Sui veri risultati italiani delle Europee 2019. Non facciamoci abbagliare da percentuali di percentuali

astensionismo

[Stamane abbiamo pubblicato su Twitter una catena di tweet coi nostri primi spunti di riflessione sul risultato elettorale. Abbiamo deciso di pubblicarli anche qui, in forma di articolo, con alcune modifiche e integrazioni. Buona lettura. WM]

Un solo esempio per far capire quanto l’astensione al 44% distorca la “fotografia” e renda i ragionamenti sulle percentuali dei votanti – anziché del corpo elettorale – del tutto sballati: alle politiche del 4 marzo 2018 il PD prese 6.161.896 voti. Alle Europee di ieri, 6.045.723.

Non c’è nessun «recupero», sono oltre 116.000 voti in meno rispetto all’anno scorso. L’iperattivismo polemico di Carlo Calenda e la retorica da Madre di Tutte le Battaglie non hanno ottenuto nulla salvo un effimero superare una «soglia psicologica» che non ha corrispondenza nel reale.

Per chi dice che non vanno comparate elezioni diverse, ecco il dato delle precedenti Europee: 11.203.231. In cinque anni il PD ha perso oltre cinque milioni di voti, eppure, in preda all’effetto allucinatorio da percentuali “drogate” dall’astensione, la narrazione è quella del «recupero», della «rimonta», del «cambio di passo».

Se proprio si vuole ragionare in termini di percentuali, ragionando sul 100% reale vediamo che la Lega ha il 19%, il PD il 12%, il M5S il 9,5%. Sono tutti largamente minoritari nel Paese.

Rimuovere l’astensione rende ciechi e sordi a quel che si muove davvero nel corpo sociale. In Italia più di venti milioni di aventi diritto al voto ritengono l’attuale offerta politica inaccettabile, quando non disperante e/o nauseabonda.

Dentro l’astensione ci sono riserve di energia politica che, quando tornerà in circolazione, scompaginerà il quadro fittizio che alimenta la chiacchiera politica quotidiana, mostrando che questi rapporti di forza tra partiti sono interni a un mondo del tutto autoreferenziale.

Ora facciamo un esempio concreto di come rimuovere l’astensione abbia prodotto un effetto abbagliante e condotto a sfracellarsi chi si era fatto abbagliare.

Alle precedenti Europee il PD di Renzi prese il 40,81% del 57,22%, cioè il 23,3% reale. Ma tutti (s)ragionarono e discussero come se quello fosse «il 40% degli italiani». Renzi si convinse di avere quel consenso nel Paese, anche perché glielo ripetevano tutti gli yes-men e le yes-women di cui si era circondato. La sua politica consistette nello sfidare tutto e tutti, nel tentare ogni genere di forzatura, disse che avrebbe usato il «lanciafiamme» e quant’altro. Si rese talmente inviso nel corpo sociale reale del Paese che a un certo punto non fu più in grado di parlare in nessuna piazza, dovette annullare frotte di comizi, scappare dal retro ecc. Era la stagione di #Renziscappa.

La mappa di #Renziscappa, 2014-2016. Clicca per vedere la storymap.

Vi fu chi fece notare che quelle contestazioni erano un sintomo di qualcosa, che bisognava porvi attenzione. La risposta, invariabile, era: «Sono episodi che non dicono niente, Renzi ha il 40%, resterà al governo per 20 anni.» Intanto, però, il dissenso montava e convinceva milioni di persone a tornare a votare per votargli contro nel referendum costituzionale del 2016.

A quel referendum votarono oltre cinque milioni di persone in più rispetto alle Europee, e il Sì fu sconfitto con sei milioni di voti di distacco, tondi tondi.

Vale anche in senso inverso, e un esempio lo abbiamo avuto proprio ieri: l’astensione ha causato un vero e proprio tracollo del M5S. Cinque milioni in meno rispetto alle politiche dell’anno scorso. Il M5S aveva intercettato una parte dell’astensione e anche di spinta dal basso di movimenti sociali, ma ha ben presto dimostrato la propria inconsistenza, deludendo oltremisura, e molti che l’avevano votato se ne sono andati, plausibilmente senza dare il voto a nessun altro.

Questo per dire che:

1. Qualunque discorso sul consenso politico nel Paese che non tenga conto della «variabile impazzita» – nel senso di imprevedibile – rappresentata dalle energie “congelate” nell’astensione, e dunque dal flusso alternato voto/non-voto, è un discorso campato in aria.

2. Le piazze, le contestazioni, le manifestazioni di dissenso contano eccome, sovente sono più reali dell’allucinazione da percentuale di percentuale. Per questo ha senso continuare a monitorare #Salviniscappa. Teniamo conto che soltanto a maggio ci sono stati 21 episodi significativi.

3. Ripetere il cliché «chi non vota sceglie di non contare» è lunare, per due ragioni:
■ a. non-voto non equivale per forza a passività, milioni di persone non votano più ma fanno lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo, sono cittadine e cittadini attivi, molto più attivi di chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine;
■ b. da un momento all’altro costoro potrebbero tornare a usare anche il voto per scompigliare il quadro.

Salvini ha il 19% reale. Sono nove milioni di persone. In Italia siamo sessanta milioni. Il corpo elettorale attuale conta circa 51 milioni di persone. Salvini non ha con sé «gli italiani». Anche se guadagna voti e ha il consenso di un elettore su cinque, rimane largamente minoritario. Ma se guardiamo a quel 34% – ancora: è la percentuale di una percentuale – rischiamo di non capirlo.

[Un inciso: guardando troppo a Salvini che festeggia rischiamo di non capire nemmeno cosa stia succedendo in Europa, dove, al netto di singoli exploit come quello di Le Pen e Orban, la tanto paventata «ondata nera» non c’è stata e la sorpresa principale è, sulla scia delle mobilitazioni giovanili contro il disastro climatico, l’aumento del voto a forze percepite come più battagliere sul piano delle lotte ambientali e di difesa dei territori. Ora a Strasburgo i Verdi hanno dodici seggi in più delle estreme destre, 70 contro 58.]

#Salviniscappa può essere un buon sismografo nei prossimi mesi. L’effetto-shock (ingiustificato) del «34%» finirà, il conflitto sociale no. Figuredisfondo ha quasi pronta la nuova mappa, per ora in versione beta.

Cercare alternative nelle urne senza costruire alternative sociali è insensato, è il classico voler costruire la casa dal tetto. Anzi, dal tettuccio del comignolo.

