Biblioteche fuorilegge
di Wu Ming 2
Era forse il nostro incubo peggiore. Il mostro cattivo evocato mille volte, in articoli e dibattiti sulla proprietà intellettuale. La Biblioteca Fuorilegge.
Immaginate un mondo in tutto e per tutto identico al nostro, con la sola differenza che non esistono collezioni di libri aperte al pubblico e consultabili gratuitamente. Immaginate che qualcuno proponga di introdurle. Credete che i colossi dell'informazione e dell'intrattenimento resterebbero a guardare? Ne dubito. Subito nascerebbero decine di limitazioni e balzelli per ostacolare quello che oggi consideriamo non soltanto un diritto, ma anche uno degli strumenti che ha permesso alla cultura occidentale di trasmettersi, conservarsi e progredire.
Per farsene una piccola idea, basta considerare quello che accade con la musica e i film: le biblioteche prestano anche videocassette e CD, ma a condizione che non si tratti di uscite recenti (cioè degli ultimi 18 mesi). Come mai per saggi e romanzi non vale ancora questa distinzione? Primo, perché gli strumenti per riprodurli (le fotocopiatrici) non sono diffusi tra i privati tanto quanto masterizzatori e videoregistratori. In questo modo, copiare un libro diventa più difficile ed è più facile sanzionare o tassare chi ci prova - vedi l'inconcepibile 'decima sulla cultura' che siamo costretti a versare alla SIAE tutte le volte che varchiamo la soglia di una copisteria con un libro in mano. Secondo, la veneranda età e i decenni di stimato servizio del prestito librario hanno fatto da diga per simili restrizioni. Una diga debole, purtroppo. Tanto che persino questa pratica, di recente, è finita sotto accusa.
A sferrare l'attacco è la Commissione europea, che minaccia di sanzionare alcuni paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, per non aver recepito in maniera corretta una direttiva comunitaria del '92. Questo capolavoro giuridico introduceva il concetto di 'giusta remunerazione' per i titolari del diritto d'autore anche in caso di semplice prestito (e non solo di noleggio a pagamento) delle opere in questione.
In sostanza, se tu vai in biblioteca e prendi un'opera di Tizio, Tizio ha diritto a un compenso. In realtà, il prestito gratuito è già un compenso per gli autori, molto più interessante di quei pochi spiccioli, perché facilita l'incontro con un lettore, cioè con una potenziale, efficacissima macchina da propaganda. Certo, se il libro è pessimo, pochi lettori lo consiglieranno e regaleranno in giro, ma in quel caso l'autore deve lamentarsi solo con sé stesso per la sua giusta remunerazione. Senza contare che il libro di Tizio potrebbe non essere disponibile nella libreria più vicina, dato che la permanenza media di un volume sugli scaffali è di pochi mesi soltanto. Addirittura: il romanzo di Tizio potrebbe essere fuori catalogo, non più ristampato da anni. Ma forse, proprio grazie a quel volume introvabile, l'utente della biblioteca si convincerà a comprare l'ultimissima uscita dello stesso autore e a parlarne agli amici e a regalarla ai parenti.
Qualcuno potrebbe obiettare, a questo punto, che la direttiva europea lascia molta libertà ai singoli Stati: di indicare l'entità del compenso, le modalità per ridistribuirlo e le istituzioni pubbliche esonerate dal pagamento. Nel settembre 2002, però, la Commissione ha 'denunciato' come eccezione troppo ampia l'escludere in blocco tutte le biblioteche pubbliche. Cosa farà l'Italia? Con l'aria che tira, ci sono tutti i requisiti per una restrizione nel diritto di accesso alla cultura, di pari passo con quanto accade per la musica, i film e il software. Ciò non significa che le biblioteche finiranno per funzionare come semplici noleggi: paghi e ritiri. Non credo si arriverà a una tassazione 'diretta', a carico dell'utente. La provocazione sarebbe eccessiva. E come dimostra la crisi irreversibile del mercato discografico, inimicarsi il pubblico non è una buona strada. Meglio indorare la pillola.
