Cosa può saperne uno yanqui

Postfazione al libro di Patrick Symmes Sulle orme del Che. Un viaggio in moto alla ricerca del giovane Guevara,
trad. di Wu Ming 1, Einaudi Stile Libero, ottobre 2002

di Wu Ming 1


Una parte della sinistra italiana coltiva da tempo forti legami con Cuba e la sua rivoluzione: dalle Alpi alla Sicilia esistono associazioni culturali, progetti di cooperazione e lavoro volontario, agenzie di viaggi alternative e case editrici specializzate come la Achab di Verona. Inoltre l'Italia - ex aequo col Canada - è il paese che manda a Cuba il maggior numero di turisti.
Quanto affermato per Cuba vale un po' per tutta l'America latina: le influenze reciproche e le contaminazioni culturali tra la sinistra del nostro paese e quelle del Continente desaparecido risalgono addirittura a Garibaldi "eroe dei due mondi". Di questa relazione transatlantica si sono occupati molte volte giornalisti come Saverio Tutino, Gianni Minà o Italo Moretti.
L'Italia ha anche una lunga e feconda tradizione "guevarologica". Da più di trent'anni lo scrittore ed editore Roberto Massari dedica tempo ed energie alla divulgazione della storia e del pensiero di Ernesto Guevara. Nel Trentennale della morte Senza perdere la tenerezza, l'imprescindibile biografia scritta da Paco Ignacio Taibo II°, vinse il Premio Bancarella, ma  nelle librerie le opere sul Che vendono anche fuori dalle ricorrenze.
La mitologia sul Che è forte e tenace, pianta rampicante che s'avvinghia e s'insinua. Nonostante la mercificazione e la saturazione, l'icona tratta dalla celebre fotografia di Korda continua a spuntare nei cortei, sui muri, sulle magliette. La narrazione guevariana (vero e proprio "martirologio") continua a irradiare senso, a produrre cortocircuiti e bizzarre interferenze [1]. Proprio perché in Italia il Che è una presenza forte e viva, e la sua storia è molto conosciuta e raccontata, qualcuno si chiederà che bisogno c'era del libro di uno yanqui. Che può mai saperne costui?  La sua ricostruzione è imprecisa in diversi punti, su Cuba scrive cose grossolane... Poi è un libro di cinque anni fa, nel frattempo in Sudamerica è cambiato tutto, l'Argentina è crollata e con essa gran parte del continente, il neoliberismo giace sepolto sotto i grandi scandali finanziari, c'è la recessione planetaria etc. etc. Insomma, perché darsi la pena di tradurlo, pubblicarlo, discuterne?
In queste critiche c'è del vero, eppure i meriti del libro sono molti ed evidenti. Interessante contraddizione. Prima di porre l'accento su quel che c'è di buono, proviamo a sgombrare il campo dagli errori e dai clichés.

In effetti, il resoconto di Symmes sembra pervenirci da un'epoca lontanissima, prima di Seattle e di Porto Alegre, ma soprattutto prima del cacerolazo, dei piqueteros e del "¡Que se vayan todos!" [2] L'epoca in cui alla mondializzazione neoliberistica era ancora possibile concedere il beneficio del dubbio (anche "da sinistra") e c'era chi parlava in tutta serietà di "miracolo economico cileno" o "Argentina fiore all'occhiello del FMI". Ma è forse colpa dell'autore se, dall'epoca del suo viaggio sulla pista del Che, l'America latina è riesplosa come e più che negli anni dei focos guerriglieri?
Per quel che concerne gli episodi della vita di Guevara, è vero che Symmes riporta vecchie leggende, più volte sfatate, sulla "giustizia sommaria" comminata dal Che dopo la presa dell'Avana. A questo proposito Taibo II° scrive:

...risultano assolutamente irreali le versioni riferite dall'esilio cubano che [fanno diventare il Che] "il macellaio di La Cabaña", responsabile della maggior parte delle fucilazioni avvenute all'Avana. A La Cabaña operavano i Tribunali Rivoluzionari 1 e 2: il primo giudicava poliziotti e militari, e il secondo (che non comminò pene capitali) i civili [...] Il Che non fu membro di nessuno dei due tribunali, ma nella sua posizione di comandante della guarnigione esaminava le richieste di appello [3]

