Dossier sulla
presentazione di AdG a Lecce, 28 dicembre 2000.
Un’intervista
e due cronache della serata, che abbiamo dedicato a Jason Robards, R.I.P.,
morto il giorno prima, immortale nei panni di Cheyenne in C’era una volta il
West di Leone e di Cable Hogue in La ballata di Cable Hogue di
Peckinpah.
Va
precisato che, solitamente, anche le interviste e dichiarazioni rilasciate da
un solo membro vengono “siglate” dall’intera Wu Ming. Il fatto di infilare un
nome anagrafico nel sottotitolo è un’iniziativa del cronista.
La cronaca
di Lecce Sera è un po’ sbavata e zeppa di pleonasmi, ma rende l’idea
dell’atmosfera e dello svolgimento. Quella del supplemento locale del Corsera
viene riportata a ennesima riprova dell’arrogante superficialità (oltre all’incapacità
di usare il registro del sarcasmo senza sembrare livorosi) di molti italici
cronisti pseudo-culturali. Qualunque
sporadico riferimento a cose che abbiamo effettivamente affermato
durante la presentazione è del tutto casuale.
Dal Quotidiano di Lecce, sabato 30 dicembre
2000:
Incontro a Lecce con Roberto
Bui, uno degli autori celati dietro le firme di Luther Blissett e Wu Ming
di Giorgio Barba
Giovedì scorso è venuto a Lecce per presentare
l’ultimo libro della “ditta”, e cioè di quel piccolo gruppo di scrittori che,
lavorando in squadra, hanno creato un singolare laboratorio letterario in
grado, oltreché di sperimentare, di sfornare degli autentici best sellers.
Lui è Roberto Bui, il libro in questione (presentato
alla Focus del centro Pignatelli) è “Asce di guerra”; la firma-marchio è Wu
Ming, che ha appena sostituito quella – mitica – di Luther Blissett,
fantomatico autore di “Q”.
A celarsi dietro questi pseudonimi di sicuro effetto
sono Giovanni Cattabriga, Luca Di Meo, Federico Guglielmi e lostesso Roberto
Bui che per la loro ultima fatica hanno coinvolto un quinto autore, Riccardo
Pedrini, e un coautore, Vitaliano Ravagli, sessantaseienne imolese, il
“vietcong romagnolo” protagonista appunto di “Asce di guerra” (Marco Tropea
editore), un romanzo che in soli dieci giorni [in realtà dieci
settimane, N.d.R.] ha visto andare in
esaurimento la prima tiratura di 15mila copie. Arma segreta, ma non tanto, di
questa “banda letteraria”, l’uso di Internet che, specialmente all’inizio di
questo esperimento, ha permesso collaborazioni a distanza e apporti di illustri
sconosciuti. Fra gli obiettivi del gruppo anche l’abbattimento del copyright,
un “sistema” che, così com’è, fa a pugni con le nuove tecnologie.
“Volete sapere come definire Wu Ming? – dice Bui –
Come un’officina di produzione letteraria, in cui gli autori, costituiti in una
società a responsabilità limitata, si considerano un’azienda la cui ragione sociale
è quella di ’narrare’, ma con un’impronta fortemente radicale e politica”.
Perché avete abbandonato il nome Luther Blissett che vi ha dato notevole risonanza mediatica?
“Il Luther Blissett Project era un esperimento che
doveva terminare entro il 2000 [in realtà prima del 2000, N.d.R.]. Un progetto di portata mondiale, che solo in Italia
ha visto la partecipazione di centinaia di persone. Q, invece, l’abbiao scritto
soltanto noi quattro. Gli autori di Q, poi, con Riccardo Pedrini, sono
diventati Wu Ming”.
Ma c’è una linea di continuità tra il vostro primo
libro, “Net Generation” [sé, buonasera! J
N.d.R.], e poi “Q” e “Asce di
guerra”?
“Net Generation ha una storia a parte ed è nato da
una beffa organizzata con il montaggio di diversi temi scolastici sulle nuove
tecnologie. Tra Q, scritto dal Luther Blissett Project, e Asce di guerra,
invece c’è una specie di continuità, in quanto si tratta di un esperimento
sulla creazione di miti. Il nostro modo di fare letteratura, infatti, è quello
di lavorare con il mito popolare, cercando di capire come possa diventare mito
di Stato. Stavolta l’abbiamo fatto con la Resistenza.”
Ma come spiega il successo di queste operazioni?
