SONO DI BOLOGNA MA SI SPACCIANO PER CINESI
Tanta ciccia e poca figa nel romanzetto del sedicente Wu Ming 5
di ANTONIO D'ORRICO
"Wang imprecò tra i denti." Basterebbe questa frase a far chiudere il libro, che è la solita furbata commerciale costruita a tavolino. L'autore dovrebbe spiegarci come sia possibile imprecare "tra i denti". "Tra i denti" significa "tra un dente e l'altro". Le fessure sono troppo strette.
In un romanzo ci può stare di tutto. Mai come in questo caso è giustificata la metafora della "carne al fuoco", trattandosi della descrizione furbetta di un grande barbecue. Poi c'è una che ruba cazzi, ci sono le cotolette di cane e di gatto, c'è il barbone che la sa lunga, c'è una lambretta che scorrazza in Canada. Tutto ciò viene raccontato senza ordine né giusta progressione dal sedicente Wu Ming 5, scrittore di fantafurbate e "commerciale" come correttamente dice Giulio Mozzi. Nelle intenzioni dell'autore sarebbe un libro da applausi a scena aperta (ottimo da leggere al mare o in montagna o in treno o in aereo), ma in tutto il libro non c'è nemmeno un pompino a Zincone o chi per lui, e fin dalla prima frase ("Wang guardò oltre il vetro del parabrezza") il cinesino di Bologna cade in bambineggiamenti intollerabili (tutti i dialoghi sono da buttare, checché ne dica l'incomprensibile Domanin). L'uso compiaciuto del dialetto fa scadere in bozzetto quella che poteva essere una mediocre ma passabile commedia tra il rosa e il nero.
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