Indice di NANDROPAUSA # 4 - 23 giugno 2003

0. Preambolo
1. Antonio Pennacchi, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi [WM1, WM2]
2. Andrew Masterson, Gli ultimi giorni. L'apocrifo di Joe Panther [WM2, WM1]
3. Ishmael Reed, Mumbo Jumbo [WM1]
4. Serge Quadruppani, La breve estate dei Colchici [WM1]
5. Sbancor, American Nightmare [WM4, WM5]
6. Jason Starr, Piccoli delitti del cazzo [WM3]
7. Marco Bellotto, Il diritto di non rispondere [WM2]
9. L'OCCASIONE MANCATA: Lester Bangs contro i nazionaldemocratici [WM1]
9. LA SEGNALAZIONE STRANA: Curva Te [WM2]
10. IL RIPESCAGGIO: Oscar Marchisio, La stanza mnemonica [WM5, WM2, WM1, WM3]



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Riecco Nandropausa, il supplemento semestrale a Giap coi commenti di Wu Ming ai libri di narrativa-e-dintorni usciti negli ultimi mesi.
Solite avvertenze: non siamo critici né vogliamo diventarlo; leggiamo a tiramento di culo e scriviamo con la pancia; la selezione è del tutto arbitraria; se nell'elenco non compaiono libri che ritenete fondamentali non significa per forza che ci hanno fatto schifo: può darsi (anzi, è probabile) che non ci siano capitati tra le mani, che non li abbiamo letti o forse li stiamo ancora leggendo e li segnaleremo nel prossimo numero (tanto non ci corre dietro nessuno); per vari motivi, alcuni libri che pure ci sono piaciuti NON sono finiti in Nandropausa (perché saggistica, perché in altre lingue, perché episodi di un ciclo di cui ci interessa discutere in futuro, perché già introvabili - è il caso di Anonima stregoni di Robert A. Heinlein, Urania Mondadori n.1456, 1/1/2003); per altrettanto vari motivi, in Nandropausa possono comparire libri che non ci hanno convinto al 110% ma che, nondimeno, crediamo sia d'uopo leggere.
La rubrica "L'occasione mancata" fa suonare una doverosa sirena d'allarme: non comprate la biografia di Lester Bangs pubblicata da Arcana! Traduzione scazzata dalla prima all'ultima riga.
La rubrica "Il ripescaggio" contiene un omaggio a un autore che ha molto influenzato il nostro lavoro: Oscar Marchisio.
Nella rubrica "La segnalazione strana" WM2 sceglie uno tra i libri "bizzarri" speditici dai giapsters (in questo caso, dal giapster storico Giovanni Francesio).
Come la volta scorsa, a questo n.4 seguirà (a settembre) un n.4bis, coi vostri commenti su uno o più libri tra quelli segnalati. Buona lettura.

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Antonio Pennacchi, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Mondadori 2002, 340 pagine, 17 euro.

Questo libro mi è stato regalato per il compleanno e mi si è praticamente bruciato in mano tanta è stata la foga nel leggerlo, tra lunghi e sguaiati attacchi di ridarola. Da due mesi non faccio che consigliarlo, era da Romanzo criminale di De Cataldo che non mettevo in moto un simile ambaradàn.
Il fasciocomunista è il romanzo di formazione di Benassi, che è poi l'alter ego di Pennacchi. Pennacchi me l'hanno descritto come "la coscienza critica di Latina" (compito che immagino impegnativo). Per le sue traversie rimando alla nota biografica, secondo risvolto di copertina. Tra le varie cose, scrive su "Limes" (i suoi articoli sono raccolti qui:
http://www.limesonline.com/doc/navigation/NewsLetter/10021.htm).
Accio Benassi è un giovane missino nella provincia laziale degli anni Sessanta, uscito dal seminario dopo aver perso la vocazione, diviso tra una famiglia plebea e bigotta, un'accidentata autoeducazione sessuale, la pratica dell'autostop (al tempo stesso liberatoria e frustrante) e un organico di partito che è una lunga sfilza di mentecatti, massimalisti velleitari e mezze calzette dimenticate dalla Storia e dallo spirito del Duce. Un solo camerata, tale Bompressi, è descritto con tratti di folgorante umanità.
Con l'avvicinarsi del '68, Accio inizia a "scantonare": verrà espulso dal partito per aver manifestato contro la guerra in Vietnam, e si sposterà all'estrema sinistra, in "Servire il popolo", ambiente popolato di... mentecatti, massimalisti velleitari etc. etc.
La lingua di Pennacchi è efficacissima, piena di prestiti dialettali e stratagemmi reiterati fino a diventare tormentoni, come quel "Dice:" a cui seguono domanda retorica e risposta auto-assolutoria. L'effetto è indicibile. Esilaranti le descrizioni delle scazzottate, con l'immancabile incipit: "Gliene misi due in faccia". Sapete come la penso: se riesci a rendere viva una rissa o una scazzottata, allora sei un bravo scrittore.
Il fasciocomunista contiene alcune perle, come la storia della partecipazione dei giovani fascisti alle prime occupazioni del '68 romano. Stando a Benassi/Pennacchi, non solo i militanti di Avanguardia Nazionale, guidati da Stefano Delle Chiaie, presero parte agli scontri di Valle Giulia, ma addirittura li cominciarono: furono i primi a controcaricare la polizia. In seguito, il celebre intervento squadristico alla Sapienza voluto da Almirante e Michelini (che stavano facendo il maquillage al MSI per trasformarlo in "partito d'ordine" anti-estremisti) impedì la "fraternizzazione" e costrinse i giovani di destra a schierarsi "di qua" o "di là". Benassi si schiera "di là", coi rossi. E' lo stesso giorno in cui Oreste Scalzone rimase ferito alla spina dorsale. Nel suo libro autobiografico Biennio rosso (a cura di Ugo Maria Tassinari, edizioni SugarCo, 1988), lo stesso Scalzone è molto evasivo sulla presenza dei giovani di destra a Valle Giulia: solitamente tanto logorroico da provocare edemi cerebrali in chi lo ascolta, in quel passaggio se la cava in due righe, dicendo più o meno: "Boh, può darsi, c'era un tale casino..."
Altro passaggio bellissimo è una lite con Pasolini sulla questione della "degenerazione antropologica" dei giovani italiani. (WM1)

