Un libro a quattro mani fra storia e fantasia | |
Q:
TORNA IL GRANDE ROMANZO STORICO
«Dov'è
Dio onnipresente? Il suo gregge è al macello.».
|
Ogni
tanto accade di ritrovare nella narrativa italiana un'opera che fa sperare;
"Q" è stato, in questo senso, una sorpresa graditissima, almeno
per quattro motivi: è un'opera ben costruita e ben scritta; segna
il ritorno, con modalità nuove e intriganti, di un genere che si
temeva perduto (il romanzo storico); dimostra come si possa scrivere un'opera
impegnata dal punto di vista del giudizio storico-etico, senza cadere nei
moralismi; produce un ritorno del "religioso" secondo una dinamica finalmente
non new age.
Ma
andiamo con ordine.
Un'opera
ben scritta e ben costruita
La
vicenda che fa da sfondo a "Q" non è semplicissima: il romanzo è
opera erudita, ma che trasforma l'erudizione in intrigo: siamo nel XVI
secolo, quando uno studente di teologia sceglie di combattere al fianco
di coloro che contestano la Chiesa del tempo, sulle orme di Lutero e delle
rivolte contadine. Questo giovane "eroe" si ritrova, man mano, a lottare
accanto a Thomas Muentzer, agli anabattisti della Westfalia, a comunità
"angeliche", a diffusori del verbo eretico. E da ciascuna di queste lotte
contro il potere costituito, che ora prende la forma del papato, ora dei
principi e vescovi tedeschi, ora dei grandi banchieri, ora delle varie
inquisizioni, l'eroe vive di un'unica continuità: la sconfitta.
Il
protagonista del romanzo è lo sconfitto eterno, assoluto, ma indomabile.
La battaglia, perduta ogni volta e su ogni campo, va ripresa, riproposta,
è impossibile abbandonarla. Perché c'è un fine, nella
varietà delle sfide, unico: chi è il traditore che si annida
ogni volta fra le truppe degli eretici e dei poveri, che ogni volta le
riconsegna alla disfatta e che, infine, scompare ogni volta come un fantasma?
"Q",
la lettera che dà il titolo al romanzo, è la sigla con cui
questo fantasma firma le proprie missive dirette a Carafa, il potente cardinale
romano che, di tutto, regge le fila. La sfida per la difesa o la sconfitta
della fede cattolica, si sovrappone alla sfida tra lo studente e Q stesso:
essi devono incontrarsi e decidere, infine, della loro sorte. Solo uno
dei due perirà: non c'è spazio per una diversa soluzione.
Ma, in verità, la soluzione sarà sorprendente. Non la anticipiamo,
qui, lasciando che la curiosità spinga a incontrare quest'opera.
Come
si vede, c'è tutto quanto serve per attrarre e affascinare: battaglie,
disquisizioni teologiche, inganni, tradimenti. I due protagonisti del romanzo,
entrambi senza nome (poiché, per necessità, ne devono aver
molti), incarnano lo scontro modernissimo tra un potere che deve mantenersi
stabile (pur destabilizzando) e una ribellione senza speranza (che vive
di speranza).
Un
romanzo storico per l'uomo d'oggi L'ultima
grande narratrice del mondo rinascimentale fu Maria Bellonci: la sua sublime
capacità di scrittura non potè nulla, però, di fronte
al grande pubblico; classica, profondissima nell'analisi, sembra ai più
"antica". Gli
autori di "Q", che si celano dietro allo pseudonimo di Luther Blissett,
hanno ridato freschezza alla narrazione romanzesca inserita nel contesto
storico: benché straordinariamente erudito, il romanzo di cui qui
si parla, gode di una freschezza continua, prodotta dalla scelta di un
fraseggio breve, acuto e dirompente. La lezione di Manzoni si incontra
con quella di Stephen King, proponendo un risultato che speriamo sia destinato
a fare scuola. L'esordio del Primo capitolo è, in questo senso,
tipico: «Quasi alla cieca. Quello che devo fare. Urla nelle orecchie
già sfondate dai cannoni, corpi che mi urtano. Polvere di sangue
e sudore chiude la gola, la tosse mi squarcia. Elias è dietro di
me. Si fa largo tra la folla, enorme. Porta sulle spalle Magister Thomas,
inerte. Dov'è Dio onnipresente? Il suo gregge è al macello.». Da
questo punto si snoda la tragedia di Muentzer, colui che aveva dato speranza
alle miriadi di oppressi che abitavano il contado tedesco e dell'Europa
