Postfazione a Mr Paradise di Elmore Leonard (Einaudi, 2004)
diWu Ming 1
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Raymond Roussel |
Se uno scrittore vuole sapere come comportarsi rispetto alla posterità, prenda nota di ciò che è contento di trovare nei vecchi libri, e di ciò che più gli dispiace di non trovarvi.
Jonathan Swift, Thoughts on Various Subjects, 1711
Elmore «Dutch» Leonard non ha mai fatto mistero di cosa gli piaccia trovare nei «vecchi libri» dei suoi autori preferiti (Steinbeck e Hemingway): dialoghi e azione. Altrettanto noto è cosa non gli piaccia: lo hooptedoodle, cioè gli arzigògoli, gli ammiccamenti, le pesanti descrizioni e riflessioni che interrompono la storia. In parole povere: la mancanza di discrezione da parte dell'autore.
Leonard ci tiene, a essere discreto. Se ne infischia di fare capolino nelle storie, anzi, si sottrae in quanto autore per non essere d'intralcio. I giochi di prestigio li fa dal fondo del proscenio, nascosto da luci e specchi magici. Intanto, sul ciglio del palco, i personaggi parlano, parlano, parlano...
Abile dissimulatore, Dutch. Maestro dell'understatement. Grande scrittore, persona colta, ma non lo dà a vedere. Nei libri infila giusto due riferimenti o tre, evoca Vachel Lindsay ma è solo boomlay, boomlay, boomlay, ricordo confuso nello strèpito hip-hop.
Non ci è dato sapere se Leonard conosca Raymond Roussel, scrittore francese d'inizio Novecento, indicato dai surrealisti come idolo e precursore. Roussel scrisse anche per il teatro, drammi come La stella in fronte (1924) e La polvere di soli (1926). Chi all'epoca andò a vederli si trovò avviluppato in un cordame di storie e divagazioni, racconti dentro racconti dentro racconti, aneddoti tra parentesi graffa su persone che raccontavano aneddoti tra parentesi quadra su persone che raccontavano aneddoti tra parentesi tonda, interrotti da altri aneddoti tra parentesi graffa che... In pratica, in scena non succedeva niente, gli attori parlavano e basta, per giunta di storie successe ad altri e altrove, e in sovrappiù di «storie collegate da un tenuissimo quanto casuale filo conduttore» [1].
In molti romanzi di Leonard, a tratti, succede un che di simile, con qualche differenza: il filo, i fili, seguono una trama.
In Mr. Paradise, l'ultimo paragrafo del cap. 2 è un apparente garbuglio di racconti, dialoghi in cui si riferiscono altri dialoghi etc. Tutto molto plausibile, a pensarci. Proviamo a seguire a ritroso il filo d'una conversazione al bar o sul luogo di lavoro: noi parliamo e ripetiamo dialoghi, raccontiamo del raccontare, riferiamo del riferire, in un marasma di parentesi d'ogni forma.
Certi lavori sono fatti di racconti nei racconti. Fra questi il poliziotto, il detective. È tutto un riferirsi rapporti, fare rapporto su quanto riferito, fare rapporto sul fare rapporto, indagare e incrociare con perizia i risultati di perizie e incroci d'indagini. In mezzo a tutto questo s'insinuano storielle, barzellette e minuzie raccontate per puro cazzeggio. Un astante poco addentro i meccanismi delle inchieste non saprebbe distinguere tra cazzeggio e lavoro, e rimarrebbe spaesato.
È proprio quel che succede al lettore quando impatta col paragrafo di cui sopra, oppure con il vertiginoso cap. 6. In quest'ultimo Richard Harris riferisce a Frank Delsa {il dialogo tra lui e Tenisha, che a sua volta riferiva a Harris [il dialogo tra lei e Orlando, che a sua volta raccontava, a brandelli e frasi enigmatiche, (quel che gli era successo)]}. Harris entra ed esce dal {racconto di Tenisha} e quando esce si muove avanti e indietro nel tempo, ricostruendo la giornata di Orlando in base a rapporti e testimonianze. Nel mezzo del flusso, i due riescono a parlare d'altro e far battute sul sesso. Nel frattempo, e senza farcene avvedere, l'autore ci ha rivelato o fatto capire diverse cose della vita privata di Delsa. Tutto questo è interrotto da una telefonata, ecco il duplice omicidio che è il perno del romanzo. Fine capitolo, girare pagina.
Ogni romanzo di Leonard è plurale, tante storie che s'intrecciano e si strecciano. Come nella realtà, non tutti i nodi sono visibili. C'è sempre qualcosa che succede fuori - prima, dopo o durante le storie di cui siamo testimoni, nelle intercapedini tra un libro e l'altro, non per forza il successivo. Nel corpus narrativo di Leonard ricorrono e si rincorrono personaggi che passano, sfrecciano e - inghiottiti dal nulla - ricompaiono, talvolta a distanza di molti anni.