La cosa che più mi ha colpito, fin dall'inizio, in questo romanzo, è la capacità dell'autore di mantenere un ritmo elevatissimo, incalzante, che incolla il lettore alla pagina, senza ricorrere alla scrittura secca, mitragliata, telegrafica, che abbiamo imparato ad amare sulle pagine di Ellroy.
Ciò che risulta torrenziale, ne Il fasciocomunista, è l'affabulazione, la miriade di aneddoti, di personaggi, di situazioni assurde e strampalate. Una lingua che imita il parlato, anzi, il "raccontato", proprio del cantastorie, che spesso dialoga col suo pubblico, altre volte si fa prendere dall'emozione perché , in fondo, è della sua stessa vita che si sta parlando.
Un anarchico di costituzione e di DNA alle prese con le grandi istituzioni totali del recente passato: la famiglia - dominata da una madre anaffettiva e del tutto fuori di testa; la Chiesa - cioè il seminario e la crisi di vocazione; il neofascismo pecoreccio della provincia di Latina, e quello più violento ed eversivo della capitale; quindi i "preti rossi" di Servire il Popolo; la Droga - ma solo di sfuggita, come passaggio dal farsi le pippe al farsi le pere; la Fabbrica.
Un vero pugno in faccia a tante scritture autobiografiche che non raccontano nulla, non trasmettono alcuna emozione, non coinvolgono nessuno.
Pennacchi, fondamentalmente, mette in scena sé stesso: a volte, forse, si lascia scappare qualche indulgenza su aspetti più personali, ma sono momenti brevi, comunque gustosi.
Quello che spicca - e che salva, rendendo il libro uno dei migliori italiani della stagione - è la voglia di raccontare che straborda da ogni parola, e con essa il desiderio di fare letteratura corale, un vero affresco dell'Italia di ieri l'altro, filtrato attraverso lo spirito incontenibile di un grandissimo rompicoglioni. (WM2).


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Andrew Masterson, Gli ultimi giorni: l'apocrifo di Joe Panther
Marsilio Black, Venezia 2002, 406 pagine, 16 euro.
Traduzione di Vittorio Curtoni

Ci sono almeno due buoni motivi per leggere questo romanzo: il primo è Joshua Ben Panther, ambiguo personaggio dei bassifondi di Melbourne, cercatore di pecorelle smarrite per conto di un prete amico di poveracci, dispensatore di eroina per un gregge di tossici, convinto di essere Gesù Cristo in persona. Era da tempo che un tipo del genere non calcava le scene della letteratura mondiale: viscido messia, Cristo degli ultimi che non esita ad uccidere e rubare, Figlio dell'Uomo umano troppo umano, incazzato a morte con la Chiesa e con il padre, che ancora non gli concede il meritato riposo.
Esilarante. Spesso blasfemo. In molte occasioni, estremamente più lucido e vicino al senso profondo del cristianesimo di quanto non lo sia il Gesù di un Biffi o di un Padre Pio qualsiasi.
Il secondo motivo è l'intreccio tra episodi nerissimi, momenti comici, battute da cabaret, riflessioni filosofiche, scene grottesche, spezzoni di storia della Chiesa e aneddoti di vite dei santi.
Con due motivi così validi all'attivo, qua e là Masterson dimentica un po' la trama, specie nel finale, si lascia prendere la mano e fatica a tenere le briglie della storia.
Tuttavia, pur con qualche difetto di struttura, il romanzo rimane molto divertente, illuminante, decisamente una lettura da fare. (WM2)

Gli ultimi giorni è una lunga bestemmia, più lunga di quella snocciolata da Benigni in "Berlinguer, ti voglio bene", appena meno poetica della leggendaria "Madonna volpe inseguita da cento Dio-cani" orecchiata da un amico di famiglia nel Pistoiese. Lo spunto è il clima di neo-millenarismo e profezie sballate tipico della seconda metà degli anni Novanta, con la data della (fittizia) fine del Millennio che si avvicinava a spron battuto. Gesù di Nazareth (paranoico spacciatore di eroina) indaga insieme a Giovanni Battista (vecchio fetido e scoppiato che battezza bambini per strada e strangola cagnolini per vedere Dio) su omicidi rituali inspiegabilmente collegati a una pubblicità del kumquat, piccolo agrume che in Italia chiamiamo "fortunella". Masterson ha rimpinzato questo romanzo di cagate assurde, barzellette che finiscono in anticlimax, invettive contro S. Paolo, citazioni da Tertulliano e Agostino... Ad un certo punto, quando l'autore ci stantuffa a forza gli snuff movies (uff!) e riferimenti a tutte le leggende metropolitane conosciute, il libro comincia a debordare e somigliare un po' a quello di cui ci occupiamo più sotto, nella rubrica "Il ripescaggio". Però fa ghignare, e lo si chiude soddisfatti e pieni di nuovi interrogativi teologici. Lo consiglio, e invito a non farsi ingannare dal marketing che lo descrive come un noir: fin dalle prime pagine ci si trova di fronte a un libro del genere comico-demenziale, perfetta sintesi tra "L'ultima tentazione di Cristo" e "Una pallottola spuntata". (WM1)


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Ishmael Reed, Mumbo Jumbo
ShaKe, Milano 2003, 238 pagine, 13 euro.
Traduzione di Anne Meservey, cura e revisione di Cristina Saffiotti

E' il libro più famoso dello scrittore afro-americano Ishmael Reed, pubblicato negli USA nel 1972, già arrivato in Italia parecchi anni fa in una traduzione che ne snaturava lo stile e i contenuti.
Mumbo Jumbo è un romanzo... "sperimentale"? E' un'elegia della cultura africana in tutte le sue incarnazioni e latitudini, dalla mitologia egizia al voodoo al blues e al dixieland. E' una fiera rivendicazione del ruolo africano - camita e semita - nella storia della cultura occidentale, dall'antichità a oggi (in anticipo di tre lustri su Black Athena di Martin Bernal). A rigore, non esiste un "afrocentrismo" come tendenza separata perché siamo tutti africani. Lo dicono anche i paleontologi.
Mumbo Jumbo è un trattato funky di controstoria degli USA. E' un Hard-boiled mistico che si svolge a Harlem negli anni Venti - l'epoca della Black Renaissance - e ha come protagonista un detective animista, Papa LaBas, alle prese con un complotto massonico-templare e con l'epidemia di Jes Grew (virus diffuso tramite il jazz che spinge i bianchi a ballare fino allo sfinimento). Sullo sfondo, la guerra sporca (e segreta) degli USA contro Haiti. Papa LaBas è aiutato nell'indagine da Black Herman, mago e illusionista. Su
Blackmailmag consigliano di leggerlo ascoltando Space Is The Place di Sun Ra. Ottimo suggerimento. Vanno bene anche Fela Kuti (qualunque album) o il secondo CD del Live at the Apollo Theater vol.2 di James Brown.
N.B. Mumbo Jumbo è praticamente intraducibile, massima solidarietà a chi si è cimentato nell'impresa: si perde l'Ebonics (il dialetto afro-americano) ma il risultato è godibile.
"Non si è mai visto un resoconto o un ritratto di Cristo ridente. Come i Marxisti che hanno secolarizzato la sua dottrina, è sempre severo, serio e cupo come il guardiano di una prigione. Non lo si vede mai ridere fino alle lacrime come il Buddha grassottello strabico che sghignazza con le braccia alzate o come certi loa africani, gli Orisha. LaBas riteneva che quando questo impostore, questo pesante archetipo che affliggeva l'anima Afro-Americana, fosse stato eliminato, il paese avrebbe tirato un gran sospiro di sollievo come se l'anima fosse piedi che riposano in acque minerali dopo miglia di cammino tra chiodi, sassi, carboni ardenti e spine." (WM1)