Per costruire alternative sociali bisogna guardare alle lotte e, come diceva quel tale, «saperci fare col sintomo».

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

220 commenti su “Sui veri risultati italiani delle Europee 2019. Non facciamoci abbagliare da percentuali di percentuali

  1. […] In questa lunga riflessione, nata su Twitter e raccolta su Giap, i Wu Ming sottolineano l’importanza di leggere i dati reali, evitando narrazioni tossiche sulle Europee 2019 e facendo riferimento al totale degli aventi diritto […]

    • Quanti voti ha preso la lega in assoluto? E quanti ne aveva preso nelle elezioni recenti passate? Ps grazie per l articolo, molto intelligente.

      • La Lega ha preso 9.153.638. Alle Politiche 2018 ne aveva presi 5.710.275. Passa dal 13% al 19% del corpo elettorale, anche con l’astensione che sale di ulteriori 3 punti. Questo dato ci fa ipotizzare che la Lega abbia già esaurito gran parte delle sue “riserve” di non-voto, e che ora nel territorio dell’astensione – cioè in quel 44% del corpo elettorale che domenica non ha votato – si aggirino soprattutto persone che la Lega non la voterebbero mai.

        • Grazie. la lettura del vostro articolo mi ha aiutato a mettere a fuoco Una idea Che ho da un po: vorrei fare uno studio sulle determinanti dell astensione nei contesti democratici. Ne esistono gia, ma mi sembrano datati, e ormai inadatti al contesto informativo. Prendete questi dato da fonti ufficiali immagino. Potete indirizzarmi? Vi ringrazio doppiamente

        • Messa così sembra quasi che quel 44% sia una massa che si oppone alla lega. Io credo che di quel 44% un buon 95% (percentuale di una percentuale) non voterebbe mai Lega come non voterebbe mai nessun altro partito e, tutto sommato, non si fa andare bene (o male) chiunque vinca.
          L’analisi sul numero assoluto di voti espressi in rapporto al corpo elettorale è matematicamente vera; le conclusioni, però, mi sembrano una forzatura.

          • Che «non si faccia andare bene» nessun partito è evidente ed è la premessa di ogni ragionamento fatto in questi giorni. Che «non si faccia andare male» chiunque vinca invece è una conclusione pretestuosa. Il punto è proprio il rifiuto di questa politica. Rifiuto che per noi ha potenzialità e non è dovuto principalmente ad apatia. Detto questo, sospettiamo che molto oltre gli attuali nove milioni di voti la Lega non possa andare. Ovvio che non possiamo metterci la mano sul fuoco.

            • Pardon, mi è scappato un “non” di troppo; intendevo dire che quel 44% si fa andare bene chiunque vinca. Il che potrebbe essere un poblema più che una potenzialità: si tratta di una massa instabile e esplosiva o di una maggioranza silenziosa e indifferente? Se per questa massa l’avanzata della Lega avesse rappresentato un problema, avrebbe tranquillamente potuto scegliere una delle varie opzioni disponibili sulla scheda, dall’estrema sinistra al partitone e al partitino liberal, passando per i verdi e i pirati e, volendo, anche per il M5S (ma questo è un altro discorso), e riallineare il risultato della Lega su valori più realistici. Invece nulla. Resta il fatto che, anche volendo parlare di voti assoluti, la Lega ha ottenuto un risultato clamoroso.

              • Non c’era un “non” di troppo, hai scritto la stessa cosa di prima, che per noi è una fallacia logica. Chi non vede nell’attuale politica opzioni realmente alternative tra loro si astiene perché non si riconosce in nessuna o, tout court, le avversa tutte. È il contrario del “farsele andare bene tutte”.

                Ed è evidente che il problema non è solo la Lega: veniamo da una lunga stagione in cui il “centrosinistra” prima e il PD poi – prima appoggiando la macelleria Monti-Fornero, poi facendo un patto con Berlusconi e governando insieme a Verdini – hanno portato avanti controriforme del welfare e del lavoro, applicato politiche “ordoliberiste”, variamente inciuciato con le destre, aderito piattamente ai “valori” del capitalismo e all’ideologia del “successo” (vedasi i pietosi spettacolini yuppie alla Leopolda), perseguito politiche inumane sull’immigrazione (vedasi Minniti) che hanno spalancato i portoni al salvinismo. Si pensava forse che questo non avesse conseguenze elettorali? Si pensava che tutto l’elettorato di sinistra fosse sempre e comunque disposto a ingoiarsi ogni rospo e votare una destra sostanziale in presunta alternativa a una destra conclamata?

              • Dicendo “Se per questa massa l’avanzata della Lega avesse rappresentato un problema, avrebbe tranquillamente potuto scegliere una delle varie opzioni disponibili sulla scheda” ignori (penso volutamente) quello che negli altri commenti abbiamo ripetuto decine di volte. Volevamo evitare la lega ma anche i 5stelle, il pd, la Meloni e Berlusconi. Ora lo chiedo a te, potevamo farlo votando?

                • Robgast, se ho capito bene il ragionamento è: il 34% della Lega non è un dato veritiero perché, in realtà, mettendo al denominatore il corpo elettorale, la Lega avrebbe il 19%. Matematicamente ineccepibile. Però sta di fatto che la Lega ha ottenuto il 34 % dei seggi disponibili. Ora, se davvero questo risultato fosse stato percepito come un problema, andare a votare sarebbe stata una valida soluzione. Ad esempio, io credo che per questo motivo il PD abbia preso più voti di quanti se ne aspettasse (e ce ne aspettassimo): per paura della Lega molta gente si è rifugiata nel partitone di “centro-sinistra” pur non condividendone la politica. Ma oltre al PD c’erano altre scelte più o meno valide. Possibile che nessuna di queste andasse bene? Ne deduco che il 44% del corpo elettorale, quello che non vota, è in larga parte “né di destra né di sinistra”. Aggiungo che non credo che l’atto di votare, da solo, possa bastare. Ci vuole l’impegno, che sicuramente in molti applicano quotidianamente, come più volte ricordato su questo blog. Ma ci vuole anche il voto.