tutta. Sullo sfondo dell'intreccio che vede protagonisti lo studente e
la spia, ci appare il devastato mondo che vide la Riforma luterana ergersi
prepotente di fronte al Papato. La storia prende vita, diviene la nostra
stessa storia: noi siamo quello studente, noi siamo il suo nemico, dentro
la storia. Un
duro giudizio etico Nessuno,
nel romanzo, è innocente: «l'innocenza del mondo è
stata sepolta», afferma subito, fin dalla prima pagina, il protagonista;
e sa perfettamente che, con quella del mondo, fu sepolta anche la sua stessa
innocenza. Lo studente-guerriero non è senza macchia e paura: è
un uomo disilluso come lo sono i nostri contemporanei, come lo siamo noi,
di fronte al continuo fallire della speranza: egli giunge a sapere, persino,
che la sua stessa lotta non ha alcun senso, che le cose del mondo non mutano. Gli
autori ci hanno fatto grazia, in questo romanzo, dall'offrirci quella separazione
tra bene e male che non è mai figliata dalla realtà: Gert
dal Pozzo (uno dei tanti nomi del protagonista) non possiede una morale
chiara; ma, nella propria confusione, egli è infelice giudice del
male tremendo che abita mondo e storia: la sconfitta dei poveri. E,
anche in questo caso, non perché i poveri siano migliori dei loro
padroni: sono altrettanto gretti, sensuali, violenti, incapaci di vivere
nella verità, di non autoingannarsi, di governarsi. E proprio questo
loro carattere dimostra l'assioma e la tragedia: da un lato occorre aggredire
il male; dall'altro occorre farlo senza l'illusione di redimere il mondo. Gert
continua a lottare, immerso in questa sfida che è la vera sfida
etica di ciascun uomo, in ogni tempo: lottare per il bene, pur sapendo
che quel bene è più grande di noi e che, nel mondo, saremo
sconfitti. La
sconfitta, è il tema di questo romanzo, non vale come scusa per
chi smette di lottare. Lutero non è migliore del Papa, ma la libertà
dello spirito umano rimane una pretesa, l'unica altissima pretesa: «A
vent'anni credevo che Lutero ci avesse regalato una speranza. Una visione
del genere serve per vincere una battaglia giusta, ma non basta per realizzare
la libertà dello spirito. Al contrario, può costruire nuove
prigioni dell'anima, nuovi ricattimorali,
nuovi tribunali.».
Una
lettura della religione dello spirito, fuori dalla new age
Si
è parlato molto, negli anni che ci hanno accompagnato nel terzo
millennio, di vita spirituale, di riscoperta dello spirito. Si è
coniato il termine di new age per indicare complessivamente i contenuti
di queste dinamiche religiose che hanno fatto miriadi di seguaci entusiasti.
Ma si è scordata la storia. La storia faceva male e la si è
accantonata, per inoltrarsi in un mondo interiore senza sbocco: solitario
di fronte a un Dio che se non è solitario si rivela inesistente.
In
"Q" ritroviamo finalmente una ripresa della tematica religiosa che affronta
uno dei grandi bivi della storia: la Riforma protestante e la Resistenza
e Riforma cattolica. In questo scontro, in questa analisi, si può
percepire anche la pretesa di chi non sfugge, attraverso una malgestita
interiorità, dal giudizio del mondo e del tempo: «Il
Piano. Quello a cui Carafa sta lavorando da tutta la vita. Imporre un ordine
al mondo. Concedere alla Chiesa di Pietro di rimanere l'arbitro indiscusso
del destino degli uomini e dei popoli. Più d'ogni altro Carafa ha
capito su cosa si fonda un potere millenario. Un messaggio semplice: il
timore di Dio. Lutero è stato il suo più acerrimo nemico
e il suo migliore alleato. Mizquez non si trattiene più: - . che
ne sarà di noi? / Lo stesso tono calmo: - Sarete sacrificati. /Lo
guardo negli occhi: - Alla maggior gloria di Dio».
In
questa durissima reprimenda della fede adoperata come potere, sta anche
la domanda che un romanzo laico come "Q" pone al credente di oggi; si può
riproporre una fede che stia nel valico proprio: non spiritualismo e non
servitù dei piani del potere? Il grande assente, in tutta le religiosissima
lotta che pervade le pagine di questo romanzo, è Gesù Cristo:
Spirito nella storia. Non sembri un paradosso.
Natale
Benazzi
|