4------------------------------------

Serge Quadruppani, La breve estate dei Colchici
Il Giallo Mondadori n.2822, 8/5/2003, euro 3,55
Traduzione di Maruzza Loria

Ci sarebbe da metter su un "Comitato di solidarietà a Serge Quadruppani" per come viene trattato da Mondadori, se non fosse che si tratterebbe di un comitato di protesta contro il nostro amico e collega Sandrone Dazieri, e il tutto diventerebbe contorto e perverso. Sandrone, cambia pusher! Prima pubblichi L'assassina di Belleville, bel romanzo, per carità, peccato sia il terzo episodio di una trilogia inedita in Italia, difficilmente comprensibile senza aver letto i primi due, e le note a pie' di pagina aumentano lo spaesamento del lettore ("cfr. il primo episodio della trilogia etc."). Dopodiché pubblichi questo Colchiques dans les Près, pieno di colpi di scena, di micro-shock percettivi, di sottili tradimenti delle aspettative, insomma un romanzo che può innescare un notevole passaparola... e gli dài un titolo italiano non soltanto respingente ma anche incomprensibile, perché : 1) il romanzo si svolge in autunno; 2) la stragrande maggioranza delle persone non ha la più pallida idea di cosa sia un colchico (Zingarelli: "Pianta erbacea tuberosa delle Liliacee con foglie lineari e fiori rosa-lilla che fioriscono [appunto, n.d.r.] in autunno"). Ad ogni modo, andiamo oltre il titolo: Colchiques dans les Près è un noir potente e ben tradotto, parla di una rapina in un manicomio, di un omicidio preterintenzionale e di una vendetta tra ex-rivoluzionari degli anni Settanta. L'ho letto tutto durante un volo Londra-Bologna, anzi, l'ho finito mentre ritiravo i bagagli. Non lo metti giù, pochi cazzi. Simon e Nausicaa sono personaggi perfettamente riusciti. Serge è incazzato nero, ai livelli di La vita è uno schifo di Malet.
Il problema del Giallo Mondadori è che resta in edicola per un po' poi scompare, ma questo è un numero di maggio, e ho visto che è ancora in giro. Forse tra qualche tempo Mondadori lo pubblicherà in una collana da libreria, come ha fatto con L'assassina di Belleville negli Oscar. Diversamente, potete chiederlo alla "Sezione collezionisti" della Mondadori, collez@mondadori.it (WM1)

Intervista a Serge Quadruppani da carmillaonline.com

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Sbancor, American Nightmare
Nuovi Mondi Media, Bologna, 2003, 176 pagine, 12 euro.
Prefazione di Valerio Evangelisti