Non è nemmeno fondata l'idea che, nei suoi ultimi anni di vita, il Che avesse perso ogni senso dell'umorismo, trasformandosi in una sorta di Martire di Al Aqsa tutto fatalismo e tetraggine: al contrario, le biografie contengono numerosi aneddoti su scherzi e battute, anche nel profondo delle giungle congolesi e boliviane.
Ancora: Guevara capì benissimo che Fidel era stato costretto a rendere nota la sua lettera "d'addio", per porre fine alle calunnie e alla persistente disinformazione targata Cia (quest'ultima incoraggiava speculazioni sul "trotzkista" Guevara ucciso dallo "stalinista" Castro).
Rimando i lettori all'opera di Taibo (cap.60, Gli inafferrabili diari) anche per quel che riguarda la "censura" del Diario di Bolivia da parte del governo cubano, diceria che continua a circolare sfidando l'umano raziocinio.
Per quel che riguarda la situazione socio-politica cubana, è vero che la guida Lonely Planet/EDT curata da David Stanley contiene analisi più profonde e circostanziate, oltre all'elenco delle birre cubane in commercio (laddove Symmes scrive che "o ti fai la birra in casa o non bevi"). D'altro canto, Symmes descrive soprattutto la Cuba claustrofobica e immiserita del  Periodo Especial, all'indomani del distacco dall'URSS. Pur con tutti i limiti, la Cuba di oggigiorno è abbastanza diversa e chi scrive ha potuto constatarlo di persona. Poi, suvvìa, quelli di Symmes sono peccati veniali, al confronto delle sesquipedali calunnie distribuite da apposite agenzie di comunicazione statunitensi e riprese senza verifiche in tutto il nord del mondo.

Nel film Havana con Robert Redford (1990) un personaggio dice: "In Russia il comunismo è noioso, ma se lo porti ai tropici è... cha-cha-cha!". La battuta dice molto più di quel che sembra: l'edonismo e lo humour sono stati la "dissidenza" dei cubani, i comportamenti quotidiani hanno plasmato dal basso il modello economico-sociale impedendogli di diventare la mostruosa dittatura staliniana che piace descrivere ai male informati. Cuba non è la Corea del Nord e Castro non è Kim Il Sung, chi si attendesse deliranti manifestazioni di culto della personalità rimarrebbe deluso: sull'isola non ci sono busti né ritratti ufficiali dell'uomo che tutti chiamano semplicemente "Fidel".
Cuba non è nemmeno un qualsiasi paese dell'America centrale. C'è uno stato sociale. La sanità pubblica funziona bene, produce vaccini e li regala al resto del continente. Tutti i bambini vanno a scuola e l'istruzione è gratuita fino alla laurea (l'analfabetismo fu sconfitto già nei primi due anni di rivoluzione). C'è un'intensa vita artistica e culturale e i cubani sono lettori forti: da quando la carta è razionata, non è raro vederli in fila per ore pur di comprare uno dei pochi libri pubblicati, di qualunque libro si tratti. Dopo la rivoluzione, non sono mai esistiti squadroni della morte. Il codice penale non prevede condanne detentive superiori a vent'anni
[*] [...]
Certamente vi sono cose deprecabili: la pena di morte, l'ottusità burocratica, la censura nei confronti di Internet, le leggi che limitano i contatti tra cubani e stranieri etc. D'altra parte non va dimenticato che Cuba rimane sotto assedio economico e ideologico, e La Yuma è a sole novanta miglia. La Yuma [4] è come i cubani chiamano gli Usa, superpotenza che ha sostenuto le più sanguinarie dittature in America Latina, che sul fronte interno impone leggi liberticide e su quello esterno bombarda dove capita facendo stragi di civili e disastri ambientali, eppure continua ad aizzare il mondo contro quest'isola. Vecchie storie di pagliuzze e travi. Se esistesse una Champions' League delle violazioni dei diritti umani, Cuba sarebbe iscritta a forza al torneo e forse vincerebbe qualche partita, ma non avrebbe alcuna chance di arrivare in finale. La surclasserebbero molte nazioni "democratiche".

