da L'Unità di mercoledì 25 settembre 2002, sezione "Orizzonti":

La storia delle storie /3
Il diritto all'abbondanza

I racconti sono una risorsa infinita e appartengono a tutti, ma in un mondo dominato dall'economia c'è chi vuole limitarli e venderli

Wu Ming 3 e Wu Ming 2


Il sentiero finora percorso dentro le storie, dalla fascinazione che ne subiamo alle loro necessità biologiche, ci spinge a evidenziarne il carattere eccedente, infinitamente riproduttivo, incontenibile e capace di descrivere traiettorie vertiginose, fuori da qualsiasi prevedibilità, nello spazio-tempo.
Disegniamone una tra milioni.
Un libro controverso e inquisito, maledetto e di attribuzioni dubbie e plurime, un "best-seller" proibito (nel senso pieno del termine, migliaia di copie, traduzioni in molte lingue), apparso negli anni '40 del XVI secolo: Il Beneficio di Cristo.
Negli anni successivi alla sua apparizione questo testo, attribuito da alcuni a un frate domenicano, Benedetto Fontanini da Mantova, fu al centro di vicende incredibili, prima e dopo il suo inserimento nell'Indice pubblicato nel 1549 dalla rinnovata Inquisizione, diretta dal cardinale Gianpietro Carafa, futuro papa Paolo IV. Eppure, sul piano teologico, non contiene nulla di così rilevante o scabroso.
Libro passato per varie mani, illustri e volgari, artigiane e intellettuali; poi raro e pericoloso come il morso di un serpente: veleno da espellere subito oppure letale.
Libro di frontiera, ponte di dialogo tra cattolici e riformati o esca lanciata da menti astutissime e cospirative dentro le faide politico-religiose dell'epoca? Non è importante rispondere qui. Piuttosto conta seguirne la parabola. Dopo i fasti e le disavventure dell'Inquisizione, che ne fanno il libro 'nero' ed eretico per antonomasia, Il Beneficio di Cristo in qualche decennio si inabissa, prima nella circolazione, clandestina e sempre più rara, poi nella memoria collettiva e religiosa (se non in quella blindata degli archivi vaticani), per riemergere blandamente qualche secolo dopo, nelle discussioni dottrinali e teologiche di pastori e intellettuali protestanti.
E' questo filo, tenue e ambiguo, ciò che giunge a due storici e ricercatori - e siamo arrivati agli anni '70 del XX secolo - Adriano Prosperi e Carlo Ginzburg, che fanno del Beneficio di Cristo l'oggetto di un seminario aperto di ricerca coi propri studenti e di una pubblicazione, Giochi di pazienza (Einaudi 1975). Quel saggio svela tutte le caratteristiche da thriller storico-teologico raggrumate intorno a quella ormai perduta pubblicazione. Gli autori lo fanno con il rigore degli storici e senza licenze, ma con la passione e il tratto che aprono squarci su vicende appassionanti  e figure, personaggi solo apparentemente secondari, ignoti, che però attraversano in maniera bizzarra e cruciale eventi di portata storica.
Infine, e siamo ormai "a casa", Il Beneficio di Cristo e le complesse trame che ruotano intorno ad esso diventano uno degli architravi narrativi di un romanzo, Q (Einaudi 1999), firmato da un collettivo di scrittori con lo pseudonimo aperto Luther Blissett. Il romanzo incontra una buona fortuna commerciale e di critica, viene tradotto in molti paesi, ed in alcuni casi riapre e riaccende il dibattito sia di ordine storico sia teologico su quelle questioni. Attraverso un testo di diffusione di "massa", Il Beneficio di Cristo torna ad essere un libro "popolare". Singolare no?
Dove, quando e sotto quali spoglie avverranno le future "emersioni"?
Questa eccedenza, la natura traboccante delle storie, il riversarsi continuo della conoscenza in corsi e rivoli successivi e imprevedibili, ci spinge a confutare il disilluso e cinico adagio: "tutto è stato già raccontato."
Non è mai stato raccontato tutto. Se anche fosse vero, tutto potrebbe essere raccontato di nuovo, da altre prospettive, illuminando angoli oscuri, sviluppando nuove connessioni.
