Indice di /Giap/#32 - Postille al "Diario messicano"
 

1. Ultima pagina del taccuino di Wu Ming Sì
2. Botta e risposta con un iscritto a /Giap/ sul "Diario messicano"
3. Novita' sul sito
 

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[Il "Diario messicano" e' on line all' indirizzo:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/mexican_letters.html]

[In Spagnolo: intervista del quotidiano messicano "La Jornada" alle tute bianche e a Wu Ming Sì:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/rassegna/jornada.html]
 

Hermanos y hermanas,

Vi spedisco le mie prime parole a caldo sull'esperienza passata al fianco della Comandancia dell'EZLN. Sono state scritte a Città del Messico, il giorno dopo la megamanifestazione nello zocalo e poche ore prima di prendere il volo di ritorno. Le dedico a tutti quelli che hanno condiviso con me "l'
impresa", e a tutti quelli che non c'erano, chiunque siano, dovunque siano.

Wu-ming Si'
 

<<Citta' del Messico, 12 marzo 2001

Il giorno dopo, Citta' del Messico e' come prima. Sembra incredibile che ieri si sia compiuto un atto storico, con un milione di persone.
Questa citta' puo' assorbire tutto: settant'anni di dittatura "democratica" e la strage di Tlatelolco, il terremoto e lo smog che ti macchia la pelle, l'ingresso di Zapata e il suo ritorno, novant'anni dopo, nascosto da un passamontagna.
Non ci sono certezze su quello che accadra', ma in questo viaggio qualcuno ci ha insegnato che spesso i dubbi e le domande valgono piu' delle risposte.
E che bisogna avere il coraggio di rischiare, anche di rischiare tutto, se necessario, fosse anche rischiare a vuoto, perche' i gesti sono simboli.
Abbiamo partecipato a una partita in cui si e' scommesso tutto e adesso si scoprono le carte.Noi ce ne andiamo, ma i nostri compagni di strada restano, costretti a cavare fuori ragni da ogni buco, eppure lievi e sorridenti, pronti a riderci sopra, perche' lo zapatismo e' anche buonumore.
Noi andiamo, loro rimangono. La citta' e' quieta, clima temperato, sole che scalda ma non troppo. La gente cammina tranquilla e spedita sui marciapiedi, i lustrascarpe lavorano, la vita continua.
Noi andiamo, loro rimangono. E dalla prima mesa redonda con Premi Nobel e illustrissimi intellettuali, consigliano a tutti di andare a sentire della buona musica in piazza, perche' cosi' ha detto il nero scarabeo don Durito.
Noi andiamo. E dovremo aspettare per capire cosa succedera', e cosa e' successo. Quello a cui abbiamo partecipato, l'epica, i simboli, il sette
volte sette, il caracol, le parabole e le favole. Ma tra molti anni, quando la storia avra' fatto il suo corso (qualsiasi esso sara'), ricorderemo tutto questo come una cosa grandiosa. Ricorderemo di quando scortammo ventiquattro piccoli comandanti alla conquista della citta' piu' grande del mondo, all'ombra dei baffi di Zapata.
E faremo di piu' che raccontarlo al tavolo di un'osteria o vantarcene con la nostra ultima conquista sentimentale. Lo diremo piano quel "io c'ero", con una nota di rispetto nella voce. Perche' abbiamo fatto la nostra parte, ed e' stata dura, ma siamo stati anche ospiti; perche' siamo stati una brigata internazionalista, ma anche un esercito di ingombranti straccioni; perche' ci siamo messi in gioco con le nostre tute da imbianchini, ma abbiamo anche intasato tutti i cessi dal Chiapas al Distretto Federale; perche' abbiamo condiviso con gli indios il fango e la pioggia, il sole a picco e le notti piu' fredde, quando anche accendere un fuoco sembrava un'impresa impossibile, ma sapendo che saremmo tornati, mentre i nostri compagni di viaggio restavano la'.
Lo racconteremo con orgoglio, ma anche con la stessa incredulita' di adesso, che siamo stati al fianco dei comandanti, o forse addirittura tra loro e i franchi tiratori di Oaxaca e del Guerrero. Lo diremo piano e magari qualcuno pensera' perfino di averlo sognato.
Si', io ricordo di aver sognato di svegliarmi, poco prima dell'alba a San Cristobal de Las Casas, e ritrovarmi in strada, con lo zaino in spalla, e scorgere decine, centinaia di piccole sagome che si alzano da terra, da sotto la nebbia: un fagotto e un passamontagna. Uomini e donne che in assoluto silenzio aspettano di vederti partire, di guardarti negli occhi e darti una consegna, sorridendoti, mentre saltano sui camion scoperti e i carri che li riporteranno ai loro villaggi.
E tu puoi soltanto stringere quelle mani dal finestrino, mandare giu' la porca commozione e ricambiare i sorrisi e i segni di vittoria, mentre pensi alla strada che dovrai percorrere al posto loro.
Poco importa che quello sia stato soltanto l'inizio, perche', come dice il Vecchio Antonio, la lotta e' come un circolo: puo' cominciare da qualsiasi punto, e non si ferma mai.>>
 
