Indice di /Giap/#3, IIIa serie - Men at work - 28 agosto 2002
(1) Wu Ming a Mantova: "Le storie sono di tutti"
(2) Men at work: la ricostruzione di wumingfoundation.com
(3) Men at work: aggiornamento e ampliamento di lutherblissett.net
(4) Sulla pista del Che di Patrick Symmes, traduzione e commento di WM1 (Einaudi)
(5) Altri commenti a "...Piccolo miracolo laico"
(6) Solidarietà ai siti diffamati da "Panorama" + breve ricapitolazione sulle "nuove" "BR"
(7) Lezioni di cinese
(8) Del ricevere scritti
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"Le storie sono di tutti"
Wu Ming a Mantova, 5 settembre 2002
Palazzo d'Arco h.17.30
ingresso 3.50 euro
Per le prenotazioni: 0376/220539 oppure www.festivaletteratura.it
Non è una presentazione di noi stessi e dei nostri libri. Non è una presentazione del nuovo romanzo. 54 lo abbiamo presentato e continueremo a presentarlo in giro per l'Italia, in centri sociali, librerie, teatri e teatrini, biblioteche comunali e di quartiere, bar e locali, canoniche e sale parrocchiali, appartamenti privati, piazze, spiagge... Sempre sulla strada, a incontrare la "repubblica democratica dei lettori", la comunità aperta il cui passaparola fa vivere il nostro progetto. Quasi centoquaranta presentazioni in poco più di tre anni.
A Mantova raccontiamo altre storie (o forse sono le stesse?). Raccontiamo del raccontare, della necessità di raccontare e ascoltare chi racconta. Senza le storie nessuno di noi sarebbe qui. Senza le storie non saremmo niente. Partendo dall'odierno scrittore e risalendo a ritroso, incontriamo il cantastorie, il griot, il bardo, l'aedo... lo sciamano. Filogenesi: raccontare è "una specie di ginnastica che si fa con gli antenati" (Marco Paolini).
Primo intervento: "Breckenridge e il continuum"
Noel Breckenridge - protagonista di un racconto di Robert Silverberg - si ritrova sbalzato alla fine del tempo, dove nulla ha più alcun senso, e torna a percepire l'armonia del mondo raccontando il caos fino a trovare un ordine, saccheggiando e manipolando il patrimonio mitico di prima che tutto succedesse. Vediamo comparire Don Chisciotte e la fontana dell'eterna giovinezza, Edipo principe dei ladri le cui ali di cera vennero arse dal sole, Prometeo che portò la morte nel mondo, Gilgamesh che fece scaturire l'arte da un buco scavato in se stesso.
Secondo intervento: "L'eccedenza"
Le storie esigono di essere raccontate, lo reclamano a gran forza, te lo gridano in faccia dalle colonne di vecchi giornali, da sotto la polvere degli archivi, da dietro l'angolo della via. Raccontiamo di come ci siamo imbattuti in certe storie, di come altre ci abbiano teso agguati e ci abbiano imprigionato, ricattandoci perché le inserissimo nei nostri libri. Non sempre ci siamo riusciti. Raccontandone, rendiamo omaggio a questa "eccedenza".
Terzo intervento: "Le storie appartengono a tutti, compresi i morti e i non ancora nati"
Le storie sono il geyser che erompe dal buco nel cervello di Gilgamesh. Chi cerca di raccogliere quell'acqua col secchio della proprietà intellettuale non può che slogarsi i polsi. Le storie non si fermano né si lasciano possedere. Quando racconto una storia la dono senza privarmene. Raccontiamo della lotta delle moltitudini contro chi vuole incatenare le storie, del bandito Dmitri Sklyarov che si reca travestito alla gara di tiro con l'arco, di Alice che inseguendo bianconigli clonati si trova nel paese del copyright.
A seguire, risposte in forma di domande e domande in forma di risposte.
Durante l'evento, daremo appuntamento ai /Giapsters/ per una sorta di assemblea e una partita di pallacorda.