Ma forse possiamo capire la ragione per cui alcuni nutrono sospetto e diffidenza verso le storie e le modalità della loro trasmissione, fino a spingerli a decretarne la fine. E' quel tratto irriducibile e fieramente antieconomico che il DNA riproduttivo delle storie conserva. O meglio, quel loro alludere a un altro sistema di relazioni, capace di valorizzare ciò che è infinitamente riproducibile, basato sul dono, la gratuità, la condivisione, la cooperazione. Già, perché di storie, come abbiamo visto, non c'è mai penuria, né carestia o recessione. Inoltre, sfuggono ad ogni criterio contabile della partita doppia: chi "riceve" le storie è senz'altro più ricco, ma chi le "cede"-racconta non è affatto più povero. Tutt'altro.
Oggi però viviamo l'epoca del monologo incessante dell'economia come unico motore e performatore  della realtà e delle relazioni all'interno della specie umana. E il fondamento concettuale e pratico, il pilastro discorsivo che sostiene l'economia, padrona incontrastata delle nostre vite, è il concetto di Scarsità.
L'Economia è, per definizione da manuale, il governo dei beni e delle risorse scarse.
E' facile allora capire perché l'economia, e il suo discorso, e i suoi incessanti cantori, non amano le eccedenze. Anzi, le contrastano. E con successo.
In poco più di un secolo, per rendere effettivo e cogente il proprio dominio, il famoso "primato dell'economia", è riuscita  a far diventare scarse, e perciò appetibili a fini di profitto, quasi tutte le risorse del pianeta. Siamo la prima generazione della storia dell'umanità a sancire che nel nostro ecosistema non c'è aria, terra, acqua sufficiente per tutti. Le risorse primarie diventano così territorio di caccia e sfruttamento per i rapaci della finanza globale, delle oligarchie militari e delle elites produttive di un pugno di paesi.
Ciò che per millenni gli esseri umani hanno considerato "eccedente" per definizione, il cielo sopra la nostra testa, l'aria che respiriamo, l'acqua di cui siamo composti e che ci circonda ovunque, la terra sotto i nostri piedi, oggi diventano terreno di contesa per  potentati aggressivi e spregiudicati, con il destino di orde di disperati già tragicamente segnato.
Come si arriva a tutto questo? Oltre all'indispensabile ferocia necessaria ad imporre politiche devastanti, anche le parole hanno un peso rilevante, altrettanto necessario.
E dietro apparenti sottigliezze semantiche possono nascondersi strategie assassine.
Già da qualche anno, ad esempio, nei documenti della Banca Mondiale come dell'Onu, l'acqua appare descritta come "bisogno" e non "diritto" umano. Successivi documenti del WTO o del NAFTA cominciano ad associare all'acqua termini come "merce", "investimento", "servizio".
Come è ovvio e noto, mentre i diritti sono (o dovrebbero essere) inalienabili, i bisogni sono negoziabili, quindi acquistabili.
Gli organismi trans-nazionali proseguono poi l'opera aprendo la via e finanziando i colossi dell'industria globale dell'acqua: Vivendi, Suez, Nestlè, Coca-Cola etc..
Oggi, mentre due miliardi di persone stanno morendo di sete, ci dicono: date un prezzo all'acqua, poi il mercato farà il resto. Così già ora l'industria globale dell'acqua fattura più di quella farmaceutica, altro colosso della finanza planetaria. Quel "sottile" cambio lessicale ci annunciava la causa di molte delle guerre a venire.
Ma torniamo alle storie, anche se questa dell'acqua è una di quelle che da oggi in avanti dovranno essere raccontate in ogni dettaglio.
Come dicevamo, anche l'eccedenza che è loro propria, viene contrastata, insieme alla dimensione gratuita e orizzontale dentro cui la conoscenza si sviluppa, e con essa la comunità che la produce, in un reticolo di comunicazione, narrazioni, formazione dal "basso" di saperi e tecniche. Il serbatoio potenzialmente inesauribile dei saperi e della cooperazione va essiccato, reso scarso, e successivamente colonizzato, messo al lavoro, a profitto.