La "preveggenza" di Sbancor fa ormai parte a tutti gli effetti delle leggende cibernetiche, dei miti del web italiano. Sbancor è un Q al contrario, un compagno infiltrato nelle stanze del potere economico, o meglio, nei centri di supervisione delle mosse del capitale. Ricorderò sempre un suo messaggio dell'agosto 2001. Diceva che gli Stati Uniti avevano bisogno di fare la guerra, di inaugurare la stagione del "warfare", per far fronte alla più grande crisi economica dal 1929. La regione ideale in cui scatenare l'inferno si situava nell'area turanica, tra Uzbekistan e Afghanistan, lungo la via del petrolio. Bush & co. avrebbero cercato un espediente di qualche tipo per spedirci i marines e installare un caposaldo nel cuore dell'Asia. Un mese dopo, inchiodato davanti alla tv, mentre vedevo crollare le Torri Gemelle, pensai che Sbancor era una specie di vate, uno di quegli aruspici antichi che leggevano il fegato degli animali e predicevano il futuro. Solo che oggi il "fegato" è fatto di indici borsistici e spostamenti di capitali.
Il suo libro, American Nightmare, è un oggetto ibrido, a metà tra narrativa e cronaca, che affascina proprio per la teoria che illustra. Narrativamente è un romanzo solo abbozzato, schiacciato dall'enormità degli eventi stessi che vuole affrontare. Ma dal punto di vista della teoria del complotto fa venire i brividi e ci lascia addosso un senso di oscura incombenza. Il libro di Sbancor è una minaccia.
L'attentato alle Twin Towers è stato un colpo di stato bianco, il vero colpo di stato dopo i brogli elettorali che hanno portato Bush Jr. alla Casa Bianca. La cosca che ha ideato e sostenuto quel piano è composta da professionisti della guerra sporca a tutti i livelli. Un manipolo di avventurieri che ha suggellato il proprio patto di sangue nelle foreste indocinesi, ai tempi di Air America, dei fondi neri della Cia, del grasso laotiano e vietnamita che colava nelle tasche dell'Agenzia attraverso il traffico "in proprio" dell'eroina. Una storia che è proseguita in El Salvador, Cile, Argentina, Honduras, Guatemala. Oggi questi signori, giunti in là con gli anni, hanno fatto carriera e non tagliano più le gole con le proprie mani, fanno parte dei consigli d'amministrazione di grosse multinazionali a partecipazione statale e ricoprono ruoli importanti nello staff presidenziale.
Quello che stiamo vivendo è solo il punto d'approdo di una "missione" antica, la stretta finale di una gang agguerrita e pronta a tutto. "Quello che stiamo vivendo è l'ultimo atto di una storia maledetta iniziata circa cinquant'anni fa. E' la storia della mia generazione. Quella che nessuno ti racconterà mai per intero. Quella che nessuno vuole ascoltare. Quella che neanche io sono pronto a scrivere...".
Altro che Impero, altro che osmosi politica del mondo e delocalizzazione della sovranità! Il piano in corso (da lungo tempo) va nel verso opposto e si concretizza a partire proprio dalla negazione di un'omologazione che non sia quella all'America vittoriosa. Leggendo la trama di Sbancor si ha il netto presentimento che la perdita di senso delle forme politiche moderne non si sancisce "per espansione" e "denazionalizzazione", bensì attraverso il suo contrario: fagocitazione ed estensione illimitata di una sovranità, quella americana, della sua classe dirigente. Il presente vede la cancellazione di ogni categoria politica prodotta dalla storia del pensiero occidentale in favore dell'uso indiscriminato della forza come unico principio politico. Il presente non è estensivo, ma inclusivo, reductio ad unum, in senso letterale e filosofico.
Nelle pagine di American Nightmare, Sbancor guida il proprio alter ego allo sbaraglio in un'indagine donchisciottesca, nel tentativo di ricostruire il quadro del complotto, ma dimostrando al tempo stesso che il segreto è tutto in superficie, alla portata di qualsiasi internauta che sappia cosa cercare. E ovviamente di un banchiere che sappia tradurre in pratica gli indici di borsa, conosca un po' di storia e metta insieme tutti i pezzi del puzzle.
Come ogni teoria del complotto e ogni racconto del presente infarcito di "letteratura", quello di Sbancor non è probabilmente esente da semplificazioni e induzioni forzate. Nondimeno è interessante e vale assolutamente la pena confrontarsi con esso.
Tra le semplificazioni più evidenti - ed è un appunto critico che non si può non fare - c'è quella sull'Islam, liquidato come visione del mondo e società ineluttabilmente spacciata, costretta nell'angolo del fanatismo senza vie d'uscita. Non è possibile concordare con questa visione riduzionista. Nonostante i tempi che corrono, l'Islam non è solo fanatismo, non è nemmeno soltanto integralismo (le due cose non coincidono, se non nella vulgata dozzinale dei media occidentali). Si ha l'impressione che abbiamo viaggiato troppo poco attraverso i paesi islamici, che li conosciamo scarsamente e soprattutto attraverso le loro manifestazioni più deteriori, per poter dare giudizi sommari. Il mondo islamico è composto da un miliardo e mezzo di esseri umani, dislocati per la maggior parte dal Nord-Africa all'Indonesia, e in consistente minoranza in tutti i paesi occidentali. Non solo: l'Islam è una cultura millenaria che ha nel suo bagaglio storico un'infinità di sfaccettature e molti valori positivi. Paradosso vuole che nel Medioevo furono proprio gli Arabi a insegnare all'Europa cristiana la tolleranza, con secoli d'anticipo sui pensatori borghesi proto-illuministi. Nello zaino di un islamico non c'è soltanto il burka e la cintura di panetti al plastico; ci sono anche i giardini di Cordova e il palazzo dell'Alahambra.
Se non per correttezza, almeno per intelligenza politica, non è consigliabile precludere nemmeno sulla carta all'Islam le vie d'uscita dallo scontro tra civiltà. In un certo senso, sarebbe come precluderle all'Occidente, che, per fortuna, non è fatto soltanto di "democrazia" esportata con le bombe.
Come dire che, nonostante tutto, con i brividi a fior di pelle, rimaniamo più ottimisti dell'amico Sbancor. (WM4)

Per sgombrare il campo da ogni equivoco, il libro di Sbancor non è ascrivibile in nessun modo alla specie "antiamericanismo". Si colgono i debiti culturali, esplicitamente dichiarati, gli stessi che Wu Ming sottolinea ogni volta che può: l'altra America vive sotto il tallone dei vaccari-petrolieri texani esattamente come la quasi totalità del pianeta. E continuando su questa falsariga, il libro è molto meglio definibile per elisioni, distanze, dichiarazioni negative che per affermazioni e accumulazioni retoriche. Come se la materia di cui tratta - il mondo alla mercè di una o più cosche impegnate in un regolamento di conti che coinvolge migliaia di persone e in prospettiva la vita stessa del pianeta- richiedesse una sorta di "teologia negativa": il libro non è un saggio, il libro non è un romanzo, il libro non è un reportage, non tratta di cronaca, di storia e nemmeno di politica, o di tutte queste cose insieme, certamente. Il libro è un esperimento ibrido, qualcosa la cui spina dorsale è il grande dispiegamento di notizie, alcune disponibili solo a "tecnici" come l'autore, altre di dominio pubblico- che nella vicenda che ha avuto come tragico momento topico l'11 Settembre sono annegate nella cacofonia retorica e idenditaria che ancora ammorba le società dell'occidente. La messe impressionante di dati è messa al servizio di una struttura narrativa che, opportunamente sviluppata e irrobustita, poteva essere il punto di forza del libro, trasformarlo in una sorta di romanzo d'inchiesta pregno di echi Ellroyani. Così, svolge se non altro la funzione di testimoniare che Sbancor può scrivere bene.
Quello che poteva essere il punto di forza si rivela essere, dal punto di vista del lettore, il maggior limite. In questa veste, lo schema narrativo non fa che rendere meno morbosamente avvincente il dispiegarsi di dati, che da soli avrebbero costituito una triste, sconvolgente litania. (WM5)

6------------------------------------

Jason Starr, Piccoli delitti del cazzo , Meridiano Zero, Padova 2003, 224 pagine, 12,50 euro.
Traduzione di Federica Alba

Ti senti un "loser" per antonomasia ? Hai la singolare tendenza a scommettere sempre sul cavallo sbagliato ? Sei capace di osservare, con un certo cinico distacco, la tua vita andare a rotoli e, un secondo prima che il baratro ti sprofondi, dire agli amici, arrogante: - Sto per fare il colpaccio ! - ? Bene, allora Piccoli delitti del cazzo, a parte il piccolo titolo del cazzo, fa proprio al tuo caso. Ti divertirà, diventando anche fonte di rilassamento: sei in simpatica compagnia! Tommy Russo sarà lo specchio nel quale rimirarti, e ammirare la perdita di senso che pervade le nostre vite per quello che è: ridicola epopea di una "road to nowhere", popolata dalla marea enorme del sottomondo contemporaneo, che vaga ossessionata dalla patologia della mente sociale a quella propria. Un flipper insulso dove sei contemporaneamente pallina e giocatore, e la buca è sempre lì che aspetta... Un noir grottesco, divertente, assurdamente reale, che conferma l’attuale supremazia della letteratura di genere. Veloce, senza pretese apparenti, ricco di episodi esilaranti. E solo dopo la fine una leggera inquietudine si insinua... (WM3)

7------------------------------------

Marco Bellotto, Il diritto di non rispondere
Sironi Editore, Milano, 347 pagine, 16,50 euro.

