Peter Kolosimo, 30 anni «across the universe» (1984 – 2014)

Peter Kolosimo

Peter Kolosimo (al secolo Pier Domenico Colosimo) nel 1977. Clicca per ingrandire.

Speciale a cura di Wu Ming e Mariano Tomatis

Cos’è la tua più grande paura?
Il fascismo.
E cosa fai, concretamente, per eliminarlo?
Poco, troppo poco.
(Kolosimo intervistato da Playboy, novembre 1974)

Chi ha dai quarant’anni in su ricorda senz’altro Peter Kolosimo, «fantarcheologo», ufologo, sessuologo (!), esploratore del meraviglioso e divulgatore scientifico che negli anni ’60 e ’70, coi suoi libri visionari, fece sognare le moltitudini. Morì il 23 marzo 1984, a sessantadue anni, ma a noi piace pensare che abbia solo lasciato il pianeta, e sia tuttora in viaggio per l’universo.


Ecco una cosa che molti hanno dimenticato: Peter Kolosimo era un comunista di quelli duri. E chissà che l’anno scelto per abbandonare la Terra – il simbolico, fatidico 1984, quello di Orwell e della Thatcher che reprimeva lo sciopero dei minatori – non sia già una dichiarazione, un messaggio da decifrare: il movimento operaio ha perso, riprende il dominio incontrastato dei padroni, si impone il totalitarismo del mercato e io vado, vado in avanscoperta, vado in cerca di altri mondi.

Lo diciamo da anni: Kolosimo è una figura da riscoprire, su cui interrogarsi, che può ancora dire e dare molto. Lo abbiamo scritto, lo abbiamo addirittura cantato.

Peter Kolosimo sul palco con il Wu Ming Contingent, centro sociale Strike, Roma, 13 febbraio 2014. Foto: D. De Gregorio.

Peter Kolosimo sul palco con il Wu Ming Contingent, centro sociale Strike, Roma, 13 febbraio 2014. Foto: D. De Gregorio.

Italia Mistero Kosmiko – 3’59”
Wu Ming Contingent – Italia Mistero Kosmiko (Peter Kolosimo)
Live in Correggio, 22/09/2013 – 3’59”


Kolosimo fa parte di un mondo tipicamente Seventies, vivente nell’intersezione tra marxismo e scienze “altre”, tra UFO e rivoluzione.
Pur nelle diversità d’approccio, il suo percorso è parallelo a quello del leggendario trotskista italo-argentino Juan Posadas (1912 – 1981). Kolosimo indagava il passato, le origini extraterrestri delle civiltà umane; Posadas vaticinava l’avvenire, gli UFO ci parlavano di una società futura comunista. Entrambi dicevano, ciascuno a suo modo: gli alieni vivono in noi, siamo noi quegli «spaziali» di cui tutti parlano.

Terra senza tempo
, Non è terrestre, Astronavi sulla preistoria, Odissea stellare, Italia mistero cosmico… Titoli che non smettono di accendere fantasie. E quegli elenchi in copertina, a metà tra sottotitolo e “catenaccio” di giornale? «Ulisse vagabondo del tempo. Gli dei e lo spazio. Ciclopi in America? Mitologia d’altri mondi. Atomiche e robot nell’epopea omerica». Oppure: «Veicoli spaziali graffiti nella roccia. Marziani in Vietnam, elefanti in America. Razze sconosciute nelle giungle amazzoniche. Atomiche e laser prima del diluvio. Gilgamesh vive ancora?». Per non dire di “strilli” come: «La prima completa documentazione fotografica di archeologia spaziale – 300 illustrazioni». Copertine geniali, che ti spingevano a prendere subito posizione: rigetto veemente o febbrile voglia di acquisto, non c’era via di mezzo.

Peter Kolosimo, Odissea stellare, 1979

Quei libri, editi da SugarCo, erano grande narrativa popolare travestita da saggistica, li vedevi in tutte le case, vendevano centinaia di migliaia di copie. Peter Kolosimo è uno degli autori italiani più tradotti nel mondo, pubblicato in 60 paesi.

Attenzione, però, a non confonderlo coi vari Voyager e Kazzenger odierni, coi pataccari che ce la smenazzano a colpi di piramidi magiche e Priorati di Sion, con le vagonate di ricostruzioni paranoidi e complottiste disponibili in rete. Kolosimo odiava Dan Brown ante litteram (anzi, ante nominem). E odiava anche Giacobbo. Preventivamente, senza averne mai sentito parlare. Lo avrebbe mandato in Siberia, lui e il suo chupacabra. Kolosimo era un marxista-leninista visionario, un comunista duro e impuro. Credeva nella rivoluzione, e pensava che le scoperte sulle origini extraterrestri delle civiltà umane avrebbero contribuito alla nostra consapevolezza. Voleva collegare passato remoto e futuro utopico, e così liberare il mondo. Il suo interesse per i dischi volanti – solo uno dei tanti argomenti di cui si occupò – era nutrito da questa passione politica. Senza di essa, cosa sarebbe rimasto? Una messe di poveri, sconnessi aneddoti raccolti da cialtroni e dementi. Persone che già all’epoca Kolosimo teneva a distanza:

«Quando avvistano dei dischi volanti, alla radio qualche volta mi hanno chiamato, mi son trovato ad aver a che fare con dei pazzoidi, che credono in queste cose ciecamente, vedono i venusiani belli biondi e alti, vedono i marziani preoccupati delle esplosioni atomiche e vedono i saturniani che si avventano sulla terra per conquistarla, insomma tutte queste panzane, mi sono trovato un paio di volte ad aver a che fare con questi tipi, completamente pazzi, come quel siciliano che sulle pendici dell’Etna aveva una villa e raccoglieva attorno a sé i suoi fedeli…» (1974, cit.)

In Odissea stellare (1978), Kolosimo riporta le credenze di alcuni occultisti, secondo i quali il regime di Hitler cadde perché aveva attirato su di sé la sventura, orientando la svastica a destra anziché a sinistra come nelle antiche tradizioni orientali. Il commento è una staffilata: «Noi siamo assai lontani da tali concetti ed attribuiamo a ben altre ragioni la caduta dell’impero dei criminali tedeschi.» Poteva ben dirlo, lui che il nazifascismo lo aveva combattuto mitra alla mano.

Nulla dell’approccio politico che correva “sottopelle” nei suoi libri, nulla di quella radicalità sopravvive nei suoi epigoni odierni, quelli che vedi intervistati su Focus TV: von Däniken, Hancock… Ogni spigolo è stato smussato, l’eresia si è fatta telegenica, ma si sa che the revolution will not be televised.