“Il successo di un libro non può basarsi solo su una
strategia di marketing [in realtà “di un libro come Q”; libri come Seta
o Va’ dove ti porta il cuore dimostrano che in certi casi il marketing
sostituisce in toto la scrittura e la narrazione N.d.R.]. Q è un romanzo che sta in piedi con le proprie
gambe, al di là della reputazione conseguita dal personaggio virtuale Luther
Blissett. Abbiamo impiegato tre anni a scrivere Q e senza un impegno ponderoso
la pubblicità non sarebbe bastata. Per Q, comunque, abbiamo fatto circa
cinquanta presentazioni in giro per l’Italia. E per Asce di guerra siamo già
alla sedicesima presentazione in due mesi”.
E’ stato importante per la vostra affermazione lo pseudonimo Luther Blissett?
“Non basta avere una griffe. Noi, come si può
constatare, l’abbiamo cambiata con Wu Ming. Un’operazione spiazzante, certo, ma
ci piace scommettere, azzardare”.
L’accostamento di Luther Blissett a Umberto Eco vi ha
spianato la strada?
“In realtà questa è una leggenda. Q non ha nulla a
che vedere con Il nome della rosa, né dal punto di vista dell’ambientazione
storica, né per quanto concerne l’impianto formale, né per quel che riguarda lo
stile. Non siamo mai stati influenzati da Eco.”
Qual è stato il ruolo di Internet?
“Internet è importantissima. Il passaparola dei
lettori nei gruppi di discussione e nelle mailing list è stato il fattore
determinante della diffusione del libro. Internet è una dimensione che permette
di scavalcare la figura del recensore e dell’ufficio stampa per stabilire un
contatto diretto tra i lettori e tra i lettori e gli autori. Per avere un filo
diretto con il nostro pubblico curiamo un bollettino telematico (Giap nel sito http://www.wumingfoundation.com/.
§ § §
Da Lecce Sera, venerdì 29 – sabato 30 dicembre
2000:
“La scrittura è sempre collettiva. L’autore non
scrive mai da solo”. Dopo Q un altro caso letterario e migliaia di copie
vendute.
Parole chiave: laboratorio letterario, scrittura
collettiva, produzione di “mito”, azione di carattere estetico e/o militante,
identità provvisorie, frattale. Modi chiave: repubblica democratica dei
lettori, uso astuto e intelligente dei mass media, tecnologia. Un tempo Luther
Blissett, ora Wu Ming, espressione incinese mandarino per dire “nessun nome”.
Un tempo Q, “western teologico” che un dispettoso Titivillus ha fatto divenire,
nel risvolto di copertina dell’ultimo romanzo, “tecnologico”. Adesso “Asce di
guerra”, ovvero “scavare nel cuore oscuro di vicende dimenticate o mai raccontate
è un oltraggio al presente. Un atto spregiudicato e volontario”. E ancora, “la
retorica degli alzabandiera e la mitologia istituzionale offrono una versione
postuma e lineare della storia. Ma la linearità e l’agiografia non servono a
capire le cose. Le frasi fatte e le formule ripetute dai pulpiti coprono la
rabbia, lo sporco e la dinamite, consegando al presente quello che chiede. Le
storie non sono che asce di guerra da disseppellire”.
Villa Frisari, ieri, giovedì 28 dicembre. In una sala
insolitamente affollata di pubblico giovane e giovanissimo, per gli Incontri
con l’autore promossi da Focus e Libreria Palmieri, Roberto Bui e Federico
Guglielmi parlano di loro, del progetto Wu Ming, del loro ultimo libro, di
Vitaliano Ravagli (giurando che è vivo – chissà se lotta insieme a noi – e non
è un’invenzione letteraria) e dei progetti futuri. Q era stata una scrittura
collettiva a otto mani, Asce di guerra lo è stata praticamente a dieci, Bui,
Guglielmi, Giovanni Cattabriga e Luca di Meo più Ravagli, protagonista della
vicenda e per buona parte della storia voce narrante, cui si è aggiunto in
corso d’opera Riccardo Pedrini.
Q affondava nella storia remota (divenendo ben presto
un caso letterario, vendendo oltre sessantamila copie, ora in corso di traduzione
in diversi paesi), Asce di guerra viceversa guarda a qualcosa di molto
vicino, e paradossalmente molto lontano. Cosa ci fa un romagnolo in Laos, a
combattere? Di Vitaliano Ravagli, il protagonista della vicenda, i Wu Ming
apprendono l’esistenza una sera a casa di Carlo Lucarelli, racconta Federico
Guglielmi. E’ lui a dirgli “conosco qualcuno che vi può interessare”. La storia
che Ravagli inizia a raccontare è storia sconosciuta, seppellita nelle pieghe
di vicende altrettanto ignote e sconosciute. Una storia mai raccontata. “Il
Vietnam, Ho Chi Minh, la guerra, è quello che la mitografia cinematografica
hollywoodiana ha raccontato in molte salse”. E’ Guglielmi a raccontare Ravagli,
una infanzia poverissima, una scelta politica forse ineludibile, forse obbligata,
sicuramente difficile, quella di arrularsi in una sorta di brigata
internazionale nel 1956, approdando, lungo canali clandestini, in Laos, dove
rimane per diversi mesi. Cosa ci fa un romagnolo in Laos? Asce di guerra,
ovvero il disseppellimento delle storie, lo racconta. Il Laos, questo paese
sconosciuto, retto da una dinastia, cuscinetto politico e territoriale tra
Vietnam del Nord e Vietnam del Sud, costone montuoso lungo cui viaggiano gli
aiuti che Ho Chi Minh dal Vietnam del Nord fa giungere ai vietcong. Come ci è
arrivato un romagnolo in Laos? Di certo non con un aereo militare. Cosa ci fa?