Sgombrato il campo, si può affermare che Sulle orme del Che - come molti reportages di Symmes apparsi su Outside e altre riviste - è una testimonianza preziosa. Discutibile, anzi discutenda, e nondimeno (o forse proprio per questo) preziosa.
Uno dei presunti punti deboli del libro ne è in realtà il punto di forza: la Belle Epoque del neoliberismo vi è descritta all'apice della sua retorica, ma dal punto di vista di chi già allora doveva accontentarsi di briciole (spesso letteralmente). Già nel 1997 la distinzione tra globalizzazione soft e hard sfumava fino a scomparire se vista dal Sud del mondo. Symmes, cittadino "di serie A" dell'impero, non viaggia né scrive col paraocchi, non ha paura di mostrarsi stupefatto: si cala nella miseria e nell'oppressione con autentico disagio da liberal, e mentre le fiamme risalgono la coda di paglia come fosse una miccia, capisce per quale motivo il mito del Che sopravviva ai quattro angoli del "cortile di casa". Nel frattempo, le madri dei carnefici sono sempre gravide. Per citare il Ferlinghetti di Notte messicana: "From which way will the fascists come this time, baby?"[5]
A dispetto delle notazioni ironiche e della facile e generica riprovazione per la "violenza", è ben evidente la crescente fascinazione di Patricio per il Che, per la cultura di sinistra latinoamericana e per gli esperimenti di autogestione e organizzazione dal basso. Sono sempre stato curioso di sapere con quali occhi gli statunitensi in buona fede e non completamente disinformati guardassero alle lotte e alle trasformazioni sociali che il loro governo si è tanto affannato a far reprimere. Questo libro e lo scanzonato immedesimarsi del suo autore col giovane Guevara forniscono una prima, parziale risposta.
La prosa di Symmes è brillante e a tratti commovente. Il libro ha pagine memorabili: la conversazione con David, il ragazzino della Penisola Valdés che non ha mai sentito uno straniero ruttare; la visita al carcere di Lima "autogestito" dai senderisti; l'acquazzone che disfa le alfombras di Ayacucho; la piccola processione di fedeli che scambia l'autore per il parroco; la torrenziale "lezione" di storia delle guerriglie latinoamericane impartita da Nestor Guevara a Cuzco; l'intero capitolo 13, con particolare riferimento all'ultimo paragrafo.   
Proprio quest'ultimo capitolo, che alterna incontri grotteschi a momenti di autentica commozione, ci illumina sull'utilità del viaggio di Patricio e del libro che lo racconta.
E' necessario ripartire da La Higuera, dove - come ha scritto il poeta Enrique Lihn - il Che "ha stabilito post mortem il proprio quartier generale", per scavare nel mito guevariano fino a toccare "il fondo di nuda roccia" che tuttora esiste sotto gli strati di retorica, langue du bois terzomondista e sovracodificazione simbolico-mercantile. Solo questo paziente lavoro ci consentirà di ri-aprire e re-investire il mito, giocandolo nella situazione presente, contro chi prepara la più grande e la più cruenta guerra tra poveri della storia, e al contempo di imparare dagli errori, di rimanere vigili e prevenire la sclerotizzazione e la perdita di senso dei miti che i movimenti vanno creando.  
Una decostruzione e rifondazione del mito guevariano sarà possibile solo moltiplicando i punti di vista obliqui, inattesi ed eterodossi come è quello di Patrick Symmes.
Dal canto mio, cerco di dare un piccolo contributo ai lavori: sono convinto che il Che più rivoluzionario, quello che più andrebbe indagato e rimesso in gioco, sia il ministro dell'industria e presidente della Banca centrale di Cuba, che si getta a capofitto nella pars construens della rivoluzione e per sei anni studia l'economia, inaugura fabbriche, cerca di quadrare mille cerchi, non avvalendosi mai del proprio "diritto alla stanchezza" e ingaggiando una tenzone donchisciottesca col nascente burocratismo. Sono centinaia gli aneddoti sulla partecipazione del Che alle campagne di lavoro volontario e sull'ossessiva ricerca del contatto diretto coi lavoratori. Il solito Taibo ne riporta uno emozionante:

Un minatore di nome Pablo stava lavorando a due chilometri di profondità con un trapano. Qualcuno gli toccò una spalla: era il Che, che gli porgeva la mano.
- No, comandante, è molto sporca.
Il Che lo abbraccia. Per il caldo, si è tolto la camicia, i pantaloni e gli stivali di gomma. Prende per le mani il trapano elettrico, chiede come funziona, lo usa per qualche minuto poi gli dice:
- E' sfibrante, non capisco come tu riesca a usare questo aggeggio, piccolo come sei.
Poi scompare nell'oscurità. Pablo non sa dire se tutto questo sia accaduto davvero.

