Da Il Mucchio selvaggio n.513, dal 10 al 16 dicembre 2002
IL MUCCHIO INCONTRA VALERIO EVANGELISTI E WU MING 1
STORIA, LETTERE E ARTIGIANATO
Bologna. Via del Pratello. Un pomeriggio di metà ottobre. Incontriamo Valerio Evangelisti all'imbocco di una strada che si è trasformata progressivamente, da "quartiere latino" della città e, ancora più indietro negli anni, area di truffatori, ladri e prostitute, in luogo di studi legali e liberi professionisti. Viene fuori l'argomento Martin Mystère (i fumetti saranno un motivo che ritorna nelle due ore seguenti), ed Evangelisti ricorda la figura di un barbone che, persuaso di aver ispirato un soggetto ad Alfredo Castelli, aveva minacciato la richiesta di un risarcimento miliardario all'autore: lo Zaccardi ritratto da Emidio Clementi ne La notte del Pratello. La nostra meta è il Mutenye, "uno degli ultimi locali alternativi della via", dove ci raggiunge Wu Ming 1, alla vigilia di un viaggio in Brasile. Paese in cui, all'Università di San Paolo, Totò, Peppino e la guerra psichica è stato adottato come libro di testo. Quella che segue è la fedele trascrizione di un incontro ad ampio raggio, una sorta di tavola rotonda senza pretese accademiche (dove, anzi, la letteratura "salottiera" ne esce con le ossa rotte), uno sguardo incrociato su due narratori che discutono apertamente delle dinamiche "artigianali" e politiche presenti nei rispettivi lavori.
Legenda:ABA Alessandro Besselva Averame
AP Aurelio Pasini
FM Francesco Mazzetta
VE Valerio Evangelisti
WM1 Wu Ming 1
WM1: Ti fanno mai all'estero domande su Umberto Eco?
VE: E' un classico, di solito mi chiedono se mi ispiro a lui.
AP: E la risposta è...?
VE: Rispondo di no, ma loro scrivono che gli somiglio.
WM1: Una volta Folha, un quotidiano brasiliano, ci ha mandato via e-mail le domande per un'intervista: tra queste ve ne era una su Umberto Eco come possibile fonte di ispirazione, e per l'ennesima volta abbiamo risposto di no. Personalmente, non ho mai finito Il nome della rosa ed Eco non ha mai avuto alcuna influenza su nessuno di noi cinque. C'è un po' questo mito: col fatto che noi scriviamo da Bologna e lui vive a Bologna, all'estero fanno 2 + 2 = 5, solo che nessuno di noi ha frequentato il Dams e quindi seguito le sue lezioni. La settimana dopo mi arriva il giornale con l'intervista a tutta pagina, e il titolo era "Non abbiamo seguito le lezioni di Eco", per loro era quella la notizia (risate generali), Altre volte, invece, rispondo: "Questi sono i soliti stereotipi razzisti sull'Italia: spaghetti, pizza, mandolino, mafia, Umberto Eco... Non se ne può più!'.
FM: Invece Umberto Eco si ispira a voi?
VE: Penso proprio di no.
WM1: Non credo che abbia letto né gli uni né l'altro.
VE: Spesso mi collegano a lui solo perché c'è un inquisitore di mezzo.
WM1: E anche per Q c'è lo stesso problema, quasi che lui avesse il monopolio sulle eresie.
VE: Devo dire che ho letto Il nome della rosa, ma ho trovato pessimi gli altri romanzi. L'ultimo, poi, è veramente bruttissimo.
WM1: Nessuno si è cimentato con Baudolino, credo.
VE: Non penso che molti li abbiano letti veramente. Magari Il nome della rosa, già in meno si sono dedicati a Il pendolo di Foucault. Di quello, poi, mi sono piaciuti solo l'inizio e la fine, il mezzo si può anche scartare e buttare via. Gli altri non credo li abbia letti nessuno.
WM1: Noi abbiamo due bestie nere, Eco e i Situazionisti, e non c'entriamo un cazzo né con l'uno né con gli altri.
AP: Nei nostri progetti iniziali, il punto di partenza di questo incontro doveva essere "letteratura e storia", e in un certo senso ci siamo già entrati, seppure da una porta laterale. Qual è, allora, il vostro rapporto con la storia, con la tradizione e la memoria storica?
VE: I miei libri hanno una componente che è presa dal romanzo storico, una parte abbastanza importante, ma è evidente come io non segua tanto la via del romanzo storico. Più che altro, miro allo sfondamento della storia: a un certo punto nei miei libri la nozione del tempo va tutta persa perché ci si sposta attraverso la storia da un momento all'altro, tirandone fuori dei fili che danno luogo a un'altra vicenda.
WM1: Per quanto mi riguarda, non credo neppure alla definizione di romanzo storico. Credo che sia una non-definizione per un non-genere. Viene chiamato "romanzo storico" qualunque cosa che si svolga in un passato, passato che però non si sa bene quando fare iniziare. Ad esempio, American Tabloid di Ellroy non viene mai considerato un romanzo storico, eppure secondo quella definizione dovrebbe esserlo. Una cosa che si svolge dieci anni fa, magari documentatissima, non viene considerata come un romanzo storico, definizione che invece fa più pensare alla gente in costume. L'idea che i critici hanno di esso probabilmente risente molto dell'immaginario dei film di cappa e spada.
AP: ...e del Manzoni studiato a scuola...
WM1: Esattamente. Credo comunque che, per quanto riguarda i nostri scritti, non si possa parlare di romanzo storico tout court, si potrebbe parlare allo stesso modo di spionaggio, perché c'è sempre una componente di lavoro di intelligence, oppure di giallo, e perché vi è anche una parte legata alla detection, all'intrigo da risolvere, all'indagine da fare. I nostri lavori, e credo che valga anche per quelli di Valerio, non sono di genere, ma di generi, nel senso che cerchiamo di forzare tutte le regole dei temi letterari acquisiti in modo da produrre qualcosa di diverso, un punto di vista più obliquo rispetto a quei materiali.
VE: Secondo me, poi, la storia del passato e quella del futuro sono cose quasi inconoscibili. Il passato viene quasi sempre ricostruito attraverso filtri, in un'operazione di fiction che è simile a quella di chi costruisce un futuro immaginario. Il filtro è alla fine solo uno: il presente. Per questo sia io sia i Wu Ming possiamo parlare di tutte le epoche possibili e immaginabili, ma in realtà partiamo da temi e nodi del presente.