In Francia, ad esempio, la legge che deve entrare in vigore prevede un pagamento da parte delle biblioteche in base al numero di iscritti e al volume del prestito. Come a dire che più una biblioteca lavora bene, più deve pagare.
In Svezia, invece, esisteva già un contributo statale per l'editoria e la promozione della letteratura nazionale. Il pagamento per il prestito è stato in qualche modo 'dissolto' dentro quella cifra, che il governo svedese era già abituato a pagare, con particolare attenzione per i piccoli editori. E questa, di tutte le operazioni di maquillage per un provvedimento comunque ingiusto, mi pare in assoluto la più innocua.
In Finlandia ci si chiede con insistenza se il gioco vale la candela, dal momento che il sistema per la remunerazione costa il 60% della remunerazione stessa, più un 20% che se ne va in tasse. La montagna partorisce un topolino.
Il problema del nostro paese è che non abbiamo un governo e quando ce l'abbiamo, la politica culturale è l'ultimo impegno dell'agenda. Lo scenario più credibile, pertanto, vedrebbe le biblioteche obbligate a pagare una certa somma e una società come la SIAE delegata a distribuirla, come accade per la musica, in base a criteri incomprensibili, statistiche fumose, spartizioni poco trasparenti che finiscono per privilegiare grandi gruppi editoriali e autori già affermati. D'altra parte, per un paese come il nostro, sia che paghino le biblioteche, come in Francia, sia che paghi lo Stato, come in Svezia, il meccanismo si tradurrebbe comunque in una minore disponibilità economica per l'intero settore, cioè meno acquisizioni di libri, meno iniziative e convegni, meno servizi a favore dei lettori . E con la scusa del 'giusto prezzo per un servizio migliore', che invece dovrebbe essere garantito e gratuito, non ci vorrebbe molto a far passare l'iscrizione a pagamento per tutte le biblioteche del territorio.
L'aspetto più fastidioso per chi fa il mio mestiere, è che tutti questi provvedimenti tirano in ballo l'autore e le sue necessità. Se non può guadagnarsi da vivere col lavoro creativo, si dice, egli smetterà di beneficiare la comunità con le opere del suo ingegno. Quindi: paga per fotocopiare il libro, ché l'autore deve mangiare. Paga per accedere alla biblioteca, ché l'autore deve comprarsi la casa. Paga per leggere questa favola a un gruppo di bimbi, ché l'autore non arriva a fine mese. Balle. Se un autore vende, non sono certo i soldi del prestito a fargli la differenza. Se vende poco - perché ha un piccolissimo editore, perché si rivolge a un pubblico ristretto, perché non sa scrivere - non è giusto che si rifaccia sulle biblioteche, che sono tra le poche a dargli una mano. Poi c'è un'altra questione. Qui rischio di essere ripetitivo, ma si sa che i grandi spazi vuoti facilitano l'eco: poche ma significative esperienze – tra cui quella del collettivo Wu Ming, di cui faccio parte - dimostrano che la riproduzione di un'opera narrativa, con qualsiasi mezzo, purché non a scopo di lucro, non nuoce in alcun modo alle vendite in libreria dell'opera stessa e semmai contribuisce alla notorietà dell'autore. Uno scrittore affermato non ha niente da temere da un simile uso, semmai il contrario. E se il discorso vale per la copia, vale per il prestito a maggior ragione. Un autore poco noto non ha che da guadagnarci maggiore visibilità, lettori, diffusione. Il sistema opposto, invece, sottrae fondi alle biblioteche. Meno fondi alle biblioteche significa meno acquisti di libri. Meno acquisti significa sempre meno spazio, sugli scaffali, per libri ricercati, autori di nicchia, piccole case editrici. E meno fondi significa anche meno presentazioni di libri, che sono oggi il veicolo principale di promozione editoriale. Non so i miei colleghi, ma io preferisco senz'altro poter incontrare una comunità di lettori in cambio del rimborso spese, di una pizza e quando va bene di un gettone di presenza, piuttosto che vedermi recapitare un pugno di euro come 'remunerazione per il prestito', privando però le stesse biblioteche della possibilità di invitarmi.