«L’educazione politica me la son fatta in gran parte in Jugoslavia, quando la Jugoslavia era ancora comunista, ho fatto scuola di partito per due anni […] Sono simpatizzante di Lotta continua, perché penso che anche la sinistra debba avere le sue punte avanzate, voto ovviamente PCI, ma non sono militante perché non me la sento né di partecipare alla vita politica del PCI, almeno com’è adesso, non me la sento assolutamente, e purtroppo d’altra parte non ho neanche il tempo di seguire la vita politica di Lotta continua perché esige lavoro. Io ho fatto un po’ di lavoro politico a Torino, con Soccorso rosso, ero nella commissione delle case, e nell’ambulatorio, però per finire in niente, perché per queste cose bisogna avere molto tempo.» (1974, cit.)

Kolosimo era poliglotta e cittadino del mondo. Madre statunitense, padre italiano e ufficiale di carriera nei Carabinieri, entrambi detestati:

«Mia madre [era] come un generale delle SS […] Un iceberg […] Io non ho mai avuto un padre. No, non l’ho mai avuto. L’ho conosciuto così, dicevano che era mio padre» (Ivi).

Cresciuto a Bolzano, si laurea a Lipsia in filologia moderna (ma più tardi approfondirà gli studi di psicologia e sessuologia e praticherà l’ipnosi medica). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, lo ritroviamo carrista nella Wermacht, ma diserta e si unisce alla resistenza in Boemia. E’ «uno dei primi partigiani che, fra Pilsen e Pisek, incontrò l’Armata Rossa» (dalla scheda biografica di Civiltà del silenzio).

Una lettera di Peter Kolosimo a «L'Unità», 21 settembre 1975. Perché non andrà a presentare i suoi libri nella Spagna franchista.

Una lettera di Kolosimo a «L’Unità», 21 settembre 1975. Perché non andrà a presentare i suoi libri nella Spagna franchista. «Mi è impossibile accettare l’invito. Sono comunista e non posso parlare in un Paese il cui governo imprigiona e condanna a morte i miei compagni con tutti coloro che lottano per i diritti dell’uomo.»

In quella temperie diventa comunista e, com’è normale, dopo la guerra il suo sguardo si sposta verso est. E’ l’unico giornalista italiano presente alla cerimonia di proclamazione della DDR. Per un po’ dirige Radio Capodistria, ma dopo la rottura con l’URSS è licenziato perché «cominformista», ovvero filosovietico. E’ corrispondente estero per L’Unità, annuncia il lancio del primo Sputnik «un mese prima di quella memorabile impresa» e dà per primo la notizia del volo spaziale di Valentina Tereskova. I suoi articoli escono senza firma, precauzione da fase glaciale della guerra fredda. Intanto scrive romanzi di fantascienza con lo pseudonimo di Omega Jim, finché, negli anni ’60, non passa armi e bagagli alla divulgazione scientifica, con quella torsione fantastica che lo renderà celebre.

I libri di Kolosimo sono pieni di pezze d’appoggio di scienziati russi, bulgari, tedesco-orientali: «Il professor Alexei Kasanzev» [probabilmente si tratta dello scrittore e ufologo Alexander Kasantsev], «Kardasev scrive…», «Il biologo sovietico A. Oparin», «Il sovietico Nikolai Brunov scrisse già nel 1937», «Viaceslav Saitsev, il noto filologo dell’Accademia delle Scienze bielorussa» e via così. Oggi possono suonare grottesche, muovere al riso o a ipotesi estreme: Kolosimo agente del blocco orientale, incaricato di diffondere in occidente strane teorie, per loschi fini di guerra psicologica? Mah. Forse la questione è più semplice: leggeva quelle lingue, aveva accesso a quel materiale, e ai suoi lettori la cosa piaceva. Durante la guerra fredda, vista da qui, la scienza sovietica aveva un che di bizzarro, una vibrazione di esotica eterodossia, anche agli occhi di chi si batteva per l’altro modello, quello capitalista-americano. La curiosità per l’est fu un fenomeno trasversale, come lo sono oggi l’ostalgia e il modernariato del socialismo che fu.

A noi piace reputare Kolosimo un guerriero, uno che ha combattuto perché l’immaginario non si restringesse e, al contempo, la fantasia (anche quella più sbrigliata) tenesse le radici nella realtà, nel conflitto che senza pause muove la società. In fondo, nonostante il suo stalinismo, Kolosimo non era tanto distante da Radio Alice e dai giovani “mao-dadaisti” del ’77.

Kolosimo colmò un buco, una lacuna, una gigantesca nicchia di immaginario e mercato editoriale. In quell’epoca, gli intellettuali avevano decretato la “morte del romanzo”. Non per questo si era estinto il bisogno di romanzesco: in edicola, Urania, Segretissimo e Il Giallo Mondadori vendevano un numero di copie oggi impensabile. Tuttavia, erano pubblicazioni settoriali, rivolte a target di lettori specifici. C’era bisogno di un’operazione azzardata, che scavalcasse i recinti e andasse incontro ai bisogni di più lettori.

Kolosimo intercettò la voglia di viaggio e di mistero che pervadeva tutto l’occidente (gli UFO, il triangolo delle Bermude, Uri Geller che piegava i cucchiaini con la forza del pensiero) e la “dirottò” in una direzione inattesa. Camuffando da saggi divulgativi le sue narrazioni fantascientifiche, il vecchio Omega Jim creò un grande fenomeno di costume.
Particolare non secondario, scriveva in modo magnifico:

Peter Kolosimo, Ombre sulle stelle, 1966

Prima pagina di «Ombre sulle stelle», Sugar, Milano, 1a edizione 1966.

«Io sono essenzialmente un tecnico, posso dire di aver rivestito di filologia la mia tecnica, e così i grossi argomenti riesco a prospettarli in modo accessibile al pubblico. E se non facciamo della divulgazione, per chi scriviamo i libri? Scriviamo i libri per Peter Kolosimo? Eh, no, un momento, troppo poco. Io i libri li scrivo per il mio pubblico, non voglio scrivere per me stesso.» (1974, cit.)

Nel 1969, Non è terrestre vinse il Premio Bancarella. Nel giro di pochi anni, lo avrebbero vinto Andreotti (1985), Sgarbi (1990), Zecchi (1996), Pansa (1997) e persino Bruno Vespa (2004). Compagno Kolosimo, ci manchi tanto. Torna dal pianeta su cui ti trovi ora, e scatena contro l’Italia un uragano di raggi cosmici.

RICORDANDO PETER KOLOSIMO

di Mariano Tomatis

Il luogo migliore per incontrare Kolosimo a Torino è un vasto seminterrato in periferia. Un locale nascosto agli occhi dei passanti. Puoi abitarci sopra per vent’anni e non accorgerti di nulla. Superato un portone anonimo, ti trovi di fronte a una serie interminabile di scaffali. Qui, uno accanto all’altro, migliaia di dossier raccolgono segnalazioni di dischi volanti, luci insolite, entità misteriose e fenomeni paranormali. È la sede del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU).