Chiudo questa post-fazione con un breve commento alla dedica di Symmes: "Ai gusanos di tutto il mondo".
Questo termine dispregiativo era inizialmente rivolto agli esuli batistiani che da Miami organizzavano incursioni, scorribande e sabotaggi, nonché alle bande di contras che nei primi anni della rivoluzione terrorizzavano l'Escambray. In seguito l'epiteto fu inopinatamente esteso a chiunque non avesse portato il cervello all'ammasso e divenne uno dei tanti esempi della "lingua di legno" della burocrazia cubana. Symmes lo usa come sinonimo di dissidente.
Vorrei però tornare al significato originario, e ricordare a un mondo smemorato per cosa combattono i veri gusanos, questi "campioni di libertà" contro il dispotismo, gruppi armati come Coru, Alpha 66, Omega 7, Hermanos al Rescate... Lo fece già Fidel dopo il fallimento dell'invasione di Playa Girón - meglio nota come "Baia dei porci" - citando i risultati di un'inchiesta patrimoniale sulle famiglie dei contras arrestati: "Cercavano di recuperare 371.930 ettari di terra, 9666 immobili, settanta fabbriche, dieci zuccherifici, tre banche, cinque miniere e dodici night club".
E' questa la causa per cui si battono i gusanos. Per sottolineare che ne esistono di più degne, dedico i miei modesti sforzi (traduzione e post-fazione) a Gerardo Hernández, Antonio Guerrero, Ramón Labañino, Fernando González e  René González, cittadini cubani processati come spie e condannati a pene pesantissime da un tribunale di Miami. I cinque stavano indagando sui gruppi dell'estrema destra cubano-americana, per risalire ai responsabili di diversi attentati compiuti sull'isola, tra cui l'esplosione all'Hotel Copacabana dell'Avana, in cui rimase ucciso l'italiano Fabio Di Celmo (4 settembre 1997).
E' confortante sapere che anche nella Cuba di oggi, afflitta dai mali che il dottor Guevara cercò invano di prevenire, sopravvive qualcosa del suo spirito. A modo loro, nella giungla urbana di Miami, quei cinque uomini si muovevano lungo il solco tracciato trent'anni prima da quattro membri del comitato centrale, due sottosegretari e due alti funzionari. Costoro "lasciarono famiglia, auto, case e privilegi per andare con il Che in una giungla sconosciuta dove, ridotti a  scheletri vestiti di stracci, con le estremità infiammate dagli edemi provocati dalla fame, dovettero bere la propria urina per poter morire in piedi. Nessuno li costrinse, né c'era la televisione a raccoglierne le ultime impressioni." (Régis Debray).

WM1, luglio 2002



1. La dedizione al Che sfiora sovente la cristologia, il culto iconofilo ha un che di mistico e in almeno un'occasione è sembrato che il fantasma di Guevara ci scherzasse sopra, con un memorabile sberleffo ai baciapile d'ogni estrazione. Nel suo La città distratta (Einaudi, 2001) Antonio Pascale descrive un fenomeno di isteria superstiziosa e allucinazioni collettive, verificatosi a Casapulla (CE) nel maggio 2000: migliaia di beghine e paparazzi intasarono la statale Appia per vedere il volto di padrepìo misteriosamente apparso su un muro. Per parecchi giorni, intorno al volto si accumularono fiori ed ex-voto, le autorità cittadine visitarono il luogo, i giornali locali riempirono le pagine e gli "intellettuali" ne trassero importanti lezioni. Addirittura ci fu chi sul muro, accanto al volto, vide anche un crocifisso. Come andò a finire la faccenda lo racconta Pascale:
"[Il volto santo] c'era, ma fatto inquietante, sembrava quello di Che Guevara. Non ero solo io il blasfemo a sostenerlo, ma pure molte persone di chiare simpatie democristiane [...] Si è scoperto che il volto era effettivamente quello di Che Guevara. Siccome gli operai avevano intonacato male la parete dopo una pioggia, per via dell'umidità quel volto dipinto anni prima da un collettivo studentesco è tornato in superficie con i tratti distorti."