Dunque la si smetta di chiamarci in causa. Quando il presidente del Sindacato Nazionale Scrittori (???) dice che " il diritto a leggere non deve ricadere sul diritto degli autori, poiché molti scrittori vivono del diritto d’autore" o non sa di cosa parla o è del tutto in malafede.Per uno scrittore, ciò che davvero conta è la certezza di essere pagato per lo sfruttamento commerciale del proprio lavoro. Che c'entra il prestito gratuito? Ogni ulteriore restrizione dell'uso è a esclusivo vantaggio degli enti parastatali per la tutela del diritto d'autore e delle major dell'editoria. Ma anche queste ultime, in realtà, possono benissimo sostenersi coi diritti esclusivi di sfruttamento commerciale delle diverse opere, senza mettere in campo odiosi stratagemmi per lucrare un surplus sulla pelle dei lettori.
Contro il provvedimento della Commissione europea, per fortuna, si sono levate molte voci in diversi paesi. In Spagna è in corso una grande mobilitazione. In Italia siamo ai primi passi, ma ci si muove. Non a caso, parliamo di paesi dove il numero di lettori è bassissimo e le biblioteche svolgono un ruolo di primaria importanza. L'associazione di categoria Bibl'aria ha prodotto un appello da sottoscrivere e spedire al presidente Prodi. La biblioteca civica di Cologno Monzese ha organizzato una giornata contro il prestito a pagamento, che ha avuto un notevole successo lo scorso 21 febbraio. Un editore come Minimum Fax ha dato il suo sostegno alla campagna "Non Pago di Leggere".
Si attende una presa di posizione degli autori, che senz'altro potrebbero chiedere a chi li pubblica di inserire nei contratti, e sui libri, una clausola che autorizzi il prestito bibliotecario gratuito. Giusto a scopo preventivo. Perché va bene discutere del rapporto tra letteratura e realtà, ma soprattutto, per evitare figuracce, tutte le volte che la realtà chiama sarebbe indispensabile farsi trovare pronti.
E ricordare due aspetti, all'inizio dell'ennesima battaglia.
Prima di tutto, che non si tratta di una provocazione isolata. E' giusto mobilitarsi volta per volta, qui e ora, a seconda delle necessità e delle tematiche del momento, ma non bisogna dimenticare il contesto generale, altrimenti anche le vittorie diventano episodiche e poco efficaci. Chi rimane scandalizzato di fronte all'eventualità del prestito a pagamento, non può fare a meno di riflettere sull'intero problema della proprietà intellettuale, con le sue molte storture. Non si può restare indifferenti davanti all'attacco contro il file sharing e poi inorridire per altre facce della stessa medaglia. In un mondo dove lo scambio tra privati di brani musicali è sanzionato da leggi sempre più severe, e la "pirateria" viene utilizzata come emergenza per restringere i diritti degli individui e invaderne la privacy, è perfettamente normale che qualcuno debba pagare per tenere in vita il prestito di libri.
In seconda battuta, è molto importante non cadere in una logica puramente difensiva, attribuendo all'avversario una sorta di onnipotenza. Ancora una volta, le reazioni scomposte, isteriche, ingiustificabili, stanno a dimostrare che l'esercito nemico è già inciampato nella sua Stalingrado. Il numero delle defezioni aumenta di giorno in giorno: alienarsi le simpatie del pubblico è una strategia perdente anche sul breve periodo. Le nefandezze delle squadracce del copyright non fanno che arruolare sempre più partigiani nelle file di chi lotta per un sistema di proprietà intellettuale più rispettoso dei diritti del singolo e della promozione culturale.
Non è la comunità degli utenti a doversi difendere.
Abbiamo di fronte truppe disorientate, che fuggono sparando a casaccio.
Oltre le prime colline, c'è già Berlino.Bologna, 25 febbraio 2004
Ringrazio il dott. Marco Marandola per alcuni dati e chiarimenti giuridici.Indirizzi utili:
www.nopago.org
biblaria-blog.splinder.it
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