                  • Continui a postare come se la lega fosse l’unico problema, mi pareva fosse abbastanza chiaro che per me come per molti altri qui non fosse così. Per il tuo ragionamento sei libero di scegliere le premesse che vuoi, ma non puoi pensare di venirci a imporre le tue

                  • Erano le elezioni europee, la Lega non ha affatto ottenuto «il 34% dei seggi disponibili», ha ottenuto 22 seggi in un settore di parlamento europeo largamente minoritario, dentro un parlamento che peraltro ha pochissimi poteri.
                    Gran parte dell’equivoco su quanto è accaduto domenica deriva dall’aver parlato delle Europee come se fossero le Politiche.

                  • «Ma oltre al PD c’erano altre scelte più o meno valide. Possibile che nessuna di queste andasse bene?»

                    Sei serio?
                    Immagino tu abbia letto attentamente il discorso dei WuMing da cui è partito tutto e anche gli interventi successivi, nel quali si pone l’accento sul contenuto dell’offerta non sulla sua varietà. Attenzione che non è la stessa cosa.
                    Ci stiamo capendo su qual è il nocciolo della questione?
                    Perché stai dipingendo il popolo astensionista come capriccioso e incontentabile, mentre la cosa è un filino più complessa…

                  • Robgast, che cavolo stai dicendo? Per me puoi pensarla come ti va, chi ti impone niente. E poi leggi meglio.
                    Wu Ming… dai su: il 34% dei seggi disponibili in Italia, c’è bisogno di dirlo? Mica abbiamo votato per 751 seggi. Le Europee di domenica sono state proprio questo, a mio avviso: un referendum sull’operato del governo. Solo che a differenza dell’altro referendum, quello in cui il PD prese il 40% a parita di voti ottenuti, questo è stato significativo sia in Italia che in Europa.
                    Ombrerosse, sì sono serio e no, non ho letto tutti gli interventi. Ma credo di aver capito la questione e sto dicendo proprio il contrario di quanto tu credi che io dica: il popolo astensionista non è capriccioso e “choosy”, ma per la maggior parte disinteressato. Una parte di questo popolo fa politica in modo diverso, mentre un’altra parte (che a mio avviso è la maggioranza, ma spero tanto di sbagliarmi) non è interessata, lascia fare agli altri.

                  • Perdonami, ma se scrivi “oltre al PD c’erano altre scelte più o meno valide. Possibile che nessuna di queste andasse bene?” non siamo sullo stesso discorso.

                    Se in gelateria esco senza aver acquistato, prendi in considerazione l’ipotesi che non è che non mi vada il gelato, é che hanno dei gusti di merda.

                  • Si, sono serio, nessuna di queste andava bene. E in più commenti in questa pagina è spiegato il perchè, se vuoi continuare a far finta che questo punto di vista non esita fai pure, per me è evidente l’inutilità di continuare a discutere in questo sottothread con chi non ha intenzione di farlo (per discutere occorre anche ascoltare)

          • Ombrerosse, forse il discorso si sta avvitando e sto annoiando qualcuno, chiedo scusa. Provo a riepilogare cosa intendevo dire.
            Sono partito da questa considerazione “nel territorio dell’astensione – cioè in quel 44% del corpo elettorale che domenica non ha votato – si aggirano soprattutto persone che la Lega non la voterebbero mai” dicendo che, anche in relazione a quanto detto nell’analisi e in alcuni interventi successivi, messa così potrebbe sembrare che i non-votanti si oppongono alla Lega.
            Ho espresso un diverso avviso: chi non vota per lo più se ne infischia e/o non trova utile votare per la Lega o per qualsiasi altro partito, accontentandosi di chiunque salga al potere.
            Se, diversamente, queste persone avessero percepito come un problema di cui curarsi l’annunciata vittoria della Lega (perché si sapeva che la Lega avrebbe vinto), allora avrebbero avuto a disposizione diverse opzioni sulla scheda per esprimere un parere opposto.
            Immagino che siano in pochi, in questa massa, a fare politica in modo diverso impegnandosi nel sociale, ecc.
            Se poi mi dici che tutti i partiti che si sono presentati non erano interessanti e meritevoli di voto, allora sei tu che vedi il popolo astensionista come capriccioso e incontentabile.

        • In buona parte condivido. Ma è probabile che al sud, in cui le percentuali della Lega sono ancora relativamente basse e l’astensionismo altissimo, la Lega possa ancora crescere.
          Già adesso alcuni esponenti storici di Alleanza Nazionale e soprattutto ex Mpa stanno traghettando verso la Lega.

    • In quel 44% di astensione secondo me la stragrande maggioranza era essenzialmente gente che non aveva voglia di stare in coda alle urne.
      Poi vorrei sapere quali sarebbero le “alternative sociali” che proponete. Spero non sia Riace o Lampedusa, visto che pure là la Lega ha vinto.

      Salvini ha un obiettivo, un bersaglio, e lo persegue con tutte le sue forze. La sinistra, oltre al fatto di venir continuamente associata al PD, invece si fa più sentire sul terreno dei diritti civili che su quello dei diritti sociali. E conduce 2000 battaglie allo stesso tempo, senza nessuna coordinazione e separando le sue forze.
      Lo scrivevate anche voi ne “L’Armata dei Sonnambuli” no? Che la pancia vuota alla fine ti fa rimpiangere la schiavitù, perché sotto di essa almeno un tozzo di pane si rimediava. E che la libertà senza la sbobba è inutile e non fa alcuna presa sui poveracci.
      Ebbene, forse come movimenti sociali si dovrebbe tornare a parlare PRIMA DI TUTTO di lavoro.
      Perché altrimenti siamo noi che diamo l’impressione di voler costruire una casa partendo dal comignolo.
      Le fondamenta dovrebbero essere permettere a tutti di arrivare a fine mese, con un tetto sulla testa. Dopo si può passare alle varie lotte sui diritti civili.
      Una lotta alla volta. Una cosa alla volta.
      L’esempio storico-militare di Napoleone: sempre in inferiorità numerica, concentrava tutte le sue forze in un punto e affrontava i suoi nemici uno alla volta, in modo da avere la superiorità numerica locale anche se non aveva quella strategica. E così vinceva, perché impediva a loro di riunirsi e sfruttare la loro superiorità. Quando fu sconfitto? Quando anche lui iniziò a fare come i suoi nemici: separando le sue forze per poter prendere TUTTO E SUBITO.
      Non si può prendere tutto e subito.
      Noi non diamo l’impressione di poter ottenere nulla se non ulteriore caos, incertezza e disordine.
      I nostri discorsi sono retorici, complicati, ma alla fine della fiera vuoti e distaccati dalla realtà. E ancor peggio danno il senso dell’auto-compiacimento e hanno odore di elitarismo e snobbismo.
      “Questo è quello che dice la destra” direte voi.
      Vero, ma se è un discorso che fa così successo vuol dire che il messaggio che passa è quello. Gran parte dei discorsi online anti-sinistra non sono contro le politiche della sinistra, ma contro gli atteggiamenti. Anche su quello bisognerebbe ragionare. Come ci mostriamo alla gente? Cosa le comunichiamo? Siamo davvero sicuri che siano sempre loro a sbagliare?

