/Giap/#40 - Non comincia adesso! - 16 maggio 2001
0- Preambolo su /Giap/, di Wu Ming Yi
1- Non siamo nella stessa lacrima (noterelle post-elettorali), di Wu Ming Liang
2- Havana Glam - Fanucci AvantPop, settembre 2001. "Bukkake": un contributo di Wu Ming Wu
3- Novità su www.wumingfoundation.com
4- Citazioni di fronte al pericolo. Schegge da interviste e chiacchierate.
0-------------------
PREAMBOLO
di Wu Ming Yi (Wu Ming 1)
/Giap/ ha ormai superato i 1.050 abbonati, ha compiuto il primo anno di vita e ha bisogno di vedere ridefiniti il suo statuto e la sua funzione.
Spesso (anche se non sempre) quello che voleva essere il bollettino di un'impresa/laboratorio di narrativa e attivita' editoriali ha finito per supplire alle mancanze della comunicazione "di movimento".
In Italia le mailing lists e i gruppi di discussione che fanno riferimento all'arcipelago dei centri sociali (compresi atolli "utili" solo per esperimenti atomici) e al movimento globale anti-liberista (in tutte le sue sfumature) sono nel peggiore dei casi discariche per il pattume ideologico e morale accumulato in anni di livori da militonti impresentabili, e nel "migliore" bacheche in cui si affiggono volantini, comunicazioni "ufficiali" e calendari delle iniziative. La vita e' altrove, e forse un po' di persone ne hanno trovato tracce nella nostra newsletter.
Ogni numero e' stato plasmato dal feedback a quello precedente. Molti iscritti non si limitano a ricevere /Giap/: intervengono, contestano, fanno richieste, chiedono di incontrarci e incontrarsi. Un tizio ha addirittura proposto di fare un'assemblea nazionale degli iscritti, proposta che ci siamo ben guardati dall'inoltrare!
La situazione e' stimolante, ma comporta dei rischi: non siamo quasi piu' in grado di gestire la mole di messaggi che ci arrivano ogni giorno, e se ci fosse un collasso redazionale, /Giap/ finirebbe per somigliare alla rubrica delle lettere di "Linus" o di "Lotta continua" durante e dopo il movimento del '77, cioe' una agora' per pareri, sfoghi e scazzi che forse partirebbero ancora dalla lettura dei nostri romanzi ma farebbero giri talmente larghi da produrre entropia, sfilacciare l'ordito della comunicazione da/con/intorno a Wu Ming.
Il quale ultimo, non dimentichiamolo, e' e continuera' a essere un collettivo di scrittori (per quanto "interventisti" nel sociale). Vale a dire: non siamo una microrealta' para-partitica che s'affanna a esprimere una posizione ufficiale su qualsiasi argomento o a ricompattarsi su ogni scadenza (difatti non abbiamo dato indicazioni di voto ne' abbiamo fatto un numero speciale elettorale). Non siamo nemmeno una corrente di intellettuali "organici" alle Tute Bianche o addirittura all'EZLN, anche se alcuni di noi militano in Ya Basta!
E' un problema difficilmente risolvibile: siamo noi in primis, col nostro scrivere e agire, a produrre e riprodurre comunicazione militante (nell'accezione migliore, speriamo).
Per quanto possa sembrare incredibile, abbiamo ricevuto lamentele per queste tre settimane senza /Giap/. E noi che pensavamo di essere troppo assillanti!
Abbiamo tardato a confezionare e spedire il #40 proprio perche' ci siamo interrogati a lungo su /Giap/ e su Wu Ming in generale. Per il momento, abbiamo scelto:
- una gestione il piu' collegiale possibile. Su ciascun numero scriveranno almeno tre di noi, con tutto cio' che questo comporta: non tutti hanno gli stessi tempi.
- un approccio piu' selettivo al materiale che ci spedite.
- una spedizione piu' "rilassata" nei tempi (un numero ogni 3/4 settimane, quindi non stupitevi se sara' lungo almeno 20k - dopotutto e' una rivista, e deve durarvi un mese).
