Facciamo un po' di coccole a Dom?

Su Il domenicale - settimanale di (c)ultura [sic] fondato da Marcello Dell'Utri and the likes - di sabato 9 agosto 2003, la metà superiore di pag. 5 è interamente dedicata a una recensione anonima di Giap!, firmata "Wu Ming" e abborracciata in forma di una completa abiura da parte nostra del libro e di tutto il nostro percorso. Ah, l'ironia, la satira! Il titolo è "Wu Ming scrive al Dom per fare ammenda". Ah, i nomignoli, che tenerezza, soprattutto quando ce li si auto-attribuisce...
Nulla sapevamo di quest'operazione semiotica, ignari anche dell'esistenza di siffatto giornale, ma abbiamo ricevuto alcune mail di persone che ci chiedevano:
1) se eravamo davvero noi "i Wu Ming del mea culpa sul Domenicale" (ah, la sottigliezza!);
2) se a nostro avviso ci fossero gli estremi per una querela per calunnia o una causa civile per danni morali (ah, l'ideologia giudiziaria!);
3) se i signori del suddetto Dom si erano accorti che "in realtà", fingendo di collaborare, li avevamo presi per i fondelli, affettando un'autocritica del tutto inverosimile, condendola di tutte le più trite falsità e i più rabbiosi luoghi comuni sui movimenti, auto-attribuendoci cose che non avevamo mai scritto e posizioni che non avevamo mai sostenuto, e da cui anzi avevamo preso le distanze (l'antiamericanismo superficiale, ad esempio, alla cui critica avevamo dedicato una conferenza a Bologna). Ah, la guerriglia!;
Rispondiamo qui, nell'ordine:
1/3) che ci crediate o no, hanno fatto tutto da soli, eroicamente maldestri come un masochista che si scudiscia da sé;
2) anche se gli estremi ci fossero (e potrebbero pure esserci, specialmente dove si sostiene che avremmo "simpatizzato" per Bin Laden, Saddam, Hamas e consimili gruppi e singoli creati e foraggiati da CIA e affini) ci penseremmo ben bene prima di sporgere denuncia per cose del genere.
Comunque, abbiamo deciso di dare noi visibilità mediatica a un testo altrimenti condannato all'oblio (nella più grande edicola della nostra città il Dom non davano segno di averlo mai sentito menzionare, in quella più centrale l'edicolante ha ammesso che eravamo i primi a chiederlo dacché esisteva). Lo diffondiamo noi, per almeno tre motivi:
1) per cogliere l'occasione, e spiegare alle raffinate menti pronte a cascarci che quella filippica non è roba nostra (pur sapendo che, anche così, la vedremo comunque incorporata nelle future recriminatorie anti-Wu Ming: "hanno addirittura scritto sul giornale di Dell'Utri!");
2) chi dice che il nostro lavorare con l'Einaudi farebbe di noi dei "berlusconiani in nuce" o "in pectore" (ah, il latinorum!) può vedere con quanta foga e sperpero di energie mentali i berluschi veri abbiano deciso di attaccarci;
3) questo piccolo articolo miserello, questa parodia abortita per troppa fotta di buttare fuoco, queste ottomila battute disperate e disinformate ("i vietnamiti stritolati dai khmer rossi"!) che sembrano implorare un poco di affetto e di attenzione, sono forse la migliore recensione di un nostro libro dacché siamo in attività. Meritano affetto e attenzione. Abbiamo già spedito un compagno dal vetraio di via Massarenti, per appenderne l'ingrandimento in A3 sulla parete più in vista del nostro ufficio.
Quanto all'estensore dell'articolo, gli esprimiamo la nostra solidarietà (umana, non essendo possibile quella politica). Speriamo che il premier si ricordi anche di lui nell'ora dei suicidi e della precipitosa fuga alle Bermude. Dovesse non rammentarsi e lasciarlo a terra, sappia il tapino che presso di noi potrà sempre trovare una scodella di minestra calda... e qualche goccia di Xanax.

(Wu Ming, 11 agosto 2003)

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Wu Ming scrive al Dom per fare ammenda
Ci siamo letti, ci siamo riletti e poi rimasticati: ci siamo stancati di noi stessi e della nostra demagogia

Ma quanto ci siamo rotti le palle, noi stessi di noi stessi, tanto che, rimuginando, rileggendoci, rimasticandoci, nella raccolta dei nostri articoli e interventi e chiose mandati a www.wumingfoundation.com e ora pubblicata da Einaudi, e intitolata Giap! (pp.302, EURO 8,50), in onore al generale Vo Nguyen Giap, noi abbiamo studiato, ci siamo documentati, e abbiamo capito. Meglio tardi che mai. Per esempio, che questo generale da noi santificato, più che "uno spauracchio per le centrali imperialistiche dell'Occidente" è stato molto peggio, bisogna avere il coraggio di dirlo per i vietnamiti che sono rimasti lì, stritolati dai khmer rossi. Siamo stati in Irak, abbiamo parlato con gli irakeni, ce ne siamo sbattuti per un momento della nostra ideologia e della "moltitudine" e degli altri maquillage marxisti elaborati da intellettualini azzimati e flosci come Paolo Virno.
Mentre noi cercavamo d'infiltrarci nei gangli del capitalismo, il capitalismo si è infiltrato in noi, e ci ha fatto riflettere. In Irak abbiamo visto le camere di tortura, gli eletrodi e le celle sottoterra, siamo stati pure in Iran, già che c'eravamo, e abbiamo conversato e discusso con gli studenti oppressi, ci siamo resi conto del nostro opportunismo, del nostro egoismo, della nostra cecità faziosa e - possiamo dirlo? - in fondo in fondo, fascista. Prima all'Irak non avevamo mai pensato, prima che ci pensassero gli Stati Uniti, per fortuna ci sono loro a tirare fuori i soldi per l'Africa, come adesso ce ne stavamo sbattendo dell'Iran e del popolo iraniano, degli iraniani e di tutti i popoli oppressi, oppressi davvero e non certo per colpa dell'Impero, casomai per colpa nostra e del nostro narcisismo infantile.