WM1: Scriviamo in effetti del presente, anche se è superficiale vedere i nostri romanzi come puramente allegorici. Una chiave di interpretazione tipica di Q è che si tratti di un libro sugli anni '70. Addirittura, una volta mi arrivò dall'Africa una e-mail di un italiano che viveva là che diceva: 'Ho letto Q e ho capito chi siete, il giorno che Giannino Zibecchi fu ucciso a Milano eravate nel tal posto e avete pensato alla tal cosa, e quando c'è stato il sequestro Moro anche voi come me vi siete detti...''. Gli ho risposto che durante il sequestro Moro io ero in seconda elementare... (risate). Quindi, c'è il rischio di schiacciarsi un po' troppo su questa idea di scrivere del presente. Il punto è che, mentre facciamo la ricerca storica e poi scriviamo, assorbiamo come spugne tutto ciò che ci sta intorno e in un certo modo lo restituiamo, ma senza per forza volere fare romanzi a chiave, a tesi o puramente allegorici.
FM: Pensando in particolare alla fantascienza, è sempre stato per certi versi una narrativa allegorica, perché le poche cose decenti che ci sono in qualche modo ci parlano del presente in cui viviamo.
WM1: Resta da vedere se gli autori, al momento di costruire la vicenda, avessero veramente idea di scrivere quello che alla fine è venuto fuori. Ho notato che, nel nostro lavoro, se partissimo già con l'idea predefinita di fare un romanzo che trasmetta il tale messaggio con la tale allegoria, non riusciremmo a farcela. Spesso sono altri che ci dicono cosa è contenuto nei nostri libri. Inoltre, lavorando in gruppo, facciamo molta libera improvvisazione e molto brainstorming dopo avere effettuato le ricerche: quindi, se volessimo scrivere un'opera a tesi, questo limiterebbe la nostra libertà nell'improvvisare e nel costruire il tutto. Penso che il ragionamento valga anche per uno scrittore singolo, che spesso, in una fase già avanzata della stesura del romanzo, è in grado di capire che tipo di reticolo di messaggi - perché non si tratta mai di un messaggio univoco - sta prendendo forma. Di solito le cose messe insieme come romanzi a tesi sono molto brutte, e mi viene in mente in particolare una certa fanta-politica con protagonisti Craxi e Andreotti uscita ai tempi di Mani Pulite... porcherie! Dall'altra parte, credo che sia maggiore la politicità di opere concepite stando perfettamente calati nel proprio presente ma senza preoccuparsi di produrre esattamente quel messaggio che si aveva in mente all'inizio. Ritengo sia più politico un atteggiamento di maggiore spregiudicatezza nei confronti delle fonti e del proprio metodo, piuttosto che un rimanere sdraiati sul tentativo di comunicare un determinato concetto, che alla fine produce solo ridondanze.
FM: Più che a un messaggio, pensavo al passato e al futuro come schermo per una rappresentazione del presente che diventa tanto più efficace quanto più è in qualche modo scollegata dallo hic et nunc quotidiano.
WM1: Passato e futuro ci danno una distanza dalla quale potere descrivere il presente, e questo è già un intento politico, però molto più vago di quello che invece hanno in mente i critici recensendo i nostri libri. Spesso si pensa che vogliamo fare propaganda, quando in realtà non credo che né i cicli di Eymerich o di Metallo urlante né ciò che abbiamo scritto noi possano in qualche modo rientrare in una definizione di questo tipo.
VE: Stiamo tutti e due lontani dai pistolotti ideologici e dai manifesti tradotti in romanzo. In realtà, i nostri sono proprio romanzi. Il fatto di proiettare la cosa in un altro tempo, futuro o passato che sia, permette di usare di più la chiave della metafora, non però dell'apologo. In un mio romanzo, ad esempio, ho trattato degli Stati Uniti parlando di lupi, ed è chiaro che in un libro realistico ambientato nel presente ciò non sarebbe stato possibile. Quello che avevo da dire, una riflessione, non un proclama, è passato molto più facilmente parlando di lupi che non se mi fossi appiattito sul presente. Senza poi parlare di quello che oggi è il panorama letterario italiano mainstream. Se c'è qualcosa di lontano dal presente, è proprio quello.
WM1: Esattamente. E' una narrativa che ancora sconta Moravia: ancora ci si deve riprendere dal suo passaggio.
VE: Infatti qualcuno di questi autori di letteratura corrente, normale... non so come definirla...
WM1: D'autore...
VE: ...si rammarica di come oggi non ci siano più quei bei cenacoli di una volta, pensano a via Veneto e al Caffè Greco negli anni '70 e continuano a parlarne. Questo dà l'idea della loro attualità.
WM1: Invece in un qualunque newsgroup o forum su Internet si producono ogni giorno contenuti più pregnanti che non in un cenacolo di queste cariatidi: loro però non lo sanno, e probabilmente moriranno ignari.
VE: Una cosa che ci accomuna è proprio il volere stare fuori da tutto ciò, in una maniera forse un po' insofferente. Non apparteniamo a quel gruppo lì.
FM: A tal proposito, le pagine di Mater terribilis che fanno riferimento alle incubatrici di Saddam sono state scritte quando già soffiavano gli attuali venti di guerra?
VE: Innanzitutto devo dire che io campo di guerre... (risate). Il mio romanzo più ristampato nel mondo è quello su Nostradamus: basta cambiare la copertina e metterci le Twin Towers e il gioco è fatto. E poi le prevedo, io, le guerre. In realtà, l'episodio di Saddam è nato come un racconto indipendente, pubblicato solo in Francia: lo ho pensato durante la guerra del Kosovo, quando sulle pagine di un quotidiano a caso, Repubblica, trovavi accostamenti di immagini dei campi di concentramento e del Kosovo. Insomma, le più plateali falsificazioni. Da lì mi venne in mente l'agenzia di disinformazione che a suo tempo aveva creato la falsa notizia delle incubatrici di Saddam.
WM1: Con una testimone che poi si scoprì essere la figlia dell'ambasciatore dei Kuwait negli Stati Uniti. In tutti i telegiornali era stata spacciata come una testimone oculare, quando in realtà erano anni che non si muoveva da Washington.
VE: Quindi, uno scritto come Mater terribilis, che sembra avulso dalla contemporaneità, in quanto ambientato nel '300, ha comunque una sua ricaduta sul presente. Quando descrivo la storia di Giovanna d'Arco come una grande campagna pubblicitaria per spostare le sorti della Guerra dei Cento Anni, in realtà sto parlando di Saddam. Nei loro libri il procedimento è ancora più palese che nel mio.
WM1: E poi c'è l'uso che hai fatto dell'Aids in Metallo Urlante: già nel '300 ci sono casi di sindrome di immunodeficienza acquisita, con però uno sguardo alle teorie del dissenso. Quella che ne emerge è una tesi duesberghiana. Comunque, mentre per tali sotto-sotto filoni narrativi è possibile procedere comunicando determinati messaggi, per il romanzo nel suo insieme continuo a credere che non si possa.
VE: E' vero, sono assolutamente d'accordo.
AP: I vostri lavori sono caratterizzati da varie sottotrame, ambientate in luoghi o tempi diversi, che in qualche modo finiscono per intrecciarsi. Sono piani narrativi che portate avanti contemporaneamente anche in fase di scrittura?