Abbiamo anche provato diversi software per lo smistamento automatico, ma la lista dei destinatari e' troppo voluminosa e il server incontrava difficolta'. Forse, tra qualche mese, alcuni di voi riceveranno i messaggi di prova che abbiamo spedito (o l'annuncio della presentazione del libro "Arditi del Popolo" di Eros Francescangeli), tipo vecchie sonde alla deriva nel cosmo.
Giunti a questo punto, anche se vi suonera' paradossale, vi chiediamo di... interagire di piu'. Sarebbe a dire che vogliamo vostre opinioni su /Giap/, sul suo ruolo, su cosa vi annoia e cosa vi esalta, su quante volte vi piacerebbe riceverlo, su come migliorarlo etc. Una Consultazione.
Chi ci spedira' un contributo, please, lo faccia mettendo "Brainstorming" nel subject.
A voi la palla.
E in ogni caso ci vediamo a Genova, 19-21 luglio.
1---------------------------------------------------------------------
NON SIAMO NELLA STESSA LACRIMA
Noterelle post-elettoralidi Wu Ming Liang (Wu Ming 2)
"L'unico rimedio alla depressione è il trionfalismo"
(Wu Ming 5)"La democrazia l'è un quèl che tu dici la tua, io dico la mia e inciòn an fa un cazz!"
(Gino Bellini, militante comunista, pugile e allenatore di campioni)
Adesso contiamo tutti fino a tre, chiudiamo gli occhi, ci concentriamo un attimo, e la piantiamo.
Basta con La vittoria di Berlusconi mi ha messo in crisi, L'Europa ci riderà dietro, Mi vergogno di essere italiano, Ce lo meritiamo, Io emigro, Siamo un popolo di teledipendenti.
Viviamo su un tappeto di cazzi: chi si siede, è fottuto.
Dunque in piedi, accidenti.
A partire da subito sputerò in faccia a chiunque si lamenti di Berluska & compagnia, senza aver mai speso una parola e un muscolo per le tante vergogne di questo paese.
I Centri di dentenzione amministrativa per immigrati clandestini scandalizzano al massimo un italiano su cinquecento. Molti non sanno neppure che esistono. Ma quasi un italiano su due piange per il sorriso del Cavaliere.
Abbiamo salari tra i più bassi d'Europa, ma ce ne accorgeremo solo da domani.
Un italiano su tre non è in grado di leggere un breve testo scritto e riassumerne il contenuto. Libri e quotidiani sono perfetti sconosciuti per più della metà dei nostri connazionali. Ma siamo un popolo di ignoranti solo quando Forza Italia prende il 30% dei consensi.
La strage del Cermis è rimasta impunita. Quella di tremila lavoratori, anche. Ma il braccio è listato a lutto perché Berlusconi ha vinto il referendum.
Abdullah Ocalan aspetta la condanna a morte in un'isoletta del Mar di Marmara. Intanto Rutelli cerca di sopravvivere sventolando il successo della Margherita.
La Monsanto introduce illegalmente semi transgenici nel nostro paese. Nessun giornale ci racconta come vaa finire. Nessuno se lo domanda. Troppo intenti a vedere se Montezemolo, coccolato per anni dalla sinistra bolognese, cederà o meno alle lusinghe di Arcore.
Tra gli stati laici, siamo secondi soltanto ad alcune nazioni musulmane quanto a ingerenza delle gerarchie religiose nella politica, nella cultura, nella salute del paese. Ma solo adesso val la pena di emigrare, perché Mediaset è il primo partito italiano.Tutto questo significa che gli ignoranti, i teledipendenti, i qualunquisti non sono sempre e solo "loro".
Berlusconi è diventato il problema e la vergogna solo perché quando Benigni lo piglia per il culo fa il 24% di share. Tutto il resto non conta. Non fa piangere. Non fa ridere.
Una storia italiana.Certo, parte di quelli che oggi sono "in crisi", conoscono e odiano anche tutto il resto. I Centri di Permanenza Temporanea, i morti di lavoro, la Monsanto. E sono in crisi perché pensano che tutto questo peggiorerà. Altro che CPT: Reato di attraversamento clandestino di frontiera. Altro che infortuni sul lavoro: privatizzazione della Sanità...Queste persone (ci sto dentro anch'io), mi preoccupano meno. Perché sono abituate a farsi sentire. A considerare il silenzio come assenso. L'assenso di cui la Destra ha bisogno.