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Nelle ultime settimane abbiamo ri-disegnato il sito da cima a fondo, o meglio: al "fondo" (a diversi "fossili" di pagina risalenti a due anni fa) non ci siamo ancora arrivati, ma ogni giorno ci dedichiamo a rendere il sito più razionale e navigabile (perché si possa andare da un punto a qualunque altro punto col minimo numero di clickate), a rifare la grafica, a pulire l'html... Date un'occhiata, se vi va. Con tutta probabilità, finiremo a settembre inoltrato.
Quanti si chiedono dove prendiamo quei manifesti cinesi di propaganda, quelli che ci piace decontestualizzare e "deturpare", sono consigliati di fare un salto qui:
<http://www.iisg.nl/~landsberger/lk.html>
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Grandi manovre anche su www.lutherblissett.net, il colossale archivio del Luther Blissett Project. Negli ultimi due mesi è stato aggiornato al presente, ampliato, migliorato, "de-buggato" (cioè emendato di eventuali errori di programmazione).
Oltre all'indice cronologico ce n'è uno per argomenti, inoltre c'è una "Scorciatoia", cioè il richiamo già nella prima pagina alle azioni e prese di posizione più rilevanti di Luther Blissett.
C'è una nuova sezione in spagnolo, ci sono decine e decine di nuovi documenti in italiano e inglese, ci sono (udite, udite...) scaricabili - integralmente, di traccia in traccia - due audio CD dedicati al Multiplo:
- Le Forbici di Manitù, Luther Blissett: The Original Soundtracks, Alchemax 1995
<http://www.lutherblissett.net/archive/296_it.html>
- AA.VV., Luther Blissett, The Open Pop Star, WOT4 2000
<http://www.lutherblissett.net/archive/480_it.html>
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In uscita a ottobre per Einaudi Stile Libero:
Patrick Symmes
Sulla pista del Che
Un viaggio in motocicletta per il Sudamerica
in cerca del mito di Guevara
Traduzione e post-fazione di Wu Ming 1
All'inizio del 1997, mentre Cuba e il mondo si preparano a celebrare il trentesimo anniversario della morte di Ernesto "Che" Guevara in Bolivia, una clamorosa rivelazione indica il luogo - sino a quel momento segreto - dov'è sepolto il cadavere del più famoso rivoluzionario del XX° secolo. L'indicazione è sufficientemente vaga perché gli scavi durino mesi, tra mille difficoltà tecniche e politiche. Intorno alla salma si sviluppa una contesa internazionale, ben tre paesi si disputano le spoglie del Che: la natia Argentina, la patria d'adozione Cuba e la Bolivia in cui Guevara scelse di combattere l'ultima battaglia.
Negli stessi giorni, il giornalista - e motociclista - statunitense Patrick Symmes, corrispondente della rivista di viaggi Outside e "analista dal basso" della globalizzazione, intraprende un lungo viaggio su due ruote per il continente desaparecido, attraverso Argentina, Cile, Perù e Bolivia, paesi che cercano di tornare a una precaria e faticosa "normalità" dopo sanguinose dittature e guerre civili, tra vestigia di rivoluzioni abortite, memorie di attempati ex-guerriglieri, scene di miseria ma anche di dignità, coraggio, altruismo, ospitalità.
Lo scopo di Symmes è ripercorrere, a quasi mezzo secolo di distanza, la celeberrima "spedizione" in motocicletta intrapresa nel 1952 dal giovane Guevara (non ancora marxista né rivoluzionario) e dal suo amico Alberto Granado, spedizione immortalata nei rispettivi diari
[Ernesto Che Guevara - Alberto Granado, Latinoamericana. Due diari per un viaggio in motocicletta, Feltrinelli, Milano 1993].
Ne risulta un viaggio non meno picaresco e rivelatore dell'originale. Symmes - liberal di ampie vedute ma pur sempre cittadino di un paese in cui Guevara è considerato poco più che un terrorista - cerca testimonianze non banali sul Che "prima che diventasse il Che" e su cosa sopravvive del suo messaggio nell'America latina degli anni Novanta, anticamera temporale dei grandi conflitti che scuoteranno il subcontinente all'inizio del nuovo secolo.