 

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[F.T., 15 marzo 2001:]
<<Gentili wu ming
questo messaggio non intende essere una polemica (dio mi scampi!) ma una sorta di nota diciamo di "costume" sui reportage dal Messico; spero quindi che la interpretiate come una simpatica riflessione che faccia leva su quel tanto di autoironia che tutti dovrebbero più o meno possedere.
L'impressione che ho ricavato dalle mail dal Messico è che le tute bianche, al di là della sincera solidarietà e della grande partecipazione dimostrate, abbiano fatto un po' la figura della classica comitiva italiana all'estero; mi spiego meglio: raccogliendo i dati contenuti in quei messaggi si intuisce che la comitiva dei monos blancos ogni tanto si perdeva, arrivava tardi agli appuntamenti, non si mescolava con il resto dei partecipanti, aggiungo arbitrariamente un'ipotesi di bivacchi notturni da "chitarra e spinello", di sogni a base di spaghetti, eccetera; insomma, nonostante il tono mitologico e commosso delle mail gli eventi narrati a volte restituiscono involontariamente un'immagine stereotipata degli italiani stile "avventure nel mondo", e perciò comprensibilmente invisi ai sospettosi indigeni già mal disposti nei confronti degli stranieri in genere.
Sempre rimanendo su questo tipo di lettura degli eventi (questa interpretazione scherzosa non ha nulla a che vedere col significato complessivo delle cose, per carità!), l'immagine di Marcos che come il gran mogol delle giovani marmotte aiuta gli "innocents abroad" ad accendere un fuoco salvo poi metterli più tardi a sgobbare come muli può essere letta come un evidente segno di stima e comunanza nei confronti dei compagni stranieri, ma anche come un tentativo astuto e comico allo stesso tempo di sfruttare, pardon, rendere utili gli amici che vengono dall'Europa.
Voi avete già in passato intelligentemente paragonato le tute bianche all'armata brancaleone; riproporrei l'immagine anche per questa circostanza, magari parlando, visto il notevole salto geografico, di armata brancaleone alle crociate, al servizio del subcomandante: come dire che alle intenzioni, al coraggio, alla solidarietà del manipolo va aggiunto anche quel tanto di comicità involontaria che serve a stemperare i toni a volte un po' troppo romantici e che aiuta a rendere le cose narrate, per citare Elio, più umane e più vere.>>
 
 

[Wu Ming Sì, 16 marzo 2001:]

Querido Furio,

forse hai ragione, ai miei comunicati dal Messico mancava il tono ironico che la situazione (vista da fuori) meritava.
Il motivo di questa mancanza è del tutto comprensibile, se ci pensi, e molto umano.
Nessuno dei 250 partecipanti alla spedizione delle tute bianche (l'armata Brancaleone, appunto) poteva mai pensare di ritrovarsi di punto in bianco a essere la guardia del corpo dello stato maggiore di un esercito guerrigliero clandestino. Nessuno di noi avrebbe mai neanche sospettato di poter meritare tanto "onore" e tanta responsabilita'. Marcos ci ha "usati", è vero, e nel migliore dei modi. Gratificandoci della responsabilita' di proteggere lui e gli altri comandanti, ci ha scelti come pungolo e stimolo per i "suoi" indios, che fino al giorno prima della partenza della carovana stavano litigando su quale delle 57 etnie avrebbe dovuto ricevere l'onore di scortare la Comandancia. Insomma, il Sub conosce bene i suoi polli e i loro punti deboli e sa che se per cinquecento anni l'anno preso nel culo, il motivo è proprio la loro drastica difficoltà nel trovare un accordo per il bene comune. Alla fine l'accordo hanno dovuto trovarlo, per forza di cose - contro di noi e con noi - irritati e scandalizzati dalla figuraccia che gli stavamo facendo fare ("è mai possibile che il Sub abbia bisogno di ricorrere a degli stranieri per sentirsi protetto?"), e a quel punto noi siamo stati gentilmente congedati.