      • Decidiamoci però. Se la sinistra si occupa di qualcosa, «Ah ma non ti occupi di quest’altra cosa!»; se la sinistra si occupa di tutto, «Ah ma non stai focalizzata!».

        Ma se questo post significa qualcosa, significa che i milioni di voti inespressi traducono milioni di esigenze “irrisposte”, e che talvolta si esprimono per altri canali. Sarebbe sciocco scartare alcune di queste esigenze aumentando ancora di più la platea di quelli a cui non parliamo. «Una lotta alla volta» non è il modo in cui funziona la coscienza di classe, ci sono questioni pressanti che offuscano talvolta anche le stesse esigenze basilari che tu individui in lavoro+casa. Per esempio se una persona è gravemente malata l’esigenza di avere un welfare sanitario pubblico efficiente e gratuito può farsi molto pressante e non renderla molto disposta a partecipare alla lotta di classe diretta.
        Immagino però che saresti disposto facilmente ad accogliere tra le esigenze basilari anche questa, quindi facciamo lavoro+casa+salute? mi sono venuti anche tre etti di trasporti pubblici di qualità, che faccio, lascio?
        Sospetto che nella tua testa contino come secondari solo i cosiddetti «diritti civili», concetto ultravago ma che in realtà se vai ad affrontare caso per caso ci parla di esigenze generalmente altrettanto concrete o comunque, per chi le vive, altrettanto pressanti.

        C’è una cosa che trovo particolarmente sbagliata di questo discorso; questa: «Le fondamenta dovrebbero essere permettere a tutti di arrivare a fine mese, con un tetto sulla testa. Dopo si può passare alle varie lotte sui diritti civili». Questa è una visione molto ingenua del capitalismo: non avremo mai un reddito tranquillo per tutti e una casa per tutti in questo sistema, che ci lasceranno il tempo e la serenità di dedicarci ad altre lotte che tu reputi secondarie. In realtà la situazione è molto più convulsa, le lotte non ottengono che vittorie parziali e provvisorie finché non rovesciano l’assetto complessivo della società.
        Non puoi costruire la casa con calma «dalle fondamenta» mentre il nemico ti bombarda, la metafora è sbagliata e fuorviante. In realtà è una jacquerie e stai assaltando il castello dei signori mentre loro ti tirano addosso l’olio bollente, devi riuscire a entrare e conquistarlo, se ti va male asserragliarti in un’ala dell’edificio fortificato e tenere duro, se ti va malissimo ritirarti alla meglio. E i castelli non si assaltano partendo dalle fondamenta ma da tutte le parti simultaneamente, e in genere partendo da dove, talvolta accidentalmente, offrono meno resistenza, sono più deboli. Una volta che sei dentro puoi aprire un cancello, puoi aprire da dentro un varco, puoi aiutare quelli rimasti indietro.

        Si tratta di costruire un blocco sociale nel bel mezzo del casino e questo non è un compito ordinato che si fa dalle fondamenta fino al comignolo, chiedendo a quelli del comignolo di aspettare un attimo.

        • «”Diritti civili”, concetto ultravago ma che in realtà se vai ad affrontare caso per caso ci parla di esigenze generalmente altrettanto concrete o comunque, per chi le vive, altrettanto pressanti.»

          Esatto: avere o meno la cittadinanza, avere o meno la pensione di reversibilità alla morte del proprio compagno, essere o meno discriminati per la propria provenienza o per il proprio genere, poter morire o meno con dignità e senza accanimento terapeutico, sentirsi o meno dentro il corpo “sbagliato” ecc. ecc., sono tutte questioni concrete e pressanti – e per nulla estranee alla lotta di classe, se di quest’ultima non si ha un concetto piatto e miserando.

          E anche volendo vederla in termini di lotta di classe “brut”, il fatto che un lavoratore o lavoratrice goda di meno diritti di un altro lavoratore o lavoratrice contribuisce a sabotare la loro unione e il loro lottare insieme.

          Esiste certamente, da parte dei “liberal”, un modo superficiale e diversivo di parlare di diritti civili, o almeno di una loro versione “light” concepita come contentino mentre si capitola di fronte all’orrore economico dei nostri tempi. Ma sminuire tout court le lotte per i diritti civili fa il loro gioco, ed è sempre molto sospetto: guardacaso, in una certa prosopopea che si dice “politicamente scorretta” i temi da cui più si prendono le distanze riguardano le vite di “negri”, profughi e in genere stranieri, comunità LGBTQ ecc.

        • E invece sì che bisogna dire a quelli del comignolo di aspettare un attimo, perché se non costruisci le fondamenta quelli del comignolo invece di aspettare non esisteranno proprio. Si chiama pianificazione, strategia, e serve a organizzare un qualche tipo di azione comune.
          Poi, militarmente parlando in realtà c’è sempre stato uno sforzo principale: il castello non veniva preso attaccando da tutti i punti contemporaneamente. Perché in questo modo gli attaccanti non potevano sfruttare il vantaggio del numero, che era l’unica cosa con cui potevano combattere il vantaggio delle fortificazioni della parte dei difensori. C’erano casomai delle distrazioni, finti attacchi per far credere ai difensori che si sarebbero attaccati certi punti al posto di altri. Ma il fronte viene sfondato grazie a un colpo potente contro un punto importante. Solitamente, parlando di castelli, il cancello, una breccia o una torre. Solo dopo aver aperto un varco nelle difese, si gettano nella mischia le altre forze di riserva per sfruttare lo sfondamento e conquistare più obiettivi. Ma questo accade dopo. Tutte le grandi battaglie sono andate così. O anche le grandi insurrezioni vittoriose.
          Anche a livello tattico, per esempio, quale fu la grande rivoluzione nella prima guerra mondiale per conquistare le trincee? Non più il grande assalto di massa, frontale, inutile e suicida, contro nessun punto in particolare, inviando intere ondate di uomini al massacro contro le trincee nemiche. Ma un bombardamento devastante su una zona relativamente piccola del fronte, in modo da indebolirne al massimo le difese. Poi, qualche gruppo relativamente piccolo, ma molto ben armato e ben supportato, contro le zone colpite dal bombardamento. Una volta prese le trincee di prima linea, una volta che le truppe d’assalto avessero aperto un varco tra le fortificazioni nemiche, si inviava il grosso delle truppe, attraverso quel varco, per allargarlo e conquistare le altre posizioni nemiche sfruttando la copertura delle loro stesse trincee. I tedeschi ci vinsero quasi la guerra in questo modo, ma si inventarono questa tattica troppo tardi e ormai erano allo stremo. Ed è questo il punto. Di quante forze disponiamo? Se sono poche dovremmo tenerle unite e compatte, non disperderle ulteriormente.