Noi giovani pasciuti in crisi d'identità

Ci piaceva Gianni Minà quando paragonava Cuba agli Stati Uniti, poi ci siamo resi conto che il nostro, qui in Italia, è uno zapatismo coglione, e ci vuole coraggio per ammetterselo, per fare autocritica, almeno questo riconoscetecelo, siamo ancora giovani e qualcosina abbiamo studiato, non vogliamo invecchiare e rimbecillire così presto, non vogliamo diventare Giulietto Chiesa o Giorgio Bocca, non vogliamo diventare Giuseppe Genna che ora le stronzatine no-global se le beve tutte, da Destra e da Sinistra; noi ci siamo guardati allo specchio e abbiamo capito, noi con Emiliano Zapata non c'entriamo niente, e tanto meno con il razzismo nero di Malcom [sic] X, più feroce e razzista di quello dei razzisti bianchi. Tantomeno con Elias [sic] Gonzales o con il "subcomandante", da noi indossato come un vestito di carnevale perché da bambini ci piaceva giocare ai banditi, altro che mitopoiesi della moltitudine, noi giovani pasciuti in crisi d'identità.
Ma quale sub, ma quale comandante, noi siamo (anzi siamo stati, perché stiamo facendo ammenda pubblica) il prodotto più deteriore del capitalismo, l'avanspettacolo delle retroguardie confezionate, la versione colta, si fa per dire, di Jovanotti, furbi come lui, ciechi come lui, ruffiani come lui, commerciali come lui.
Noi abbiamo scritto, in questo libretto orrendo e demagogico che adesso ripudiamo, noi con questo nome falsamente anonimo, abbiamo scritto che "l'Italia è il Sudamerica d'Europa", poi siamo andati in Sudamerica e ci siamo resi conto di dove viviamo, noi italiani, con le nostre macchine, i nostri agi, la nostra libertà, la nostra e di tutti quanti, noi e Beppe Grillo e i suoi cazzo di spazzolini riciclati. Noi, Wu Ming, noi, Tute Bianche, con Internet che ci piace tanto, neanche l'avessimo inventata noi e non il capitalismo, non l'America, dove abbiamo impiantato Indymedia perchè lì nessuno ce la tocca, grazie al Primo Emendamento, noi con i nostri romanzi e i nostri bollini SIAE, noi prefiche scontente, e tutto sommati vigliacchi, figli annoiati di una democrazia vera che ci tollera, che ci fa giocare con i passamontagna, con le tecniche di guerriglia urbana dove non c'è rischio, tanto non c'è nessuno che ci sfiori o ci torca un capello, dove al massimo mandano due telecamere a riprenderci, anzi le concordiamo noi, travestiti da guerriglieri, da rivoluzionari, noi con il nostro nomignolo cinese collettivo, noi e quel teatrane di Luca Casarini, mentre altrove, in altri paesi, bisogna pur dirlo, in quei paesi di cui troppo tempo abbiamo sventolato bandiere e vessilli, e sapete quanto ci costi dirlo; mentre altrove, dicevamo, esseri umani, cittadini come noi ma non viziati come noi, cittadini non liberi sotto regimi veri vengono presi e incarcerati e condannati a morte o peggio fucilati senza se e senza ma, solo per aver scritto un Tazebao su un muro, solo per essere dissidenti, anche solo un tantino dissidenti, anche solo un tantino omosessuali.


Mentre noi ci trastullavamo beati...

Quando noi, e leggete il nostro libro per disprezzarci civilmente, quando stavamo qui al calduccio a parlare delle "mattanze del 2001", rendendo Carlo Giuliani un martire pur con un estintore sollevato sulla testa di un carabiniere, e denunciando ipocritamente il tentativo di spazzarci via "manu militari" perché volevamo essere liberi di sfasciare le vetrine di negozi che tanto mica erano nostri, e parlare di Quinto Reich, "intruppamento ideologico da Quinto Reich", così scrivevamo, per dire dell'Occidente e degli Stati Uniti e della lotta al terrorismo; noi, insomma, non abbiamo speso una parola, non una misera parola sull'11 settembre, sulle vittime di quell'attentato folle, sull'ideologia nazista, intollerante, degli sceicchi antioccidentali dell'integralismo islamico, anzi, abbiamo simpatizzato e disinformato. Osama e Saddam ci sembravano vittime, per non dire amici.
Per non dire di Hamas e di quelle altre sigle che ci piacevano tanto, ora abbiamo compiuto lo sforzo di un esame di coscienza come neppure Renato Serra, neppure Louis-Ferdinand Céline, neppure Oscar Wilde, e abbiamo capito che quelli lì, se andassero al potere, se fossero loro a rappresentare i palestinesi, cosa sarebbe dei palestinesi, delle donne, degli omosessuali, cosa sarebbe della libertà, quella libertà che a noi consente tutto, anche di giocare alla guerra.
Mentre noi, ecco, ci trastullavamo con la disinformazione, con la "comunicazione-guerriglia" per combattere il sistema e per passare il tempo, all'improvviso abbiamo udito i lamenti e le urla, la carne dolente di chi o mangia la minestra o salta dalla finestra, e purtroppo tanti, tanti con più fegato e coglioni di noi provano, hanno provato a saltarla, quella finestra, rischiando sulla loro pelle, rischiando sul serio la vita o la morte. Mica come noi.


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