I miei interessi di allora erano centrati sulle forme di resistenza simbolica escogitate dai ceti operai lungo tutto il corso dell’età moderna, e l’analisi sulla condizione dei garzoni di tipografia e sulla crudelissima ribellione simbolica che costituisce la prima sezione del libro mi affascinò. L’approccio storiografico era personale e fecondo, lo stile godibile, le analisi innovative e puntuali. La storia di lungo periodo, la storia delle mentalità e della cultura materiale costituivano per me, dilettante, folgoranti novità, lontane tanto dall’idealismo quanto dai meccanismi a volte riduzionistici della storiografia di matrice marxista. Da allora ho sempre seguito Robert Darnton con interesse e con grande piacere, da Il bacio di Lamourette fino a L’età dell’Informazione (che contiene tra l’altro un’impagabile analisi sulla dentiera di George Washington). E’ uno di quegli autori che si ama consigliare a chi è interessato alle buone letture, e così, verso la fine della stesura di Manituana, Darnton è diventato una figura di riferimento per l’intero collettivo. Si può dire che ora rientri a pieno titolo tra gli “autori che hanno influenzato Wu Ming”. [WM5] EDITORIALE ANCORA UNO SFORZO, COMPAGNI, SE VOGLIAMO ESSERE CYBERPUNK Siamo tornati.
Eccoci finalmente fuori dal tunnel. L'attesa è stata lunga, ma abbiamo
la presunzione di pensare che il risultato la ripagherà.
Altai sarà presto in libreria, forse persino con qualche giorno di anticipo rispetto alla data comunicata finora (venerdì 20 novembre). E' probabile che lo troviate già all'inizio di quella settimana. [A sinistra, l'immagine di copertina. Clicca per aprire il pdf della copertina completa, con bandelle e quarta]. Questo romanzo lo abbiamo scritto in marcia forzata, lavorando più intensamente di quanto abbiamo mai fatto, animati dalla sfida che avevamo lanciato a noi stessi: tornare al punto d'origine, cimentarci con il continuum spaziotemporale del nostro romanzo d'esordio, ma senza scrivere "Q 2". A oltre dieci anni di distanza non sarebbe stato credibile (né possibile) mimare ciò che eravamo. L'impresa è stata proprio questa: scrivere un romanzo legato a Q, che riprendesse certe ambientazioni e personaggi, ma che fosse anche indipendente e nuovo. Quando abbiamo iniziato a ragionarci sopra sapevamo solo da dove partire, cioè dal nostro bisogno di tirare le somme e al contempo rilanciare, mettere in gioco il collettivo stesso su un'operazione "ad alto rischio". Non potevamo prevedere dove saremmo arrivati. E già arrivare non è stata affatto una passeggiata. Non è un segreto che l'anno e mezzo da cui usciamo è stato uno dei più duri nella vita del collettivo ed esserne fuori non ci fa certo scurdare 'o passato. Abbiamo il presentimento che Altai dirà qualcosa anche rispetto a questo, qualcosa che personalmente ci aiuta a mettere nella giusta prospettiva le tematiche di Q, nonché la nostra stessa storia. Ora toccherà al romanzo intraprendere la propria vita editoriale e confrontarsi con il gusto dei lettori. Noi lo accompagneremo e ci confronteremo con chi vorrà parlarne. Dalla seconda metà di novembre inizieremo un tour di presentazioni che proseguirà fino all'estate 2010 (qui sotto, il calendario provvisorio). Già da metà ottobre però saremo in tour fuori dall'Italia, per promuovere Manituana nei paesi dove è appena stato pubblicato: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti. Dell'accoglienza che sta avendo, ne parliamo in questo numero di Giap. Insomma, nei prossimi mesi, chi avrà voglia di incontrarci, vicino o lontano, avrà diverse occasioni per farlo. Chi invece non potremo più incontrare è Oscar Marchisio (foto a destra), autore dell'anti-cult La Stanza Mnemonica (Synergon 1995), in seguito ripubblicato come Meta-stanza (Socialmente 2009) con una postfazione di Wu Ming 1. Marchisio si è spento all'inizio di agosto, ad appena 59 anni. Si occupava di organizzazione e sociologia del lavoro, era un profondo conoscitore della Cina, insegnava a Urbino, scriveva saggi e articoli su quotidiani e riviste, con puntate nella narrativa. Più di una volta nel corso degli anni abbiamo celebrato la sua trash novel cyberpunk, la cui lettura aveva allietato e alleggerito i momenti più duri della stesura di Q. Nel 2003 lanciammo addirittura un concorso di riscrittura di alcune pagine del romanzo a partire da un frammento messo a disposizione dei lettori. Ed esistono ben due due resoconti di una lettura di gruppo ad alta voce, durante un viaggio in auto da Bologna alla Svizzera: uno di Tommaso De Lorenzis, l'altro di WM1. La scomparsa di Marchisio mentre finivamo di scrivere Altai assume quasi un valore simbolico, rafforzando la sensazione che un ciclo si sia compiuto. Nondimeno ci rattrista e ci lascia "gonfi della sua memoria". Non ci viene in mente omaggio migliore che reagire a questa