CISU - Torino

Su una scrivania, un ritaglio di giornale del 1978. Il titolo è curioso: «Un “umanoide” a spasso nelle strade di Collegno.» Paolo previene la mia domanda. «Il caso della mummia. Ha chiamato da poco un ragazzo. Sta facendo una tesi sulla psicologia della testimonianza e gli serve come documentazione.» Scorro velocemente l’articolo: una ragazza perde i sensi per lo choc, e per affrontare il mostro si scomoda l’arma dei Carabinieri. Paolo mi mostra i disegni dell’epoca: «Mi recai sul posto e stilai un rapporto dettagliato. Eccolo.» Ci sono identikit, foto del luogo. Perfino il dispaccio dattiloscritto dell’Ansa.

Ma io sono qui per Kolosimo. È Edoardo ad accompagnarmi agli scaffali giusti. Il tavolo per la lettura si riempie di materiale, mentre lui mi racconta dello scrittore modenese. «Sono almeno sei le edizioni del suo primo libro, Il pianeta sconosciuto. E vuoi sapere una cosa curiosa? Ognuna è diversa dalla precedente.» Ex-presidente e memoria storica del Centro, Edoardo ricorda bene la stagione torinese di Kolosimo, i suoi rapporti con il vecchio Centro Studi Clipeologici e i saltuari scazzi con i colleghi. «Per chi ha frequentato la combriccola di ufologi dell’epoca, il confronto filologico tra le edizioni porta alla luce dinamiche affascinanti: tic personali, scontri tra caratteri, piccoli screzi.» Scorci intimistici tra omini verdi e piramidi maya.

Inutilmente si cercherebbero reperti alieni o pezzi di astronavi negli archivi del CISU: presso il centro sono ben consapevoli – con Allan Hendry – che «si analizzano soltanto i rapporti UFO e non gli UFO.»1 Solo un modo diverso di esprimere quello che Muriel Rukeyser affidava alla poesia: «Il mondo è fatto di storie, non di atomi.»2 Ecco perché, tra queste pareti, la filologia è più importante dell’analisi chimica, la psicologia più preziosa della fisica quantistica. Ed ecco perché, quando varco la soglia di questo seminterrato, mi coglie un senso di vertigine: non basterebbe una vita per raccontare tutte le storie che traboccano da dossier, schedari, questionari, fotografie, filmati e ritagli di giornale qui raccolti. Ognuna è il resoconto di un incontro con l’ignoto, e testimonia esperienze che hanno provocato curiosità, sgomento, stupore o incredulità.

Questo era il regno di Peter Kolosimo, questo il serbatoio di meraviglia a cui attingeva per scrivere, questo il lascito più prezioso di una carriera letteraria dall’enorme successo popolare. Secondo Piero Bianucci, lo scrittore aveva colto una «inafferrabile sintonia con lo spirito del tempo: quegli anni 60-70 che videro lo sbarco sulla Luna, la ribellione studentesca, la caduta dell’Accademia.»3 Nell’agitato contesto di quel periodo, Kolosimo diede vita a «un genere così nuovo che non si trovava una categoria dove collocarlo. Non era saggistica scientifica, non era fantascienza, non era narrativa, non era inchiesta giornalistica, non era pura e semplice divulgazione. Ma di tutti questi generi c’era qualcosa.»4 Più letterato che astronomo (si era laureato in filologia), lo scrittore modenese era un maestro nel confondere i piani, sovvertire gli schemi e giocare con le percezioni del lettore.

Sfoglio le pagine di Non è terrestre (1968). Il libro si apre come una fiaba: «C’era una volta…» Il seguito, però, ha il tono del saggio archeologico. Riferisce di un tumulo indiano ritrovato nelle campagne dell’Illinois. E di uno scheletro del 1565, sepolto insieme a un pugno di monete del 1965. L’anacronismo disorienta, ma Kolosimo getta acqua sul fuoco, attribuendolo a uno scherzo: «Autori di questa e d’altre burle erano bimbi di un’evolutissima razza extraterrestre […] impadronitisi d’un apparecchio capace di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo.»5 Qualche pagina dopo, l’autore mi strizza l’occhio: «Questa, naturalmente, è narrativa utopica.» Il ritrovamento? Finzione fantascientifica. Kolosimo sta citando un racconto pubblicato su Urania.6

Chi lo legge con attenzione, impara a non prenderlo alla lettera. Tra le righe, è lui il primo a suggerire un approccio obliquo ai suoi scritti. Dal dossier giallo che Edoardo mi ha affidato emergono ritagli preziosi. A una giornalista di Panorama Kolosimo confessa: «Se un pizzico di fantastico serve come esca, io non ho scrupoli a usarlo»7. Quando la psicologa di Playboy gli chiede se l’archeologia sia per lui una fuga dal presente, l’autore nega recisamente; egli parla del qui e ora, i dischi volanti sono solo un espediente narrativo: «Ci sono delle cose sulla terra che non si possono spiegare se non tirando in ballo gli spaziali, gli extraterrestri.»8

Pi Kappa, rivista fondata e diretta da Peter KolosimoColgo l’invito a leggerlo in quest’ottica, sparpagliando di fronte a me una pila di riviste da lui curate. Pi Kappa uscì in edicola dal novembre 1972 all’ottobre 1973. Senza falsa modestia, lo scrittore spiegava: «Pi Kappa è la sigla del mio nome. Punto e basta.»9

L’editoriale del primo numero è una lettera d’intenti: «Cercheremo di far pensare, non d’imporre. E se per far pensare c’è bisogno di un sogno, ben venga il sogno. […] Un pizzico di fantascienza invita a riflettere.»10

Cerco di collocarmi nella twilight zone dove un uomo del 1565 può stringere tra le mani una moneta del 1965. Scrivendo nel 1972, cosa rivela Peter Kolosimo del mio presente?

Mi è sufficiente girare pagina. «Spaziali in Italia» è un lungo articolo dedicato ai misteri archeologici del Musiné, il monte che sorge all’imbocco della Val di Susa, in Piemonte. Secondo una leggenda locale, un dragone protegge la montagna dagli intrusi. Intorno alla vetta, re Erode volteggia senza sosta su un carro infuocato; sta espiando i suoi crimini. Il cuore del massiccio custodisce «incomparabili tesori»11 ma anche un mago. Costui si occupa di mettere in pratica il principio primo della magia: “come in alto, cosi in basso”. Eccolo, dunque, scavare piccoli buchi sulle rocce, riempirli di combustibile vegetale e accenderli di notte. Dall’alto dei cieli, le costellazioni hanno l’impressione di specchiarsi sulla terra. L’archeologo Mario Salomone cita «resine e grassi animali nelle coppelle (incisioni appunto a forma di piccole coppe) che abbondano sul monte, fra i 400 e i 900 metri di quota.»12 «Perché – si chiede Kolosimo – genti primitive, assillate da problemi pratici da cui dipendeva la loro sopravvivenza, si sarebbero prese la briga di accendere fuocherelli in buche scavate faticosamente nella roccia? Per imitare le stelle.»13 Confrontando lo schema delle coppelle con le carte astronomiche, il Musiné rivela «qualcosa di unico al mondo: un’intera mappa celeste incisa nella roccia!»14

Nella zona del crepuscolo in cui mi trovo, le immagini che emergono dalla pagina diventano stranamente familiari. A quale folle intrusione nella montagna si riferisce Kolosimo? Quella di chi – nella Val di Susa – vede un tesoro da depredare? Chi è il potente dragone che ne difende l’integrità, a ogni costo, consapevole di quanto düra sarà la resistenza? Chi è il feroce governante, colpevole di nefandezze e costretto a sorvolare la zona – perché attraverso la montagna non si passa?