In tutti i romanzi ambientati in Florida negli anni Novanta, qualcuno telefona a un certo «Mr. Walker» che vive alle Bahamas, grande ricettatore, sensale d'affari poco puliti. Uno dei romanzi in cui Walker è nominato è Rum Punch. I villains di questo libro del 1992 sono Ordell Robbie e Louis Gara, già in primo piano in un romanzo del 1977, The Switch, di cui Rum Punch [2] è il sequel non dichiarato.
In Maximum Bob (1991) il cattivo è Elvin Crowe, psicopatico abitante di paludi, sorta di Crocodile Dundee sado-fascista. Di sfuggita, Leonard informa il lettore che Elvin è fratello di Roland Crowe, il cattivo ucciso in Gold Coast, romanzo del 1982 in cui, a un certo punto, scivolano en passant i nomi di Ordell e Louis. C'è anche Dale Crowe Jr., nipote di Elvin e Roland. Anche lui ha problemi con la giustizia. La polizia lo cattura all'inizio di Riding the Rap (1995).
Ultimo esempio da Maximum Bob: a Elvin viene in mente la scena di un romanzo western letto in prigione. Si tratta del primo capitolo di The Bounty Hunters (1953), opera prima di Leonard.
Dutch non è Oliver Stone, non gli importa sottolineare, non produce ridondanza. Al contrario, segue la sottotraccia, gioca la partita sulla base del principio: «Se non te ne accorgi, pazienza; se te ne accorgi, ti godi di più il libro e resti in attesa del prossimo link».
Ma fino a che punto è Leonard a condurre il gioco, e a partire da che punto è il gioco a condurre lui?
Dutch afferma di scrivere inventando sul momento: «Non faccio una scaletta da più di trent'anni. Quando crei la trama non sai chi sono i personaggi, non sai se riusciranno originali o strambi... Devi aspettare, vedere come emergono e soprattutto farli parlare, quella è la cosa più importante» [3] .
Inoltre, sostiene che il suo unico fine è intrattenere: «Non do giudizi, nei miei romanzi. Non faccio per forza morire l'antagonista e vincere il protagonista. Sto soltanto raccontando una storia»[4].
Ricordiamoci però che abbiamo di fronte un dissimulatore. È senz'altro vero, i suoi crime novels sono quanto di più lontano dal «romanzo a tesi» sia oggi concepibile, e per questo ringraziamo il cielo. Eppure Leonard prende posizione, eccome se la prende. Come tutti i migliori scrittori immersi nel mondo, assorbe a mo' di spugna la realtà e la strizza sulle pagine che scrive. A ottant'anni suonati, continua a inserire nei suoi libri (praticamente in tempo reale) i cambiamenti dovuti all'arrivo delle nuove mafie, il gossip più aggiornato, la più recente ondata di revival culturale, gli scandali economici, le farneticazioni dei reazionari a stelle e strisce, la tracotanza dell'imperialismo, le pagine nere della guerra contro Cuba (Cuba libre, 1998), dell'invasione di Santo Domingo (Cat Chaser, 1982), dell'appoggio ai Contras nicaraguensi (Bandits, 1987).
Quella di Leonard è una Comèdie humaine del mondo criminale americano. Racconta le trasformazioni, le ascese e cadute di nuovi milieux, le mitologie del consumo vistoso, la mancanza di senso del ridicolo.
Sì, i villains di Leonard fanno ridere. Fanno ridere perché sono, con poche eccezioni, dementi fatti e finiti. Imbecilli pieni di sé. Boriosi. Avidi. Impazienti. Il loro umorismo è del tutto involontario. Di solito, nel corso del romanzo, si rivelano (agli altri, mai a se stessi) incapaci di gestire la situazione, qualunque situazione. Non è tutta colpa loro, questo va detto. Nel sottomondo di Ordell Robbie, Roland Crowe e Arlen Novis non sopravvive alcun codice d'onore, nemmeno minimale. Tutti infamano tutti, chiunque è un potenziale delatore, anche per motivi futili, come futili sono i motivi di chi uccide. In un contesto del genere, qualunque gioco scappa di mano in un battito di ciglia. In pochi secondi si cade in disgrazia e si muore. Capita ai migliori, figurarsi ai cretini.
I criminali di Mr Paradise sono sagome perfette. I «colletti blu» Carl Fontana e Art Krupa, spazzatura bianca al limite del subumano. Montez Taylor, un deficiente che non ne azzecca una. E Avern Cohn? Si crede un geniale innovatore ma in fondo non è meno «brevimirante» dei suoi sgherri Fontana e Krupa.
Nel sottomondo, l'unico saggio è l'ex criminale Lloyd, il maggiordomo. Saggio: vede ogni cosa, sente ogni cosa e non dà aria alla bocca. Non s'impiccia, non si vanta, non ha ambizioni che lo divorano, non gli interessa il consumo vistoso, non s'infila in situazioni impossibili.