Per chi ha imparato a conoscere il Nord Est dai libri di Massimo Carlotto, questo romanzo è come cacio sui maccheroni. In qualche modo fa parte della stessa pietanza, ma la arricchisce con nuovi sapori.
Il gusto nuovo è la lunga esperienza dell'autore come avvocato penalista in quel di Padova, che gli permette di costruire un legal thriller impeccabile come i best-seller di John Grisham, scritto pero' con la convinzione che questo genere di storie debbano essere raccontate non per inserirsi nel filone di Perry Mason, quanto piuttosto con quell'approccio 'politico' che accompagna la miglior letteratura di genere investigativo.
Tra l'altro, mi pare siano poche, nel panorama letterario italiano, le figure di avvocati-scrittori. Ci siamo occupati di giudici che scrivono - come De Cataldo - ma c'era bisogno di uno come Bellotto per inaugurare su Nandropausa la stagione, speriamo prolifica, del thriller da pretura italiana. (WM2)




8------------------------------------


L'OCCASIONE MANCATA

LESTER BANGS CONTRO I "NAZIONALDEMOCRATICI"

Lester Bangs (1949-1982) è stato uno dei migliori scrittori americani del XX° secolo e il critico rock più influente (in gergo si dice "seminale") di tutti i tempi. Sul finire degli anni Sessanta, insieme a Richard Meltzer e Nick Tosches, lavorò furiosamente per produrre ("con un anticipo di ben quattro mesi e mezzo su chiunque altro", dice Meltzer) la sintesi stilistica che oggi consideriamo la quintessenza della critica rock militante. Facendo questo, entrò nell'empireo del New Journalism, ancorché in posizione defilata (nel sotto-genere cosiddetto "gonzo", narrazioni picaresche e imbottite di sostanze psicotrope). Scrisse sulle riviste "Rolling Stone" e "Creem", oltreché su "The Village Voice".
Nel mondo anglosassone Bangs è una vera leggenda, consacrata dall'antologia postuma Psychotic Reactions And Carburetor Dung (1987, a cura di Greil Marcus). Compare come personaggio (interpretato da Philip Seymour Hoffman) nel film "Almost Famous" di Cameron Crowe (2000). E' menzionato nella canzone dei REM "It's The End Of The World As We Know It (And I Feel Fine)": "Leonard Bernstein, Leonid Breshnev, Lenny Bruce and Lester Bangs. Birthday party, cheesecake, jelly bean, boom!". Gran bella sfilza di L.B., manca soltanto Luther Blissett.
Lester aveva del rock'n'roll un'idea comunitaria, democratica, solidaristica, era nemico di ogni pretenziosità e solipsismo, per questo fece a pugni con lo zeitgeist degli anni Settanta, che considerò l'epoca della Restaurazione dopo la rivoluzione (la decade del verticismo e delle pose da divi, del virtuosismo fine a se stesso, degli eccessi progressive). Lester fu tra i primi ad affrontare a cornate problemi che continuano a ripresentarsi nella cultura pop, come dimostra quest'estratto dal suo celebre reportage sui Clash per il giornale britannico NME (1977):
"Perché se il rock'n'roll è la vera forma d'arte democratica, allora la democrazia devi cominciarla a casa tua, cioè devono crollare le eterne e repellenti barriere tra artisti e pubblico, l'attitudine elitaria deve scomparire, le star vanno rese più umane, smitizzate, e il pubblico deve essere trattato con maggiore rispetto. Altrimenti è tutta una truffa, un magna-magna, e la musica non è più viva di quanto lo siano gli Stones e i Led Zeppelin" [traduzione mia].
Un'altra citazione (dal saggio sugli Stooges "Of Pop and Pies and Fun", 1970):
"Quasi tutte le pop-star, se si prendessero una torta sul grugno o si trovassero di fronte un pubblico composto di sani di mente che, con calma, chiedesse loro: 'Cazzo ti credi di fare? Cos'è sta merda, eh?' - Beh, quasi tutti i vostri bei 'fenomeni', 'eroi' e 'artisti' rimarrebbero storditi e senza parole, caratterialmente incapaci di reggere il confronto con la loro base, per via della sfiancante esistenza da bambini viziati che hanno vissuto, anche quelli che all'inizio non erano tutta fuffa. L'oppressore è grasso e fiacco, compagni!" [traduzione mia]
Sostituite a "pop-star" la parola "scrittori", e funziona uguale.
Lester partecipò direttamente al punk: sperava potesse ri-generare il rock, rifondarlo dal basso. Richard Meltzer, a proposito di quella stagione, ha scritto: "Era come essere di nuovo innamorati, soprattutto innamorati della cultura".
Nel corso degli anni ho letto di (e su) Bangs tutto quel che sono riuscito a ravanare sulla rete o durante viaggi negli States. Ho letto anche la biografia (avvolgente, commovente) scritta da Jim DeRogatis, Let It Blurt (2000). Mi dicevo: cazzo, è assurdo che in Italia (un paese che ha un numero spropositato di riviste rock) nessuno abbia mai pensato di tradurre Bangs, Meltzer, Tosches e altri personaggi fondamentali.
Quando, poco meno di un anno fa, il mio amico John Vignola mi ha detto che la casa editrice Arcana avrebbe tradotto e pubblicato Let It Blurt, sono rimasto perplesso: perché pubblicare prima un libro su Lester anziché qualcosa di suo, come l'antologia di cui sopra? "Ad ogni modo", mi sono detto, "finalmente si colma una lacuna".
L'Arcana è casa editrice storica e meritoria, quand'ero teenager il mio gusto musicale si è formato anche grazie ai libri che pubblicava (biografie di musicisti, traduzioni dei testi delle bands etc.). Su Nandropausa abbiamo segnalato alcuni suoi libri, ultimo in ordine di tempo Album bianco2 di Franco Fabbri. Tuttavia... una certa "leggerezza" in materia di traduzioni mi faceva storcere il naso già vent'anni fa o giù di lì. Quando un verso di "Take It As It Comes" dei Doors che nell'originale fa: "Time to live, time to lie / time to laugh, time to die" viene tradotto con (vado a memoria) "Nell'armadio della vita ci sono cassetti per la vita e cassetti per la morte, cassetti per la menzogna e cassetti per il riso", o qualcosa di molto simile, beh, c'è qualcosa che non va. Quando il titolo di una canzone dei King Crimson, "Thela Hun Ginjeet" (anagramma di "Heat In The Jungle") viene tradotto "Toguel Liagg Aalnung", dicendo in nota che è l'anagramma di "Agguato nella giungla" (?) e che mentre il titolo originale suonava africano questo suona scandinavo (??), uno dice: ma invénzi che far al sburón, non potevi lasciare il titolo originale e dire in nota di cos'è l'anagramma? Bah.
Esibizionismi a parte, quando una traduzione fa cilecca l'editore è più colpevole del traduttore. A quest'ultimo, il più delle volte, vengono imposte scadenze impossibili da rispettare, o assegnati libri che non sono nelle sue corde. Inoltre, viene pagato con due prugne, un fico acerbo e un calcio nelle terga. Aggiungiamoci la fretta dell'editore di far uscire il libro, fretta che divora l'editing e la correzione delle bozze... Sia chiaro, insomma, che non voglio mettere in croce nessuno, quantunque...