malinconia riprendendo in mano La Stanza Mnemonica e ghignando ancora come quando eravamo più giovani. Per Marchisio e per i noi stessi di allora. Può essere... può essere che sia un componente di bio-robot" insistette Diego. "E allora, sentiamo il grumo e non sentiamo l'intero extra-body di un bio-robot. Ma che dici" reagì Francesco. "Sì, è vero. E' molto strano Simul ha subito sentito questo extra-body, e non coglie altro... strano, molto, molto, molto, strano..." Diego sempre più sudato nel vecchio data-suit. "Strano, ma c'è qualcosa, c'è qualcuno" quasi soprappensiero Mica. "Forse perdiamo qualche intelligence amplification, in tutto questo casino" continuò Diego. "Adesso… dove andiamo con Simul..." chiese Mica. "Nessun segnale, eh, nessuno..." precisò Jurgens. "Ok, riprendiamo tutto lo story bord di Simul-man che adesso è stocked" suggerì Danielle che si stava riprendendo. "Ok. Trasposizione. Ripassiamo tutto il riconoscimento visivo ed l'extra-sensoriale e networking con tutte le sensazioni del data-base" ringhiò Frank. "E' inutile" azzardò Diego. "Che cazzo, dai" violento Frank. "Sai bene che se dei bio-robots sono sul campo, non abbiamo il tempo per verificare l'Extra Sensorial Imput". "Beh, intanto facciamo incrociare un po' di ESI così i nostri data-base e poi..." continuò Francesco. "Questo non è un'analisi di caso Francy, questa volta è in diretta" proseguì Diego. "Il tempo di networking tutte le ESI di tutti i data-entry non c'è, ma cosa ci dice Simul?" inveì Frank. A seguire, la postfazione di Wu Ming 1: La prima metà degli anni Novanta, a Bologna e in tutto il mondo, è stata fervida di esperimenti. Nel mondo gli esperimenti proseguono senza sosta, mentre a Bologna le idee zoppicano tra buche, merde di cane e barriere architettoniche. Le intelligenze vive che ancora tengono un pezzo d'anima a Felsina, col corpo si proiettano altrove sempre più spesso, per respirare. Dalla foresta pietrificata che è oggi la città, risulta salutare e curativo uno sguardo retro-futuribile a quanto avveniva quindici anni or sono: "Cybernauti", Luther Blissett, la casa editrice "Synergon", Bonaga e la Parietti ecc. In quella temperie prendeva forma questo libro "maledetto", mai distribuito davvero, sopravvissuto nel ricordo di chi lo usava per "esercizi spirituali" che al confronto i Gesuiti si fanno le pippe. Noi passammo le serate a salmodiarne il lirico, delirante, gastronautico testo, frasi come "un cd-rom di verdure fresche" permangono nelle nostre aree di Broca, conficcate nelle sinapsi. Ringraziamo Oscar Marchisio per la decisione di riproporre quest'oltranzismo linguistico-immaginifico, quest'allegoria di una Bologna sospesa tra il '77 e un futuro che abbiamo alle spalle. Viva La stanza mnemonica, viva quel che siamo stati, viva l'avvenire che deve pur riaprirsi di fronte a noi. Ancora uno sforzo, compagni, se vogliamo essere cyberpunk! CALENDARIO PRESENTAZIONI ALTAI NOVEMBRE - DICEMBRE 2009, PRIMO ABBOZZO (presto sul sito una pagina apposita) AGGIORNAMENTO 26/10: la pagina apposita è qui. Foto a destra: Inverno 1997, sopralluoghi per Q. Roberto, Florian Cramer e Federico al Fondaco dei Tedeschi, Venezia. Clicca per ingrandire. Disegno in basso: la pagina web che Claudio Madella ha dedicato al suo "oggetto grafico non identificato", un poster per il decennale di Q e l'uscita di Altai, omaggio all'arte tipografica che presto verrà stampato e comparirà alle presentazioni. Clicca sull'immagine per vederlo. Venerdì 20 novembre SIENA I dettagli seguiranno, ma la data è fissata! :) Giovedì 26 novembre RASTIGNANO (BO) h. 21, Biblioteca comunale "Don Lorenzo Milani" Piazza Piccinini 4/a Tel. 0516260675 - fax 051 6265458 e-mail: bibliotecarastignano@comune.pianoro.bo.it Sabato 28 novembre CREMA h. 21, Aula magna del Dipartimento Tecnologie dell'Informazione (Università degli Studi di Milano) Via Bramante 65 Come ci si arriva Colonna sonora dal vivo dei Maxmaber Orkestar Venerdì 4 dicembre TORINO h. 21, Circolo ARCI "Fuori Luogo" Tel. 011856589, e-mail: info@fuoriluogo.org Sabato 5 dicembre TORRE PELLICE (TO) h.18, Tempio valdese, via Beckwith 2 a cura della Libreria Claudiana di Torre Pellice Piazza Libertà Tel. 012191422 - fax 0121-91.422 e-mail: libreria.torrepellice@gmail.com Mercoledì 9 dicembre FORLÌ Birreria/pub "La collina dei conigli" Parco urbano "Franco Agosto" Entrata da Viale dell'Appennino (via S. Pertini) Tel. 0543370765 e-mail: info@lacollinadeiconigli.com Venerdì 11 dicembre PERUGIA h. 21, ex Chiesa di S. Bevignate, Via E. dal Pozzo A cura dell'associazione "Banana Republic" e-mail: bananarepublic.perugia@gmail.com Giovedì 17 dicembre PEGOGNAGA (MN) Circolo ARCI "Casbah" via Roma 20 e-mail: casbahclub@gmail.com Come ci si arriva MANITUANA IN FRANCIA, GRAN BRETAGNA E STATI UNITI: RASSEGNA STAMPA CON RIFLESSIONE Mica
ce l'aspettavamo.