          Per me la cosa che più allontana le persone dalla sinistra e sopratutto dai movimenti, è che non diamo l’idea di sapere cosa fare. Di essere dei dilettanti quando va bene, o semplicemente gente che “gioca” e parla, ma niente di più. Non trasmettiamo un’alternativa che non sia puramente ideologica. La nostra confusione interna (proprio perché, come dicevo, non c’è una strategia ma una serie di lotte che dall’esterno la gente vede scollegate l’una dall’altra e molte delle quali non sente affatto importanti perché non la toccano in prima persona)la gente l’avverte e non ci fa vedere come una forza a cui dare fiducia. Ma in effetti, se prendessimo il potere domani, qualcuno avrebbe un’idea su cosa fare? Non credo. Io non ce l’avrei. Bisogna capire che alla gente l’anarchia fa paura. Una paura del diavolo. E più o meno è questo che gli arriva da parte nostra: ulteriore caos, in un’era in cui vorrebbero delle certezze.
          Inoltre, una cosa che ho notato, è che noi parliamo alle persone come se queste fossero già radicalizzate. Quasi pretendiamo che certi concetti radicali siano già nella testa della gente. Non è così. E quando il messaggio non passa diventiamo snob, saccenti, sprezzanti perfino. Io lo facevo, finché non mi sono fatto due domande e mi sono ricordato che nemmeno io sono diventato comunista da un giorno all’altro. Mi ci sono voluti anni.
          Non si radicalizza la gente da un giorno all’altro. E non lo si fa certo con una certa spocchia che noto e che sembra urlare “io so le cose. Voi ignoranti non capite un cazzo”.
          Un primo passo potrebbe essere quindi l’autocritica. Vedere come ci si pone, come e cosa si comunica…

          • Vuoi sapere a cos’altro serviva il fuoco d’artiglieria concentrato? A negare l’accesso alla “terra di nessuno”, per impedire che i soldati di prima linea fraternizzassero con i soldati nemici. Questa è la paura che fa la solidarietà tra i più umili: i comandanti preferivano sprecare munizioni e prolungare la situazione di stallo, pur di uccidere la lotta di classe (che non è nata con la prima guerra mondiale e neanche con Marx)

            La sinistra non è debole perché ha idee deboli o perché è divisa: è debole perché è stata attaccata in tutti i modi. Sanzioni, colpi di stato, attentati, assassinii, e ha ceduto al ricatto perché nessuno vuole vivere in guerra. Un po’ di politiche socialdemocratiche hanno aiutato a indorare la pillola amara, ma poi sono arrivate le privatizzazioni, l’erosione dei diritti dei lavoratori, la crisi finanziaria

            Salvini non ha nessun obiettivo o bersaglio, la Lega è un minestrone di idee di destra dove riconosci esattamente chi ha pagato e dietro quali promesse. E sostanzialmente, questo serve per fare quello che dici tu: i soldi

            Riguardo alla paura del caos, non è la divisione della sinistra (ma quale divisione?), è il ricatto del capitalismo, e prima di esso di tutti i regimi così dominanti da confondersi con la realtà: “senza di noi, il caos”

            Anche se personalmente non mi considero comunista, appoggio i comunisti perché mi sembrano gli unici che hanno capito come stanno le cose. Tutti gli altri tergiversano sparando gigantesche balle, ma quando sento parlare i comunisti, tutto torna. Quello che penso non è quel “meno male, allora si può ancora tirare avanti per un po’” di quando sento parlare i liberali, ma quell'”ALLORA MI HANNO SEMPRE PRESO PER IL CULO!” di Fantozzi dopo le lezioni della “pecora rossa” Folagra

            (e io non sono comunista per lo stesso motivo per cui Fantozzi non lo è: perché è una persona normale, mediocre, e quando lo fa lui, il comunista – o il campeggiatore, il pescatore, il cacciatore, il camperista, ecc. – non funziona)

          • Dice bene Giulia Q su molte cose.

            Ma non è curioso preoccuparsi che non abbiamo un progetto preciso su cosa fare “dopo” e al tempo stesso dire che bisogna occuparsi solo di poche questioni circoscritte? Ovviamente il progetto preciso, cioè il programma politico, ha a che vedere con le lotte che si fanno, e occuparsi di “tutto” è proprio il modo giusto per delineare un progetto complessivo di società alternativa. Diversamente non si capirà cosa pensiamo di fare su tutto ciò che non è riduttivamente la questione salariale.

            Sulle grandi rivoluzioni o insurrezioni vittoriose, poi, non me ne viene in mente neppure una che sia avvenuta puramente sulla questione salariale. Erano tutte senza esclusione intrecciate a numerose altre questioni in cui si articolava, talvolta molto obliquamente, la lotta di classe. Per esempio la Rivoluzione d’Ottobre, che è quella che conosco meglio, aveva dentro rivendicazioni di diritti civili di vario tipo (suffragio universale, parità di genere, libertà per gli ebrei, libera circolazione interna, diritti nazionali, linguistici e religiosi ecc.), la questione gigantesca della pace, l’internazionalismo e via dicendo. Un sacco di roba che “non si mangia” senza la quale non si sarebbe costruito quel blocco sociale a guida bolscevica (e non solo) di cui a volte i comunisti amano parlare senza approfondire molto.

            Uno dei problemi del Biennio Rosso in Italia (1919-1920) fu proprio che non trovò molti appigli fuori dalla questione salariale, che a sua volta poteva facilmente essere gestita con un po’ di furbizia dal padronato e da dirigenti sindacali poco rivoluzionari. Anche per questa ragione (non solo per questa) non divenne una rivoluzione come in Russia.