WM1: Il metodo è la cosa che varia di più da scrittore a scrittore. Per quanto ci riguarda, la prima cosa che facciamo è una sceneggiatura. Dopo una fase di sei mesi o un anno di ricerca storica, dedichiamo svariate settimane, fino a due mesi, al brainstorming, da cui facciamo emergere dei grumi narrativi che colleghiamo tra loro con tanto di tabelloni, tavole sinottiche e diagrammi di flusso. Alla fine viene fuori una vera sceneggiatura, sequenza per sequenza, del romanzo, di cui quindi sappiamo già tutto tranne il finale, per il quale ci teniamo aperte tre o quattro ipotesi. A quel punto ci dividiamo i capitoli a rotazione, e ognuno sa sempre dove si trova, perché ha i tabelloni sott'occhio. Questo ci permette di portare avanti una miriade di personaggi, come in 54, dove ce ne sono almeno un centinaio, di cui una decina protagonisti. Ciò è possibile perché c'è un metodo quasi scientifico sotto: se dovessimo seguire l'ispirazione del momento non arriveremmo a niente. A tal proposito, non so se lo hai notato anche tu, Valerio, qui in Italia gli scrittori si vergognano a spiegare come scrivono, nonostante Majakovskij dicesse che tutti gli scrittori e i poeti dovrebbero parlare del proprio metodo, mentre in America lo si fa normalmente. C'è sempre un pregiudizio idealistico, quasi si trattasse di una folgorazione. Noi invece, proprio per questo, ne parliamo sempre. Sia noi sia Valerio amiamo definirci artigiani piuttosto che artisti, e per questo la nostra bottega è sempre aperta e chiunque può entrare a vedere come scriviamo. C'è ancora un idealismo crociano imperante'
VE: Per quanto mi riguarda, anch'io mi dedico a letture sul periodo storico che ho scelto, poi faccio una scaletta di ciò che sarà il romanzo. E' ovvio però che, siccome le letture continuano anche durante la scrittura, spesso mi discosto dallo schema iniziale. Capita anche che nel descrivere l'azione mi accorga che qualcosa non regge, e quindi va cambiata. Una volta i momenti erano ben divisi: d'inverno, quando non ho alcuna vita sociale...
WM1: Infatti è la prima volta che lo incontro a Bologna ! (risate)
VE: In quel periodo lì di solito facevo tutte le ricerche storiche, e d'estate, quando divento più socievole, mi mettevo a scrivere, anche perché sono molto meteoropatico, e scrivo bene solo quando c'è il sole. Adesso, invece, non è più così, ma in sostanza i momenti della ricerca, della pianificazione e della scrittura vera e propria restano divisi.
AP: Così come c'è una cronologia ben precisa della vita di Eymerich, ne hai creata una anche del futuro di cui parli?
WM1: Una storiografia asimoviana?
VE: Solo fino a un certo punto. Ho alcune idee, modificabili a seconda del presente o del tema che in quel momento mi interessa. In base ad esse, rivedo il mio progetto di storia futura. Se, come dicevamo prima, il tema è quello della guerra mistificata, ecco che dipingerò il futuro con quei colori. Sì, uno schema c'è, ma non è che io adesso abbia già in mente i prossimi venti o trenta romanzi' due o tre però sì!
Luca Casarini nei panni di Josif Vissarionovich Djugasvili. Immagine trovata su Indymedia Italia nell'autunno 2002.
N.B. Trattasi di fotomontaggio.WM1: Idem, anche noi siamo avanti di due o tre idee, ma si tratta dei nostri episodi solisti. Su quelli collettivi, invece, stiamo ancora lavorando. Per quanto riguarda le guerre future, in Libera Baku ora Wu Ming 5 ha previsto che l'ex Autonomia Operaia del filone veneto arrivasse al potere e facesse questo governo delirante...
VE: E' facile... (ride)
WM1: Nei romanzi usciti dalla nostra officina il futuro è sempre molto bislacco, descritto in modo ironico. Non siamo per una storia futura alla Heinlein o per una psico-storiografia alla Asimov.
VE: In sostanza, detesto la fantascienza corrente. Trovo che la fantascienza abbia espresso molto nel passato, specialmente quella cosiddetta sociologica, ma ritengo che quella presente assomigli di più a una favola fine a se stessa. A quel punto, però, la preferisco nei film: ad esempio, sono un adoratore della serie classica di Star Trek, ma a livello di favola; narrativamente il genere mi sembra un po' povero. Si tratta di spezzarne i confini. Personalmente, sono abbastanza infastidito dalla definizione che mi si dà di scrittore di fantascienza, anche perché uno magari fa un tomo di 450 pagine sul femminile in Jung e dopo ti intervistano sui dischi volanti e sui mostri marini...
WM1: Parlando di fantascienza sociale, credo che I mercanti dello spazio di Pohl e Kornbluth sia uno dei più bei libri scritti sull'anti-liberismo, e risale agli anni '50.
FM: Almeno in un punto, però, Mater terribilis mi ha ricordato un romanzo di fantascienza recente, Snow Crash di Neal Stephenson.
VE: Ma è fantascienza, quella? Bisogna intendersi... E' una fantascienza alla Pynchon, alla DeLillo. Stephenson fa quanto oggi si chiama "avant-pop", non è la science fiction che si trova in edicola con Urania, rispetto a cui rappresenta un passo avanti.
FM: Tu comunque ci sei stato, e ci sei anche adesso, in edicola con Urania.
VE: Ci sono spesso... Non è che il fatto mi dia fastidio, però bisogna chiarire che, di fronte ai miei romanzi, il purista di fantascienza rimane perplesso. Vi sono alcuni che li detestano. Quella collocazione è nata perché partecipai ad un concorso che mi fece finire su Urania, dove poi sono rimasto. Non vorrei però essere definito come uno scrittore di fantascienza: magari di narrativa fantastica, mi piace di più. I miei ispiratori più diretti sono Lovecraft e altri personaggi che non possono essere catalogati alla voce fantascienza asimoviana, con tutto il rispetto per Asimov e Heinlein, che non ho letto, ma divorato. Il punto è che io non faccio le stesse cose, e detesto vedere altri che le fanno: la sf deve muoversi, deve andare oltre. Quello di Stephenson è il caso di un genere che si è spostato.
WM1: Di Matt Ruff che pensi? Hai letto Acqua, luce e gas?
VE: Sì, e mi è piaciuto tantissimo.
WM1: Io devo dire che ho fatto fatica dopo le prime cento pagine, perché non puoi cercare di far ridere a ogni capoverso, la cosa diventa grottesca. Però ha delle idee divertenti.
VE: E' come i film di Benigni, che di solito reggono il primo tempo e nel secondo crollano.
WM1: Quando va bene... (risate generali).
AP: Cosa rappresenta per voi l'ironia?