Perché Berlusconi non ha il 100% dei consensi. Deprimersi come se avesse in mano il paese significa consegnarglielo. Molte persone di sinistra, anche molto scettiche sull'Europa, dicono che ci penserà la Comunità a fare i conti in tasca a Berlusconi. Evitiamo lo scaricabarile: siamo noi che dobbiamo e possiamo mettergli il bastone tra le ruote. Non per partito preso, ma perché non abbiamo mai smesso di farlo. Con lui e con i suoi "rivali".Per fortuna qui da noi non ha avuto grande diffusione il termine "Glocale". Resta il concetto. L'azione e il pensiero locali sono niente senza una prospettiva e una lotta globali.
Ci siamo ripetuti mille volte che i Padroni della Terra non sono più i singoli stati e i singoli governi, ma i poteri sovra e multinazionali che li determinano. In quest'ottica Berlusconi ha un'importanza piuttosto relativa, e sul piano delle lotte cambia molto poco chi è stato eletto Primo Ministro in Italia.
C'è un paese del mondo, guarda caso il nostro, nel quale il tentacolo legale di Piovre transnazionali avrà maggiore libertà d'azione.
Ma se ci scandalizza Berlusconi, più o meno regolarmente eletto, quanto più dovremmo stracciarci le vesti per i vari G8, FMI, Banca Mondiale, WTO, OCSE, FTAA i cui membri non rappresentano nessuno e non sono stati scelti con libere elezioni? Tanto più che il loro potere è di gran lunga superiore a quello del nostro futuro governicchio...
E se vomitiamo di fronte alle bugie programmatiche di Berlusconi, quanti metri di viscere dovremmo strapparci di fronte alle suddette organizzazioni, che non sprecano nemmeno il tempo di inventarsi qualche menzogna?
Non è il classico presbitismo italiano: lasciamo stare l'Italietta, guardiamo al mondo. Però non dimentichiamoci che l'azione locale è solo un tassello. Critichiamo l'elettorato di destra perché "pensa solo ai suoi interessi", "manca di solidarietà". Non facciamo lo stesso errore.
Ci aspetta un appuntamento imperdibile, carico di significati "glocali": il G8 di Genova, a luglio.
Si tiene in Italia, ma interessa il mondo; sarà la prima uscita internazionale di Berlusconi, ma anche di Bush; la prima grossa prova per il nuovo Ministro dell'Interno; ma più in generale un esame importante per i Cani da Guardia dei Padroni del Mondo.
Spero che per allora la depressione sia passata senza far troppe vittime.
E se non fosse passata, Genova sarà un ottimo Prozac.
Anche se Berluska dovesse cadere dopodomani.
2-------------------
BUKKAKE
di Wu Ming Wu (Wu Ming 5)
Scrivo per bisogno. Non che mi interessi passare per artista. Il concetto risulterebbe ambiguo, e invece il bisogno è ciò che spinge verso la tecnica, verso gli innumerevoli artifici tesi alla sopravvivenza. Nulla di ambiguo, come vedete. Scrivo per far cadere la pioggia. Scrivo per bandire le guerre. E' la vita, secondo me, il sacrificio fondamentale. Non la morte. E l'arte popolare è la forma più alta di sacrificio, perché riafferma la vita. Parole per scacciare i fantasmi, per riempire il ventre, per dichiarare senza paura ciò che si ama e si odia.
Havana Glam è un romanzo politico? Certo. Romanzo che trasuda odio & amore. Al di fuori delle polarità la politica, semplicemente, non è possibile. L'equanimità appartiene al radioso domani. Non all'oggi e alle sue tristi miserie, o esaltazioni, vittorie o maledette sconfitte.
Nel 1967 Archie Shepp, nelle note di copertina del suo Mama Too Tight (Impulse), lamentava la defezione degli artisti dalla comunità. Archie è sempre stato il più politico degli uomini del free. La sua non-forma free non escludeva nulla della tradizione nera. Per questo Archie affrontava volentieri riff R&B e tempi soul: perché il suo free jazz apparteneva alla gente e al ghetto. Alla moltitudine, diremmo oggi.
