Da "Liberazione" di mercoledì 26 settembre 2001
Intervista a Riccardo Pedrini del gruppo Wu Ming. Fanucci editore pubblica
il suo “Havana glam”
Fantascienza ma è realtà
La tv grande e inquietante protagonista delle ultime settimane ha trasmesso
nelle case di tutto il mondo il crollo delle torri. Con le torri ha mandato
in onda la crisi del sistema americano. La letteratura, anche quella italiana,
questa volta non fa la grama figura di chi vive in un altro mondo. La fantascienza,
genere prima negletto, ora sempre più di moda, l’attacco terroristico
dell’11 settembre lo aveva già raccontato, anticipato, così
come aveva raccontato, quasi profeticamente, i segni della crisi della globalizzazione.
Non tutti, non tutte le opere, ma non a caso gli scrittori che più
si erano compromessi con il reale, la situazione di questi giorni l’avevano
già anticipata.
E’ il caso del gruppo di scrittori che si firmano collettivamente Wu Ming.
Lasciato da parte lo pseudonimo Luther Blissett e il successo di Q
(Einaudi), sotto nuove spoglie i Wu Ming - cinque in tutto - hanno sperimentato
tecniche narrative diverse fino ad approdare a Havana glam (Fanucci
editore), a firma del Wu Ming 5, Riccardo Pedrini, già autore di
Libera Baku ora (DeriveApprodi). Un secolo di storia viene letta con
gli occhi della fantasia e della ribellione, in un mix che mette accanto
la storia del comunismo, la guerra fredda, la bomba atomica, la lotta di
Cuba e la storia del rock e di un suo grande protagonista come David Bowie.
Il risultato non è la confusione, ma la messa in evidenza di dinamiche
profonde, di un passato che diventa un presente molto vicino alla realtà.
Il romanzo prende le mosse nel 2045, quando la tecnologia permette di tornare
indietro nel tempo, strumento preziosissimo per il governo di Washington
che tenta di far prendere alla storia degli ultimi cento anni un corso diverso
evitando il crollo degli Usa come superpotenza... Riccardo Pedrini non si
meraviglia delle coincidenze tra finzione e realtà: «I segni
di quello che è accaduto si potevano cogliere già da tempo».
Con “Havana Glam” il clima di oggi viene anticipato, così come “Q”
anticipava lo spirito dei popoli di Seattle. Voi di Wu Ming avete la sfera
di cristallo?
Non facciamo profezie, ma tutto il nostro lavoro nasce a contatto con quello
che ci circonda. Già da tempo nel nostro sito legato alla news letter
Zap[sic!] , era nato un dibattito che anticipava in qualche modo
i fatti di questi giorni. Volevo però aggiungere una considerazione
che esula dal mio romanzo. Ci tengo a sottolineare che quello che abbiamo
davanti non ha niente a che vedere con uno scontro di civiltà. E’
solo una scusa che viene usata per aumentare il consenso verso operazioni
di guerra che rischiano di non trovare approvazione tra la popolazione. Lo
scontro deriva da una contrapposizione di capitali, di interessi di tipo
economico che confliggono ma non sono antagonistici. Bin Laden è un
uomo d’affari non certo un capo spirituale, sia pure integralista. La sua
famiglia e quella di Bush fino all’altro ieri facevano affari insieme. Oggi
più che mai si pone la domanda del ruolo che possa avere la letteratura
nella comprensione dei fatti.
Avete paura della definizione di scrittori militanti?
Non ci sentiamo intellettuali organici a nessun partito, tanto meno al movimento.
E’ però vero che la nostra letteratura ha un obiettivo preciso e prioritario:
ci interessa soprattutto l’effetto che questa può avere sull’immaginario
collettivo, ancora più degli esiti artistici della nostra produzione.
Vogliamo raccontare storie corali che possano provocare una reazione. Lo
stile è subordinato al tema di cui parliamo. In Havana glam è
necessariamente più complicato perché racconta una storia vicina
alla fantascienza; i miei riferimenti sono John Brunner o alcuni autori della
“newave” inglese degli anni Sessanta. E’ chiaro che in Asce di guerra, dove
si parla di resistenza, la narrazione è più piana.
Quale effetto vi interessava stimolare con “Havana glam”?
Fingendo che Bowie palesi il suo comunismo e si rechi a Cuba, facendo proseliti
tra i giovani del paese che creano scompiglio, interessava mettere l’accento
sul carattere sovversivo implicito nei segni della subcultura. Anche là
dove la critica non viene espressa direttamente, esiste un potenziale notevole
che attraversa il mondo giovanile dagli anni Settanta in poi. La paura della
bomba atomica viene usata anche contro di loro.
Un po’ quello che sta accadendo anche oggi...
Il movimento no-global non è direttamente politico. E’ più
preoccupato della pace e della felicità di tutti, di tutto il pianeta,
piuttosto che di criticare questo o quel governo. C’è una parte dei
figli del mondo dei ricchi che non accetta più che al suo benessere
corrisponda la povertà e lo sfruttamento della maggior parte degli
altri esseri umani. Si tratta di una scelta quasi evangelica, che costituisce
il grande potenziale di questo movimento. Al potere fa più paura che
ne facciano parte le suore piuttosto che i comunisti.
Perché avete scelto di abbandonare il nome di Luther Blissett e di
chiamarvi Wu Ming, in cinese “Niente nome”?
Il progetto di Luther Blissett continua portato avanti da altri, quello di
Wu Ming ha un carattere autonomo. Il nostro intento è quello di instaurare
un rapporto paritario con gli editori: oggi il lavoro intellettuale è
quello più sfruttato. Noi, al contrario, vorremmo riuscire a guadagnare
con il nostro lavoro un reddito adeguato per vivere.
Siete però sempre per il no-copyright?
Assolutamente sì. Dal nostro sito i testi si possono scaricare senza
pagare una lira, così come non chiediamo un soldo se vengono usati
in qualsiasi altro modo. Abbiamo però scelto di avere maggiore potere
all’interno di quello che difatto è un business.
Angela Azzaro