WM1: E' una domanda un po' alla Marzullo... Cosa rappresenta? Non saprei, un'arma retorica come un'altra. Un testo monodimensionale che sia solo ironico finisce per diventare il proprio contrario, un po' pesante. Penso che l'ironia debba essere usata insieme a tante altre cose: io vorrei fare ridere, fare digrignare i denti, rizzare i peli sulla schiena, provocare tutta una serie di reazioni fisiche che vanno fino allo svalvolamento del tubo digerente. Insomma, non vorrei essere univoco.
VE: Mi è piaciuta moltissimo l'immagine del provocare un effetto fisico. Ho sempre invidiato gli autori di letteratura pornografica, che riescono a produrre degli effetti fisici sui lettori.
Franco Berardi "Bifo"WM1: Ad esempio, Bifo da giovane ha scritto un sacco di romanzi porno da edicola e quando raccoglieremo la sua opera omnia ce li metteremo.
VE: Per quanto mi riguarda, apparentemente scrivo romanzi tetragoni, però se uno va a cercare un filo di ironia lo trova. Bisogna distinguere il comico puro dall'ironico.
WM1: ...o dal sarcastico.
ABA: In Mater terribilis c'è la figura di frate Bagueny che fa uscire questa ironia un modo un po' più evidente del solito.
VE: Da qualche tempo mi serve un contraltare di Eymerich che lo "demolisca" un po', perché altrimenti si finisce nella macchietta e allora sì che si rischia il comico involontario. Se Eymerich fosse rimasto lo stesso dei primi romanzi si rischiava davvero di farne una macchietta.
WM1: Ho trovato molto ironico e divertente il personaggio dell'anarco-nichilista in Black Flag.
VE: Bellegarrigue.
WM1: Proprio lui. Gli metti in bocca delle cose che dicono gli anarco-insurrezionalisti di oggi.
VE: E' la figura più losca del romanzo (risate). La cosa buffa è che Goffredo Fofi, che di solito mi apprezza, mi ha criticato dicendo che ho dipinto un anarchico in modo negativo. A me non sembra una gran colpa' (risate). Lo ho dipinto in modo anarchico!
WM1: La frase "Scriverò a Parigi a quel fesso di Blanqui" è bellissima.
FM: Quello di alleggerire un personaggio "pesante" con uno comico non è un escamotage un po' bonelliano?
VE: Diciamo "holmesiano", perché a partire da Sherlock Holmes e Watson è diventato un archetipo della narrativa. Solo che, mentre Watson e i vari partner di solito sono scemi, io ogni tanto metto di fianco ad Eymerich dei personaggi altrettanto intelligenti, ma con una diversa visione del mondo, perché dalla dialettica fra i due nasca qualcosa di più ricco. Bene o male, se c'è un personaggio che si è fossilizzato nell'arco del tempo, ma per colpa non tanto dell'autore quanto delle sue stesse premesse, è stato proprio Sherlock Holmes.
WM1: Che infatti l'autore uccise, per poi resuscitarlo in seguito alle proteste dei lettori. Su questa cosa del bonelliano, prima parlavamo di Mister No (a registratori ancora spenti, entrambi lo avevano definito il loro fumetto Bonelli preferito), e uno dei motivi per cui mi piace è perché lì Bonelli non ha abusato del meccanismo della coppia comica: Zagor ha Cico, Dylan Dog ha Groucho, Martin Mystère ha Java, Tex ha Kit Carson, mentre Mister No è da solo.
VE: C'è SS...
WM1: Sì, ma non compare in tutte le puntate, e poi è un po' uno specchio di Mister No, nel senso che fanno ridere tutti e due. Mister No fa ridere anche quando è da solo, in qualche modo sono usciti da questo schema un po' troppo rigido, ed è uno dei motivi per cui mi piace il personaggio.
VE (rivolto a noi del Mucchio, indicando Wu Ming 1): Chiedete qualcosa anche sul suo romanzo!
WM1: Il tuo è appena uscito, è giusto così.
VE: Anche il tuo, non bruciamo le tappe (risata). Per introdurre il discorso, trovo che 54 sia il romanzo migliore uscito quest'anno, e anche da un po' di tempo a questa parte.
WM1: Diciamo che è il migliore di Wu Ming uscito quest'anno, così siamo sicuri di beccarci.
VE: Se Q era straordinario, questo lo è ancora di più, tra l'altro mi chiedo come faccia lui, come facciano...
WM1: Specifichiamo che ci sono solo io perché gli altri hanno un lavoro dipendente, non è che io sia il leader o il portavoce, è che gli altri stanno lavorando'
VE: ...a sembrare davvero un autore unico. Non si notano sbalzi, e credo che questo derivi probabilmente da una comunanza straordinaria fra di voi.
WM1: Sì, lavoro con qualcuno da 12 anni e alla fine c'è quasi una telepatia, ciò è importante. Una cosa che spesso cerchiamo di far capire è questa: la scrittura collettiva funziona se tutti partono dallo stesso livello. Per dire, se ci fossero cinque scrittori già consolidati come tali, magari pure gelosi del proprio stile, e se si mettessero insieme cercando di scrivere un romanzo collettivo, sarebbe qualcosa di diverso da quello che facciamo noi, perché anche gli esperimenti che sono stati fatti in questo senso, come quello dei dodici scrittori irlandesi (Yeats E' Morto!), alla fine sono stati orchestrati con il metodo 'io scrivo senza sapere come proseguirà e tu scrivi il capitolo dopo', che è un po' il cadavere eccellente del gioco surrealista, e non riguarda un metodo di scrittura collettiva vero e proprio, sono tanti interventi individuali incollati insieme. Se ci sono scrittori già famosi, ognuno geloso del proprio stile, non avranno la necessaria umiltà per dare agli altri, perché la modifichino, la prima stesura di un loro capitolo. Noi invece operiamo già con l'idea che quello che facciamo verrà dilaniato, saccheggiato, modificato, tagliato, incollato dagli altri del gruppo: abbiamo cominciato a scrivere insieme, nessuno di noi aveva una storia pregressa come narratore, e quindi funziona, perché c'è una sintonia, c'è una premessa di base che viene condivisa da tutti. Se De Carlo, Baricco, Lodoli, Orengo si mettessero insieme per scrivere un romanzo collettivo, verrebbe una cosa... (risata) ...gliela si può proporre. Credo che ognuno direbbe "io ho scritto così, non si tocca".
FM: Visto che si tratta di un settimanale musicale, vi chiedo: non c'è il rischio - fondamentalmente è il metodo di un gruppo musicale - che ci sia prima o poi qualche primadonna che vuole uscire e fare il solista?
WM1: Ma noi già facciamo i solisti, nel senso che firmiamo diverse cose, che siano articoli o libri.
AP: Siete un supergruppo.