Quando mi è arrivata la copia di Firmato: Lester Bangs (speditami dall'editore per intercessione del suddetto Vignola) e ho cominciato a leggerla, mi sono accorto fin dalle prime pagine che la traduzione era sgangherata e piena di errori cla-mo-ro-si, incredibili.
A costo di risultare pedante, devo fare degli esempi, fornire delle prove, altrimenti non si capiscono bene le ragioni del mio incazzo, e i motivi per cui questa edizione italiana è una "occasione mancata".
Già nelle prime righe della prefazione, pag.7, si affacciano diversi errori di senso e di resa in italiano:
l'originale "Lester was the great gonzo journalist, gutter poet, and romantic visionary of rock writing, its Hunter S. Thompson, Charles Bukowski, and Jack Kerouac all rolled into one" [Lester era il grande giornalista gonzo, il poeta di strada e il romantico visionario della scrittura rock: ne era lo Hunter S. Thompson, il Charles Bukowski e il Jack Kerouac, fusi in una sola persona] viene tradotto così: "Lester era il re del giornalismo gonzo, il poeta di strada e il romantico visionario della scrittura rock: Hunter S. Thompson, Charles Bukowski e Jack Kerouac, tutti reincarnati in una persona sola". Ci sono ben tre errori: la comparsa di un re che non c'era (sarà un effetto del ritorno dei Savoia); la scomparsa di "its", che aveva il compito di delimitare la similitudine: Lester era al contempo il Thompson, il Bukowski e il Kerouac della scrittura rock (altrimenti sembra una sborrata, e viene da commentare: "Ma mi faccia il piacere!"); infine, quando Lester cominciò a scrivere, Bukowski e Kerouac erano ancora vivi. Thompson è vivo a tutt'oggi. E' quantomeno improprio usare il verbo "reincarnare", e infatti DeRogatis diceva "rolled into one", come le uova e la farina quando si prepara la sfoglia.
Due righe sotto, "navel gazing" [guardarsi l'ombelico] viene tradotto (perché ?) con "parlarsi addosso", e nella stessa frase "[he] agitated for sounds that were harsher" diventa: "si emozionava per suoni più duri...", ma "to agitate for" significa promuovere un'agitazione, fare una campagna per ottenere qualcosa, quindi la traduzione corretta sarebbe: "rivendicò suoni più ruvidi".
Nella frase successiva, "drawing energy from [the] din" [traendo energia dal frastuono] diventa: "assorbendo energia pura da quell'apparente baccano". Passi per il "pura", ma perché "apparente"? Che significa? Poche pagine dopo, nell'introduzione (pag.14), "New Journalist heroics" [pose eroiche da new journalist] viene tradotto con "linguaggio del new journalist".
Ecco, il libro è tutto così e anche peggio. Giuro che non sto esagerando. Migliaia di errori più o meno gravi, dovuti a una scarsa conoscenza dell'inglese e del rock'n'roll e - soprattutto - alla mancata revisione del testo. Per non parlare degli stralci di scritti originali di Lester, che perdono ogni colore e incisività.
Qualche altro esempio poi giuro che la smetto. I seguenti errori li ho trovati aprendo pagine a caso e confrontando la traduzione con l'originale.
Pag. 54, tre in un solo capoverso: "arty rock" [più o meno: rock con troppe pretese artistiche] diventa "il rock più classico", cioè l'esatto contrario, dato che nel contesto del libro è rock "classico" quello senza troppe pretese; "crude sound" diventa "suono un po' crudo" (perché aggiungere cose che non ci sono?); infine scompare un pezzo di frase perché probabilmente non si sapeva come tradurlo: "non-heads even", che significa "anche non fanatici dei Grateful Dead" (i "Dead-heads", colloquialmente "heads", sono i fans di quella band).
Pag. 70: "Democratic National Convention" [la convention nazionale del partito democratico] diventa... "la convention nazionaldemocratica di Chicago". Chi cazzo sono i "nazionaldemocratici"?!
Pag.74: "il batterista dei Velvet Underground". La batterista, cazzo! Maureen Tucker!
Pag.77: "Lester contended", che nel contesto della frase va tradotto "Lester affermava polemicamente", diventa "Lester accettò".
Il titolo del sesto capitolo, "Stay Alive 'til '75" [Sopravvivi fino al '75] diventa "Sopravvivi al '75", cioè... "Stay Alive 'til '76".
Pag.125, parlando di Patti Smith: "both positive and mainstream" [al tempo stesso positiva e mainstream] diventa "abbastanza positiva e commerciale". Ancora una volta: perché aggiungere cose che non ci sono, come tutti questi ridicoli "un po' " e "abbastanza"? Il traduttore li ha infilati a decine, come volesse a tutti i costi attenuare l'impatto delle affermazioni.
In diversi punti del libro, "righteousness" [rettitudine] viene tradotto con "virtuosismo", e questo significa non sapere l'italiano, prima che l'inglese.
Appunto, vi sono diversi problemi con l'idioma di Dante, ennesime conferme che il libro non è stato riletto. Pag.200: "una ragazza inglese su una sedia a rotelle che lui non era riuscito a guardarla negli occhi". C'è una particella pronominale di troppo.
Addirittura, c'è un errore di grammatica nella quarta di copertina: "...hanno fatto crescere e resa adulta lo stile letterario..."
Potrei elencare tutti gli errori di cui è crivellata la postfazione, ma risulterei stucchevole. Basti dire che a pag.272 "three chord history of rock'n'roll" [storia del rock'n'roll in tre accordi, o storia dei tre accordi del rock'n'roll] diventa "storia del rock'n'roll da quattro soldi", rendendo un intero capoverso totalmente privo di senso.
A questo punto sono esploso in un "Porco dio!" al semtex e ho scaraventato il libro in un angolo della stanza.
Lo so che mi farò odiare, qualcuno sosterrà che me la tiro, che è colpa dell'editore se è stata data alle stampe una prima stesura che è poco più di un brogliaccio, che faccio anch'io il traduttore (per giunta pagato meglio, e per un editore più grande), quindi manco di solidarietà nei confronti di un collega etc. Ma qui non si tratta di occasionali errori di traduzione, come capita di farne a tutti/e noi (persino Umberto Eco una volta - lo fa notare Franco Fabbri in un passaggio de Il suono in cui viviamo - ha tradotto "silicon" con "silicone" anziché con "silicio"). No, qui siamo di fronte a qualcosa di inaccettabile, all'assassinio di un libro, del suo autore, del suo soggetto. Di fronte a ciò, la cosa più importante è il rispetto per i lettori: dovrebbero forse sborsare diciannove euro per questa porcheria, col mio complice silenzio da quieto vivere corporativo? Inoltre anche Lester Bangs era un collega, uno che si fece il culo per difendere l'orizzontalità della cultura, il do-it-yourself, la condivisione dei saperi etc., e non meritava un simile macellaiesco trattamento. Chiunque ne sia responsabile dovrebbe vergognarsi, camminare rasente i muri, stare fermo un giro, accendere ceri a Lester nelle più sontuose cattedrali e, soprattutto, rifondere i quaranta sacchi a chiunque abbia già comprato il libro. Per le richieste di rimborso: http://www.arcanalibri.it (WM1)