Scorta i convogli, Mentre i meo, gli indigeni armati dalla Cia in funzione
anticomunista si scagliano contro i drappelli degli aiuti ai vietkong. Allora, ecco
l’idea narrativa, il plot, il montaggio e la scrittura a più voci e molteplici
punti di vista, il racconto orale (è questo che Guglielmi definisce
“frattale”). Per guardare dall’oggi, dall’Europa di Schengen e di Seattle,
della globalizzazione e dei nuovi razzismi, all’Europa di ieri, la repressione
di Scelba e il colonialismo.
Duqneu, ancora un romanzo storico “con un forte
elemento di biograficità”, una “storia che ci ha fulminato, avvincente e
sconosciuta”, una compresenza di livelli narrativi dove la biografia cede il
posto alla fiction, e Ravagli al giovane avvocato bolognese sulle tracce “di
questo fantomatico vietkong romagnolo”.
Letterariamente ideologici, molto self writing
writers, autoreferenziali quel che basta, i due Wu Ming tessono abilmente,
nella sala silenziosa e attenta, l’ordito di un racconto che un po’ dice del
libro e un po’ dice di loro. Poiché Wu Ming è anche una “impresa di produzioni
narrative”, poiché è già in cottura il terzo libro, tra Italia e Balcani nel
’54, poiché “siamo forse la prima impresa di romanzieri ad affermare di essere
tale”, con una sola ragione sociale: “narrare”.
Democraticamente paritari (Bui racconta di Wu Ming e
del progetto aziendale, Guglielmi del lavoro creativo e delle ragioni
narrative) i due sono estremamente abili anche nel narrarsi, tenendo, come si
dice, la scena per due ore. “I critici non leggono i libri, altrimenti come
farebbero a recensirne sei la settimana”, “Il cinema italiano meglio non
parlarne”, “Certo, la struttura di Q e Asce di guerra è anche una
sceneggiatura. Sergio Leone è una delle cose a cui ci ispiriamo, soprattutto
per C’era una volta il West, poi Kurosawa e i suoi “western” per
l’afflato epico, i polizieschi”, “Quella di Asce di guerra è una
scrittura frattale perché prevede più piani che si intersecano, più punti di
vista che slittano continuamente l’uno verso l’altro, e anche nel senso
proprio, del caos deterministico, ossimoro che ci affascina”. “Infine, “Anche
Omero sembra che fosse una identità à la Luther Blissett, anche Shakespeare
[questo proprio non l’abbiamo detto, N.d.R.]. Quando parliamo di scrittura collettiva intendiamo
questo. La scrittura lo è sempre. L’autore è sempre qualcuno che ascolta
incessantemente, plagia, cita, reinventa”. Nessuna sfida al principio di autore
[?], nessuna erosione
della scrittura e del principio di romanzo. E con una preveggente gestione del
sé, nessuna concessione a macchine fotografiche e televisioni. “Noi saremmo
misteriosi, così narra una leggenda metropolitana. In realtà abbiamo scelto di
non farci né fotografare, né riprendere. Perché riteniamo osceno il rincorrere
salotti televisivi e critici letterari. E pensiamo che sarebbe molto meglio se
gli scrittori anteponessero i loro libri alle loro facce. Presentiamo
presentare i nostri libri, incontrare la comunità dei lettori”. Più mediatici e
cult di così. (c.p.)
§ § §
Dal “Corriere del Mezzogiorno” (supplemento locale al
Corriere della Sera), sabato 30 dicembre 2000:
Si chiama
Wu Ming la nuova incarnazione di Luther Blisset [sic]
Casi letterari - Presentato a Lecce “Asce di guerra”,
opera seconda dei giovani autori di “Q” che nell’epoca di Internet scrivono in
gruppo e si nascondono dietro un nome collettivo
Federico Guglielmi, Roberto Bui, Giovanni Cattabriga e Luca di Meo. Vi dicono niente questi nomi? No, è chiaro. Ma se parliamo di Luther Blisset [d’ora in poi sempre sic] le cose cambiano. Uno degli eventi editoriali più chiacchierati della fine di questo secolo, circondato da misteriosi avvistamenti, improbabili identità, comparsate su Internet e quant’altro, torna sulla scena letteraria per proporre l’ultima pubblicazione, Asce di guerra. Diciamo subito che, per l’occasione, il quartetto si è arricchito di un quinto elemento, Riccardo Pedrini, e ha cambiato firma scegliendo un enigmatico Wu Ming che significa “senza nome”, tanto per restare nel mistero.