WM1: No, non siamo un supergruppo, perché in realtà anche i lavori solisti sono sempre corretti da tutti gli altri, partono cioè da un'intuizione singolare, individuale, e la stesura finale è di una persona sola, però tutto il processo di discussione e di revisione rimane collettivo. Anche Havana Glam è stato fatto così, Riccardo si è presentato con una serie di idee, ne abbiamo discusso tutti insieme, lui si è messo a lavorarci sopra, ha portato una scaletta, ne abbiamo discusso ancora, si è rimesso a lavorarci sopra, ha scritto il libro e poi tutti assieme l'abbiamo editato, un processo anche laborioso. Allo stesso tempo è il suo romanzo solista, ma allora perché non firmarlo Riccardo Pedrini e firmarlo Wu Ming 5? Perché comunque rimane il riferimento al laboratorio. Invece, per quanto riguarda il problema più tradizionale di "primadonna", credo che dopo più di dieci anni siamo ormai vaccinati, i gruppi scoppiano prima di solito, noi siamo un po' come i Pooh...
FM: (risata) Pensavo ai Rolling Stones...
WM1: I Rolling Stones però hanno rischiato tante volte, e poi non vanno molto d'accordo tra loro, si trovano giusto per fare il solito tour commemorativo, non li vedo molto in sintonia.
FM: Però come riferimento, rispetto ai Pooh...
WM1: Certo, (risata) però non parlo della loro musica...
VE: Sono i Baricco, e tutti quelli che abbiamo citato prima, della musica.
WM1: Sì, però riescono a lavorare collettivamente, su questo non c'è dubbio. Nel frattempo, la "primadonna" che uscì, Riccardo Fogli, è finito nel dimenticatoio. Solo Elio lo ha tirato fuori per fargli cantare Ragazza che limoni sola.
FM: Per cui voi ovviamente avete una gigantografia di Riccardo Fogli a monito...
WM: Sì, sì, Storie di tutti i giorni...
AP: Con la musica, con gli altri media, che rapporto avete?
WM1: Con la tv nullo. Stiamo scrivendo una sceneggiatura insieme a Guido Chiesa, anzi, è già quasi finita, abbiamo terminato la prima stesura e stiamo lavorando alla seconda. E' un film che si svolge nel '77 a Bologna ma parla di un fatto di cronaca parallelo agli scontri del marzo, che abbiamo trovato sui giornali dell'epoca. Un tentativo di rapina alla Cassa di Risparmio in piazza Minghetti. Era la rapina del secolo, il bottino è stato stimato cinquanta miliardi di lire dell'epoca. Erano ad un metro dal caveau quando un metronotte, per caso, ha scoperto il tunnel. La notte dopo avrebbero forato il caveau. Di questo fatto si è parlato poco perché pochi giorni dopo è morto Lorusso ed è scoppiato tutto il casino. E' il classico cono d'ombra su cui ci piace lavorare, cerchiamo di ricostruire lo sfondo di questa rapina.
FM: Evangelisti, invece, non è stato ancora contattato da Hollywood?
VE: Sì, hanno comperato Magus... se la cosa va in porto. C'era la notizia anche su Variety.
FM: Chiedo scusa, non è una delle mie letture...
VE: Di quello non me ne frega niente, diciamo che mi interesserà se e quando arriveranno i soldi.
WM1: Sì, a volte "pescano con le bombe", opzionano tutto l'opzionabile, poi i film non è detto che li facciano.
VE: Mi interessa molto di più la pellicola su Eymerich che sto facendo. Sto facendo, nel senso che ho scritto la prima sceneggiatura, che poi verrà modificata. E' un film francese, siamo ancora nelle primissime fasi. Però sembra un bel progetto. Il regista è anche il mio editore laggiù, è il figlio di Jean-Patrick Manchette, il celebre autore noir. E' un progetto che seguo da vicino, per il resto curo l'ambito multimediale, perché ritengo che oggi, tra l'altro, la parola scritta non sia più sufficiente a esaurire quanto si ha da dire, ad esaurire una tematica. Non a caso, sia io sia Wu Ming abbiamo sempre usato Internet, fin dal primo momento.
WM1: Tutti e due abbiamo una mailing list che praticamente è il fulcro del nostro lavoro.
VE: Esatto, ci passiamo ore.
WM1: Lui ha fatto anche l'attore, non tralasciare di dirlo.
VE: Hanno tagliato la mia scena.
WM1: Nooo! Faceva il druido in un film francese (Brocéliande di Doug Headline), mescolava un calderone.
VE: Era prima dei titoli di testa, e purtroppo è stata tolta. Si troverà nel dvd (risata). Ho però partecipato a delle cose musicali, soprattutto ci sono gruppi heavy metal che hanno tratto degli album dalle mie storie. E' chiaro, dato che si tratta di vicende in qualche modo goticheggianti.
WM1: Si prestano molto.
VE: Sono io stesso appassionato da sempre di quel tipo di rock, anche se devo dire che ero partito dal punk, che resta il mio primo amore. Credo che le sue origini musicali non siano tanto distinte, era la musica dei centri sociali. Magari io sono venuto prima, appartengo ad un'altra generazione.
WM1: Non a caso sull'ultimo Mucchio Extra ho scritto una retrospettiva sull'Oi. Però nel mio romanzo solista parlerò degli ultimi tre mesi di vita di Coltrane, perché ascolto anche molto free jazz, che credo sia molto simile al grindcore. Trovo molte similarità tra il free jazz degli anni Sessanta e certo metal di adesso.
VE (rivolto sempre al "Mucchio"): Ehi, qui non sanno più che cazzo chiederci...
WM1: Racconta di quando i tuoi genitori bruciarono la tua collezione di Urania...
VE: Era nascosta, c'era un termosifone con la reticella che si apriva come uno sportello. Lì tenevo la pipa col tabacco e gli Urania, avevo tuti i primi duecento e pure Urania Rivista. Buttarono via tutto.
WM1: Istigati dal tuo insegnante d'italiano.
VE: Esatto (risata), era spaventato dalla mia "perversione".
WM1: La letteratura di genere ha sottoposto i suoi ammiratori a vere e proprie lotte, c'è stata una rivoluzione culturale, cioè oggi parliamo di cose di cui una volta non era nemmeno considerato educato parlare, è incredibile a pensarci.
VE: Faccio io una domanda. Wu Ming e la critica. In parte riesco a leggere le recensioni (voi fate una rassegna sul sito), in parte no. Mi sfugge quale sia l'atteggiamento complessivo della critica italiana nei vostri riguardi.