Poi penso a quei maghi che, in valle, ancora oggi si ispirano al “come in alto, cosi in basso”. Avendo abbandonato l’astrologia per ideali più concreti. Sulle pendici del Musiné, l’Orsa Maggiore ha lasciato spazio a iscrizioni visibili dall’alto dei cieli (o più comodamente dall’autostrada).

A sinistra: il Musiné ieri, con le coppelle a formare l’Orsa Maggiore. A destra: il Musiné oggi, a denunciare infiltrazioni mafiose nei cantieri TAV. Clicca per ingrandire.

 Chiudo la rivista, ma l’epica dell’immagine ha forti riverberi. Me ne accorgo avviandomi verso l’uscita, quando torno con lo sguardo all’umanoide di Collegno. Per un istante, in quegli occhi dietro le bende scorgo quelli di Marco Bruno – il militante No TAV che i giornali dipinsero come un mostro nella primavera del 2012.

Mostri su cui i media concordano. A sinistra: il mostro di Collegno (1978) da un identikit dell’epoca. A destra: il mostro di Giaveno (2012).

Paolo sorride, ignorando l’immagine che mi passa per la testa.

«Era un bambino di 14 anni» mi spiega. «Reduce dalla visione del film La mummia, si era coperto di carta igienica rosa ed era uscito in strada. Si beccò una bella ramanzina, poi di corsa a casa.»

Kolosimo diceva di credere «in tutte le battaglie fatte in nome della libertà»15. Esco col sorriso sulle labbra e un pensiero. Archivi del genere bisogna farli cantare.

L’autore ringrazia Edoardo Russo, Paolo Fiorino, Gian Paolo Grassino e Roberto Labanti.

NOTE

1 Allan Hendry, Guida all’ufologia, Armenia, Milano 1980, p. 21.

2 Muriel Rukeyser, The Speed of Darkness, Random House, New York 1968, p. 111.

3 Piero Bianucci, «Kolosimo, esploratore tra scienza e mistero», Il nostro tempo, 26.4.1992.

4 Ibidem.

5 Peter Kolosimo, Non è terrestre, Sugar, Milano 1968.

6 Wilson Tucker, «Z come zebra», Urania, N. 452, Mondadori, Milano 1967.

7 Myriam De Cesco, «Un colpo da Pi Kappa», Panorama, 1972.

8 Erika Kaufmann, «P.K. chiama terra. Terra in ascolto di Peter Kolosimo», Playboy, N. 11, novembre 1974 (anno III).

9 De Cesco 1972.

10 Peter Kolosimo, «Presentazione», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 3.

11 Peter Kolosimo, «Spaziali in Italia», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 4.

12 Peter Kolosimo, «Spaziali in Italia», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 6.

13 Ibidem.

14 Ibidem.

15 De Cesco 1972.

L'Unità riporta la notizia della morte, pardon, del decollo di Peter Kolosimo

LINK

Juan Posadas, I dischi volanti… e il futuro socialista dell’umanità (pamphlet del 1968, traduzione inglese)

Massimo Pietroselli, PK: Peter Kolosimo, sognatore patafisico

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34 commenti su “Peter Kolosimo, 30 anni «across the universe» (1984 – 2014)

  1. Ho letto i primi libri di Kolosimo quando avevo tredici o quattordici anni. Per i tempi la sapeva lunga: ricordo una sua mirabile spiegazione del decadimento del carbonio 14 grazie alla quale presi pure un bel voto. Se non ricordo male il suo genere veniva catalogato ai tempi come “archeologia spaziale”. I suoi libri mi avevano perfino convinto che avrei voluto fare l’archeologo “anch’io”. Sapevo un sacco di cose delle civiltà precolombiane, e un po’ di più tardi mi inventai un orale di storia alla maturità scientifica parlando delle analogie tra il colonialismo di Crispi e la costruzione delle piramidi egizie. Ma la scintilla erano quei libri. A quattordici anni ci credevo, poi ho smesso come si smette di credere a Babbo Natale. Ma certe strutture mentali erano ormai plasmate, certe storie erano rimaste cablate nelle sinapsi.
    Nei decenni seguenti mi è capitato sporadicamente di leggere per curiosità alcuni degli epigoni: Berlitz sul Triangolo delle Bermude, un libro che si intitolava “Il mattino dei Maghi” di cui ricordo pochissimo, un volume di Bauval e Hancock sulle piramidi. Forse più che altro speravo di ritrovare il divertimento che mi dava da ragazzo Kolosimo, invece la sensazione che ne traevo regolarmente era quella della “furbata”, della macchina acchiappagonzi. Anche dove si partiva da un nucleo credibile e interessante si finiva regolarmente per rivelare non tanto un progetto di conoscenza quanto un “metodo produttivo” per vendere libri a gente che vorrebbe tanto poter credere in qualcosa di grande (e in un certo senso forse lo vorremmo tutti).
    Il risvolto ideologico di Kolosimo lo apprendo da voi e confesso che mi stupisce, ma forse non tanto. Quello che mi è rimasto dei suoi libri è probabilmente la tendenza a pensare sempre largo, larghissimo, e a non aver paura di tutto quello spazio.
    Se mai è esistito un “metodo Kolosimo” penso che possa essere definito come l’azzardare risposte smisurate a domande smisurate, come quelle che l’archeologia molto spesso presenta. Se così fosse, sarebbe certamente un metodo rivoluzionario.

    • Hai illustrato perfettamente la differenza tra Kolosimo e “quegli altri”. Come dicevamo nel post, sul canale di Focus danno spesso documentari di “archeologia fantastica”, ma appunto, sono baracconate americane, macchine “acchiappagonzi”. Produzioni costose, immagini pulite pulite, niente spigoli, nessuna deviazione dal copione, nessuna “eccedenza”. E’ come guardare “Voyager” messo insieme con più soldi, e con uno stuolo di versioni yankee di Giacobbo.