2. All'inizio dell'estate 2001 l'economia argentina - bolla di sapone tossico in discesa sopra un letto di fachiro - è scoppiata con fragore, rendendo esplicita - dopo il grottesco fiasco della cosiddetta "New Economy" - la crisi del neoliberismo. Nell'anno a seguire, il temuto "effetto domino" ha sconvolto il limitrofo Uruguay e, mentre scrivo, non accenna a fermarsi. All'orizzonte c'era e c'è tuttora una grande recessione mondiale.
Inaspettatamente (per chi non conosceva la realtà di quel paese), la società civile argentina ha reagito non solo con rabbia, ma con fierezza e fantasia. L'iniziale ondata di protesta che ha preso il nome dalla pratica del Cacerolazo (manifestare percuotendo tegami e stoviglie) ha smascherato una classe politica screditata, che cercava di cavarsela con qualche "rimpasto", "staffetta" o "inciucio". Dalle piazze, in coro, si è alzato un messaggio inequivocabile: "Che se ne vadano tutti!".
Che non si trattava di "antipolitica" o di "qualunquismo" lo hanno provato gli eventi dei mesi successivi: in un'Argentina impoverita e piena di senzatetto, con la disoccupazione ufficialmente al 16% ma in realtà anche più estesa, la popolazione ha dato avvio a estesi esperimenti di autorganizzazione sociale e autogestione: mentre scrivo, soprattutto Buenos Aires è in assemblea e mobilitazione permanente, "reti di mutuo soccorso" organizzano occupazioni di case quando non di interi isolati, anzi, di interi barrios, che poi si cerca di amministrare dal basso, tramite nuovi consigli di quartiere. La democrazia diretta riemerge da sotto le rovine dello stato postmoderno di polizia.
Nel frattempo proseguono le lotte e nascono nuovi movimenti, come quello dei disoccupati in lotta, i cosiddetti Piqueteros, che occupano in massa e bloccano per giorni le strade a grande scorrimento, montando tende e accampandosi sull'asfalto.
Spesso i Piqueteros subiscono una feroce repressione, come il 26 giugno 2002, quando l'accampamento sul ponte Puyrredon di Buenos Aires fu attaccato dalla polizia che uccise due militanti, Maxi Kostequi e Dario Santillan.

3. I brani di Paco Ignacio Taibo II citati sono tratti da Senza perdere la tenerezza: vita e morte di Ernesto Che Guevara, trad. it. di G. Maneri e S. Ossola, Il Saggiatore, Milano 1997.

4. Yuma è una cittadina dell'Arizona evocata in diversi film western e in particolare in Quel treno per Yuma  (1953, tratto da una novella di Elmore Leonard), che ebbe grande successo nella Cuba pre-castrista. Poiché il cinema western era visto - non a torto - come la quintessenza della mentalità norteamericana, per estensione "Yuma" arrivò a indicare gli Stati Uniti.

5. Ne è passata davvero tanta di acqua sotto i ponti da quando Kooky divorava chilometri sulla pista del Che. Ecco qualche aggiornamento: Il Perù ha spodestato Fujimori, che è scappato in Giappone ed è oggi imputato di genocidio per aver fatto sterilizzare trecentomila peruviani poveri. Alfredo Astiz, insieme ad altri quattro militari argentini, è stato condannato da un tribunale di Roma per aver sequestrato, torturato e fatto scomparire tre cittadini italiani. L'Argentina ha rifiutato l'estradizione. Lo stesso generale Pinochet ha dovuto dichiararsi incapace di intendere e di volere per non essere processato in Spagna e finire in prigione. Gli assassini dell'ex-ambasciatore e ministro cileno Orlando Letelier (cinque esponenti del Coru, gruppo armato dell'ultradestra cubano-americana), hanno trascorso un po' di tempo nelle prigioni USA poi sono stati graziati e rimessi in libertà. 

[*] Le pene detentive per il reato di cui all'art. 91 del c.p. ("Atti contro l' indipendenza o l' integritą territoriale dello Stato") vanno dai dieci ai vent' anni. Quelle relative all'art. 4.1 - 9.1 della Legge n. 88 "per la protezione dell' indipendenza nazionale e dell' economia di Cuba" vanno da un minimo di quattro anni a un massimo di venti. Cfr. http://www.italian.it/isf/rapportocuba9.htm, nota aggiunta nel luglio 2003. 


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