Per carità, Manituana era andato bene anche in Italia, però con luci e ombre, amori e rancori. Da un lato è - di gran lunga - il nostro romanzo più venduto nel primo anno di presenza in libreria (e quello che è arrivato più in alto in classifica: una settimana fu addirittura al quarto posto assoluto!); dall’altro, è il romanzo collettivo con l’indice di gradimento più basso tra i lettori forti che si esprimono in rete (abbiamo preso come campione i commenti su Anobii o su IBS), e anche quello che ha generato più commenti del tipo: “I Wu Ming con me hanno chiuso” etc. Non abbiamo ancora capito perché, ma certi hanno preso l'uscita di quel libro quasi come un affronto personale. Attendevamo le uscite all'estero per capire meglio. Il romanzo è uscito prima in Spagna, con una traduzione eccellente ma poca spinta da parte dell'editore. Ci sono arrivati pochissimi commenti, e il numero delle recensioni è tuttora vicino allo zero. Pazienza. Ci stavamo già rassegnando a una simile sorte negli altri paesi, ormai pensavamo ad altro, poi... Poi Manituana è uscito in Francia, tradotto da Serge Quadruppani e... per Toutatis! Nessun nostro libro è mai stato accolto così bene dalla critica, a nessuna latitudine! Decine di recensioni, molte delle quali entusiastiche, quasi imbarazzanti. I cinesi, quando ricevono complimenti, non rispondono mai "Grazie" (xie xie). Limitarsi ad accettare un complimento sarebbe immodesto, un segno di maleducazione. I cinesi rispondono sempre "Na li, na li", che più o meno corrisponde al nostro "troppo buono". Ecco, la rassegna stampa francese è certamente "troppo buona". Le Nouvel Observateur ha scritto: "Il lettore è immerso in una saga sontuosa, dove la poesia è alleata della precisione nei dettagli. [Passando] dal gergo dei malviventi alla lingua sacra dei pellerossa alla bella lingua del XVIII secolo, Wu Ming ci restituisce una musica che miscela cornamusa scozzese e canti magici, per farci sentire meglio, al di là dei dibattiti che ancora oggi ci agitano, l'epopea della nascita di una nazione vista dai perdenti della storia." Il sito Evene.fr ha scritto: "La tensione drammatica nasce dalle abili ellissi, o da scene capaci di riassumere in poche pagine una guerra durata lunghi anni. Indiani e occidentali collidono con violenza, e i Wu Ming si incaricano di mostrarlo per mezzo di un'opposizione di stili, mise en abyme formale e culturale dell'incontro tra due mondi. La parte centrale della narrazione, ambientata a Londra, consente invece di rimettere la guerra d'indipendenza americana in una prospettiva più ampia, integrandola in modo sottile dentro la storia globale. Commovente, coinvolgente dall'inizio alla fine, Manituana ha anche più di una risonanza contemporanea, come se nella guerra civile americana si ritrovasse l'origine di tutti gli odierni problemi d'integrazione e mondializzazione." Le Monde ha scritto: "Manituana, che ibrida e felicemente reinventa romanzo d'avventura e romanzo storico, non ci mostra indiani buoni da una parte e bianchi cattivi dall'altra. La realtà è molto più intricata e complessa, e tutti i personaggi hanno il loro lato in ombra, le loro debolezze, le loro contraddizioni. Nessuno è mai totalmente innocente né esclusivamente colpevole. La legittima battaglia per la libertà e l'indipendenza degli uni può portare alla perdita della libertà e indipendenza degli altri. Ciò rende ancor più forte e straziante quest'epopea tragica che mostra la scomparsa di un mondo e la nascita di un altro." Il mensile letterario Le Matricule des anges ha scritto: "Sotto la penna di questi narratori emeriti, l’entropia della Storia disfa i legami, secondo le traiettorie incrociate di Irochesi, Scozzesi, Irlandesi, Tedeschi, Inglesi, e ci porta dalle foreste e dalle anse della valle del fiume Mohawk ai bassifondi e ai salotti londinesi, in un riverbero di linguaggi, giocando coi registri e le sintassi, alternando azioni mozzafiato e ritratti minuziosi di personaggi storici [...] Manituana è un romanzo d’avventura degno di uno Stevenson che decidesse di sancire, con gioia e humor, emozione e lucidità, la fine di ogni separazione tra politica e cultura." Porcozzìo! :-O Ci sentiamo come Walt Kowalski quando i vicini hmong gli riempiono il patio di doni, fiori, piante, manicaretti vari. "No, hey, no! Please, no more!" [Poi annusa il contenuto di una teglia e dice: "Ok, ok, portate dentro..."] Alla data del 13 ottobre 2009, nel web in francese non si riesce a trovare una recensione non diciamo negativa, ma almeno dubbiosa, neanche sui blog. L'accoglienza è unanime: Hemisphère Gauche - Actu du noir - Journal d'une lectrice - Livres à lire - Cafard cosmique Ci siamo detti: forse 'sti francesi sono un poco esagerati. Tant'è che finora soltanto loro hanno accolto il libro in quel modo. Certo, Serge e le edizioni Métailié hanno lavorato sodo, hanno creduto nell'operazione, si sono spesi fino in fondo. Ma non sempre questo basta. Dev'esserci qualcosa nell'aria, forse Manituana è arrivato Oltralpe in un momento particolare e ha prodotto risonanze che altrove invece e così via, bla bla bla. Il vero banco di prova, lo sapevamo, sarebbe stato l'arrivo sul mercato anglosassone. Ebbene, da pochissimi giorni Verso Books ha pubblicato il libro nel Regno Unito e negli USA, nella traduzione del nostro fido Shaun Whiteside (che già aveva tradotto Q e 54). Prime reazioni? The Herald (il più grande giornale scozzese) ha dedicato all'uscita uno speciale, con lunga intervista a Wu Ming 1. Nell'introduzione, Gordon Darroch ha scritto: "Se c'è una cosa di cui si può stare sicuri con la Wu Ming Foundation, è che niente sarà come sembra. Il collettivo di scrittura italiano ha una breve ma distinta tradizione di imprevedibilità, convenzioni mandate all'aria e strategie per convincere i lettori a guardare la storia alla moviola e in controcampo. Il loro terzo romanzo Manituana racconta la guerra d'indipendenza americana dalla parte degli sconfitti - le Sei Nazioni irochesi - e impiega tutti gli stratagemmi e congegni