      Ti correggo solo su un punto, mi sa che hai confuso i titoli di due libri, “Il mattino dei maghi” di Pauwels e Bergier non rientra tra i libri degli epigoni, è anzi il libro-capostipite del filone, perché è un best-seller mondiale uscito per la prima volta in Francia nel ’57. Per molti versi sono stati Pauwels e Bergier a rendere possibile la divulgazione eversiva di Kolosimo. La loro matrice ideologica era diversissima, però. In comune c’era il fatto che uno dei due autori, Bergier, era stato partigiano – anzi, più appropriatamente: agente segreto contro i nazisti.

      • “Il mattino dei maghi” di Pauwels e Bergier è considerato il manifesto del “realismo magico”, che loro introducono così: “È per difetto di fantasia che letterati e artisti cercano il fantastico fuori della realtà, nelle nuvole. Non ne ricavano che un sottoprodotto. Il fantastico, come le altre materie preziose, deve essere estratto dalle viscere della terra, dal reale. E la fantasia autentica è ben altra cosa che una fuga verso l’irreale. […] Generalmente il fantastico viene definito come una violazione delle leggi naturali, come l’apparizione dell’impossibile. Per noi non è affatto questo. Il fantastico è come una manifestazione delle leggi naturali, un effetto del contatto con la realtà quando essa viene percepita direttamente e non filtrata attraverso il velo del sonno intellettuale, attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi.” (Louis Pauwels e Jacques Bergier, “Il mattino dei maghi”, Mondadori, Milano 1963, pp. 14-15.)

        Splendida anche la loro ferma opposizione all’apatia, così espressa sulle pagine de “L’uomo eterno”: “Quanto è ignorante il cuore e quanto manca d’amore l’intelligenza di coloro che si sentono soffocare, che si annoiano, che si disperano all’interno di tante sublimi stranezze e fiammeggianti enigmi! «Ah, il mondo è così bello — dice un eroe di Claudel — che bisognerebbe metterci qualcuno capace di non dormire!»” (Louis Pauwels e Jacques Bergier, “L’uomo eterno”, Mondadori, Milano 1972, p. 8.)

      • Pauwels invece era uno di quei soggetti che Furio Jesi metterebbe senza remore tra gli esponenti della “Cultura di destra”, un maestro della Tradizione, uno per il quale il fantastico era soprattutto reazione – da destra – alla nausée sartriana, all’esistenzialismo della sinistra francese anni Sessanta. Uno che all’interesse per gli aspetti occulti e magici della realtà, negli ultimi anni di vita aveva accostato la fascinazione per…Giovanni Paolo II.
        Sarebbe interessante verificare se Kolosimo ebbe mai collaborazioni con la rivista Planète, diretta da Pauwels. L’edizione italiana si stampava a Torino nella tipografia Toso, ed era, dal punto di vista tematico, la collocazione ideale per uno come Kolosimo. Non dal punto di vista politico, però. Pianeta era a suo modo una fucina di immaginario nénéista e pure rossobruno, e non credo che Kolosimo ci si sarebbe trovato a suo agio.

        • Era proprio un adepto di Guénon, solo che aveva trasmutato il culto della Tradizione nel culto di una tecnica che riconciliasse Tradizione e futuribile (un futuribile antipositivista). Un “modernismo reazionario”, direbbe Herf, che a fine anni Ottanta mappò la fascinazione per scienza e tecnologia da parte di pensatori reazionari nella Germania della “rivoluzione conservatrice” e di Weimar.
          La primissima parte de “Il Mattino dei maghi” è una sorta di breve autobiografia intellettuale di Pauwels, dove racconta come – grazie a Bergier, sembra di capire – passò da Guénon al “realismo magico” tecnofilo.

          • Ad ogni modo, facendo questo tipo di tara, “Il mattino dei maghi” è un libro che merita, anche dal punto di vista letterario.

            • Per carità: così come merita Jünger, e spesso anche Eliade. Tuttavia…

              • …va fatta la tara, e che tara! :-D

                Sul frontespizio della mia copia de Il mattino dei maghi, ventitre anni fa ricopiai a mano questa frase:

                «I situazionisti respingono con la massima ostilità la proposta fatta da Pauwels e Bergier ne Il mattino dei maghi, che consiste nel fondare un istituto di ricerca sulle tecniche occulte e nel formare una società di controllo, riservata a coloro che sono nelle giuste posizioni per manipolare le condizioni di vita dei loro contemporanei. Non collaboreremmo mai a un simile progetto, e non abbiamo alcun desiderio di finanziarlo.»

                Asger Jorn, «La creazione aperta e i suoi nemici», Internationale Situationniste n. 5, dicembre 1960.

                Su questo, ero e rimango d’accordo coi situazionisti :-)

              • Va anche detto che all’epoca, non solo in Italia, del libro di Pauwels e Bergier colpì soprattutto l’aspetto utopico e pacifista, antesignano della New Age, ma in una chiave più tecnologica. L’aspetto aristocratico fu còlto, ma passò in secondo piano. Il libro fu visto più come un invito – per dirla con Vecio Baeordo – a “pensare largo”.

                In Italia, va aggiunto, erano anni in cui la cultura di sinistra sembrava avere le idee chiare sui propri contorni, ovvero su dove finiva ciò che era progressista e cominciava ciò che era reazionario; le radici erano salde, non c’era la crisi d’identità arrivata in seguito alle sconfitte epocali di fine anni Settanta – inizio Ottanta, e gli unici “nénéisti” pericolosi erano… i democristiani. Penso, insomma, che non ci si dovesse sentire più di tanto minacciati dagli aspetti esoterici del libro, né tantomeno dalla rivista, alla quale forse Kolosimo diede degli articoli come li avrebbe dati a “Epoca” (che però sicuramente pagava meglio!). Dopodiché, Kolosimo fondò la propria rivista, che però ebbe vita breve, altro momento della sua biografia su cui sarebbe d’uopo fare ricerche.

        • Articoli di Colosimo dovettero apparire almeno su “Pianeta” nn. 37 (novembre/dicembre 1970) e 40 (maggio/giugno 1971), ma non ho, al momento, modo di verificare.

          Comunque è davvero il caso di lavorare ad una bibliografia dello stesso a partire dagli anni riminesi…

      • Non sono sicuro c’entri molto (o forse sì, dato il personaggio) ma ogni volta che sento citare “il mattino dei maghi” mi viene in mente l’omonimo capolavoro di Manolo. Per chi non la conosce merita almeno un giro su Google immagini.