WM1: La critica paludata, accademica, ci stronca regolarmente perché attingiamo alla letteratura di genere. Infatti sia noi che Valerio siamo considerati Serie B, che va benissimo perché in Serie B si gioca il calcio migliore, c'è meno stress (risata). Quella critica, in maniera pretestuosa, ci stronca abbastanza regolarmente. L'ultima invettiva è di Romano Luperini, che si definisce critico marxista, il quale ha firmato uno sbrodolamento idealistico dicendo che noi vogliamo solo intrattenere il lettore, come se fosse un crimine. Poi c'è anche certa critica da rotocalco, quella un po' sciatta, a cottimo, a cui stiamo sulle balle perché non ci facciamo fotografare, perché non rispondiamo a domande stupide e così via. Quelli ci hanno in antipatia da sempre, allora ci stroncano a prescindere, senza nemmeno aprire il libro. Invece c'è gente che ha fatto delle recensioni ottime di 54, Caronia sul "L'Unità", Formenti sul "Corriere", il "Mucchio", sono stati in grado anche di capire il lavoraccio che c'è dietro un'opera del genere.
FM: Vorrei ricordare che ho messo Havana Glam come libro dell'anno...
WM1: Giusto, il "Mucchio" ci ha sempre trattati bene, del resto io lo compro dall'86, mi sembra il minimo, un do ut des (risate)
VE: Già, è il minimo.
WM1: Alcuni, pretestuosamente, hanno finto di aver parlato bene di Q all'epoca anche se non lo pensavano davvero, per poter dire "Q era immensamente superiore, 54 è una cazzata", poi se vai a vedere non avevano assolutamente parlato bene di Q all'epoca. Ci sono questi meccanismi. In genere si cerca di fare il paragone tra Q e 54, che io non credo siano confrontabili.
ABA: L'organizzazione del tempo e dello spazio sono diverse.
WM1: Sì, inoltre non usiamo l'io narrante ma la terza persona, qui utilizziamo il presente e là il passato remoto, è diversa la coralità, ci sono diversi registri, e tecnicamente credo che siamo diventati più bravi, rispetto a quando abbiamo scritto Q. A noi sembra che 54 sia stato più difficile da redigere rispetto a Q, anche se pare si legga con molta leggerezza e magari questa cosa non si avverte.
AP: E' nel fatto che si legge bene che si avverte il lavoro che c'è dietro.
WM1: Infatti.
FM: Il numero di pagine?
WM1: 666? E' assolutamente casuale, ce ne siamo accorti quando sono arrivate le bozze. Il numero della bestia.
FM: Sono quelle cose che inquietano, tanto più se sono casuali.
WM1: Assolutamente, direi che inquietano proprio perché sono casuali.
AP: I vostri libri sono tradotti anche all'estero, ci sono differenze nel modo in cui vengono accolti dalla critica, rispetto all'Italia?
VE: Diciamo che ci sono paesi in cui i miei libri sono stati un insuccesso totale, la Germania per esempio, perché, al di là del fatto che non voglio difendere l'attualità dei miei libri, sono stati pubblicati in collane fantasy, finiti in un angolo particolare delle librerie, recensiti dai soli appassionati. E quando gli appassionati di fantasy leggono una delle mie cose poi dicono: "che cazzo è questa roba?". Dove sono stato capito meglio, da questo punto di vista, è stato sicuramente in Francia, dove praticamente le cifre delle vendite quasi equivalgono a quelle italiane. In Francia, va anche detto, ci sono in generale meno pregiudizi, e c'è una critica più aggressiva e più giovane. In Italia è ben raro che un critico rivolga la sua attenzione a me, posso scrivere quello che voglio ma sarò sempre scrittore di genere, e di solito la recensione sarà un riassunto del libro, poi magari dopo c'è scritto anche di che si tratta. In Francia non c'è grossa distinzione tra libro di genere o non di genere, e allora mi trovo recensito un po' dappertutto. Sono oltre sessanta le recensioni che accompagnano ogni mio libro nel mondo francofono. Si tratta spesso non di recensioni ma di descrizioni del libro, in qualche caso si tratta anche di entrare nel merito, però direi che questo gap che c'è tra Francia e Italia - anche se anche là ci sono le cosche accademiche - non è facile da superare. Del resto non so nemmeno se lo voglio realmente, perché a me poi vivere in penombra, farmi i fatti miei, piace.
WM1: Su quest'ultima sapete che sono perfettamente d'accordo.
All'estero c'è una critica meno paludata, soprattutto in Spagna, dove hanno alle spalle solo 25 anni di libertà di stampa, e quindi tutti i critici e gli editori sono sotto i 40 anni. Noi siamo andati bene come critica un po' dappertutto, però invece come pubblico abbiamo floppato in Francia, esattamente il contrario di lui, per una serie di errori strategici dell'editore, perché poi le recensioni in realtà erano davvero entusiastiche: una titolava "Romanzi storici scritti col bazooka".
VE: Le Monde ha dedicato loro una pagina intera
WM1: Sì, eppure il libro non ha venduto un cazzo, ma proprio un cazzo: oltre agli errori anche la traduzione non era eccellente. Siamo andati benissimo in Spagna, a livello dell'Italia, ma pure dal punto di vista dei nostri scritti politici, di Giap (newsletter di Wu Ming); ormai in Spagna c'è una situazione quasi parificata, tanto che adesso esce un'antologia di nostri scritti tratti da Giap e dal sito. Idem in America Latina. La traduzione spagnola è andata benissimo. In Olanda siamo andati molto bene, abbiamo avuto tra ristampe, nel resto d'Europa siamo andati abbastanza bene, in Germania 54 [in realtà si tratta di Q, N.d.WM1] è appena uscito e in Inghilterra esce in primavera quindi è ancora presto per parlare dell'impatto planetario. In Corea, non so com'è andato, anche perché non capisco la lingua'
AP: Collezionate comunque le edizioni estere dei vostri libri.
WM1: Beh, spesso come oggetti sono meglio di quelle italiane.
VE: Qualche volta orribili: in quella croata di Magus hanno appunto messo le Twin Towers e un grande occhio che guarda.
WM1: L'edizione francese di Q era orribile, aveva una copertina orripilante, con uno sfondo color merda di cane, e sopra c'erano figure che all'inizio non capivamo che cazzo erano... una copertina scatologica... aguzzando la vista abbiamo colto che era l'ingrandimento di una lettera Q presa da un codice miniato. Poi hanno dovuto cambiare titolo perché Q in francese suona come "culo", lo hanno chiamato L'Oeil De Carafa.
VE: Ve lo hanno chiesto oppure hanno deciso loro?
WM1: Non essendo di madrelingua francese, non avevamo proposte. Non è un granché come titolo. Poi, per il resto, c'è il culo di avere una consonante come titolo e di farla uscire senza traduzione, si chiama Q dappertutto, e questo rende facile anche le ricerche in Rete.
FM: Volevo fare una domanda un po' sporca, in particolare a Wu Ming. Avete parlato di libertà di stampa, mettete nei vostri libri una dicitura sul no copyright...
WM1: In realtà è una forma di copyleft.
FM: ...Insomma, com'è pubblicare per la casa editrice di Berlusconi?