Li abbiamo seguiti a Lecce, a Villa Frisari, dove hanno incontrato i lettori già convertiti e quelli, eventuali, in attesa di battesimo. Anche se presenti in formazione ridotta (solo due dei cinque componenti il gruppo di scrittura), Wu Ming non hanno lesinato le polemiche dichiarandosi apertamente vittime mediatiche. “Noi misteriosi? Figuriamoci”. A sentire loro, la leggenda di Luther Blisset sarebbe un’invenzione dei giornalisti che, riunitisi in sediziosa assemblea, avrebbero decretato una strategia di marketing ad hoc. Ma vi pare?
Immediata è partita la seconda crociata: “Noi non ci facciamo fotografare, non appariamo in televisione, non vogliamo fare la fine di Baricco”. E su questo, niente da dire. Anche se l’antidivismo, nell’epoca dell’apparire-piuttosto-che-essere di warholiana memoria, finisce col sortire gli stessi effetti del divismo e tutt’al più sposta di qualche centimetro il target. Tant’è che Luther Blisset è diventato un caso letterario. Di proporzioni elitarie rispetto a quello di Baricco ma pur sempre un caso letterario.
La terza polemica ha massacrato i critici: divoratori di Bignami della letteratura che recensiscono libri gettando un’occhiata alle quarte di copertina, senza darsi pena di leggere il contenuto di cui poi scrivono col pressapochismo da Reader’s Digest [magari! N.d.R.] che non consente a nessuno di valutare un autore nella sua compiutezza.
Ma veniamo al punto, il libro. Asce di guerra è un’opera molto diversa da Q che riguardava l’Europa del Millecinquecento, Riforma e Controriforma viste con gli occhi di personaggi che la Storia l’hanno fatta ma senza poi finire nei libri.
Asce di guerra, invece, è un incidente di percorso capitato durante la preparazione di 54 (una pubblicazione che vedrà le stampe solo nel 2002), e riguarda la vicenda di Vitaliano Ravagli, il coautore del volume insieme a Wu Ming – e siamo a sei – che ha fulminato gli ex Luther Blisset per la particolarità della sua storia: quella di un romagnolo che ha combattuto negli anni Cinquanta la guerra di liberazione coloniale in Indocina, la stessa celebrata sugli schermi hollywoodiani dagli Oliver Stone, Brian De Palma e via discorrendo.
Ravagli ha trascorso un lungo periodo nel Laos; da qui lo spunto del romanzo di recuperare una vicenda che la Storia ha seppellito. Asce di guerra, però, non è esattamente un romanzo storico e si compone di tre livelli narrativi. Il primo, biografico, riguarda l’infanzia di Ravagli ad Imola in una famiglia numerosa dilaniata dalla miseria. Il secondo, quello propriamente storico, introduce alle vicende del conflitto in Indocina e si muove tra il 1945 e il 1975. Infine l’ultimo, quello puramente narrativo, vede protagonista Daniele Danzi [e perché non “Daniele Cazzi”? N.d.R.], un personaggio immaginario, giovane avvocato bolognese sulle tracce del vietcong romagnolo con atmosfere da romanzo giallo. Sebbene distinti, i tre livelli narrativi viaggiano parallelamente e s’intersecano ripetutamente fino a formare un unico intreccio.
Per cercare di evitare i malintesi mediatici di cui sopra, i cinque giovani autori bolognesi del progetto Wu Ming hanno deciso di promuovere il libro direttamente, porta a porta, in una sorta di tournée che li mette a confronto con i lettori proprio come è avvenuto giovedì scorso a Lecce. Se vi capita, andate a sentirli. Sono un po’ snob, ma sono giovani intellettuali innamorati della propria penna e dicono cose interessanti anche se opinabili.
Per esempio, a chi chiede loro come si fa a lavorare in un gruppo di scrittori così numeroso, rispondono che la scrittura è sempre collettiva anche quando è solo uno il nome dell’autore che compare sui libri. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano di scrittori come Salinger e Pynchon che, prima di loro e con ben più vasta eco, hanno giocato con successo e con spessore la carta del mistero, diventando pietre miliari della letteratura “solitaria” contemporanea.
Francesco
Farina