Mentre tutti cercano il Che morto, Symmes cerca ciò che rimane vivo. Il suo viaggio è anche l'ardua ricerca di un sufficiente distacco critico: risulta impossibile tenere a distanza un mito tanto... ingombrante, la cui potenza non cessa di riaffiorare da sotto le tonnellate di ciarpame commerciale (magliette, spille, orologi e persino calamite da frigo).
Oltre all'innegabile valore documentario, allo humour e alla struggente bellezza di molte pagine (memorabili il viaggio in Patagonia e la visita in un carcere di Lima "autogestito" dai guerriglieri di Sendero Luminoso), Sulla pista del Che offre a noi italiani - tutti un po' "guevarologi", allo stesso modo in cui si dice che siamo tutti "CT della nazionale" - un punto di vista inedito e inatteso, quello di uno "yankee". Inoltre, è una testimonianza utile a capire come funzionano i miti.
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Ulteriori commenti a "Piazza Alimonda, 20 giugno 2002: un piccolo miracolo laico", <http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nogiap240702.html>
<<...non vorrei banalizzare, rispondendo, le riflessioni di Wu Ming 1 ma condivido pienamente la sua analisi che interpreta anche il mio disagio, durante il lungo applauso, nel sentire urlati slogan noti e quasi privi, oramai, di significato (forse non ho più l'entusiasmo di quando li sentivo per la prima volta quasi trent'anni fa...).
Condivido anche il pensiero sui caduti di Sabbiuno, che tra l'altro non erano tutti combattenti, ma anche prigionieri, per rastrellamenti precedenti, solamente sospettati di antifascismo.
Questo me lo raccontava pochi giorni fa (il rastrellamento nelle campagne di San Giovanni in Persiceto, l'arresto del padre, quello che gli successe, ed il riconoscimento in primavera alcuni mesi dopo la morte) un anziano di San Giovanni.
Nel ricordare il viaggio a Sabbiuno (lui, bambino, e la madre) per riconoscere i resti del padre solo dagli abiti, si è commosso e l'atmosfera si è fatta pesante come piombo ...
Credo che [...] per ricordare - per noi - quel particolare episodio che tanto ci accomuna, come generazione, per tutti i morti negli anni successivi, potremmo anche pensare di portare nuovi sassi su quel crinale, magari camminando, come una marcia del ricordo ....>>
R.V., 20 luglio 2002
<<...anche a me quel: "carlo vive e lotta insieme a noi" è sembrato un microfono distorto e sconsolato in una valle silenziosa. Mi ricordo che ho pensato "non c'entra un cazzo adesso, sembra finto, sembra un robot, una ripetizione.." Ho guardato in faccia quell'uomo, era sui 45, basso, sudato, aveva una camicia blu e dopo aver finito ho letto sulla sua faccia una sensazione di disagio, come se avesse fatto una gaffe ad un bellissimo pranzo di famiglia...
Anch'io ho guardato a lungo quei palloncini e sinceramente ero un po' scettico prima di arrivare in p.zza alimonda perché avevo paura di entrare in una piazza piena di retorica, invece sono arrivato e ho sentito il suono bellissimo dell'orchestra che in un momento solo racchiudeva tutto: la rabbia (tanta), lo sdegno, la paura, ma anche la sensazione che quella musica in fondo fosse già scritta nell'aria e che non ci fosse bisogno di suonare nessuno strumento.>>
A., 24 luglio 2002
<<Oggi scrivo anch'io. Ma solo per dire a Wu Ming 1 che ho provato molta soddisfazione nel leggere il suo miracolo laico. E per dire che non è la prima volta che mi succede, anzi mi capita spesso, quando leggo wm1, di vivere quello stato d'animo particolare che si manifesta quando vedi i tuoi pensieri espressi da qualcun'altro [...] fatto storicistico più che paranormale.
Ero a genova un anno fa e ho subito come molti. Purtroppo quest'anno non ho potuto riprendermi quello che avevo perso, ma i racconti che ho raccolto da più parti mi hanno parzialmente risarcito. L'identità di pensiero l'ho colta rispetto all'esperienza di Treptower Park.