WM1: La domanda vale anche per lui (risata). Einaudi, quando è stata assorbita, ha mantenuto delle garanzie di indipendenza nei contenuti, infatti Mondadori da quel punto di vista non mette dito, altrimenti sarebbe diverso anche il nostro rapporto contrattuale. Non dico che non scriveremmo per Einaudi, però probabilemte avremmo dovuto penare di più a far passare certe cose tipo la dicitura sul copyright, perché a Segrate probabilmente su questo si fanno più problemi che a Torino in Via Biancamano. Noi comunque abbiamo un margine di manovra molto largo rispetto a Stile Libero, la collana per cui pubblichiamo, nel senso che ormai abbiamo un peso contrattuale e anche una voce in capitolo molto forte, tant'è che le copertine le facciamo noi. A sua volta Stile Libero ha un grosso margine di indipendenza rispetto alla casa madre, che a sua volta ha delle garanzie d'indipendenza rispetto a Segrate: così, ci muoviamo con ampie possibilità di manovra, all'interno di un margine di manovra più ampio, all'interno di un macromargine di manovra ancora più ampio, e quindi nessuno ci ha mai detto niente e abbiamo la piena libertà. Facciamo tutto quanto, a parte la cessione dei libri, in totale autogestione, paghiamo noi il sito, lo gestiamo noi, alla fine ci comportiamo esattamente come quando eravamo nell'underground. Diciamo che abbiamo ancora i piedi nell'underground, ma riusciamo a trattare con il mainstream. Siamo anche riusciti a far passare un certo discorso sul copyright che credo, in ambito narrativo, sia tuttora unico. Difendo anche il valore politico di pubblicare per Einaudi. So che sul "Mucchio" c'è una polemica in corso sull'argomento, ma è lo stesso discorso di Al Pacino, sui centimetri che ogni volta guadagni, in Ogni maledetta domenica. Noi in questi anni ne abbiamo guadagnati parecchi. Insomma, dipende sempre da come si pubblica per chi, dal gioco e dalla candela.
AP: Con gli altri editori avete avuto problemi?
WM1: Con i francesi, solo con i francesi, che proprio non volevano saperne fino a che non abbiamo scioperato. Ci resta sempre quest'arma, minacciamo di restituire l'anticipo, non facciamo più un cazzo, anzi, facciamo una serrata, visto che siamo degli artigiani. Abbiamo dei rapporti molto conflittuali con i nostri editori in genere. Però va detto che sulla faccenda del copyright tutti gli altri erano tranquillissimi, ormai il nostro agente la mette automaticamente nel contratto, e quindi non c'è stato nessun problema, solo i francesi hanno un po' rotto le balle. Per il resto, abbiamo avuto rapporti pessimi con Tropea, per Asce Di Guerra, tant'è che poi abbiamo rotto, una spaccatura proprio verticale, non vogliamo nemmeno più sentirne parlare e anzi ci siamo ripresi i diritti del romanzo, per cui approfitto di dire, se ci sono editori che leggono, che il romanzo è libero per chi lo vuole ripubblicare
FM: Ed Evangelisti?
VE: Cosa dovrei dire? Il discorso politico nel loro caso è più forte del mio, comunque io con il mio editore mi trovo benissimo. Intanto è una casa editrice, e quindi si occupa di quattrini, non è che in realtà ci siano dei condizionamenti politici. Probabilmente se Bocca fosse rimasto e avesse scritto il suo pamphlet contro Berlusconi, non dico che sarei sicuro al cento per cento che glielo avrebbero pubblicato, ma ci sarebbero stati dei buoni margini per la negoziazione.
WM1: ...anche perché non è che nei libri precedenti ci andasse giù meno pesante con Berlusconi, quindi mi sembra veramente strano.
VE: La Mondadori è una grandissima azienda, i dirigenti non sono di solito berlusconiani, alcuni dei capi lo sono, ma non è che si interessino molto a quello che viene pubblicato. Questo è un vantaggio per me, tra l'altro, perché non fanno distinzione tra narrativa di genere e non di genere.
FM: L'importante è che venda.
VE: E' questa la sostanza della Mondadori, e a me va bene, perché in realtà io non vi vedo discorsi politici, cioè non mi è mai capitato, non una volta, che qualcuno obiettasse sulla politica. Mi hanno detto magari che se il libro fosse rimasto com'era e io non avessi fatto determinate modifiche, avrebbe venduto di meno. Questo è il discorso mondadoriano. Del resto, se tu avessi preso una birra Guinness invece di quella che hai preso avresti finanziato i gruppi protestanti oltranzisti dell'Ulster (povero Besselva...). In una società capitalistica si è in mezzo ad un circuito di merci, se uno prende proprio una posizione come la loro, di movimento, è una cosa, altrimenti cosa vuoi fare? Andare a pubblicare per un editore che non è neppure distribuito?
FM: No, infatti in particolare la domanda era rivolta a loro, a Wu Ming.
VE: Sì, ma anche dal punto di vista politico, mettiamo che loro escano con Mondadori, cosa succederebbe? Verrebbero letti da molta più gente.
WM1: Assolutamente.
VE: Ora, questo è già un atto politico secondo me, perché il punto sono i contenuti, se oggi parliamo di Pavese e Vittorini non ci ricordiamo neanche l'editore, ci ricordiamo di quello che ha scritto l'autore. E' un problema, sì, ma non è un problema centrale, mi fanno un po' ridere i personaggi alla Tabucchi, alla Bocca, che poi sono antifascisti solo quando conviene a loro, solo da certi punti di vista, mentre hanno la stessa ideologia di fondo della loro controparte. Non è in quello, è nelle cose che si dicono che andrei piuttosto a cercare la coerenza. Ripeto, a meno che non sia un percorso come quello dei Wu Ming, loro vengono da un movimento, sono prima un gruppo politico che un gruppo letterario, e hanno continuato la loro battaglia con altre armi, ma secondo me non hanno mai infranto la loro coerenza. Sono più sotto il mirino di me, nessuno mi viene a cercare per contestarmi questo.
WM1: A me almeno una volta alla settimana, poi siccome non abbiamo niente di cui rimproverarci rispondiamo tranquillamente...
AP: Leggo che in molti vi sottopongono il loro materiale.
VE: Voi avete risolto la cosa con i Quindici.
WM1: Esatto, in realtà sono più di venti, si tratta di iscritti alla newsletter che si sono chiamati così e si sono offerti come lettori pubblici per smistare la valanga di roba che arriva. Hanno già cominciato, so che hanno già risposto ad alcuni dando pareri sui libri, perché obiettivamente noi, visto che puntiamo sempre sul fatto del rapporto diretto scrittore-lettore, non solo diretto ma anche reversibile, non potevamo sottrarci del tutto. Ci abbiamo provato, ma siamo stati rimproverati aspramente, e alla fine se la gente ci manda dei manoscritti lo fa perché in qualche modo si fida di noi, ci stima, quindi chiudere la porta in faccia del tutto è brutto, però non possiamo nemmeno dedicarci completamente a questo, uno poi non vive più. Sono decine e decine di romanzi, e io non ho neanche la stampante, un delirio. Alla fine credo che questa soluzione possa anche funzionare da filtro: se qualcosa è veramente bello e convincente i Quindici la segnalano anche a noi, (rivolto a Valerio) dillo anche a quelli che li mandano a te, anzi, se alcuni dei tuoi vogliono unirsi ai nostri...