narrativi familiari a chi ha letto le opere precedenti: narrazioni confliggenti, false piste, giochi elaborati e opposte propagande. Condito dall'inizio alla fine con uno sguardo neo-marxista che solleva molte più domande che risposte, Manituana è una lettura illuminante, che a volte fa arrabbiare ma è sempre rinvigorente." Negli USA, il sito letterario Bookslut ha dedicato a Manituana una delle migliori recensioni mai ricevute da un nostro libro, ecco un estratto: "Nel descrivere uno spettacolo pirotecnico nella residenza del Conte di Warwick, allestito da artificieri italiani, il narratore osserva divertito: 'Gli Italiani costruivano la propria gloria sull’abbellimento di idee nate altrove, aggiungendo un tocco flamboyant e buffonesco.' E' un commento auto-referenziale, e persino auto-sminuitorio, che però fa torto allo splendore del romanzo. Può anche darsi che i quattro Wu Ming abbiano costruito la loro gloria su idee altrui, a volte aggiungendovi un tocco flamboyant, ma quelle idee le hanno fatte proprie, dando loro un tono sublime che, nel cantare una civiltà distrutta, ci sfida a rimettere in questione una narrazione storica sovente data per scontata." Sempre negli USA, si è occupato di Manituana Ron Jacobs, storico dei movimenti radicali americani (ha scritto degli IWW e dei Weather Underground). Recensendo il libro su CounterPunch (tra gli organi d'informazione più noti e controversi della sinistra americana), Jacobs ha osservato: "Manituana è un autentico romanzo quartomondista. Schiera i popoli aborigeni contro coloro che sono venuti a colonizzarli. E' la storia delle molte nazioni indigene che esistettero sul continente americano prima che gli europei venissero a distruggerle. E' la storia dell'India e del Raj britannico, ed è la storia del popolo algerino colonizzato dalla repubblica francese. E' anche la storia di Israele e dell'etnicizzazione che ha trasformato la Palestina in uno stato coloniale occidentale. In breve, è la storia di tutti i popoli che hanno visto la loro terra espropriata da un popolo europeo, tanto impegnato a impadronirsene quanto chi ci abitava era impegnato a resistere. E' anche la storia di come i popoli indigeni americani siano stati manipolati dagli europei per i loro fini. Questa situazione la vediamo anche oggi: il conflitto sciiti-sunniti in Iraq e gli scontri tribali in Afghanistan sono solo i primi esempi che vengono in mente. Manituana evoca la pericolosa tracotanza di chi si sente chiamato a dominare il mondo." [Teniamo conto di una cosa: negli USA, Q e 54 non erano certo stati accolti col tappeto rosso, e avevano avuto vita difficile.] Tutta questa rassegna stampa è disponibile qui. Altre recensioni usciranno nei prossimi giorni, su entrambe le sponde dell'Atlantico. Insomma, che succede? Perché lo stesso libro viene apprezzato a macchia di leopardo in Italia, dopodiché - a parità qualitativa delle traduzioni, che sono tutte ottime - viene ignorato in Spagna, osannato in Francia e infine accolto con grande soddisfazione nel mondo anglo-americano? Abbiamo pensato che forse Manituana "arriva" meglio e risulta più significativo in contesti post-coloniali, cioè paesi dal passato coloniale recente e/o dal presente imperiale/imperialistico, scene oggi multiculturali (più multiculturali di quella italiana) che con questo passato o presente hanno fatto o stanno facendo i conti. La Francia e la Gran Bretagna post-coloniali, gli USA che cercano di lasciarsi alle spalle gli otto anni di Bush. Un'ipotesi del genere l'aveva già fatta Emanuela Piga in un saggio che sta sul "livello 2" di manituana.com, e ora sembra corroborata dai primi risultati esteri. Dice: 'mbeh? Anche la Spagna ha un passato coloniale, e pure l'Italia. Sì, ma il colonialismo spagnolo è un ricordo ottocentesco (Bolivar sconfisse l'impero già negli anni Dieci e Venti del XIX secolo) e forse, più che in Spagna, Manituana sarebbe accolto bene in America latina. Quanto al colonialismo italiano, quello è stato rimosso, insieme ai suoi orrori, perché gli italiani son brava gente etc. Ben pochi sono interessati a fare i conti con quell'aspetto del nostro passato nazionale. Per noi questo è un interessante caso di studio. Abbiamo posto il quesito ad alcune persone che hanno studiato il nostro lavoro. Ci hanno dato risposte "di primo acchito", appunti, materiale grezzo e non esaustivo, però già utile per ulteriori riflessioni. Prima di riportarlo qui, ci teniamo a dire, a scanso d'equivoci, che secondo noi Manituana ha svariati difetti: soffre di squilibri fra le tre parti e alcuni fili non siamo riusciti a riprenderli come avremmo voluto. E' sicuramente un romanzo che può riuscire "pesante" a molte persone. Quello che ci interessa capire è come mai la percezione cambi così tanto a seconda del contesto. Ad esempio, perché in Francia è risultato pesante a meno gente, anzi, finora praticamente a nessuno di quanti lo hanno commentato? "Gli italiani sono autoreferenziali quando si tratta della letteratura di casa nostra, per cui va benissimo l’esterofilia quando si deve magnificare la letteratura straniera a discapito della nostra, ma non si perdona che autori italiani si discostino dalle cose nostre per gettare uno sguardo altrove (cosa che viene percepita come disprezzo per l’Italia). Infatti 54 è amatissimo perché ci sono Bologna, il nostro dopoguerra, Fenoglio, tutte le cose più amate. Non perché sia a tutti gli effetti più godibile di Manituana. In sostanza, secondo me si tratta di un pregiudizio, basato su elementi extratestuali. C’è poi da dire che quando l’altrove è l’America saltano tutti i nervi scoperti." Claudia Boscolo
"In Manituana l'allegoria è più sottile, meno immediata. In questo, certamente, più sperimentale. La dislocazione spazio-temporale unita a un linguaggio stilisticamente più raffinato di quello presente in Q fanno di Manituana un libro più 'amalgamato' e al contempo più complesso. Secondo me molti si aspettavano che Manituana, data la materia trattata, sarebbe stato più… 'muscolare', come Q appunto. In una storia di indiani ci si sarebbe forse aspettati più scuoiamenti e meno violini, più azione e meno racconto. L’allegoria qui bisogna andarsela a cercare come segugi, riga per riga." Gaia De Pascale