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LA SEGNALAZIONE STRANA:

AA.VV.
Curva Te, autoproduzione, Mantova 2002

Segnaliamo questo libricino sulla storia del tifo mantovano consapevoli che è più o meno impossibile da reperire al di fuori di Mantova. Lo segnaliamo perché ci sembra un esempio da seguire, per tutti coloro che sono interessati al fenomeno ultras e alle sue mitologie. Prima di tutto, bisogna dire che il volume è una Signora Autoproduzione: Carta patinata, ottima impaginatura, foto di qualità, concept essenziale ed efficace. A quanto pare, è ancora possibile fare libri come questo senza svenarsi, e senza case editrici.
Poi, il metodo seguito dai tre gruppi di redattori - uno alla ricerca di foto, uno in biblioteca con i giornali, uno col culo in strada a intervistare i protagonisti di una vicenda trentennale - ci ha ricordato molto quello usato per scrivere Asce di Guerra, un metodo semplice, alla portata di tutti, ma che rimane impareggiabile se si vogliono dissotterrare storie e creare mito.
Scrivere bene, con coerenza, con obiettività, ma senza nulla togliere all'epica, è un esercizio molto difficile quando si ha a che fare col calcio e col tifo in particolare. Come esempio negativo, cito Questa Pazza Fede, di Tim Parks, indagine partecipante sul tifo veronese che non mi ha entusiasmato e rappresenta, credo, proprio l'opposto di questo libriccino mantovano.
In particolare, il racconto dell'estate '94 - dall'incredibile trasferta al Dall'Ara di Bologna, alla serie B sfiorata contro il Como, alla sentenza di Tribunale che costringe il Mantova a giocare il derby d'eccellenza contro il Viadana - è uno dei momenti più toccanti del libro, pura leggenda, dalle stelle alle stalle.
Insomma, quando si riesce nell'impresa di mescolare cronaca recente, storia orale, personaggi epici, vita vissuta, lacrime & sudore, credo si possa essere soddisfatti di quel che si è riusciti a raccontare. Credo, davvero, si meriti pure di essere letti. (WM2)

Reperibilità:
Le informazioni sul libro si trovano su:
www.curvatemantova.net
Qui di seguito le varie possibilità per acquistarlo. Per informazioni sulla disponibilità (puo' darsi ci sia ancora un centinaio di copie),
meglio prima scrivere a: mattia@curvatemantova.net
Sei di Mantova?
Per il pagamento del libro hai 3 possibilità:
1) versare la cifra di 13 euro sul c.c., aperto nella filiale della BAM di Belfiore, numero 47507.55 intestato a Curva Te nelle filiali della Banca Agricola. Conservare la ricevuta del pagamento, che va consegnata come prova della prenotazione e del pagamento. Per tutti coloro che faranno un bonifico, i codici sono ABI 05024 e CAB 11506;
2) oppure comprarlo direttamente in Curva Te;
3) ultima alternativa comprarlo al bar Maffe di Via N. Sauro.
Non sei di Mantova?
Basta fare un versamento di 13 euro presso una filiale della banca Agricola, nel caso non ci sia basta che si effettui un bonifico in cui compaia anche l'indirizzo della propria residenza per la spezione del libro (versare la cifra di 13 euro sul c.c. numero 47507.55 intestato a: Curva Te, ABI 05024 e CAB 11506)


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IL RIPESCAGGIO

Oscar Marchisio, La stanza mnemonica, Synergon, Bologna 1995

C'era una volta il cyberpunk italiano. Un genere che, a conti fatti, ha prodotto ben poco di decente ed è declinato nel giro di pochi anni.
Tra quegli insuccessi, è giusto ripescare questo libro. E' giusto perché Marchisio, qui, compie il miracolo. Nonostante il lettore si trovi davanti una trama imperscrutabile, uno stuolo di personaggi dai nomi assurdi che aumenta di un'unità a ogni pagina, nove parole incomprensibili su dieci (device, extra-body, fuzzy-market, remapping sensoriale, gun-suit, datasuit, emittente freddo, know-robot...); nonostante tutto questo, dicevo, l'autore riesce a catturare chi legge, spesso per farlo ridere fino alle lacrime, altre per lasciarlo a bocca aperta, altre per stupirlo con anticipazioni illuminanti su free software, meninos da rua brasiliani, sapere collettivo. Vere perle in un testo che non esito a definire il "Plan 9 From Outer Space" (il capolavoro di Ed Wood) della letteratura italiana. Ripescatelo per leggerlo quando siete giù, quando pensate che nell'italiano odierno si faccia troppo uso di termini inglesi, quando volete rendere il vostro salotto un grande protagonista del novecento, quando volete riassaporare quel gusto ibrido, tra metallo ed epidermide, che promanava dai primi anni Novanta, quando pensate che "fantascienza italiana" sia un ossimoro insolubile. Ripescate La Stanza Mnemonica. Il finale di Zelmoguz è pura poesia. (WM2)