Poi c'è Jerome. Se Lloyd lo prende in simpatia, un motivo c'è. Jerome entra nel romanzo come piccolo hustler, esemplare di fauna di ghetto, inconsapevole pupazzo degli sbirri, ma non è mentecatto come appare. Ben presto scalpita per prendere l'iniziativa. Non riesce a prenderla del tutto, ma la sua traiettoria influenza il corso degli eventi.
Uno dei marchi di fabbrica di Leonard è il dialogo «autentico», quasi iperreale: - If it sounds like writing, I rewrite it.
Per ottenere quel risultato, Leonard ricorre a un ampio arsenale stilistico, dall'ellissi (eliminazione di alcune parole della frase) all'anacoluto (assenza del nesso sintattico tra le parole della frase), passando per l'uso di forme dialettali. Che io sappia, Leonard è l'unico autore bianco a padroneggiare il vernacolo afro-americano. Esempi di ellissi nella scrittura leonardiana (tutti da Get Shorty, 1990): «I go home, she's gonna want to know where it's at» (proposizione temporale priva di congiunzione «when»); «You want to check it out, go ahead» (proposizione condizionale priva di congiunzione «if»); «How you know he died, he tell you?» (frasi interrogative non precedute da «do» e «did»).
Esempi di anacoluto: «What if they stoned they might» (Get Shorty); «I want the reward's all» (Mr Paradise); «It was like that monster in the movie Alien, the one ate people?» (Rum Punch).
Altro elemento tipico della prosa di Leonard è l'uso «fotografico» del participio presente per fermare un attimo, isolare un'unità di spazio-tempo, dare un'idea di compresenza e sincronismo. L'espediente ricorda certe inquadrature fisse di Kitano, montate a controcampi che mostrano i personaggi uno di fronte all'altro, in situazioni sospese o enigmatiche.
Qualche esempio da Tishomingo Blues: «Charlie showing his irritation now»; «All kinds of bugs making noise here in the summer»; «Robert in gray, Anne in black, the skirt, the shirt unbuttoned in front, her streaked hair coming out of a red bandanna». Ancora qualche esempio, stavolta da Mr Paradise: «Montez saying: - That nigga was an ugly motherfucker, huh?»; «The man holding the dog on a leash»; «The occupant of 607 sitting by himself hunched over».
Leonard esplora differenti subculture, ne raccoglie Verbo e gergo e sbatte tutto in betoniera, boomlay, boomlay, boomlay. Ogni volta che perimetra un'idea manda in missione Gregg Sutter, suo ricercatore di fiducia, che s'intrufola, interroga, intervista, s'intrattiene coi matti e fanatici d'ogni frangia e tribù sociale. Intanto Dutch ascolta, tiene le orecchie aperte sulle voci nelle strade, scruta il paesaggio mediale, s'appunta le frasi e circostanze più bizzarre - e dunque più vere. In Tishomingo Blues getta nella mischia tuffatori acrobatici itineranti e reenactors (fanatici della guerra di secessione che ne rivivono le battaglie travestiti da Unionisti e Confederati). In Get Shorty descrive l'ambiente della Hollywood minore, tra produttori scalcagnati, starlettes già un po' passite e B-movies. In Be Cool (1999) viviseziona l'ambiente discografico. In Freaky Deaky (1988) fa parlare i reduci ingrigiti del movement, tra richiami di sirene criminali e nostalgie di lotta armata.
Ogni romanzo schiaffeggia il traduttore con nuovi guanti di sfida. Ogni romanzo è contemporaneo, sempre coevo di chi legge, mai «datato» o anacronistico, anche venti o trent'anni dopo l'uscita. The Switch non sembra un libro scritto nel '77, sembra un libro scritto oggi che si svolge nel '77, e così tutti gli altri.
Che altro dire? Avercene.
Negli Usa circola una battuta, con la quale mi piace chiudere: «Stavo per suicidarmi, poi ho saputo che Elmore Leonard aveva scritto un nuovo libro».
Via le mani dal rasoio, allora, e avanti il prossimo.
Gennaio 2005.
Un ringraziamento a Gregg Sutter e a blackmailmag.com
Note
1. Schisa, B., introduzione a ROUSSEL, R., Teatro, Einaudi, Torino 1982.
2. Il romanzo da cui Quentin Tarantino ha tratto il film Jackie Brown, 1998.
3. Elmore Leonard. The Dickens of Detroit, intervista apparsa sul quotidiano The Independent, Londra, 3 settembre 2004.
4. Ibid.
5. Cuba libre si svolge nel 1898, racconta l'affondamento della nave da guerra Maine nel porto dell'Avana, attentato che gli Usa attribuirono senza prove alle autorità coloniali spagnole e che divenne il pretesto per muovere guerra. Fu il primo passo per l'occupazione del "cortile di casa" latino-americano. L'affondamento della Maine è antesignano del falso attacco vietnamita nel Golfo del Tonchino e delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. |