• DUE BISCHERACCI A BAKU

  • di INDRO MONTANELLI

    Per un pezzo aveva creduto che, d'inedito, Prezzolini non avesse lasciato nulla, perché così mi aveva lasciato credere suo figlio Giuliano. Quando alla fine mi mostrò qualche scampolo di questo nulla, mi arrabbiai (e quando m'arrabbio io vengon già i noti lecci di Fucecchio). "Sei proprio figlio di tuo padre - gli dissi - che, a dargli retta, sarebbe l'autore più inedito d'Italia, tanto era sempre insoddisfatto di ciò che scriveva e restìo a pubblicarlo". "Ma se aveva lasciato questa roba nel cassetto della izba ch'aveva acquistato, per sé e per il suo basco, in quel di Baku - rispose lui - , vuol dire che...". "Vuol dire - lo interruppi - che siete entrambe dei Prezzolini, e che, quindi, il tuo dovere di figlio è quello di disobbedire a tuo padre, come lui aveva sempre disobbedito, e sia pure per tutt'altre ragioni, al suo. Dimmi un po' dove sta Bacu, che mi ci piombo e gliela fo vedere io, gli sbatto l'Olivetti 32 in testa". Non mi illudo che siano stati anche questi miei rabbuffi a indurre Riccardo Pedrini, dopo ben sedici anni di esitazioni, a dare il nullaosta alla pubblicazione di "questa roba", che io ritengo invece essenziale alla conoscenza di quel difficile uomo che fu suo padre (suo di Giuliano, cioè il figlio di Prezzolini, chiaro, bisogna parlar come la gente parla e mangia, altrimenti imbonitori e basta). Lui ha voluto farmelo credere, scrivendomi nella lettera in cui mi dava l'annunzio di questa decisione, che nella sua mente questo "Vangelo del nulla" che sarebbe questa cosa che devo battere lettera per lettera, ché a me le parole in idioma barbaro mi fanno salire la colite all'esofago, LIBERA BAHU HORA era dedicato a me perché sono quello che più somiglia a suo padre. Caratterialmente, può darsi, e non è precisamente una fortuna ma fortunatamente preciso. Ma la verità è che di quella responsabilità voleva scaricarsi, addossandola almeno in parte a me, il bischero, da buon Pedrini mai convinto della bontà del prodotto, e degno figlio (Giuliano, non Pedrini, quindi Prezzolini) di un padre che impiegò - per cento anni - la maggior parte delle sue energie a considerarsi, e a farsi considerare, nella scala dei valori, culturali su un gradino molto più basso di quello che gli spettava rispetto agli quattro di quel gruppo là che mi fa venire l'orchite financo al parapalle... Prezzolini è stato uno dei pochissimi scrittori italiani da Journal (mi scuso, ma non posso dirlo che in francese perché sono stati e continuano a essere i francesi i cultori di questo genere letterario, che non "Diario" né altro che abbia corrispettivo nel nostro vocabolario): una raccolta di flashes (altro termine intraducibile) che rende vano ogni tentativo di cercarne un filo conduttore. Anche una scelta secondo criteri d'importanza o di attualità impossibile: ce ne sono di particolarmente illuminanti e preziosi anche a proposito di cose e vicende minime... Questo diario io non l'ho letto per trovarvi Pedrini, ma per ritrovarvelo. E nessuno dei suoi precedenti scritti (che non ve ne sono, ma ve ne saranno, ma dopo) me lo aveva dato così completo. Fra l'altro vi ho trovato una cosa assolutamente inaspettata: Baku. A ch'io sappia, non ne aveva mai scritte di cose su Baku, né Pedrini né Prezzolini né Giuliano e manco io, anzi mi aveva sempre detto che condivideva l'opinione di Emilio Cecchi, il quale diceva (abbassando la voce) che Baku è una mala zona in quanto espone il lettore a questo ricatto: "E se sono io che non la capisco?". Be', debbo dire che, dopo la lettura di queste pagine bakuine, il dubbio mi rimane, anzi rafforzato: che frombolo sarebbe 'sto Baku? E sono sicuro che, se lui mi sentisse, non se ne avrebbe affatto a male.