            Poi se si vuole invece solo dire che bisogna dare un’alta priorità alla questione salariale e un po’ più in generale al radicamento sui posti di lavoro, siamo tutti d’accordo, credo. Ma anche in tal caso, giacché si parla di elezioni, non mi illuderei che avere la fiducia dei lavoratori sulle questioni sindacali si traduca automaticamente in consenso elettorale: ci sono molti controesempi purtroppo… Questa idea della lotta economica che evolve naturalmente in lotta politica mi sembra ingenua e foriera di molte distorsioni, ed è simile alle rappresentazioni semplici del consenso elettorale come misura degli umori della società, che questo post ci spiega bene perché prendere con le pinze.

            • Sull’uso del risultato elettorale di Riace come ulteriore appiglio per dire che la sinistra dovrebbe fare la destra, è utile leggere questo intervento di Chiara Sasso.

              • Su Lampedusa e Riace: nessuno si è accorto che a Lampedusa la lega ha preso sì il 45%, ma l’astensione è stata del 75% (settantacinque per cento!). Adesso spero nessuno venga a dire che il 75% dei lampedusani hanno il culo pesante. Il 75% di astensione significa una protesta plateale nei confronti dello Stato. Quanto a Riace, come avevo fatto notare ieri, c’è stata una gran quantità di schede bianche e nulle, pari al 12% dei votanti, ovvero all’8% degli aventi diritto. Il dato normalizzato della lega su tutto il corpo elettorale è 16,5%, quindi più basso del dato nazionale. Il che significa che gli abitanti di Riace sono come tutti gli altri abitanti di questo paese, né meglio né peggio. Sta a chi si assume l’onere di rappresentarli politicamente, se rappresentarne gli aspetti peggiori o quelli migliori.

  2. Articolo rinfrancante, in un certo senso (grazie).

    Non sono del tutto d’accordo sulla forza latente di chi si astiene: si può pensare che un’altra volta qualcuno di loro voterà (e chi sa poi per chi), ma nessuna elezione, che io sappia, ha mai avuto il 100% di votanti, quindi in questo senso le “percentuali di percentuali” contano eccome. Certo, è vero che la Lega non ha il consenso del 34% degli aventi diritto, ma dire che “in realtà” è il 19% è una visione distorta, perché varrebbe, appunto, solo nel caso limite in cui votassero tutti. Suppongo che riferirsi una cifra intermedia potrebbe avere più senso. Bisognerebbe basarsi su uno storico dell’affluenza nel corso della storia (ma poi le situazioni sono ogni volta diversa e non so se si possano confrontare… insomma mi pare un discorso molto complesso).

    E rimane il fatto che, a meno di scelte di vita davvero radicali, le leggi e la politica “dei palazzi” hanno un’influenza diretta su quello che possiamo o non possiamo fare, anche nel quotidiano, e anche se il partito di maggioranza in parlamento è espressione di una minoranza dei cittadini.

    Sono invece d’accordo che esistano molte forme di politica che prescindono dal voto (ma non lo escludono neanche, no?).

    Ciao e buon lavoro.

    • Al volo, i dati relativi alle politiche: dal 1948 al 1976 l’affluenza alle urne non scese mai sotto il 92%. Nel 1976 toccò il 93,4%. Per tutti gli anni Ottanta rimase comunque poco sotto il 90%. L’astensione comincia a crescere negli anni Novanta, per poi scendere rapidamente negli anni Zero e Dieci. Dal 6,6% del 1976, l’astensionismo è arrivato al 27,62% del 2018. E parliamo delle politiche, le elezioni più partecipate. La tendenza si riscontra in *tutte* le tipologie di elezioni. Anche alle Europee di ieri l’astensionismo è ulteriormente aumentato di 3 punti. Più aumenta l’astensionismo, minore è la capacità dello strumento-voto di sondare gli umori reali del Paese e “fotografarli” e, di conseguenza, meno significativa diventa la percentuale sulla percentuale dei votanti.

      • D’accordo spes ultima dea, ma ritenere che prima o poi dalla massa caotica degli astenuti possa venire una scossa utile per il paese per il solo fatto che si presume che tra questi ci siano milioni di persone di buona volontà finora disgustate che troveranno ( quando, come?) l’animo per uscire allo scoperto e abbracciare la “giusta” causa finalmente proposta nel “giusto” modo o almeno contrastare quella “ingiusta”, beh… ce ne corre e parecchio.
        Se non altro perché si sorvola su una minima ipotesi di analisi della diversità di motivi e di atteggiamenti dietro ogni astensione.
        Personalmente ne ho trovati almeno una decina diversi ( che non ho certo la sfacciataggine di sottoporvi)

        Quale politica potrebbe essere così presuntuosa da credere di possedete la bacchetta magica per riuscire a convincere renitenti, indifferenti, astenenti passivi o attivi , per rabbia, menefreghismo, bisogno, ideologia, così diversi a cambiare atteggiamento/comportamento?
        Mi spiace, ma l’articolo ( a parte le precisazioni sulle differenze tra risultati in percentuale e in valori assoluti) mi sembra solo un velleitario superficiale esercizio consolatorio per alcuni tipi di astenuti impegnati nel sociale ( minoritari, maggioritari?), autoconsolatorio per quei perdenti che pensano che le proprie proposte, benché incomprese, siano le migliori al mondo e che dalla babele del distacco e della sfiducia si possa estrarre magicamente un nuovo entusiasmante, entusiastico consenso verso il sol dell’avvenir o contro la notte di ogni ideale.

        • Scusa, ma in questo thread abbiamo già risposto per filo e per segno su questi punti. La “speranza”, il “prima o ppi”, i diversi motivi dell’astensione…
          A tutte e tutti: prima di commentare, per favore, leggete la discussione.

