Diario della settimana, da venerdì 15 a giovedì 22 dicembre 2000

ASCE DI GUERRA
di Vitaliano Ravagli e Wu Ming
Tropea, pp. 376, 29.000 lire

 Avanti, sempre avanti
Un'Odissea nel secolo appena trascorso

di Sergio Pent

  Luther Blisset diventa Wu Ming - in cinese mandarino "senza nome" - ma la sostanza non cambia. I passaggi segreti della storia - l'Europa fiammeggiante ed eretica di Q – sembrano trovare, in questo collettivo di agguerriti conoscitori delle tecniche narrative, una completezza formale di livello elevato. Un documentatissimo saggio sulle colpe della Chiesa o sui maneggi politici del dopoguerra scatenerebbe un vespaio di polemiche all'odore di coda bruciata. Chissà perché Q è stato salutato come robusto romanzo storico d'azione - un western tecnologico, dice qualcuno, - mentre questo Asce di Guerra – di una cruda bellezza ipertestuale, tra romanzo d'appendice e "sconfessioni" planetarie - rischia di passare come un ingarbugliato intreccio di nostalgiche - seppure dolorose - rimembranze. Invece occorrerebbe riflettere su temi e contenuti di questa parabola crudele di un secolo appena defunto, dove ogni libertà è stata ampiamente strappata col sangue, dove comunque la finzione si è rivelata spesso arma vincente del gran mare del voltagabbana. Dove chi ha patito continua a bestemmiare dopo aver sputato sangue e rabbia, mentre facce sorridenti promettono nuovi eden e la fame torna a bussare, non con le tessere annonarie ma coi volti di un mondo dalla pelle diversa.
L'intento narrativo dei magnifici "senza nome" suona più che mai come un monito, perché è sostanzialmente questo il compito della narrativa "sociale", o votata ad un nuovo realismo letterario; questa volta la loro vocazione all'onnipotenza del tessuto narrativo si è avvalsa di una testimonianza reale, concreta, che più voracemente umana non si può: Vitaliano Ravagli è l'uomo del mistero, colui che il giovane protagonista Daniele Zani cerca nei suoi vagabondaggi memoriali sulle piste di un mitico nonno, il partigiano Soviet.

In un panorama emiliano tra mare e colline l'avvocato Zani cerca conferme sul passato del prode nonno che, accusato di un delitto non commesso, torna al paese, nel 1949, dopo un anno di latitanza e massacra di botte un trucido carabiniere. La pista di Zani incontra tutte le rotte chiarificatorie degli orgogliosi acciacchi di vecchi ex partigiani della zona, da Mirco a Fatòr, da Ming a Drago, che ricostruiscono la storia di quegli anni. Vendette private seguite alla fine del conflitto, fucilazioni di massa, epurazioni, fino al paradosso più eclatante: la fuga nei paesi dell'Est dei partigiani comunisti, accusati di eversione delle regole legali, con conseguente ripresa dei posti di comando da parte di quanti non uscirono mai dalle vecchie convinzioni fasciste.

In questo discutibile panorama emerge la figura fantomatica di un oscuro combattente romagnolo che avrebbe militato nel Laos tra le truppe comuniste pur di non sottomettersi al servizio di leva. Storie parallele che accompagnano Zani alla piccola verità ritrovata sotto il letamaio della Storia che i libri non raccontano: l'odissea di Vitaliano bambino ma già coi calli sull'anima nelle penurie della guerra, e il percorso politico che dal conflitto indocinese porterà negli anni alla guerra del Vietnam. Uno storico accorto potrebbe ricavare un pezzo da prima pagina solo da questa ricostruzione documentaria. Non sappiamo quali - e quanti - romanzi abbiamo letto con Asce di Guerra, ma proviamo a trarne le conclusioni: l'intento di Wu Ming è creare scompiglio nel placido stagno delle certezze storiche di comodo, e questo è un punto di doverosa riflessione; la storia di Vitaliano - che oggi vive a Imola - è un monito per queste nuove generazioni che "vanno in crisi per una gomma forata" o per la mancanza di soldi da spendere in discoteca. Non è più tempo di moniti, si dirà storcendo il nasino, ma solo perché a nessuno fa comodo creare disagi in una gioventù disarmata nel suo benessere.

E poi c'è tutto il resto, il nostro passato, gli errori, le vittime destinate a restare tali nell'oblio, e non basterebbero altre righe di consenso per annodare tutti i fili umanamente determinanti di questo libro. Un libro che fa sapere dove possono condurre i sentieri dell'odio, quelli che segnano la giovane età di Vitaliano.

Romanzo esemplare e godibile, in cui sentiamo rabbia, ma anche volontà di non arrendersi. Fermarsi significa cedere all'ingiustizia: ancora oggi Vitaliano teme che chi si impadronì del suo passato possa impossessarsi del futuro dei suoi figli.

Così non molla, e mormora - "avanti, sì, dio boia, avanti".


Asce di guerra
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