"Nei vostri romanzi precedenti la 'realtà' faceva il suo ingresso in modo talvolta persino rozzo, ma di sicuro immediatamente riconoscibile. Con questo intendo che in me, in quanto lettore modello e non specializzato, sentire che i fascisti (di ieri e di oggi) sono delle merde dà una 'soddisfazione immediata'. Anche in un romanzo come Q, per esempio, nel momento in cui ponevate una distanza (fosse anche solo quella temporale), non potevate fare a meno di abbatterla. Probabilmente qualsiasi lettore (me compreso) direbbe che Q parla del presente. Manituana parla del presente? Credo di si, ma lo fa con un tono di voce più delicato. Questa 'normalizzazione', dovuta soprattutto ad una maggiore organicità della narrazione, può essere considerata un tradimento da chi ha amato, per esempio, Asce di Guerra o 54. Credo che molti lo abbiano preso per una narrazione di genere incapace di “mordere la realtà”. Per quanto riguarda l'accoglienza all’estero, credo che i fattori siano molteplici e non tutti di natura letteraria. In Italia voi avete una storia che (forse) è già passata nel simbolico. All’estero (forse) siete ancora le vostre opere." Dimitri Chimenti
[Bene, ragazzi, eccovi il mio reportage da Frankenhausen. In realtà non è "mini" come vi avevo detto, anzi è spaventosamente lungo, ma sapete com'è, l'ho scritto di getto e alla fine non mi andava di cancellare niente. Inoltre la sintesi di suo non è il mio forte, ed in più il luogo, le emozioni e i pensieri non potevano essere condensati in poche righe. Spero che non vi annoi e che abbiate tempo e voglia di leggerlo tutto. Io sono felice di esserci andata, e proprio quest'anno per di più, e scrivere a voi le mie impressioni mi sembra che sia la cosa più naturale del mondo, come già feci quando andai a Münster. Due posti che non avrei visto senza Q e senza chi lo ha scritto. Di questo vi ringrazio, come della pazienza che avrete se vi prenderete la briga di leggere sto "mattoncino". Vi allego anche tre foto delle tante che ho scattato! Ciao e a presto. A. M.] VIAGGIO A FRANKENHAUSEN Arrivo a Frankenhausen nella tarda mattinata del
12 agosto. Come già a Münster, quattro anni fa, l'emozione è forte.
Davanti agli occhi ho parole che nel corso degli anni ho imparato a memoria. "Quasi alla cieca. Quello che devo fare. Urla nelle orecchie già sfondate dai cannoni, corpi che mi urtano. Polvere di sangue e sudore chiude la gola, la tosse mi squarcia..." E adesso sono lì. Difficile immaginare questo scenario guardando la campagna che scorre placida fuori dal finestrino. Campi di grano a perdita d'occhio, il giallo che sconfina nel verde delle colline, ma attraverso quelle parole, misteriosamente, nelle orecchie risuona il rumore della battaglia, in quei giorni di maggio del 1525, quando un esercito di straccioni tentò una delle imprese più folli e disperate che siano mai state intraprese. Potenza della parola, delle storie, della letteratura. Il paese in sè è piuttosto bruttino, in realtà. Placido e semi-deserto, si chiama Bad Frankenhausen ora, con quel "Bad" ad indicarlo come località termale. Ma niente a che vedere con lusso o mondanità. Qualche triste negozietto, un paio di birrerie, l'immancabile take-away orientale, l'aria dimessa di un piccolo paese dell'ex Germania Est. "Lui" è lassù, sulla cima di una collina chiamata Schlachtemberg, a dominare dall'alto la pianura e il centro abitato. E' impossibile non vederlo. Nel luogo in cui si tenne la battaglia finale, il gigantesco cilindro di cemento si staglia enorme e grigio contro il cielo, in perfetto stile DDR. Non a caso leggo sulla guida che fu aperto al pubblico nel 1989 proprio come ultimo atto ufficiale della Repubblica Democratica Tedesca, così abile nell'appropriarsi degli avvenimenti storici per interpretarli a proprio uso e consumo. Penso alla coincidenza delle date: 1989-1999-2009. Ed io, ora, sono qui. Si parcheggia un po' più in basso e si sale di qualche metro a piedi, in mezzo agli alberi, e quando si sbuca fuori eccolo lì. E' veramente gigantesco e, per la verità, parecchio brutto. Panorama Museum, si chiama, e non faccio fatica a capire perchè. Dall'alto di quella collina si domina tutta la piana, ed io fotografo e fotografo, non importa se non sono altro che campi, alberi e case isolate. Io fotografo e qualcuno mi guarda incuriosito, forse si chiede cosa trovi di così interessante da fotografare in quel paesaggio dove non c'è altro che campagna. Ma quando guardo nel display della mia fotocamera e scatto, sono altre le cose che vedo. Sto lì a guardarmi intorno per mezz'ora. Vado avanti e indietro lungo il belvedere pensando a tutte le volte in cui leggendo Q mi sono detta "quanto vorrei poterci andare..." Beh, sono andata a Münster ed ora sono qui. Posso essere contenta, direi. E' ora di entrare. All'interno, di nuovo cemento. La biglietteria e un piccolo book shop che vende cartoline, libri su Lutero e Thomas Müntzer, soldatini. Le visite guidate sono solo in tedesco ma, incredibilmente visto che mi trovo nell'ex Germania Est, ci sono un depliant e perfino l'audioguida in italiano. Prendo entrambi e salgo. L'impatto con la grande sala circolare è impressionante. Semibuia, il quadro emerge lentamente nella penombra dei faretti che lo illuminano dall'alto. A prima vista l'ambiente sembra troppo scuro e del quadro non si vede quasi niente, a parte le dimensioni gigantesche. Ma poi l'occhio si abitua ed allora appare in tutta la sua grandiosità. Un'enorme tela circolare, dipinta ad olio, 14m x 123, richiese quasi cinque anni di lavoro al pittore Werner Tübke e ai suoi cinque assistenti prima di essere completato. Un'opera ambiziosa in cui appaiono più di 3000 figure suddivise in quattro scenari diversi, che rimandano alle quattro stagioni, che sfumano l'uno nell'altro senza soluzione di