          • Concordo con Ariel e non mi pare che abbiate risposto in modo convincente nel resto del thread. Il problema sta nel tentativo di “far parlare” un fenomeno molto opaco come è l’assenteismo. Opaco nella composizione e poco prevedibile negli andamenti, con tre sole caratteristiche evidenti: aumento costante dagli anni ’70 (per ogni tipo di elezione), più accentuato per regionali ed europee rispetto alle politiche, molto divaricato tra Nord e Sud (v. la sintesi dell’Istituto Cattaneo http://www.cattaneo.org/2019/05/21/speciale-elezioni-2019/). Per quel che ne so non è nemmeno sovrapponibile con qualche fondatezza statistica con altre modalità di attivismo (uso un termine generico). Il Cattaneo propone (con cautela) una correlazione negativa tra astensionismo e risultato elettorale dei M5S. L’alta partecipazione al referendum non significa granché: lì si trattava di sì/no, ma non è questo il tipo di consultazioni che abbiamo davanti e mi aspetto che un eventuale disgusto per l’offerta politica arretri solo di fronte ad un programma e ad un’organizzazione convincenti (di qualsiasi parte siano), sempre che non ci si trovi di fronte a situazioni emergenziali.
            Quanto alle percentuali di votanti, concordo sul fatto che non siano uno “specchio del Paese reale”, ma saranno molto “reali” nelle conseguenze. Salvini si è rafforzato a scapito del M5S e ora ripropone con maggior forza i noti cavalli di battaglia: TAV, flat tax, decreto sicurezza, autonomie. I migranti – spauracchio pre-elettorale – sono spariti a vantaggio dell’economia. Il nemico del momento è l’Europa, contro la quale andremo probabilmente a sbattere. E le conseguenze di tutto questo saranno parecchio “reali”.

            • Ma cosa si intende per «convincente»? Noi esortiamo a mollare gli ormeggi, a lasciar cadere i preconcetti sul non-voto, ad approfondire e ricercare, a vedere potenzialità dentro quel 44% che domenica non ha votato. Esortiamo a non farsi abbagliare dallo spettacolo “percentualocentrico”, perché ruota intorno a una percentuale ottenuta rimuovendo quello che, con un paradosso, è stato chiamato «il primo partito italiano» (non lo è, ovviamente). Facciamo notare che c’è un mondo anche fuori dai rituali sempre più stanchi della politica politicata che vivacchia intorno a quel rimosso, sui bordi del buco nero che molti dichiarano insondabile prima di qualunque tentativo di sondarlo, anzi, alcuni prima di qualunque occhiata. Facciamo notare che nel Paese le lotte ci sono, il quadro non è affatto immobile e ci sono segnali che giudichiamo importanti. Bisogna guardare a tutto quello che è successo nei circa due mesi precedenti al voto di domenica, e non considerare quest’ultimo come la «pietra tombale» del conflitto, perché non è così.

              Alcuni ci hanno risposto con obiezioni per noi fuori fuoco, con truismi ai quali spesso viene la tentazione di rispondere «grazie al cazzo, eh!»
              È del tutto ovvio che quel 44% non sia un campione omogeneo. È del tutto ovvio che sarebbe assurdo limitarsi ad attendere che «prima o poi» dal non-voto nasca qualcosa. È del tutto ovvio che servano lavoro organizzativo, chiarezza di visione, programma. E così via. Scusate, ma noi non abbiamo mai scritto le fesserie e banalità che sembrate attribuirci.

              La tentazione di rispondere «grazie al cazzo» viene anche di fronte alla constatazione – pure questa un’ovvietà – che la percentuale di votanti è reale nelle conseguenze. Secondo te non lo sappiamo? Far notare che c’è qualcosa (molto) anche *oltre* una certa cornice equivale forse a dire che dentro la cornice non c’è nulla?

              • Vi seguo da tempo e non immagino certo che siate all’oscuro delle conseguenze del voto. Mettiamola così: se vi trovate di fronte a tante “ovvietà” forse dipende dal fatto che il vostro discorso sembra appunto sottovalutare dati “ovvi”, a favore di una sovrainterpretazione dell’assenteismo, di cui – come tutti e come è appunto ovvio a chiunque – non potete dare una descrizione approfondita e “convincente” in senso statistico. Le lotte nel paese “reale” ci sono? Ok, ma che rapporto c’è con l’assenteismo? Qui manca – è inevitabile – un nesso forte e “convincente”.

                • Scusa, però le ovvietà vi siete sentiti in dovere di ribadirle in due o tre su centinaia di persone con cui abbiamo interagito tra Giap e Twitter, molti altri – anche in questo thread – sono stati più disposti a cogliere il punto del nostro discorso, anche non concordando in toto, e lo hanno usato come premessa anziché restarvi ancorati.

                  La differenza tra il tuo approccio e il nostro ci sembra questa:

                  – tu prima di esplorare le potenzialità contenute in quel 44% attendi di avere un «nesso forte» e inequivocabile tra conflittualità sociale e non-voto, non accetti di partire da evidenze empiriche e intuizioni;

                  – noi invece sosteniamo che c’è conflittualità sociale che non si incanala più nel voto, ci sembra di vedere testimonianze di questo un po’ dappertutto, e invitiamo a non dare giudizi aprioristici sul non-voto come «menefreghismo». Non vogliamo scrivere un’impossibile «equazione del non-voto e della lotta», ma se proprio si vuole un nesso forte, di certo non lo si troverà evitando di cercarlo.

                  E poi ci sarebbe da intendersi su cosa sia una lotta, cosa sia la conflittualità sociale, cosa sia l’essere attivi anziché passivi. Ma su questo abbiamo già scritto in un altro commento.

                  • Per quanto mi riguarda la parte analitica del discorso si può scrivere così:
                    A) l’astensionismo è rilevante per la lettura dell’atteggiamento politico dell’intero corpo elettorale, da non limitare ad un’analisi delle sole percentuali di voto. Va comunque notato che è un fenomeno strutturale, da tempo in crescita e che alle elezioni politiche – a mio avviso più significative – è assai inferiore (circa il 27% nel 2018)
                    B) sono presenti nel Paese lotte ed espressioni di attività politica che non coincidono con il voto e che non sono organizzate o sostenute da formazioni politiche presenti in Parlamento
                    C) è assai plausibile che tra A e B ci sia una qualche sovrapposizione, un’area non quantificabile che non può evidentemente essere liquidata come “disinteressata alla politica”. Potrebbe plausibilmente riconoscersi in un’offerta politica nuova, che però non si vede all’orizzonte e che essa stessa – ritengo – non può al momento coagulare
                    Tutto questo poteva essere detto anche in assenza di elezioni, o a fronte di qualsiasi risultato elettorale: che ci sia un’area “non menefreghista” che non vota non è una novità, che non sia facilmente quantificabile (tanto meno “scongelabile”) è abbastanza ovvio. Ma questo post si intitola “Sui veri risultati italiani delle Europee 2019”. Be’, i veri risultati li crea il voto, alla faccia dei dati “reali”. In sintesi, lo tsunami di merda ci è addosso, e non sembra trovare ostacoli robusti sulla propria strada. Inutile dire che spero di sbagliarmi.