VE: Io ho una segretaria che s'incarica di leggere questa roba, le piace farlo. Il fatto è che se dovessimo leggere tutti questi dattiloscritti e questi file, non leggeremmo poi nient'altro.
WM1: E' vero, assolutamente.
VE: A me piace anche leggere quello che ho voglia di leggere, non che mi sia imposto qualcosa, magari con un tema che non mi interessa per niente.
WM1: A noi arrivano anche dei romanzi intimisti, un po' alla Lodoli. Che ti devo dire, ragazzo mio... mandali a Lodoli! Io leggo Salgari.
VE: E' un problema che in realtà sta a monte: mentre in alcuni paesi esteri, se uno manda un dattiloscritto a un editore, quello ha un lettore che almeno un'occhiata ce la dà...
WM1: Già.
VE: ...in Italia lo buttano direttamente nel cestino.
WM1: Manca quella dimensione e allora tocca fare la supplenza.
FM: All'Italia non difettano le figure degli editor, quelli che si occupano di leggere le cose e magari di dare consigli su cosa tagliare o migliorare?
WM1: In Einaudi ci sono degli editor molto bravi.
VE: Pure in Mondadori.
WM1: Lo stesso Severino Cesari o Angela Tranfo sono bravissimi.
FM: Io però vedo molto spesso nei libri errori di ortografia.
WM1: Di battitura, dici? Ma quello è il correttore di bozze, a cui fanno fretta, non l'editor, perché sono refusi tipografici. Ad esempio, in Educazione di una Canaglia di Bunker ci sono, tipo, due refusi a pagina, in tutto ne ho contati 5-600, ma lì la causa è la fretta imposta al correttore di bozze per rispettare l'uscita in libreria. Dal punto di vista dell'editing, invece, quel libro mi è filato via liscio, tanto che l'ho letto in un pomeriggio. Insomma, non credo che manchino gli editor in Einaudi.
VE: Idem Mondadori. All'estero, semmai, soprattutto in Francia, questo lavoro sulle traduzioni viene trascurato. Tanto che, per dire, in Metallo Urlante manca un capitolo, manca il finale, e in altri casi mancavano interi paragrafi.
WM1: Lo hai fatto ritirare dalle librerie?
VE: No, ma mi sono messo d'accordo che quando faranno l'edizione tascabile lo ripristineranno. Il buffo è questo, che già due riviste hanno detto "Bellissimo libro, ma manca"...
WM1: "...il finale!" (risate)
AP: Se ne sono accorti.
VE: In Italia questo non succede. Editori piccoli, forse... più piccoli ma anche più cialtroni. Io so, per esempio, che un editore medio-piccolo come Fanucci fa un grosso lavoro di questo tipo.
WM1: Briasco e Carratello... Per Havana Glam Fanucci ha avuto un grosso grado di interazione con noi, con Riccardo.
VE: Fanucci è un esempio interessante di editoria piccola italiana che si è ricavata uno spazio decoroso e fa cose che gli editori grandi non riescono a fare.
WM1: Assolutamente sì.
FM: Trovate che in qualche maniera l'editoria italiana si sia svecchiata un pochino anche grazie a voi?
WM1: Sarebbe un po' eccessivo.
FM: Comunque ora escono molti più romanzi di genere, non quei polpettoni psicologici che fino a vent'anni fa dominavano la scena.
WM1: Da quel punto di vista sì, ma oltre ai presenti c'è un sacco di gente che ha dei meriti, a partire da Lucarelli. In tal senso gli anni '90 sono stati anni di offensiva da parte nostra, e per "nostra" intendo della comunità di scrittori che non si preoccupa della distinzione fra letteratura alta e letteratura bassa. Abbiamo fatto tutti gli anni '90 in attacco, e abbiamo guadagnato delle posizioni, difatti un tot di "segaioli" sono dovuti arretrare. Uso termini forti, ma qui veramente si è trattato di una battaglia campale: da quando si bruciava Urania perché sconveniente ad adesso abbiamo guadagnato postazioni, ma sono stati tutti attacchi alla baionetta.
VE: Non posso che concordare. Il percorso da fare è ancora lungo, però certamente almeno qui nessuno si lascia più intimidire. Anzi, spesso trovi che quelli che prima ti aggredivano ora stanno sulla difensiva, perché ormai hanno capito di non avere a che fare con degli stupidi.
WM1: E' una specie di "Cobas narratori" informale, ma che fa anche delle vertenze collettive, perché ogni centimetro che prendi per te lo prendi anche per gli altri. Lui (si riferisce a Valerio), ad esempio, col fatto che nel '93 ha vinto un premio ed è uscito per Urania, ha aperto la strada a un sacco di gente.
VE: Ad altri autori italiani.
WM1: Lo stesso Riccardo avrebbe avuto difficoltà se non ci fosse stato Valerio, perché fino a 10 anni fa fantascienza italiana sembrava una barzelletta. Senza Eymerich, Havana Glam non sarebbe stato possibile.
FM: Ha qualche significato il fatto che questa gente stia o graviti intorno a Bologna?
WM: Boh? E' una cosa che mi chiedo. E' la città con più scrittori pro capite.
VE: La risposta che mi do io è che in questa città, che in sé è piuttosto conservatrice e niente affatto vivace nella sua anima, ci sono quattrocentomila abitanti e centomila studenti. Se fate il giro di questa strada (via del Pratello) troverete un'osteria ogni due porte, e chi è che le frequenta? Sono gli studenti, essenzialmente. Credo che l'Università, che è sempre stata un corpo un po' estraneo nella città, abbia contato molto nello sviluppare energie. Del resto, tantissimi abitano a Bologna ma magari non sono nati qua, ci hanno studiato e sono rimasti.
WM1: Poi c'è anche un altro motivo, che è quello di cui parla Lucarelli in Almost Blue: in realtà Bologna va da Modena a Rimini. Si dice Bologna, ma è come una grande area metropolitana con Bologna e la Riviera come due attrattori. C'è gente come Baldini, che vive a Ravenna ma viene messo tra gli scrittori di Bologna. Quindi in realtà è una dimensione anche più vasta. Un po' è il motivo che dice lui, che è una città che attrae persone che fanno l'Università, si fermano e da qui poi producono, e un po' è perché in realtà Bologna non è solo Bologna, è tutta una nube, una nebulosa che va da Modena al mare.