continuità. Dapprima faccio un lungo giro senza l'audioguida. Devo ammettere che non ci capisco molto, ma per ora cerco solo di ascoltare le mie sensazioni. I colori sono vivi, sgargianti. Non un solo centimetro della tela è libero. C'è di tutto: uomini, donne, animali, architetture di ogni genere, macchine, creature fantastiche, simboli, sangue. Distinguo bene la parte in cui è rappresentata la battaglia dei contadini, con Thomas Müntzer al centro, in mano il vessillo abbassato, segno della sconfitta imminente. Immagino Gert, in mezzo a quell'intrico di uomini, cavalli, lance e sangue che sembra non avere mai fine, che si perde su in alto nella collina, quasi fino al cielo, dove troneggia un grande arcobaleno. Metto l'audioguida. E' una spiegazione di mezz'ora interessante e particolareggiata, anche se è difficile condensare le informazioni date le dimensioni dell'opera e il suo intento, raffigurare attraverso metafore la transizione dell'Europa dal Medioevo all'era moderna. Ci sono Cristo e Satana, i nobili e gli straccioni, il clero, Müntzer e Lutero, Colombo e Gutenberg, le trombe di Gerico e i giocatori di carte, esecuzioni e giochi sul prato, ci sono i supplizi e le beatitudini dell'umanità. Sacro e profano insieme, in un mare di simboli e visioni oniriche che mi lasciano sconcertata. Difficile da spiegare e da descrivere. E' una cosa che bisogna vedere per capire cosa sia. Personalmente non riesco a rendermi conto se mi piaccia o no. Artisticamente non rientra nei miei gusti, certo. E' ridondante ed eccessivo. Ma trovo impressionante l'intento dell'opera, il suo significato complessivo e il luogo, anche, studiato in modo tale da non poter assolutamente lasciare indifferenti, al di là del gusto estetico personale. Esco e mi siedo su una panchina del belvedere a guardare il panorama. Fumo una sigaretta e mi chiedo se ho trovato quello che ero venuta a cercare. Mi chiedo quanto quell'enorme cilindro di cemento c'entri con ciò che è accaduto in quel luogo 500 anni fa. Mi chiedo cosa direbbe Magister Thomas se lo vedesse. Mi chiedo se ciò che il mondo è diventato dopo tutti questi secoli ha reso giustizia al sangue che è stato versato qui. Non so rispondere a queste domande. So solo che almeno, anche se in modo discutibile e con altri intenti, attraverso quel monumento quegli avvenimenti, e tutti coloro che sono morti, ora possono essere ricordati. Ed è talmente enorme ed eccessivo che si vede da chilometri di distanza. Nessuno che passi da lì può evitare di vederlo, e magari chiedersi cosa sia, se non conosce la storia di quegli anni e di quei luoghi, ed essere spinto dalla curiosità di andare a vedere. Ed imparare così qualcosa di nuovo. Il depliant dice che dalla sua inaugurazione il monumento è stato visitato da due milioni di persone. Anche quel giorno c'era tanta gente. E di questo sono felice. Scendendo, fermo l'auto in una piazzola e mi inoltro in un sentiero tra i campi. C'è solo silenzio adesso, nessun cilindro di cemento che incombe su di me, solo la solitudine perfetta per i pensieri che a ondate mi attraversano la mente. Tira molto vento ed io cammino sulla terra dura, pensando a tutto il sangue che in quei giorni l'ha impregnata. Cammino piano, quasi con reverenza, quasi mi dispiace calpestarla così. Mi tornano in mente altre guerre, altre battaglie, altro sangue versato tentando di lottare per condizioni di vita più dignitose e giuste. Mi torna in mente un'altra moltitudine braccata e rincorsa per i vicoli fumosi di Genova, un ragazzo con un estintore in mano e poi lo stesso ragazzo steso a terra nel suo stesso sangue. E penso che non c'è differenza tra quel sangue e quello dei contadini morti a Frankenhausen. Penso che è difficile continuare a lottare quando si passa sempre di sconfitta in sconfitta, quando l'omologazione impera, quando attorno a te non vedi altro che odio, razzismo, incività, superficialità. Quando rischi la vita se chiedi una sigaretta a qualcuno, o se gli tagli la strada, o se sei gay e scambi un'effusione in pubblico con il tuo compagno. Quando sicurezza fa rima con ronda e rumeno con stupratore. Quando lo schifo ti sommerge da tutte le parti. E' difficile, sì. Ma poi penso che la sconfitta, forse, è solo apparente. Che per quanto possano fare, non riusciranno mai ad omologarci tutti. Che ci sarà sempre un Gert dal Pozzo che alzerà la testa e dirà di no. Penso che Carlo non debba essere morto invano, e che ciò che è successo a Frankenhausen non sia stato inutile. Penso che non sia solo una pagina polverosa di storia, ma che sia vivo, palpitante, attuale più che mai. Frankenhausen ci riguarda, ancora oggi. Allora, in quel campo deserto spazzato dal vento, faccio un respiro profondo, mi guardo intorno e sorrido. E so che ho trovato quello che ero venuta a cercare. Annalisa - agosto 2009
WU MING 2 RECENSISCE LA FOGLIA GRIGIA DI ALESSANDRO CANNEVALE E COGLIE L'OCCASIONE PER DIRE DUE O TRE COSE SU LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA, RISORGIMENTO E OTTOCENTO Articolo apparso su La Repubblica il 28 luglio 2009 In
un tempo che pare lontanissimo, che pare fantascienza, il governo
italiano aveva un nemico dichiarato: la Santa Sede. I giornali
clericali venivano sequestrati, controllati, fatti chiudere. Erano
considerate pubblicazioni sovversive, alla stregua di quelle anarchiche
(che lo sono ancora). Non posso dire se quell'Italia di fine Ottocento
fosse tutto sommato migliore dell'attuale, di sicuro è interessante
raccontarla, scegliere quell'ambientazione come torre di guardia sul
nostro presente. Sentinella, a che punto è la notte? Negli ultimi anni
diversi romanzieri italiani si sono confrontati con il Risorgimento e
con l'epoca immediatamente successiva. Sono gli anni della nostra birth
of a nation, un giacimento di vicende e conflitti sepolto
sotto la
crosta della retorica. Un punto d'origine da esplorare senza scrupoli,
per rintracciare le falde avvelenate e le sorgenti limpide, i cibi
avariati e le pietanze genuine che hanno nutrito il Paese quand'era
neonato.