Camminavo tra quei giganteschi soldati di pietra circa 5 anni fa in un gelido pomeriggio di dicembre. Mi facevo guidare dal mio fratello jenense, uno che per odio di muri e fili spinati ha conosciuto anche le prigioni di Honecker. E' vero, per me quelle pietre erano passione per la libertà, promemoria per gli oppressi e monito per gli oppressori. Di sempre. Perché queste categorie ancora dividono il mondo.
Certo, non fu facile far accettare quest'idea anche al mio compare, ma non esitò a darmi ragione quando una guardia, non mi ricordo se fosse un poliziotto o un militare, ci impose di spegnere la canna (fumavamo da 12 ore circa, non era un atteggiamento alla Père-Lachaise): "tu qui non c'entri un cazzo", sentii dire dall'amico tedesco allo sbirro.
Ho pensato anch'io un anno fa: "Ecco, un altro ragazzo è morto ammazzato e per altri vent'anni non più solo Francesco, ma anche Carlo, sarà vivo e lotterà insieme a noi, mentre è sepolto sotto un metro di terra. E così la 'nostra lotta' si risolverà in una formula vuota." Il fatto che non stia andando così (grazie anche ai fantastici signori Giuliani), secondo me, è la vittoria piu' importante del movimento.
Quello schifoso assassinio e tutto il resto che accadde a Genova un anno fa sono diventate la nostra arma migliore sia per il DESIDERIO di coesione che si è generato (e credo che anche la Cgil debba qualcosa al movimento), sia per lo sputtanamento mediatico e sostanziale del nostro avversario che siamo riusciti ad ottenere.
Certo il bello (o il peggio) deve ancora venire, ma un po' di fiducia ce l'ho: ritengo strategicamente fondamentale il ruolo di chi racconta e stavolta lo vedo in buone mani. Almeno questo. Basta così. Saluti.>>
L.T., 29 luglio 2002
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Ne hanno parlato un po' tutti gli organi di informazione indipendente o comunque non leccaculeggiante/sub-governativa: un rotocalco settimanale berlusconiano (il rotocalco etc.), in una "inchiesta" (!) di cui preferiamo non citare niente (nemmeno il titolo), ha scritto cose gravissime su alcuni siti di movimento. L'accusa: servire da veicolo di discussione e propaganda per le sedicenti "nuove" "BR".
Tra i siti oggetto di diffamazione, alcuni li linkiamo da tempo, perché la loro attività ci è sembrata e tuttora ci sembra preziosa. Ne citiamo uno in particolare, forse quello più preso di mira: <www.informationguerrilla.org>. Visitatelo, mettetelo tra i vostri segnalibri, tornateci sovente.
Pochi giorni dopo, viene estradato in Italia Paolo Persichetti, ex BR-UCC condannato per concorso nell'omicidio del generale Giorgeri (1987), da dieci anni esule a Parigi. Il governo cerca di farla passare per una "brillante operazione" contro il terrorismo, per bocca dello stesso ministro che vorrebbe inasprire i regolamenti carcerari, a suo dire "troppo permissivi". In effetti, è scandaloso che i GOM non possano ancora garrotare i detenuti come pare e piace a loro.
[Si parla del medesimo sistema penitenziario che ha scosso profondamente lo stesso dottor Caselli (uno che in fondo ha passato la vita a mandare la gente in prigione), che sembra aver vissuto il suo incarico di direttore degli istituti di pena come una discesa agli inferi.]
Una brillante operazione, dicevamo. Come no! Persichetti non si è mai nascosto, viveva alla luce del sole col proprio nome e cognome, faceva il ricercatore universitario e contribuiva regolarmente all'erario francese, firmava articoli e libri (citiamo fra tutti il saggio Il nemico inconfessabile, scritto a quattro mani con Oreste Scalzone, Odradek, Roma 1999), era una presenza assidua e per nulla camuffata nel dibattito sul movimento globale. Suoi interventi sono apparsi su diverse mailing list italiane, su Indymedia e su Rekombinant. Un suo articolo intitolato "Biagi, Cofferati e il compagno Monteventi" e' disponibile qui:
<http://www.rekombinant.org/article.php?sid=1792>
Forse alludeva a quest'ultimo aspetto la pseudo-inchiesta di quel tal settimanale riguardo alla presenza dei brigatisti su Internet? Forse quell'articolo era un annuncio criptato dell'operazione-Persichetti? Chi lo sa. Certi articoli e certe interviste hanno diversi livelli di interpretazione, è come se tra le righe qualcuno scrivesse messaggi col succo di limone: avvicini il foglio a una fonte di calore et voila!