Havana Glam vive della moltitudine. Ampio respiro, scenari vasti, la retorica del Grande Paese, dell'uomo contro la natura, la poesia delle periferie degradate, personaggi impegnati in un payback archetipico, spinti dalle pulsioni fondamentali della specie: avidità, odio, amore, fede politica.
Wu Ming non defeziona. La Comunità Umana è il nostro ghetto di riferimento.
Archie Shepp sarebbe contento di noi.
Seguimos en combate
Havana Glam uscira' a settembre nella collana AvantPop di Fanucci Editore, http://www.fanucci.it
3--------------
Sul sito:
- alla sezione "Anteprime" due nuovi capitoli di 54 scaricabili gratis. <http://www.wumingfoundation.com/italiano/anticipazioni.htm>
- Asce di guerra commentato da un darwinista sociale cinico e destrorso. <http://www.wumingfoundation.com/gallery/commentiAdG5.html>
4--------------
CITAZIONI DI FRONTE AL PERICOLO
[...In Q] non c'è nessun tipo di richiamo situazionista, nessuna ossessione del "recupero" e dello "spettacolo", non c'è "dialettica negativa", anzi, c'è molto ottimismo della ragione e della volontà, c'è fiducia nella forza soggettiva e nella creatività delle classi oppresse e della comunità umana in generale. Nonostante le sconfitte, gli intrighi, i massacri, il protagonista continua a ripartire da zero. La chiave del romanzo è nell'ultima lettera a Carafa, quella che non viene spedita e che il protagonista legge per caso mentre s'imbarca per l'Oriente. Nessun Piano del potere può anticipare e contenere tutto il divenire sociale. Nessun agente provocatore, nessuna spia infiltrata è sufficiente a fermare un movimento di moltitudini. Ciò che avviene ricorda il "principio di indeterminazione" di Heisenberg: l'osservatore influisce sulla realtà, la cambia osservandola ma viene anche cambiato da essa, come succede al nostro Ecclesiaste. Nella storia del movimento rivoluzionario russo c'è un esempio perfetto: la rivoluzione del 1905 a Pietroburgo fu diretta, almeno inizialmente, dagli uomini del pope Gapon, che era una spia dello Zar. Eppure il movimento si estese e in seguito le spie furono smascherate. Tutto ciò è molto poco "debordiano". Nei suoi Commentari alla Società dello Spettacolo, Debord ha tratto conclusioni opposte alle nostre, approdando a uno "sconfittismo" esistenziale e cercando di giustificarlo con pseudo-analisi sull'onnipotenza dei media e dei poteri occulti che li manovrano. Questa è merda di cui il movimento globale anti-capitalista non ha proprio nessun bisogno.(wm1)
[...] Abbiamo scelto il sedicesimo secolo perché ci interessava descrivere i primi decenni di agonia del feudalesimo e di affermazione del capitalismo moderno. L'inizio di un'epoca somiglia molto alla sua fine, e noi oggi assistiamo alla fine della modernità, sostituita da un nuovo feudalesimo ipertecnologico, con l'economia che insedia poteri neo-imperiali non elettivi (pensa al Fondo Monetario Internazionale, all'Organizzazione Mondiale del Commercio etc.), e col lavoro salariato sostituito da nuove forme di schiavitù in diverse parti del mondo. Altre similarità con l'epoca pre-moderna sono la fine della leva di massa e il definitivo avvento di eserciti mercenari, e - questo è positivo - il formarsi di una nuova cultura popolare, un folklore che mette in crisi il concetto di Autore, integra la comunicazione scritta con quella orale, prospera su un'economia del dono e della gratuità. Pensa al file-sharing, al fenomeno dell'MP3 etc. E' un cambiamento epocale, come quello descritto in "Q". Infine, la Guerra dei Contadini è stata contemporaneamente l'ultima delle grandi insurrezioni rurali pre-moderne e il primo tentativo di rivoluzione moderna, con tanto di programma (i famosi Dodici Articoli).)(wm1)
[...] instillare il timore di Dio è un'operazione prettamente semiotica, proprio come è teologia il far accettare l'esistenza di entità astratte come il capitale finanziario. Il denaro oggi è solo un flusso di energia, elettroni che si spostano da un punto all'altro, qualcosa di simile allo Spirito Santo, e gli "investimenti" sono una Pentecoste. L'economia, il denaro, gli investimenti vengono presentati come articoli di fede, bisogna accettare l'illusione perché questa abbia effetti sulla realtà. Il neo-liberismo è una religione, una tra le più fanatiche. Il "turbocapitalismo" è la dittatura spirituale più terribile della storia.(wm1)
[...] abbiamo paragonato il mito a una strana fanghiglia, su cui gettare continuamente acqua, per impedire che si indurisca e diventi inservibile.