Due opere di Luigi Guarnieri rappresentano molto bene questo filone di indagine letteraria, che insieme ad altri si sforza di delineare una nuova epica italiana. Sono L'atlante criminale - “oggetto narrativo” sulla vita scellerata di Cesare Lombroso - e I sentieri del cielo - sulla repressione del brigantaggio calabrese. Ma a queste si possono aggiungere senz'altro Una storia romantica di Antonio Scurati, Il signor figlio di Alessandro Zaccuri, Controinsurrezioni di Evangelisti & Moresco e, da pochi giorni in libreria, La Foglia Grigia di Alessandro Cannevale, ambientato a Perugia e dintorni, nell'estate del 1877. Quest'ultimo romanzo (Einaudi, pagg. 448, euro 19) mi pare un ottimo esempio di come si possa costruire una trama di genere piuttosto classica (un thriller), innervarla di elementi peculiari (il contesto, la lingua, la struttura, un personaggio come Giosuè Carducci) e farne così un'opera straniante, capace di suscitare riflessioni e domande inattese. Già lo scenario, come detto, fa pensare a un'Italia di fantasia e innesca una scarica di ipotesi controfattuali, vere e proprie narrazioni parallele che esplodono nella testa del lettore («Cosa sarebbe l'Italia se il clericalismo fosse ancora una specie di reato?»). Il 1877 è l'anno della Legge Coppino (istruzione elementare gratuita e obbligatoria fino a 9 anni) e si colloca a metà del primo governo di Agostino Depretis, “inventore” del trasformismo politico. Due problemi - istruzione pubblica e trasformismo - che non hanno più smesso di tormentare l'Italia. Nelle note finali, l'autore sostiene che il suo libro “nuoce gravemente all'apprendimento della storia”, ma questo è vero solo se lo si consuma nel modo sbagliato, pensando di attingerne la verità, come se si usasse l'aspirina per farsi passare l'acidità di stomaco. Ogni capitolo suscita invece una sana voglia di consultare Internet, di verificare i confini tra realtà e finzione, di approfondire alcuni episodi (la spedizione messicana di Luigi Masi, le imprese dei Cacciatori del Tevere, la carriera di Carducci). La ricostruzione minuziosa del periodo storico, tuttavia, non sarebbe davvero efficace senza una lingua precisa, credibile, che rivela senza ostentarlo un profondo lavoro nella scelta dei termini e delle sintassi. La Foglia Grigia è scritto in un italiano che suona ottocentesco ma lo fa con un ritmo contemporaneo, e che in molti dialoghi ricrea il dialetto, ma non è dialetto. Non c'è qui la semplice imitazione di un modello, e nemmeno gli ammicchi sporadici di chi vuol dimostrare di aver studiato la materia. Cannevale costruisce una lingua letteraria, concepita per immergere il lettore nell'ambientazione storica, e non per farne parte come oggetto d'antiquariato. La struttura dell'intreccio non è meno azzardata e sperimentale, e sorprenderà quanti ritengono che un thriller debba obbedire in maniera inflessibile alle regole della suspence, con il solo obiettivo di far correre il lettore da una pagina all'altra. La vicenda del romanzo si svolge per lo più durante nove giornate, con svariati ritorni al passato, e alcune puntate nel futuro (per l'ouverture, l'epilogo e le ghost tracks). All'interno delle varie giornate ci si sposta avanti e indietro nel tempo, per consentire ai diversi personaggi di dispiegare sulla pagina il loro punto di vista. Inoltre, giunti alla quinta giornata, e dopo un flashback di due anni, a pagina 159 si riparte dal secondo giorno e si guarda con altri occhi ancora quel che s'era già visto. Tutto questo senza che un lettore appena attento abbia mai la sensazione di perdersi, ma piuttosto quella di moltiplicarsi, di avere più prospettive, perché la complessità non si può comprendere con uno sguardo univoco e troppo diretto. Per capire il mondo bisogna correre il rischio di decentrarsi, di lasciarsi possedere da uno sciame di storie. Un'ultima parola vorrei spenderla su Giosuè Carducci, che fu davvero a Perugia nel luglio 1877. L'autore di versi soporiferi come t'amo pio bove potrebbe sembrare fuori posto nel cast di un romanzo che mette in scena molti stilemi del thriller: cadaveri inspiegabili, macabri rituali, sicari, agenti segreti, una setta misteriosa e una sostanza preziosissima dalle magiche proprietà. Al contrario, il Vate della Terza Italia non sfigura affatto e invece di accontentarsi di una comparsata in chiave postmoderna, diventa il simbolo stesso di un'operazione spregiudicata sulla storia patria, che racconta il passato come strategia per farlo passare davvero, per dare risposte al presente e cominciare, una buona volta, a interrogare il futuro. |
SCARICA LE PRIME CINQUE PUNTATE DI WUMINGWOOD, LA NOSTRA RUBRICA SUL MENSILE GQ Nelle (poche) pause
del lavoro su Altai
abbiamo avviato una rubrica sul mensile GQ.
