Domenica scorsa e' morto Gilberto Centi, poeta, pubblicista, compagno, visionario,
pensatore radicale, reduce degli anni psichedelici, autore del primissimo
libro su L****** B******* (L****** B********: l'impossibilita' di possedere
la creatura una e multipla, Synergon, Bologna 1995).
E' morto all'ospedale dell'Aquila, mi dicono.
La frase di prammatica è: "stroncato da un male incurabile".
L'aveva tenuto nascosto a tutti, o forse se n'era accorto tardi persino lui.
A dispetto della sua attitudine da eremita, a Bologna era molto conosciuto.
Scriveva per la rivista Zero in condotta, organizzava censimenti di
poeti, era un finissimo recensore di libri.
Scriveva bene, Gilberto. Cazzo, se scriveva bene.
Da anni buttava giù appunti e raccoglieva materiali su L****** B*******,
su cui voleva scrivere il commento teorico definitivo. Alcune delle cose più
intelligenti, profetiche, spiazzanti mai scritte su quel Progetto le ha scritte
proprio lui, già nel lontano '94.
Coabitava con un cagnolino in un angusto bugigattolo di via del Fossato.
Vestiva in modo goffo, in inverno portava una orribile giacca a vento. Non
saprei nemmeno ricordarne il colore.
La sua era una parlata ebefrenica, inconfondibile. Si mangiava due parole
su tre. Dovevi ascoltarlo coi sensi all'erta, ricostruire il discorso dai
frammenti, navigare a vista usando come faro quel sorriso sdentato.
Non so che tipo di dialogo intrattenesse col proprio malandato organismo:
di certo era un autolesionista. Poteva tirare avanti per mesi assumendo solo
speed e coca cola, nel suo frigo c'era solo cibo per cani, oltre a bottiglie
della suddetta bevanda peptica. Gli eccitanti gli servivano per scrivere.
Scriveva forsennatamente, battendo sui tasti di una vecchia Olivetti, con
una radiolina sempre accesa.
Scherzando, lo avevamo eletto segretario dell'associazione "Brutti per il
comunismo".
Più di un anno fa lo incontrai all'uscita dell'osteria "Mutenye" di
via del Pratello. Gonfio e sbronzo, con la solita giacca a vento, la frangetta
incollata alla fronte. Si complimentò per il primo romanzo, mi disse
di stare attento perché quello editoriale è un mondo di lestofanti,
cinque minuti di conversazione e se ne andò.
Per sempre.
Cinque minuti di antimateria, parlando con l'abisso, e non me ne resi conto.
Forse nemmeno lui.
Sono sicuro che l'autunno bolognese vedrà diverse iniziative dedicate
a Gilberto. A me piacerebbe ricordarlo con un florilegio, a cominciare dal
celebre apocrifo: "Diciamocelo: il 2000 ha già rotto i coglioni!" (presuntamente
proferita nel 1974).
R.
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SENZA CONFINI ANAGRAFICI DI RICONOSCIMENTO
A ripensarci, dopo, ti accorgi di quanta vita hai condiviso con una persona.
Anche se negli ultimi tempi ci si era persi di vista, probabilmente perché
la salute lo stava mollando e si faceva vedere poco in giro, andava sempre
più spesso a L’Aquila, adducendo scuse.
Discrezione. Fino alla fine. Una lezione di stile da chi esteticamente sembrava
averne così poco.
Un fratellastro maggiore, trasandato e senza una lira, con quelle parole
che sembravano sempre stentate, e in realtà erano soppesate, erano
scelte con cura. Un’ossessione da poeta.
E un animo nobile. Sissignore. Come ne ho incontrati pochi. Era quel modo
di prendersi a cuore le cose, di viverle con lo stomaco. Una volta
gli telefonai per dirgli che l’ex-fidanzata di un nostro conoscente si era
suicidata. Non aveva mai visto quella ragazza, prima di quel momento non
sapeva nemmeno che esistesse. Eppure mi ritelefonò, poche ore dopo,
ancora sconvolto: non riusciva a capacitarsi di come una ragazza di vent’anni
avesse potuto ammazzarsi.