La Stanza Mnemonica di Oscar Marchisio è un libro importante nella storia della mia vita sociale e (non per l'importanza che riveste per il sottoscritto, certamente) anche nel patrimonio delle patrie lettere.
Sentivo parlare di questo romanzo di fantascienza fin dai tempi del mio ingresso nel neonato collettivo WM. Ai tempi di Blissett, mi raccontavano, aveva svolto una funzione terapeutica importante durante la stesura di Q. Aveva fatto compagnia a giovani menti dai neuroni affaticati. Il romanzo, mi assicuravano, era stato scritto in stati di coscienza inaccessibili ai più anche attraverso l'uso di sostanze psicotrope, piante magiche e enteogeni potentissimi.
La Stanza Mnemonica, eh? Morivo dalla voglia di metterci le mani sopra, di farmi aprire i chakra dalla trivella potente della prosa del Nostro. E poi desideravo assimilare un'altra delle vicende collettive dei miei compari, accedere a una delle pietre miliari del nostro comune immaginario.
Ebbene, circa un anno fa, prima del set degli Yo Yo Mundi alla festa di Radio Onda d'Urto in quel di Brescia, ecco che scartabellando in uno degli infoshop l'oggetto cade in possesso di WM1. Mi chiama, entusiasta. Gli brillano gli occhi. Apre a caso una pagina. Inizia a declamare. Io sono stordito e felice: La Stanza Mnemonica ha attraversato la mia strada. La mia vita non sarà più la stessa. Personaggi indimenticabili, figure come Jurgens, Beppe Carvalho, il commovente Zelmoguz ( a lui è affidato il duro compito di traghettare il lettore fuori dall'opera, con la pagina forse più bella del romanzo) arricchiscono il magico mondo della mia fantasia, fungono da catalizzatore e da fulcro emotivo attorno al quale disporre le cose del mondo e della vita. La Stanza Mnemonica è un oggetto pregno di insondabile potenza. Ed è tornato in nostro possesso. (WM5)

Talzolari, Jurgens, Diego, Frank, Buana, Beppe Carvalho e Zelmoguz. Solo alcuni dei protagonisti del libro di Oscar Marchisio che nell'estate del '96 leggemmo e rileggemmo, declamammo, amammo, e della cui trama nulla sapremmo dire (WM2 sembra l'unico che ci abbia capito qualcosa: dice che parla di un tentativo di rapire Mario Cuomo, già governatore dello stato di New York).
Un lavoro sulla lingua che lascerebbe di stucco tutta la Nazione Indiana:
"- Il device rigetta le emissioni del mio datasuit - duro, Frank. - X, Y, prova col changing rule - perentorio, Jurgens. Buana in rotta di collisione con Zelmoguz. L'impatto scatenò tempeste elettrosinaptiche e interferì col re-mapping di Gianmerda. Trasmise, Zelmoguz. Sbammm! Il gun-suit. Che ne avrebbe detto Talzolari?".
Una grande intuizione è lo sterminio di copule e predicati verbali, sostituiti da aggettivi con valore avverbiale ("duro, Frank").
Un romanzo ingiustamente condannato all'oblio dal fallimento della casa editrice che lo pubblicò, la spregiudicata Synergon di Bologna (la.quale.regalò.al.mondo.un.altro.capolavoro.ingiustamente.dimenticato, Hitler-Warhol Experience di Lorenzo Miglioli). Il non-ancora-WM4 lavorava all'ufficio stampa, quindi sappiamo di chi e cosa stiamo parlando.
Avevamo perso la nostra copia, ma i ricordi restavano indelebili, marchiati a fuoco come le iniziali dell'Autore ("O.M.") sulle chiappe di una vacca. Quando l'ho ritrovato a Brescia mi son quasi messo a piangere, ho telefonato a tutti gli altri, urlando dalla gioia: "Ho ritrovato Marchisio!". Dopodiché , ho stralciato alcune frasi per spedirle come SMS, infine ho dato lettura pubblica del libro a chiunque mi chiedesse ragguagli sul mio stato d'alterazione. Io, Zelmoguz, trasmisi ma non ricevetti segnale. Senza La stanza mnemonica, il brainstorm per la trama di Q sarebbe stato meno fertile, senz'altro deficitario. C'è molto de La stanza mnemonica dentro Q, o meglio, fuori da esso. La stanza mnemonica è il buco nero sui cui bordi concepimmo Q. Il finale del libro è potente e mesmerico, con Zelmoguz che permane "gonfio della sua memoria". Un'opera da riscoprire con ogni mezzo necessario. Probabilmente lo infileremo nello scanner e lo metteremo scaricabile da qualche parte. (WM1)

Io, Wu Ming 3, lessi e non capii. Lessi, e non ricevetti segnale. Che cazzo era il Device ? E chi cazzo era Frank ? Lessi, e non ricevetti segnale. Lessi e richiusi. Non capii. Dimenticai. Passò il tempo.
Poi un giorno, all’improvviso, l’illuminazione. La grande truffa della new economy svelata con diversi anni di anticipo. La profetica visione dello scoppio dell’enorme bolla speculativa. La lucida denuncia, con gli strumenti del nemico, di tutta quella fuffa, quell’aria fritta che ammorbava i meravigliosi Nineties... Come avevo potuto rimanere cieco per tanto tempo ? Rilessi, il segnale si attivò: una galleria di personaggi straordinari, inutili, postumani. Zelmoguz, Talzolari, Jurgens, Diego, Beppe Carvalho... E su tutti Frank. Il grande Frank. Duro, Frank. Dal più grande scrittore cyberpunk italiano un romanzo introvabile, imperdibile, indecente. Buon device a tutti. (WM3)

Il cyberpunk e il nuovo mito, saggio di Michael Leon Fiegel Jr.


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