  2. Grazie per questo ricordo! E’ da un pezzo che voglio rileggermi tutto Kolosimo ma non trovo mai il tempo. Così mi tenete alta la motivazione! :)

  3. Quando ho letto il tweet che annunciava l’uscita di questo articolo ho fatto un balzo sul divano. Senza staccare gli occhi dallo schermo, ho fatto scorrere la mano sul basso tavolino da fumo; con le dita ho trovato il segnalibro, con un solo movimento me lo sono ritrovato aperto sulle ginocchia:”Capitolo VI – Porti per l’infinito”. Un U.N.O. ante litteram, una prosa accattivante; ad ogni pagina, se non ad ogni paragrafo, sento muoversi le labbra:” Dai Peter, ma che davero?” Gli scienziati russi, Lovecrat con Chtulu, quanti cose, quanti…mondi in così poche pagine, e quella costante sensazione da picnic sul ciglio della strada: che l’abbiano letto Arckadij e Boris, visto tra l’altro che le loro prime opere le tradusse proprio Bergier? Io dico di sì…
    E quando apparentemente en passant disintegra Adamski, è lì che ti ricorda di non abbassare mai la guardia contro questi cialtroni, che il prossimo Adam Kadmon, per fare un esempio ancor più basso di quelli da voi citati, è già lì pronto ad imbonire e buttare in vacca la potenza di un immaginario strepitoso. Grazie WM e Mariano per questo post, per me è semplicemente bellissimo.

  4. Io Peter Kolosimo non lo conoscevo, almeno fino a quando da un po’ di tempo i Wu Ming hanno iniziato a offrire la traccia di una narrazione sul personaggio e sulla sua personalità.
    Concordo con @vhreccia sul giudizio con cui chiude il suo commento: entrambi gli articoli che compongono il post sono bellissimi, c’è una passione vibrante e contengono elementi forti da contrapporre alle narrazioni pseudoscientifiche delle “macchine acchiappagonzi”.

    Ho usato il termine “vibrante” per scelta, la figura di Kolosimo in diversi modi nelle ultime settimane – presumibilmente le stesse in cui era in corso la messa a punto definitiva dei due articoli che compongono il post – si è palesata nei miei pensieri più volte a seguito di eventi apparentemente fortuiti o casuali. Leggere ieri il tweet dei Wu Ming che lanciava questo post mi ha lasciato piuttosto basito: come a volte è capitato venisse scritto qui, “è la cazzo di risonanza” :-)

    Per finire, i due pezzi, come il commento di @VecioBaeordo, sono preziosissimi per me, per la prospettiva che offrono sulla «fantarcheologia», con cui da anni ho in corso un personale arrovellamento di cervello che non sono mai riuscito a risolvere fuori da una lettura dicotomica, che proprio non mi ha mai convinto. Ecco, mi pare che qui mi si offra l’indicazione di una via d’uscita più convincente…

    E se non si capisce sta ultima cosa, se è criptica, scusate, al momento mi serviva per ringraziare ;-)

    • Il nostro approccio al mondo di Kolosimo e, in generale, alla “fantarcheologia” può essere definito – con un concetto che introducono Tomatis e Buscema nel loro libro in uscita, L’arte di stupire – un approccio “smark”. Ma lo lascio spiegare a Mariano, cosa significa… :-D

      • Lo si potrebbe anche definire “materialismo magico”. Kolosimo non aveva bisogno di esoterismi, occultismi, teosofismi e spiritismi vari per mostrare le meraviglie e i misteri della sua archeologia spaziale.

        • “Materialismo magico” è l’espressione perfetta.

          “Smark” è preso in prestito dal mondo del wrestling.
          I “Mark” prendono per vero tutto quello che accade dentro e fuori il ring: le botte, gli insulti, le rivalità tra gli atleti, i siparietti dietro le quinte. Per loro, il wrestling è uno sport che premia il mix tra muscoli, agilità e astuzia.
          Gli “Smart” sono i più avveduti: lo considerano uno spettacolo messo in scena dai wrestler – attori/stuntmen che recitano una parte in una trama messa a punto da un team di autori. Secondo loro il wrestling è una forma di intrattenimento senza alcuna vera competitività. L’interesse degli Smart si concentra sugli aspetti tecnici dell’esibizione: la difficoltà di una mossa, la bontà di esecuzione di una presa, l’originalità delle dinamiche tra gli atleti – a volte intricate come quelle di una soap opera.
          Per indicare chi riesce a conciliare i due atteggiamenti, godendo dello spettacolo *come se* fosse vero, nel mondo del wrestling è nata la parola “Smark”.

          La dicotomia esisteva già in ambito letterario, per definire l’atteggiamento dei lettori e quello degli autori. Orhan Pamuk le dedicò le sue Norton Lectures, riprendendo una distinzione introdotta da Friedrich Schiller. I Mark sono gli “ingenui”, che si immergono nelle storie a tal punto da scambiarle con la realtà. Schiller chiamava gli Smart “sentimentali”: sono quelli consapevoli degli aspetti fittizi di un testo. Parlando del suo “Il museo dell’innocenza”, l’autore turco diceva: “Auspicavo che il mio romanzo fosse recepito come un’opera di finzione, un prodotto dell’immaginazione, ma volevo anche che i lettori pensassero che la storia e i personaggi principali fossero veri. E non mi sentivo per niente ipocrita o imbroglione nel nutrire tali desideri contraddittori.” Il messaggio di fondo delle sue lezioni americane è: come autore e come lettore, il massimo del godimento potrai trarlo cercando di conciliare i due atteggiamenti.

          Secondo me, Peter Kolosimo aveva in mente una cosa del genere, e i suoi libri sono una buona palestra per affinare tale capacità. Roberto Giacobbo, molto meno.

          Come illusionista, mi sento molto vicino a tale approccio, che per primo propose il padre della prestigiazione moderna, Jean Eugène Robert-Houdin. Di lui Joshua Landy scrisse: «Le sue performance non solo richiedevano di mentenere simultaneamente (o quasi simultaneamente) credulità e scetticismo, ma offrivano anche l’occasione di affinare tale capacità e rinforzare un atteggiamento di distaccata credulità – esattamente l’atteggiamento che consente di reincantare la vita quotidiana. […] Houdin offriva al suo pubblico un modello per la costruzione di un sistema di credenze consapevole della propria illusorietà.»

          Ecco, come autore mi pongo questo obiettivo: *coltivare* attivamente nel lettore un atteggiamento Smark. Sul tema c’è un libro enorme: “As If” di Michael Saler. Il saggio esplora il modo in cui Tolkien, Conan Doyle e Lovecraft riuscirono nell’intento di condurre i lettori verso tale equilibrio, attraverso astuzie letterarie raffinate. Purtroppo nell’ambito dell’illusionismo sono pochissimi i maghi che riescono nello stesso intento. Uno di loro è Derren Brown. Qui analizzo una delle sue performance, mettendone in luce le astuzie narrative mirate a tale equilibrio:
          http://www.marianotomatis.it/blog.php?post=blog/20121230

          Il tema è gigantesco, e a tale sottile confine ho dedicato i miei due ultimi libri.

          • Grazie, mi sono preso molto bene e l’approccio “smark” (ma anche “materialismo magico” è una definizione che percepisco come “liberante”) mi pare una doppia chiave – d’interpretazione e d’azione – potente; come ho scritto nel mio commento in cima a questa diramazione, su alcune questioni a cui dedico da tempo riflessioni mi ero un poco incartato ed ero alla ricerca di un punto di lettura che scartasse di lato, per offrire nuova luce e quindi offrirmi una visuala differente delle questioni. Jackpot! :-)

            Ora mi metto in attesa dell’uscita del libro di @Mariano Tomatis, che ringrazio per l’intervento chiarificatore… se ho letto giusto – e se non è un pesce d’aprile – la data è, appunto, il 1° aprile prossimo .