Io ricordo:
La presentazione del libro di un mio amico, alla Festa dell’Unità,
dove Gilberto mi lasciò il microfono per farmi dire delle cose che
avrebbero scontentato tutti: il pubblico e l’autore del libro. Era lui il
moderatore, ma non gli importava.
Una notte a Radio Blissett, quando la sua voce registrata sulla base musicale
mi fece venire i brividi e mi commosse, con quella formula lapidaria e disincantata:
“Rabbia più… rabbia meno”.
Interminabili discussioni a qualsiasi ora del giorno e della notte, nel bugigattolo
in cui viveva: una fornace, dove gli oggetti si incastravano millimetricamente
e avevi la sensazione che se ne avessi spostato uno sarebbe crollato tutto.
Una lunga intervista che mi fece per telefono. Nessuno mi ha mai più
fatto domande del genere.
Le sue Penultime Parole, nel libro che scrisse su Blissett:
"Arriveranno gli ultimi o i penultimi Antagonisti del nostro tempo e senza
confini anagrafici di riconoscimento.
Stanno arrivando. Li riconosceremo da quanto fin qui abbiamo ricostruito
o intuito.
Ma chi scrive non e' tra quelli che aspettano-l’arrivo-dei-soccorsi.
Ci siamo, con altri minuscoli compiti."
E il messaggio nella sua segreteria: “6-4-4-8-531, lascia un segno: non andrà
perduto”. Adesso risponde una voce registrata della Telecom che dice che il
numero è inesistente.
Aveva ragione. Niente va perduto, i segni rimangono. Soprattutto quelli lasciati
da una persona che per oltre vent’anni ha vissuto tutto quello che questa
città ci ha riservato. Nel bene e nel male.
No, niente va perduto. Quelli di noi che tra quarant’anni potranno ancora
farlo, si ricorderanno di Gilberto, del suo naso enorme e di quello che ci
ha aiutato a fare con i suoi “minuscoli compiti”.
Gilberto appartiene a una stagione delle nostre vite e a un’epoca che forse
si è chiusa, perché si potesse dare inizio a qualcosa di diverso.
Succede sempre nella storia. Ma ce lo ricorderemo, altroché. E francamente
spero che lo faremo ridendo, in tempi interessanti. Quelli che ci ha aiutato
a inaugurare.
F.
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"Una cosa sola era certa, perche' inequivocabile: eravamo giovani.
Per il resto di noi risultava soltanto la pervicace proiezione mentale dei
Vecchi Geometri del Tempo circa una condizione estranea che credendo di capire
si ostinavano a spiegare. Poi dal fastidio passai al sorriso.
Ci 'pedinavano' annotando i nostri 'segnali' che diventavano dissertazioni
sulle terze pagine e gli special televisivi. Ci definivano per possederci
e nell'ovvia impossibilita' della riuscita come defraudati, caparbiamente
si avventuravano in zone intravviste solo dall'aereo. Cosi' quando scendevano
e si inoltravano in piazze, strade e vicoli perdevano l'orientamento, aggravando
il loro stato confusionale, utilizzando le sole mappe in loro possesso: quelle
'fuori corso' del loro tempo.
Cosi' mostravano a noi quel che non eravamo, irriconoscibili, con radi agganci
alla realta', complessivamente stravolta.
Talmente lontani non se ne accorgevano. Nella convinzione non dico d'averci
sfiorato ma d'essersi calati in un'eta' dell'Oro e del Buio che non gli apparteneva.
Eravamo un colorito allarme avanzante, con suddivisioni manichee neanche
tra buoni e cattivi.
Leggevano in aramaico quando noi scrivevamo in cirillico."
(Gilberto, 1995)
Un
sito dedicato a Gilberto: