LE STORIE NON SONO CHE 'ASCE DI GUERRA' DA DISSEPPELLIRE.
Una frase che, dopo l'epigrafe, ritorna all'interno del romanzo storico 'Asce di Guerra' costantemente. Non solo la si trova qua e là, ma è un vero e proprio ritornello che ronza nella testa del lettore; questo libro ha sulla coscienza personale di questi l'effetto di muoverlo ad una battaglia interiore e dilanianante. Non se ne esce: ogni storia raccontata dai tanti protagonisti non può che provocare una forte reazione emotiva. Rabbia, stupore incredulo, voglia di reagire.
E probabilmente l'effetto sarà ancora più accentuato nei lettori che vivono le zone raccontate dal libro, in paricolare l'Emilia del 'Triangolo Rosso' e la Romagna.
Perché non possono non tornare alla mente i racconti -spesso reticenti- dei 'vecchi' sulla guerra, sulla 'miséria', sulla resistenza. Tutto ciò che è stato rimosso e lavato via dalla coscienza collettiva riaffiora prepotentemente. Non può non farlo. Anche se tutto il libro fosse stato inventato di sana pianta. Quegli anni sbiaditi e addolciti dai ricordi, ormai solo cinematografici, tornano e piombano sulle nostre teste come macigni.
Il romanzo è costituito da tre filoni narrativi che si intrecciano fra loro: uno è l'autobiografia di Vitaliano Ravagli il 'vietkong romagnolo' da quando è bambino ad oggi; un altro è la storia dell'avvocato Zani ambientata ai giorni nostri; il terzo è la "Storia disinvolta delle guerre d'Indocina" in cui si delineano gli eventi storici del '900 nella colonia francese d'Indocina (Cambogia, Thailandia, Vietnam, Laos).
Dicevamo i tanti protagonisti perché lungo il romanzo si inseriscono numerosi aneddoti e racconti che vengono narrati in prima persona da chi li ha vissuti: i partigiani che l'avvocato Zani incontra nella sua personale ricerca e che interroga; ogni aneddoto un'ascia di guerra disseppellita. Una prosa molto fresca e facile, che si gode bene con idee brillanti e che solo in qualche punto non ci piace.
Capita infatti che in alcuni capitoli il narrato si appesantisca e diventi quasi didascalico, soprattutto in alcuni dialoghi e in alcuni resoconti d'attualità; lì l'autore esplicita troppo mentre dovrebbe lasciare questo compito al lettore.
C'è l'autobiografia di Vitaliano Ravagli, ' I Sentieri dell'Odio, che mantiene nei vari capitoli il titolo originale che l'autore aveva pensato: un titolo che ovviamente non sintetizza, ma che coglie un sentimento potente a noi (noi giovani, noi generazione X, ecc.) sconosciuto che percorre tutto il racconto e forse tutta la vita di Ravagli. E' coinvolgente, personale, violento, sincero: bello.
La parte sulla storia della penisola Indocinese non è assolutamente pesante come rischiava di poter diventare. Non ha l'attendibilità di una storiografia ma non c'entra; resta comunque un espediente necessario per far comprendere il libro a chi non conosce almeno a grandi linee la storia d'Indocina.
Non è, e non sarà, solamente un romanzo da leggere, ma un'esperienza culturale da vivere: i quattro Wu Ming (che in mandarino cinese significa senza nome) sono gli stessi autori di 'Q' (a firma Luther Blissett) hanno creato la Wu Ming Foundation che è un progetto culturale rivoluzionario che questo romanzo consacra. Ma questa è un'altra storia.
Il sito con le foto e le testimonianze dei protagonisti è raggiungibile all'url
http://www.wumingfoundation.com/
Biagio Oppi 26-10-2000