  5. Appunti su Il mattino dei maghi: in cosa sono di destra Pauwels & Bergier, e come Kolosimo evita la trappola

    Dopo lo scambio di oggi pomeriggio (cfr. i commenti nella prima diramazione), ho ripreso in mano Il mattino dei maghi.

    L’Introduzione di Pauwels rimane una testimonianza notevole, impressionante. C’è una presa di distanza dalla Tradizione e dalla Reazione, che si trasforma nel tentativo di recuperare la Tradizione senza la Reazione, cioè ritrovando il sapere antico ed esoterico non andando indietro ma andando avanti, nelle manifestazioni più avanzate del mondo moderno.

    Ne nasce un libro scritto a quattro mani (ma in realtà quello che dice “io” è sempre Pauwels) da un umanista di destra che si è innamorato della poesia della nuova scienza e da un ingegnere e divulgatore scientifico che ha bisogno dell’umanista per comunicare quella poesia. Ed è un grande libro, sia chiaro.

    Il mattino dei maghi non è “tutto rose e fiori”: su ogni pagina si allungano minacciose le ombre di Auschwitz e di Hiroshima, la guerra fredda, l’equilibrio del terrore… La minaccia atomica è il futuro da scongiurare e il nazismo è l’esempio di… cattivo recupero dell’esoterico, cautionary tale da tenere sempre in testa.

    Il libro è percorso da un dilemma, da un’aporia: annuncia una nuova epoca di sapienza, ne comunica il fascino, i colori, i riverberi con l’antico, racconta e divulga, divulga e racconta, ed è ben conscio di essere un libro destinato al successo, te lo fa sentire in ogni riga, in ogni figura retorica, in ogni brillante stratagemma narrativo… La forma è popular, senza accademismi, lo stile è splendente…

    …Ma è uno stile “antifrastico” rispetto al contenuto. Il contenuto (all’osso) è che certi saperi vanno riservati ai sapienti, perché una loro eccessiva circolazione sarebbe pericolosa per il pianeta. C’è già, o si sta formando, un’élite di saggi che lavorerà per noi, lavorerà per scongiurare una Hiroshima planetaria, e rendere impossibili nuove Auschwitz, che altrimenti sarebbero dietro l’angolo.

    Il bello è che non si dice al lettore, come nelle facili trappole acchiappagonzi: tu sarai “in”, farai parte di coloro che sapranno, qui c’è la ricetta, qui ci sono le istruzioni, sintonizzati sul nostro canale.

    Macché, gli si dice: sia chiaro che tu sei “out”, però fìdati, al mondo c’è chi custodirà bene quei saperi, quegli uomini sono i migliori al mondo, sono gli alchimisti, lasciali fare. Tutte queste meraviglie e storie di meraviglia noi te le abbiamo raccontate per farti capire quanto fica è questa gente a cui va delegata la vera conoscenza. Loro tutto questo lo vedono con chiarezza dall’alto… Ma ammetterai che già intravederlo dal basso è abbastanza fico, altrimenti che scriviamo a fare? E’ già qualcosa, anzi, è molto più di quel che ti è stato dato sinora, ragion per cui, lettore, ringraziaci, anche tu sei partecipe di questo grande rinnovamento, seppure in posizione subordinata, e anche in questa posizione qualcosa puoi annusare, intuire…

    Ecco, questa è al fondo cultura di destra, e Asger Jorn lo aveva colto benissimo. Però è interessante come prende questa forma, a partire dall’esplicito rifiuto di tutte le più scontate manifestazioni di cultura di destra. Ed è ancora più complicato di così, perché Pauwels dice di non essere più reazionario, ma che esserlo stato gli ha fatto bene, è contento di esserci passato. Il pensiero reazionario lo ha salvato dall’accettazione acritica della modernità.
    In questo, leggere Pauwels può essere più istruttivo che leggere De Benoist (e che sia più divertente è poco ma sicuro).

    Riporto dall’Introduzione:

    «Quando uscii dalla mia nicchia di yogin per dare uno sguardo al mondo moderno che condannavo senza conoscere, vidi subito il meraviglioso. Il mio studio reazionario, spesso pieno di orgoglio e di odio, era stato utile in questo: mi aveva impedito di aderire a questo mondo dal lato negativo: il vecchio razionalismo del XIX secolo, il progressimo demagogico. Mi aveva anche impedito di accettare questo mondo come una cosa naturale e soltanto perché era il mio mondo, di accettarlo in uno stato di coscienza sonnolenta, come fa la maggior parte delle persone. Con l’occhio rinfrancato da quel lungo soggiorno fuori del mio tempo, vidi questo mondo ricco di fantastico reale quanto il mondo della tradizione era per me ricco di fantastico immaginario. Meglio ancora: ciò che imparavo del secolo modificava, approfondendola, la mia conoscenza dello spirito antico. Vidi le cose antiche con occhi nuovi, e i miei occhi erano nuovi anche per vedere le cose nuove.»

    Da qui deriva l’approccio che ritrova nella nuova fisica e nella nuova chimica le intuizioni degli alchimisti, o che ipotizza l’esistenza di antichissime civiltà che si autodistrussero dopo avere raggiunto il nostro stesso sviluppo tecnologico, and so on, and so on.

    Questo lunghissimo arco che collega l’antico – o addirittura l’ancestrale – al “presente avanzato” e al futuribile è anche quello che permette a Kolosimo, negli anni successivi, di sviluppare le sue narrazioni di “archeologia spaziale”.

    Kolosimo segue il solco scavato da Pauwels e Bergier, ma con un’impronta fin da subito molto personale. Gli elementi, i generi e le tipologie testuali che ibrida (molto efficace la descrizione di Bianucci riportata da Mariano) sono in fondo le stesse che ibridano Pauwels e Bergier, ma (ma!):
    1) viene gettato alle ortiche il tono oracolare;
    2) non c’è l’aporia, la contraddizione senza sintesi tra stile e contenuto: Kolosimo di-vulga perché il sapere va dato al volgo, è per la socializzazione dei saperi, non canta le lodi di un’ipotetica élite di scorreggioni. E dice al lettore: io sono al tuo stesso livello, non sono un erudito del cazzo, ma sono uno a cui piace trovare collegamenti tra cose apparentemente slegate, e ogni tanto li faccio notare agli altri. Discutiamone insieme!

    Insomma, se tematicamente siamo molto vicini, filosoficamente non potremmo essere più distanti da Pauwels e Bergier.