L'estradizione di Persichetti stabilisce un brutto precedente e mette a repentaglio le esistenze di un centinaio di esuli in Francia, molti dei quali sinora tutelati da principii di civiltà rimasti intatti nel Diritto d'Oltralpe pre-Schengen, come l'inesistenza di reati d'opinione "anabolizzati" e quindi l'indisponibilità a estradare gli accusati di "concorso morale" et similia. A suo tempo (fine anni Settanta) la stessa Amnesty International denunciò pubblicamente la lesione del diritto di difesa e la negazione di garanzie processuali a molti imputati di reati politici, per questo spinti alla fuga all'estero.
A partire dalla settimana precedente il delitto Biagi, a ogni ondata di lotte sociali (tra poco si potrà parlare di vera e propria mareggiata) i media governativi hanno risposto agitando (o evocando?) lo spettro del "nuovo terrorismo". In corrispondenza di ogni defaillance dell'Esecutivo, sono rimbalzate sui giornali presunte minacce a qualche suo tirapiedi più o meno oscuro.
Nel caso del suicidio simulato di Michele Landi (esperto informatico che pare stesse "tracciando" la rivendicazione via e-mail dell'attentato di via Valdonica), i cronisti si sono ben guardati dal fare 2 + 2.
Dopo la pubblicazione delle lettere di Biagi da parte di Zero in condotta e l'inchiesta che sta producendo smottamenti nella questura e nella prefettura di Bologna, è ormai palese che la vita di Marco Biagi (per semplice "leggerezza"?) fu offerta ai sicari su un vassoio, come la testa di Giovanni Battista.
Quanto alla "danza dei sette veli" (delle sette veline), quella l'hanno fatta gli inquirenti, con tutte le panzane sull'identità tra l'arma che uccise d'Antona e quella usata per uccidere Biagi. Non era vero niente, non c'era ancora stata nessuna perizia balistica, ma i giornali pubblicarono le bubbole a caratteri cubitali (La Repubblica ci schiaffò sotto un bel riquadro sui sottoscritti e sul racconto "Carcajada profunda y negra", con l'aggiunta di un untuoso predicozzo sulle pagine bolognesi di qualche giorno dopo). In seguito, perquisizioni in diverse città, secondo una logica che - facciamo pure gli ingenui - "sfugge": a ritrovarsi con la casa e la vita sottosopra sono sindacalisti di base, esponenti dei Social Forum, iscritti a Rifondazione...
Più il nemico è astratto e virtuale, più l'emergenza produce effetti concreti sulla realtà.
C'è veramente qualcuno che creda a scatola chiusa all'esistenza di queste "nuove" "BR"?
Vi è da qualche parte chi non si ponga nemmeno un dubbio sulla tempistica dei comunicati e sul loro utilizzo criminalizzante e tendenzialmente criminogeno (perche' vorrebbe trasformare in reati comportamenti perfettamente leciti, ampliando quindi l'area dell'illegalità)? Non è evidente? Si mettono alla gogna gli attivisti di oggi, si appendono spade sulle teste degli attempati veterani di ieri.
Eppure, anche a sinistra, c'è chi preferisce non fare la basilare addizione di cui sopra. Pur di non farsi accusare di "dietrologia", la stessa gente che ha sempre urlato "al lupo!" per complotti che non c'erano (vedi il caso 7 Aprile), lascerà le pecore in balia di belve reali e complotti più temibili? Non basta l'indignazione per le scorte ritirate, qui occorre una controinchiesta generale su tutte le incongruenze e le cazzate. A differenza di quella celeberrima su Piazza Fontana, non può sobbarcarsela solo il movimento o la sinistra sociale che dir si voglia. Deve muoversi anche l'opposizione ufficiale.
