Da "Il Manifesto", giovedì 25 Gennaio 2001
L'epopea di un combattente ai margini dei sentieri dell'odio
Dalla resistenza alle risaie del Vietnam. "Asce di guerra",
il libro sulla vita di Vitaliano Ravagli che sarà presentato domani a Roma
GERALDINA COLOTTI
Portare alla luce storie dannate, cancellate o rimosse. Scoprire "la rabbia, lo sporco e la dinamite" dietro le frasi fatte ripetute dai pulpiti che consegnano "al presente quello che chiede". Ovvero disseppellire Asce di guerra (Tropea, pp. 376, L. 29.000). Questo l'intento di Wu-Ming, officina collettiva in cui militano alcuni degli autori di Q, ora in libreria con un romanzo (in pochi mesi già alla seconda edizione) incentrato su alcuni episodi in ombra della resistenza e del dopo resistenza.
Coautore e protagonista centrale ne è il sessantasettenne Vitaliano Ravagli, il "vietcong romagnolo": partigiano mancato (è ancora un bambino, e poverissimo), comunista "fuori linea" dopo (non sopporta gattopardismi e burocrazie), combattente nelle lotte di liberazione in Indocina degli anni cinquanta. Infine reduce a vita e testimone infastidito delle varie italie succedutesi da allora.
In Asce di guerra, dunque, Ravagli racconta. Voce narrante incontrata e raccolta da un'altra voce narrante, quella di Daniele Zani, giovane avvocato bolognese impegnato nella difesa di immigrati in via di espulsione o di altri, consimili, "rifiuti sociali" della città di Vitali e Guazzaloca. Daniele si aggira fra tute bianche, madri "rifondarole" e vecchi (più o meno istituzionali) partigiani. Alla ricerca di una cerniera fra passato e presente, di una memoria priva di oleografie e capace, magari, di spiegargli i centri di accoglienza temporanea, cioè quei lager per immigrati costruiti dagli eredi del partito "che veniva da lontano e andava lontano".
Così, egli rimpiange di non aver mai parlato davvero con suo nonno, il partigiano "Soviet", "perché quello che i vecchi ci raccontano dipende anche dalle domande che gli rivolgiamo". E inizia a frequentare gli archivi, a sfogliare libri "noiosi", a raccontare ad amici stralunati di Volante Rossa e di "Triangolo della morte".
Chi sono gli uomini che sono dietro delle espressioni divenute quasi impronunciabili? Indesiderati. Spediti a Praga per non disturbare la via italiana al socialismo o reinseriti sottovoce, in un'impossibile acclimatazione fianco a fianco ai fascisti amnistiati dal "Migliore". Fra loro, la storia di Ravagli. Piena di miseria e rancore. E' infilato in Indocina insieme a un piccolo ma consistente drappello di italiani, a combattere (in due brevi riprese) in Laos e in Vietnam a fianco dell'esercito di liberazione. Tutti, però, combattenti "invisibili", guardati con sospetto da quelle formidabili "formiche rosse" che non capivano la loro motivazione, inquadrati nelle pattuglie di irregolari appoggiate dai cinesi. Di fronte, la ferocia dei meo, "bande di ragazzi, quasi bambini, feroci come belve, che ammazzavano, stupravano, bruciavano vivi", indigeni pagati dalla Cia. Il sadismo degli anticomunisti ma anche l'odio, il desiderio e l'esercizio di vendetta che si incistano nell'esercito di liberazione. Alcuni degli italiani muoiono nelle risaie. Ravagli torna dopo meno di un anno, a un passo dall'intossicazione da violenza e tormentato dagli incubi.
Questo, in definitiva, è il libro di Wu Ming. Volutamente duro, premeditatamente demistificatorio, responsabilmente ideologico. E pertanto non è un libro "raffinato". Spiacerà ad alcuni degli estimatori di Q (del quale, pure, ripropone la concezione storiografica) ma sarà forse apprezzato dalle aree culturali dell'antagonismo. C'è infatti, alla base del romanzo, un'esigenza di memoria che vien fatta valere nella forma più plausibile per gli "invisibili" di oggi. Il tema dell'irregolarità, di una contro-storia scevra persino dalle illusioni degli indirizzi culturali alternativi al togliattismo, di un'idea di "perdente" meno nobile e più ruvida di quanto abbia prodotto la vena storiografica dell'"altro" movimento operaio.
Quando Ravagli racconta le torture dei filo-americani, quando elenca i suoi incubi o il succedersi delle azioni partigiane, siamo fuori da ogni descrizione edificante. Le asce di guerra, secondo Wu Ming, si seppelliscono ai bordi dei "sentieri dell'odio". E il loro disseppellimento è possibile in una moltiplicazione di storie, in un proliferare di "identità frattali", in una successione di link che "infetti" i meccanismi di mercato senza timore di subirne l'effetto di recupero.
Wu Ming non è certo Malraux, ma neanche Debord. Chi è dunque? Un collettivo di "senza nome" che gira per centri sociali (in tre mesi è già alla ventesima presentazione) a raccontare perché "le storie vengono prima degli autori". Venerdi 26, alle 19,30 sarà a Roma, ospite del laboratorio culturale del Corto Circuito (via F. Serafini, 57, tel. 067217682), insieme al "Vietcong romagnolo".
Asce di guerra
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