Ecco come presentammo la rubrica ai lettori nel maggio scorso:Si chiama Wumingwood e ci è servita come valvola di sfogo, un po' come i momenti in cui leggevamo La stanza mnemonica nelle pause delle riunioni per Q. Wumingwood
è un mondo mitico, situato tra la foresta di Sherwood e gli anfratti di
Hollywood. E' il luogo dove l'implausibilità del reale e la
verosimiglianza della narrazione si ibridano e danno luogo a biografie
oblique, traballanti, esemplari. L'obiettivo è puntato su vite vissute
per davvero, parabole esistenziali capaci di illuminare come scie di
bengala l'oscurità contemporanea. Personaggi noti e meno noti,al centro
o ai margini di gossip e cronache, viventi o levati di mezzo dalla mano
del fato, comunque legati all'oggi. Personaggi che hanno accompagnato,
gettato ombre e forse influenzato le riunioni della nostra bottega di
cantastorie, vicende che eccedono le aspettative, che mandano segnali
devianti, storie troppo belle per essere ignorate. La prima puntata, in
edicola col numero di giugno di GQ, è dedicata al principe Filippo
d'Edinburgo, venerato come un dio da una popolazione del Pacifico. La
prossima puntata sarà dedicata al fanta-archeologo Peter Kolosimo, vera
celebrità "alternativa" degli anni '70. Buon divertimento.
Ed ecco quel che possiamo dirne oggi, dopo le prime cinque puntate, dedicate nell'ordine a Filippo d'Edinburgo (cattivo), Peter Kolosimo (buono), Mobutu Sese Seko (cattivo), Michael Nothdurfter (buono) e Mirek Topolanek (cattivo).
Wumingwood è un luogo
posto all’incrocio di svariate regioni immaginali. E’ la macchina da
spettacolo di Wu Ming, una Hollywood / Bollywood che fabbrica
aereoplanini di carta, tu ci sali sopra e ti lasci trasportare per
l’arco di un volo planato. Sei in compagnia di una sghemba galleria di
personaggi maschili, che finiranno per rappresentare un punto di vista,
una finestra spalancata sulla miseria e le rade glorie del maschio
contemporaneo. Alla fine questi signori di cui parliamo lasciano
freddi, oppure fanno arrabbiare, o senti magari un moto d’ammirazione.
Può accadere, e occorre ricordare che le idiosincrasie di tutti costoro
dormono (o si manifestano) in ognuno di noi.
Wumingwood
potrebbe avere a che fare anche con la foresta di Sherwood. La
differenza è che Wu Ming non è Robin Hood, anche perché contiene già in
sé tutti gli allegri compagni.Scarica il pdf delle prime cinque puntate. L'illustratore di Wumingwood è David Foldvari. ARZÈSTULA. Il racconto Arzèstula di Wu Ming 1, pubblicato qualche mese fa nell'antologia Anteprima nazionale (Minimum Fax, a cura di Giorgio Vasta), è scaricabile in pdf dal nostro sito. Per chi vuole saperne di più prima di scaricare, esiste una voce su Wikipedia molto chiara e senza fronzoli. SCRITTORI ALL'ARSENALE. Seminario promosso dalla Scuola di Dottorato in Scienze della Formazione e della Cognizione dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Venerdì 23 ottobre 2009, h. 14, Sala Galeazze dell'Arsenale di Venezia (guardacaso, dove comincia Altai!), panel "Sottrazioni d'autore. Il New Italian Epic e l'ordine del discorso". Presieduto da Maddalena Mapelli - Maddalena
Mapelli, "Le nuove narrazioni in rete: la faceless revolution
di Wu Ming";
- Mario Galzigna, "La funzione-autore in Foucault e i soggetti collettivi dell’enunciazione"; - Claudia Boscolo, "Le community e la narrazione in rete: il blog di Scrittori precari"; - Giuseppe Genna, "Io, me: la narrazione"; - Wu Ming 1 "La carne, le ossa, i volti del narratore"; - Scrittura Industriale Collettiva, "Tutti scrivono tutto"; - Maddalena Mapelli: Conclusioni. Per entrare bisogna iscriversi e si fa qui. NEW ITALIAN EPIC E GENDER Nel maggio scorso, sul n. 40 della rivista Leggere donna è apparso un breve ma suggestivo articolo di Rosella Simonari intitolato "New Italian Epic e gender". Sono riflessioni e allusioni a percorsi d'indagine che varrebbe la pena cogliere, espandere, approfondire: "Una delle caratteristiche che Wu Ming 1 elenca riguardo ai testi NIE è quella dello ‘sguardo obliquo’, ossia un punto di vista insolito, che può comprendere anche oggetti inanimati e animali oltre che persone. Utilizzare il genere per leggere i testi NIE è, in qualche modo, assumere uno ‘sguardo obliquo’ su di essi, è vederli secondo una prospettiva trasversale e molteplice." Qui l'articolo completo (pdf). EXIBART Nel luglio scorso la rivista di arte contemporanea Exibart ha pubblicato un articolo di Christian Caliandro intitolato New Italian Tragedy (clicca per leggere il pdf). Parlando di NIE, Caliandro scrive: "La sensazione è quella di essere anni luce lontani dalla versione consolatoria della 'giovine Italia' che viene fuori dalle varie notti prima degli esami e muccinate (ormai più Silvio che Gabriele, ma fa lo stesso), di trovarsi finalmente in un territorio sconosciuto e per questo interessante, a tratti anche minaccioso. Di respirare un’aria finalmente nuova, che non potrà non influenzare anche il vicino territorio dell’arte contemporanea [...]" RECENSIONE
Un'approfondita recensione di New Italian Epic a
firma di Giovanni Solinas,
dottore di ricerca con una tesi sulle
estetiche performative nella poesia sperimentale del Novecento. Si
occupa di teoria della letteratura e di problemi relativi alle
avanguardie novecentesche. La recensione è apparsa su Altri
Italiani, qui. |