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<<...ho storto il naso vedendo che su 54 sul risvolto di copertina come traduzione di Wu Ming date anche "non famoso". dopo un po' di elucubrazioni para-linguistiche sono giunto a questa ricostruzione, non so se siete d'accordo:
- in cinese moderno, nell'uso corrente scritto e parlato, il contrario di "famoso" (youming) e' "meiyou ming" e non propriamente "Wu Ming"
- "Wu Ming" è un'espressione sicuramente tipica della lingua scritta, e anzi è di chiara origine classica. Un cinese per dire, nella lingua parlata, "lui non è famoso", non direbbe mai una cosa tipo "ta wuming".
- Come espressione letteraria classica, "Wu Ming" è un modo di dire tipico della letteratura taoista. Cito a memoria, ma se non sbaglio "Wu ming" compare proprio nei primissimi capitoli del Daodejing di Laozi (Lao-tsu) quando si danno una serie di definizioni, quasi tutte in negativo, per descrivere il Tao ("il tao non è questo, non è quello e non è quell'altro.." e tra le altre cose è "Wu ming" cioè "privo di nome")
Il cinese non distingue due sfumature importanti del "non avere nome" (a proposito: wu ming non è né un nome né un aggettivo ma una struttura verbo+oggetto: [sogg. sottinteso] - non ha [predicato] - nome [oggetto]. Può avere valore attributivo, ma sempre in funzione di frase subordinata).
Dunque, io direi che il "non avere nome" racchiude due aree semantiche non del tutto sovrapponibili, che io battezzerei grosso modo "soggettiva" e "oggettiva". Il "non avere nome" soggettivo si ha quando ad esempio un autore di un'opera letteraria si firma come "Anonimo" (Wu ming); il "non avere nome" oggettivo si ha quando "non si ha nome" nei confronti della comunità, che non ti ri-conosce e quindi decreta il tuo "non essere famoso".
E' chiaro che nella Cina del periodo degli Stati Combattenti avere o no un nome anagrafico e essere o no famosi erano due concetti molto meno distanti di quanto potrebbe essere oggi. In un contesto in cui il 99 per cento della popolazione era analfabeta e sottosviluppata, e in cui ovviamente non esistevano mezzi di comunicazione di massa, "avere un nome" significava poter essere chiamati, conosciuti e ri-conosciuti, quindi potenzialmente diciamo "essere famosi".
Oggi giorno uno che firma un manoscritto come "Anonimo" non è affatto detto che sia anche "non famoso".
Quindi: se il vostro Wu Ming è un' espressione classicheggiante ma presa comunque dalla lingua moderna, dubiterei che sia da considerare come il contrario di "you ming", e quindi mi limiterei a tradurlo "Anonimo" o meglio "senza nome".
Se invece il vostro "Wu ming" è preso proprio dalla tradizione classica taoista come mi parrebbe più logico, allora la traduzione di "non famoso" è poco pertinente, perché il Tao non era certo una popstar né ambiva ad essere tale. Nel contesto classico taoista "non avere nome" è uno stato di cose decisamente soggettivo, non ha a che fare con l'oggettività della diffusione sociale del proprio nome (l'essere famosi).
Infine si potrebbe dire che chi firma in forma a-nonima un'opera letteraria, anche solo in italiano, al massimo scriverà appunto "Anonimo" o "Senza nome", da un punto di vista soggettivo cioè, e non si preoccuperà certo di auto-attribuirsi un eventuale giudizio oggettivo che spetterebbe alla comunità ("non famoso").>>
G.M., 21 aprile 2002
Abbiamo provveduto a informare l'Einaudi, che nelle prossime ristampe dovrebbe correggere l'errore, lasciando solo 'anonimo'.
<<Addirittura! Vi ho convinto?
Per evitare gaffe ho fatto un piccolo controllo.
Il normale dizionario Chinese-English per "Wu Ming" dà: "nameless, unknown", due termini che riflettono l'ambivalenza soggettiva/oggettiva, forse con una leggera preferenza però verso la seconda sfumatura.
Una ricerca a casaccio su Inet conferma che nella lingua moderna il contrario in uso di "youming" (famoso) è "meiyouming".