Centinaia di studiosi si sono chiesti quali sia la sostanza di questo fango. E' importante toccare questo argomento dal momento che mi parli della pericolosità del mito, citando l'uso che ne è stato fatto dai regimi totalitari di destra.
Quando si ha a che fare con la sostanza del mito, occorre scegliere tra due alternative fondamentali. Kerényi ce le ha indicate una quarantina d'anni fa. Da una parte, si può sostenere che tale sostanza è metafisica, qualcosa di extra-umano che si rivela nell'uomo e nella storia; dall'altra, si afferma invece che è l'uomo a far echeggiare il mito e che dunque il mito esprime sempre anche lui, l'uomo. La scelta pericolosa è la prima: dichiarare che è il mito ad echeggiare nell'uomo, esprimendo così il suo segreto. Da questa premessa dottrinale, infatti, si passa con facilità a soggiogare l'uomo di fronte a forze che lo trascendono e quindi, al passo successivo, di fronte ai veggenti/manipolatori che possiedono la chiave d'accesso a quelle Verità.
Tutte le volte che si separa il mito dall'uomo, anche su posizioni tutt'altro che naziste, si corre questo pericolo. Succede nelle celebrazioni della Resistenza come nei testi delle BR.
"Modellare il fango del mito" è una facoltà tipica degli esseri umani, paragonabile alla musica. Kerényi la considera una facoltà molto positiva perché comporta "un ampliamento della coscienza raggiungibile non soltanto da visionari e rende possibile una visione più intensa degli uomini nella loro concretezza - e incita quindi un umanesimo più concreto - di quella che possono offrirci la scienza e la filosofia"
Ora, avendo chiaro il pericolo, non si può abbandonare il campo, spaventati da vecchi fantasmi. Occorre giocare la partita del mito, e con schemi diversi da quelli avversari. La risposta all'apologia metafisica non può essere solo negativa, pura demitologizzazzione.
Forse allora il vero pericolo è nel porsi stesso del problema. Meglio sarebbe accantonare la sostanza, con tutte le sue subdole fascinazioni, per interessarsi piuttosto alla questione del funzionamento: Come si usa la macchina mitologica? Cosa fare se si blocca? Di che manutenzione ha bisogno? Come si sostituisce un pezzo rotto? Dove si trovano i ricambi? Quanto costano?
Questa conoscenza non è necessaria per "modellare il fango", come non lo è conoscere la storia della musica, l'armonia e il pentagramma per suonare il piffero alla festa del paese. Tuttavia ci aiuta a rintracciare storie che vale la pena di raccontare, asce di guerra che bisogna disseppellire, incrostazioni che occorre sciogliere, elementi da rimodellare.
Sempre Kerényi distingueva tra una mitologia genuina, spontanea, disinteressata, fatta di contenuti emersi dalla psiche ed una tecnicizzata, evocazione ed elaborazione interessata di materiali utili per un certo scopo.
Distinzione superata. Non si tratta più di scegliere tra umanesimo e ideologia. E non è la ricerca di una presunta purezza che ci salverà dalle insidie del "fare mitologia". Non ci interessa l'esegesi, la mitologia va usata, oggi. Raccontare è un atto politico. Le storie sono armi, il mito è un campo di battaglia, ma la partita non si gioca, come nelle recenti polemiche sulla Resistenza, usando il linguaggio senza parole della politica per reinterpretare il mito, ma rintracciando, anche grazie al mito, il senso del gioco e della partita. (wm2)