"Se non c'è rendita, non c'è innovazione", dice Schumpeter, l'inventore della "distruzione creativa" che regola il capitalismo e il mercato. La rendita, eccola l'ossessione paranoica e monopolista, il dogma che presiede l'inflessibile dittatura del pensiero unico nazional-liberista. E' grazie a questo dogma che gli stessi concetti di proprietà intellettuale, o di copyright,  possono esistere.
Le leggi attuali, paese dopo paese, che regolano la cosiddetta proprietà intellettuale, rappresentano la camicia di forza, repressiva e anacronistica, paradossale e inefficace, alla produzione di intelligenza, alla cooperazione e allo scambio di risorse e saperi come "open source", sorgente aperta e a disposizione dello sviluppo della comunità.
Esemplare, a questo proposito, l'ultima avventura di Alice nel paese delle meraviglie. Una storia a tutti gli effetti "di pubblico dominio": i diritti d'autore di Lewis Carroll sono decaduti da un pezzo.
L'anno scorso, la Adobe Systems, grande produttrice di programmi per computer, ha tentato di lanciarsi nel mercato degli e-books, i "libri elettronici". Per pubblicizzare il software Glassbook Reader, ha realizzato una versione digitale della prima edizione inglese di Alice, con disegni dell'autore e caratteri tipografici perfettamente riprodotti. Poi ha reso disponibile il file attraverso il suo sito.
Una volta scaricato il libro sul computer, il cyber-lettore entra davvero nel paese delle meraviglie. Basta che legga, sulla pagina di presentazione, la lista delle "permissions":
Nessuna selezione del testo può essere copiata negli Appunti. Non è permessa la stampa del libro. Non si può prestare o regalare il libro a qualcuno. Il libro non può essere letto ad alta voce.
Un delirio. In particolare l'ultima affermazione, degna del Cappellaio Matto.
Cos'è successo? La Adobe, nel tentativo di riprodurre le caratteristiche di un libro in carta e inchiostro su un supporto digitale, ha ideato diverse funzioni: il computer può leggere il testo, si può decidere di prestare il file a qualcuno, nel qual caso non lo si può utilizzare finché non viene restituito, oppure lo si può regalare, cedendo ad altri la chiave per accedervi. Copia e stampa del volume funzionano come per qualsiasi altro documento.
Da questo punto di vista, la Adobe ha intrapreso una strada interessante: aprire, attraverso il software, una serie di possibilità che nel mondo digitale non sono affatto scontate e vengono spesso inibite direttamente dall'hardware (CD-Rom protetti da copia e altre nefandezze). Perché allora non ha abilitato queste funzioni per Alice? Perché non le ha rese una caratteristica fissa dei suoi e-books? Semplice: le case editrici si sono preoccupate. Hanno chiesto di poter scegliere volta per volta se un e-book possa o meno essere regalato, copiato, letto ad alta voce dal computer (i diritti audio potrebbero già essere stati venduti). Il fatto che nel mondo reale i libri si possano prestare non è affatto conveniente: meglio non importare questa caratteristica scomoda anche nel "nuovo" mondo digitale.
Tuttavia, grazie alle proteste di molti, la versione più recente di Alice ha fatto qualche passo avanti. Questa volta, si può leggere e stampare.
Su questa nota positiva, ci piace concludere i nostri tre brevi appuntamenti. Abbiamo deciso di occuparci di storie, e forse a qualcuno sarà sembrato un argomento un po' futile, a fianco di dichiarazioni di guerra, commemorazioni di stragi, appelli per la giustizia. Speriamo di aver mostrato che il Mondo Fantastico non è un facile rifugio, ma condivide con l'intero Pianeta, e con lo Spazio virtuale, la necessità di proteggere beni e risorse collettivi, di lottare perché diritti "scontati" non divengano concessioni e impedire che, al pari di piante e semi, anche le storie finiscano sotto padrone, geneticamente modificate, incapaci di nutrire le comunità future.

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