    • Ah, dimenticavo: di tutto questo, e più o meno in questi termini, ne parliamo ne L’armata dei Sonnambuli :-)

    • Ok, chiedo perdono a tutti: forse ho letto “Il mattino dei maghi” in un momento di confusione e l’ho piazzato nel calderone sbagliato. Non avevo notato soprattutto i collegamenti di Pauwels a Guénon (che pure ho letto: conoscerli per combatterli) e non ricordavo che il libro fosse anteriore a quelli di Kolosimo (la data della prima pubblicazione per Gallimard sulla mia copia, Oscar Mondadori, è 1960).

      Ora però leggo quello che riporti qui e sopra (la nota dei situazionisti) e mi parte un altro embolo…
      In particolare:

      nel fondare un istituto di ricerca sulle tecniche occulte e nel formare una società di controllo, riservata a coloro che sono nelle giuste posizioni per manipolare le condizioni di vita dei loro contemporanei

      sia chiaro che tu sei “out”, però fìdati, al mondo c’è chi custodirà bene quei saperi, quegli uomini sono i migliori al mondo, sono gli alchimisti, lasciali fare. (omissis) Loro tutto questo lo vedono con chiarezza dall’alto…

      1968 (“il sessantotto”): Club di Roma.

      (spero che non me ne vorrete: è un thread su Kolosimo dove però ci si allarga al Guénonismo… ;-)

  6. #Ufo, #Borghezio: “So per certo che ci spiano. Ci temono per il nucleare”

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/10/ufo-borghezio-so-per-certo-che-ci-spiano-ci-temono-per-nucleare/440673/

    “Da tempo la xenofobia di Mario Borghezio guarda oltre le stelle, proiettata nello spazio cosmico. L’europarlamentare leghista ha denunciato a Strasburgo che “governi occidentali, Nato, Russia e Usa ci nascondono l’esistenza degli alieni”. Ha affrontato il tema anche su Radio Padania nella trasmissione “Padanismo e vita extraterrestre”.”

    (…)

    – Gli Ufo iniziano a essere un problema.
    – Abbiamo una documentazione scientifica notevole. Ci sono le prove di veicoli extraterrestri. E se ci sono i veicoli ci deve essere pure qualcuno dentro.

    – Il presidente russo ha detto che sono anche tra noi.
    – È possibile. Io sono in contatto con una giornalista americana molto esperta sulla questione e lei sostiene che sia così.

    – Si mimetizzano e si mescolano.
    – So per certo che ci spiano, ci tengono sotto controllo.

    – Per quale motivo?
    – Ci temono. Gli alieni hanno paura dell’uso che possiamo fare del nucleare.

    – Ecco, il motivo. Possiamo danneggiare l’universo.
    – Gli extraterrestri ci sono fin dalla notte dei tempi.

    – Come nelle storie di Peter Kolosimo.
    – Io ho letto tutti i suoi libri.

    – Non siamo soli nell’universo.
    – Anche la Chiesa si è pronunciata. Ha detto che non è da escludersi una forma di vita esterna.

    – Se lo dice la Chiesa.
    – La Chiesa valuta sempre con attenzione. Ora serve la verità. Medvedev ha rotto il silenzio. Fuori i documenti top secret.

    – Mobiliterà il Parlamento europeo?
    – Sì e spero di avere un sostegno trasversale. La politica non può più eludere la questione.

    • Kolosimo 1974: «…mi son trovato ad aver a che fare con dei pazzoidi, che credono in queste cose ciecamente, vedono i venusiani belli biondi e alti, vedono i marziani preoccupati delle esplosioni atomiche e vedono i saturniani che si avventano sulla terra per conquistarla, insomma tutte queste panzane…»

      Borghezio 2012: «Ci temono. Gli alieni hanno paura dell’uso che possiamo fare del nucleare.»

    • #kolosimo la sapeva lunga, i compagni e le compagne ufo esistono e lottano insieme a noi, sono già tra noi, in val di susa, nelle case occupate, sui tetti dei cie… :-)

  7. Grazie per aver ricordato il grande Peter, che ha allietato la mia adolescenza..ed a proposito di Ufo, ricorderete certo questo….

    https://archive.org/details/MenInRed

  8. Un curioso follow-up sulla vicenda della mummia di Collegno: la giornalista Giuditta Dembech continua a proporre la vicenda come un caso *irrisolto* (!) su ogni nuova edizione del suo libro sul Musiné magico e misterioso. Conclude così il lungo capitolo dedicato all’orrenda creatura: “La logica ci porterà a dire: E’ mai possibile che tutti questi testimoni, un tipico campione di umanità seria e matura, esperta della vita, abbiano avuto un’allucinazione collettiva o si sono tutti lasciati buggerare dal ragazzo-mummia? Non era neanche Carnevale!” (Giuditta Dembech, “Il Musiné”, Ariete, Torino 1983).

    Per alcuni, i mostri restano tali.

  9. Personaggi di questo tipo mancano! Quando la sinistra che si definisce marxista si occupava ancora di scienza, e perché no, fantascienza.
    Certo Colosimo è più un Calvino stralunato che non un Bellone. Ma adesso sarebbero i benvenuti dei personaggi con uno spirito critico così grosso, e che tuttavia si occupano di divulgare.
    Come tutte le forme d’avanguardia, arte o divulgazione che sia, anche questa è stata stravolta dalla destra che ha preso le parti “esoteriche” e rimosso quelle divulgative e ne ha fatto uno show da iniziati, rivolto a chi spirito critico non ne ha, o non lo ha mai esercitato fino ai 30 anni.
    Vado un po’ off topic ma ogni tanto mi chiedo quanto sia colpevole la sinistra in tutto questo.
    Quanto il continuo affollarsi di battaglie “alternative” contro mulini a vento sia poi sfociato in complottismi destrorsi.
    Lo si vede nell’ambientalismo dove sia il negazionismo del cambiamento climatico, sia le lotte contro gli OGM hanno (spesso ma non sempre) gli stessi tratti oscurantisti anche se portate avanti da fazioni opposte…
    E lo si vede anche nelle varie fanta-archeologie… ad esempio nei nazionalisti bosniaci che spingono la stronzata delle piramidi…
    Per non parlare dei complottismi antiamericani, da area 51 ad Haarp, passando per le scie chimiche…
    Abbiamo un estremo bisogno di divulgatori scientifici a sinistra.
    O sono solo io che vedo questa connessione?

  10. Bellissimo articolo, ho letto tutto Kolosimo quando avevo 10-11 anni ma non sapevo che fosse un compagno, il saperlo mi rende il ricordo di quelle letture ancora più gradito.
    Certo che però en passant potevate buttarlo là un ricordino per MIR (Men In Red), l’ufologia radicale, l’AAA e tanti altri bei ricordi degli anni ’90…magari anche spingendovi a ricordare il transumanicon.

  11. […] libro come «felicemente giornalistico», citando una definizione che venne impiegata per parlare di questo tizio: troppa grazia… C’erano anche Wu Ming 2, Marco Trotta e […]