Infine il quasi prestigioso dizionario monolingua enciclopedico "Cihai" non ha esitazioni, sotto la voce Wu Ming, a citare subito Laozi e il Daodejing, confermando la classicità dell'espressione (tanto che potreste anche utilizzare il carttere WU non semplificato per essere eventualmente più fedeli). Il passo del Daodejing con "Wu Ming" è piuttosto oscuro (come tutta l'opera del resto) e tradotto variamente dagli studiosi.
Come contrario o comunque filosoficamente antagonista del taoista "Wu ming", lo "Ci hai" indica il confuciano "Zheng ming", concetto noto come "Rettificazione dei nomi", anche col senso di "apposizione" dei nomi ovvero "normalizzazione" degli stessi. In un modo sconvolto dal caos, per rimettere ordine è necessario assegnare un nome preciso a ogni cosa... etc.
Magari al posto di non-famoso potreste mettere "ignoto", che è più soft pur rimanendo in un ambito "oggettivo". "Anonimo", "senza nome" e "ignoto" sono attualmente i miei top 3.>>
G.M., 26 agosto 2002
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<<Ai membri di un gruppo cangiante.
Non mi sarebbe venuto in mente di disturbarvi con queste poche righe, se non avessi letto lo sfogo diffuso sull'ultimo giap in relazione alla vecchia storia che gli italiani sono fra le altre cose anche un popolo di scrittori cui si adatta la cifra del romanzo.
Non sono tra coloro che vi hanno mandato materiale letterario da vagliare, quindi parlo da terzo, forse neanche senza riflettere molto perché scrivo mentre sono in campagna tra alberi e libri ed ho mente vacanziera.
Da un lato vi capisco, e non solo per l'ideale fingermi nella testa la situazione che vi capita, ma per conoscenza diretta: facendo da recensore a sette riviste scientifiche (di cui cinque estere) mi sento soffocare quando mi vengono mandati troppi articoli di cui giudicare il valore. Dall'altro, però, in qualche modo idealmente parteggio anche con chi vi manda i manoscritti.
E' innegabile che sia oggi estremamente difficile proporre ad un editore letterario qualcosa a meno che non "si sia dell'ambiente" per motivi disparati, non ultimo l'indiretto contatto durante il periodo di studio all'università tramite qualche docente ecc. Voi lo sapete perché un qualche giorno avrete pur cominciato.
Dall'altro non vi è più in Italia alcuna ragionevole attività riportabile a quello che un tempo erano i caffè letterari. Né vi sono riviste che vaglino racconti od altro. Forse sarebbe il caso che qualcosa del genere (ri)nascesse, anche sulla sola rete, un qualcosa che potrebbe essere laboratorio letterario da cui qualche editore potrebbe trarre indicazioni. C'e' il problema del tempo, che voi non avete, che forse anche altri non hanno vista la lunghezza dei file inviativi; poi si aggiunge anche il problema del gusto (c'è tantissima gente che parla per cento o centocinquanta pagine di aulico stile dell'atroce tragedia provocata per essere stato lasciato da qualcuno o per aver mangiato pesante la sera prima... un caso evidente di letteratura intimista, anzi... intestina).
Si potrebbe chiedere di limitare gli scritti ad un certo numero di cartelle (numero che potrebbe oscillare da una a dieci), si potrebbero fare numeri (di una fantomatica rivista virtuale) solo tematici, anche individuando un periodo storico di volta in volta, e così via. La fantasia non vi manca. Infine, ogni anno (o anche ogni due) si potrebbe invitare uno solo (come Coppi sulla cima) a scrivere un romanzo da suggerire ad un editore. In fondo, se la gente vi manda i manoscritti vuol dire che tra di loro c'è almeno qualcuno che lo fa per stima e non solo per calcolo. Pensateci.>>
P.M.M., 20 agosto 2002
Come dice Elio ne "La visione": "Ho visto ed ho pensato: 'tutto molto bello'..."
Già. Sicuramente chi ci manda gli scritti lo fa principalmente per stima, di questo non dubitiamo. Purtroppo, però, al momento non siamo in grado di sobbarcarci una cosa come quella che proponi. Amen.
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Iscritti a /Giap/ in data 28/08/2002: 2741
Tutti i numeri arretrati sono archiviati qui:
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