La mancanza di ironia nei comunicati è data anche da un'altro fattore. E purtroppo e' una cosa che e' difficile da spiegare a chi non c'era. Per la prima volta nella loro vita, 250 militanti politici italiani (insieme a tutti gli altri partecipanti alla carovana) si sono trovati "dentro" un evento di portata storica, dentro un movimento di massa nel vero senso del termine, dentro un "hecho historico" (un fatto storico). Per la prima volta in cinquecento anni di storia - con la sola sparuta eccezione dell'entrata del generale Emiliano Zapata a Citta' del Messico - gli indigeni messicani hanno marciato sulla capitale in un milione di individui per dire "siamo qui ed esigiamo i nostri diritti".
E' difficile farti capire cosa abbiamo provato. E' difficile comunicare la sensazione epica, grandiosa, commovente che ha clamorosamente prevalso sull'ironia comunicativa. Certo, noi abbiamo anche riso, delle nostre tute lercie, della nostra cagarella, dei nostri tempi ristretti (una delle battute piu' in voga era: "come possiamo essere un esercito di sognatori se non dormiamo mai?". Lo slogan piu' cantato nei nostri pullman era "zapatismo e buonumor!", come dire: ci stiamo ammazzando di fatica, ma questo non ci togliera' il sorriso dalle labbra). Pero' e' vero che nei comunicati questo non e' trasparso. Perche' ciascuno di noi era prima di tutto orgoglioso di fare quello che stava facendo. Narcisismo? Forse si'. Poca autoironia? Anche. Ma il sottoscritto giandone blanco non avrebbe mai pensato di ritrovarsi un giorno incordonato insieme a donnine indigene scalze, con la sua tuta da imbianchino, gridando con migliaia di persone: "Zapata vive, la lucha sigue!", o a commuoversi con loro per le meravigliose parabole del Sub, o a partecipare ad assemblee in cui italiani, spagnoli, messicani, greci, francesi e perfino finlandesi, discutevano di politica e zapatismo, di lotta e comunicazione, di tute bianche e guerra semiotica. Il sottoscritto scrittore di primo pelo non avrebbe mai immaginato di scrivere un giorno una favola zapatista per la Comandancia dell'EZLN, sapendo che l'avrebbe letta. Sono fiero di avere fatto tutto questo, anche se non andro' certo a sbandierarlo ai quattro venti, ed e' una cosa che nessuno riuscira' mai a togliermi, forse anche a discapito della necessaria autoironia.
Come nessuno riuscira' mai a farmi dimenticare la lezione che l'EZLN mi ha clamorosamente impartito in questo viaggio. E cioe' che non puoi mai sapere cosa le circostanze ti chiederanno di fare, che non puoi pensare di andare in vacanza nelle rivoluzioni altrui, sistemandoti in prima fila per sentire bene la voce del Sub dagli altoparlanti e fargli la fotografia migliore. No, il tuo posto puo' essere dietro il palco, dove gli altoparlanti non sempre arrivano, e dove dovrai giustificare la tua "ingombrante" presenza parlando in itagnolo a migliaia di messicani che ti ringraziano o ti sputano, o ti piantano i gomiti nelle costole, senza perdere la calma, restando fermo sotto il sole e la pioggia per reggere l'urto della massa. Insomma devi arrotolare le maniche della tua tuta e metterti a dare una mano, a sudare e romperti le palle.

Salud,
seguimos en combate

Wu-ming Si' (Federico)
 

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Un commento ad AdG dal Vietnam:
http://www.wumingfoundation.com/gallery/commentiAdG4.html
 

Nelle prossime 48-72 ore, novita' sul sito:
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