da Zero in condotta, quindicinale di Bologna, anno VIII n.112, 27 giugno 2003:
GIAP
Antologia tratta dalla newsletter di Wu Ming
"C'era una volta è un buon modo di vedere le cose". Frase azzeccata quella di Tommaso De Lorenzis, curatore dell'opera, per il quale tutto può essere favoleggiato nuovamente. Le favole sono forme di vita che aiutano le nostre radici a non essere spazzate dal vento. In Giap (Einaudi, Stile libero) ci sono storie nate per attraversare il deserto. E' il frutto del fermento degli ultimi tre anni del collettivo Wu Ming (in cinese mandarino: anonimo). Ci sono storie grazie alle quali il deserto svanisce e storie che è meglio sapere, perché il deserto non c'è ancora, ma ti può entrare in testa e una storia serve a difenderti. Ci sono storie che segnano le tracce di chi è passato prima di te. Ci sono desideri che si accumulano uno sull'altro, diventano tante voci e fanno nascere una storia. E' questo il caso dei Wu Ming, cinque narratori nostalgici di quel mestiere che si chiamava "cantastorie", uno dei tanti mestieri che possono rinascere dalle proprie ceneri. Così i Wu Ming. Ieri si chiamavano Luther Blissett. Domani chissà.
Il nome non conta. Come a dire: state attenti, non rimanete a contemplare il velo dei segni, e scavate più sotto. C'è, ed è questo che conta, un coraggioso progetto letterario giocato su due tavoli dello stesso legno: quello del mito e quello della politica. Parole abusate, e per evoluzione naturale, mitizzate e politicizzate. Difficili da trattare per chi non ha tanti mezzi e sente un cattivo odore provenire da quelle stanze dove il potere significa far audience e colpire target, e allora va in strada e nelle piazze, e non ha orecchie per sentire le ipocrisie dei salotti televisivi. Servono storie per ascoltare il rumore del fuoco della realtà, una fiamma sempre sfuggente e intoccabile, e una storia funziona per metterci in circolo tutt'attorno, e far parlare, con l'aiuto di chi ce l'ha stampate sopra, vecchie cicatrici, così vecchie da diventare leggenda. Ogni leggenda è un tessuto con fili da sgomitolare, fili così lunghi che bastano ad arrivare dove si vuole. Se spezzare il pane con qualcuno significa mangiarne un po' di meno, donare una storia non comporta nessuna rinuncia, anzi: è darle un supplemento di vita, e moltiplicarla in un miracolo possibile. Il linguaggio e la scrittura implicano relazioni. Quelle di questo testo, multistratificato, contenente dibattiti su forum telematici e viaggi reali alla ricerca della comunità umana (attraverso Praga, Firenze e anche il Chiapas, dove i discorsi politici si fanno poesia) sono relazioni che salvano il molteplice e le sue differenze. E' un libro necessario a chi ha rifiutato il digitale e le sue promesse di felicità, e se il cyberspazio sarà utile a far confrontare le moltitudini, non potrà mai prendere il posto degli spazi reali. Il futuro è imprevedibile, ma nello stesso tempo si prepara ogni giorno sapendo di scegliere. Scelte responsabili e consapevoli, per rifiutare l'invenzione dell'uomo "economico", o la claustrofobica venerazione di antiche e moderne divinità, mute e avare, e promuovere i bisogni del corpo e della mente dell'uomo che fanno sì che sia l'animale maggiormente "scambista". Tutto ciò che si ferma, prima o poi si perde, e allora, per non cadere in una paludosa immobilità, andare avanti vuol dire continuare ad interrogare le proprie speranze per condividerle ed arricchirle. Un gioco profondo a far passare storie, miti spontanei ed esempi pratici di lotte, per meglio comprendere quante e quali forme di vita ci circondano, sia che abbiano un nome o non ce l'abbiano mai avuto.
Lelio Semeraro