                    • Ma perché, l’astensione al 44% non è anch’essa un risultato? E le percentuali sul corpo elettorale non sono vere?

                • Il nesso ad esempio è:

                  se tra le donne l’astensionismo arriva addirittura al 50%, e

                  1) i partiti di destra sono fortemente retrogradi e aperamente maschilisti;
                  2) il PD ha sempre snobbato NUDM e tramite alcune esponenti come Terragni ha addirittura lanciato anatemi contro il movimento
                  3) tutti i partiti, al di là delle operazioni di facciata, sono guidati in gran parte da maschi

                  per chi dovrebbero aver votato le centinaia di migliaia di compagne che hanno riempito le piazze in tutti questi mesi? è abbastanza logico congetturare che non abbiano votato affatto.

                  • Oppure Verdi :)
                    È una battuta, ma neanche tanto e anche la rentrée della Boldrini nel PD può aver fatto la sua parte.
                    Si fa per parlare, perché per me il problema non è nemmeno questo, come dicevo secondo me il dibattito va spostato sulla dialettica autorganizzata dal basso.

                • Altro esempio. A Trieste in novembre eravamo in 10.000 in piazza contro il fascismo. Alcuni esponenti del PD che all’ultimo momento avevano cercato di parassitare la manifestazione, dopo averci sparato contro merda per settimane, sono stati letteralmente cacciati dal corteo. E Serracchiani davanti ai labari della X MAS non è qualcosa che si perdoni o dimentichi. E’ evidente che una gran parte di chi era in piazza *non* è andata a votare, semplicemente perché non aveva per chi votare. Ovviamente non è che io conosca quei 10.000 uno per uno, ma tra quelli che conosco sicuramente sono più numerosi quelli che non sono andati a votare rispetto a quelli che si sono turati il naso per l’ennesima inutile volta.

    • In realtà la questione è veramente banale. Qual è la probabilità che camminando per strada e incontrando una persona a caso, questa abbia votato salvini? Una su tre (34%)? No, una su cinque (34% del 56%). E che si sia astenuta? Quasi una su due (44%). Il che non significa affatto dire che gli astenuti siano tutti compagni in potenza. Lo sappiamo benissimo che si tratta di un calderone in cui ci sono persone malate che non hanno potuto votare, persone in viaggio, ecc. E anche sociopatici, monarchici, pastafariani, satanisti, serial killer, nazisti, e quantaltro. Ma lì dentro ci sono *anche* i compagni, ci siamo noi e quelli che incontriamo (non casualmente) tutti i giorni, e che ne hanno le palle piene di calenda e soci, e anche dei finti linksradikalen, che finiscono sempre a far da stampella ai neoliberisti o ai feticisti delle manette (absit iniuria nei confronti degli amanti del BDSM che è un’altra roba). Queste considerazioni non servono mica a pianificare un partito. Servono a inquadrare correttamente l’impatto di una tornata elettorale del cazzo sulla possibilità di cambiare lo stato delle cose presenti.

      • Aggiungo che l’unica analisi seria è quella che si fa nei territori. Già confrontando i risultati delle amministrative e quelli delle europee balzano agli occhi differenze evidenti. I votanti sono esattamente gli stessi, ma le percentuali cambiano, anche perché l’offerta politica è diversa. In zona Trieste nelle amministrative c’è rifondazione che arriva al 15% a Dolina nella cintura “slavocomunista” operaia/contadina, mentre alle europee ci sono Rizzo e Fratoianni che insieme fanno solo il 10%. Inoltre ci sono gli autonomisti del TLT che portano via un 5% alla lega. Il che tra l’altro rende immediatamente chiara la contraddizione tra una lega tutta tricoloruta a livello nazionale, e lacerata dagli opposti sovranismi a livello locale. E questo si vede osservando anche solo superficialmente il microcosmo del Breg. Teniamo conto che l’informazione mainstream viene fatta nelle redazioni romane di giornali e televisione, da giornalisti che considerano già la periferia di Torre Maura come se fosse il Bayou della Lousiana popolato dai bracconieri Cayun.

    • Analisi molto interessante, anche se non ne condivido le conclusioni. Dove mettiamo la possibilità di esercitare il diritto di voto, lasciando la scheda in bianco? L’astensione c’è stata, ma forse dimentichiamo quella ben più alta del 2014. Sbaglierò, ma in questo articolo ho interpretato una sorta di “elogio” a chi non vota e sceglie altre forme di partecipazione politica. “Cercare alternative nelle urne senza costruire alternative sociali è insensato, è il classico voler costruire la casa dal tetto. Anzi, dal tettuccio del comignolo.” Una cosa non esclude l’altra secondo me, anzi, vanno di pari passo. DEVONO per forza! Esserci nelle istituzioni, dialogare con le istituzioni oggi,un periodo storico cui si mettono in discussione quei diritti civii “scontati”, è importante più che mai.

      • No, Sara, nel 2014 l’astensione fu più bassa, 41,3% contro il 44% di domenica.
        Sulla scheda in bianco, c’è un’interessante discussione in questo sotto-thread.
        Sul resto, è ovvio che la casa vada costruita. Ma non dal comignolo. Per «cominciare dal comignolo» si intende, ad esempio, la pervicace ostinazione a costruire mini-coalizioni funzionali soltanto all’imminente scadenza elettorale, spesso nate da una lettera pubblicata dal Manifesto e da un convegno in un teatro di Roma, senza basi vere, senza radici nella società, senza presenza nei luoghi di lavoro. Si tratta di operazioni mirate a incollare insieme, sovente con la sputazza, pezzi di ceto politico residuale. Il che non significa che là dentro non vi siano anche molte bravissime persone e anche bravi compagni, ma che sia un vicolo cieco è già stato dimostrato varie volte. Queste operazioni sono pienamente parte di quell’offerta politica che sempre più persone considerano irricevibile in toto.

  3. “il non-voto non equivale per forza a passività, milioni di persone non votano più ma fanno lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo, sono cittadine e cittadini attivi, molto più attivi di chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine”
    Sicuro che siano addirittura milioni gli attivisti non votanti e chi voti sia un coglione saccente? Faccio presente che da questo serbatoio di astensione così ricco di energie politiche l’ultima volta è venuto fuori M5S cioè il qualunquismo ur-fascista.

    • E dove starebbe scritto che chi vota è un «coglione saccente»? Guarda che qui non siamo su Twitter né su FB, illazioni e cazzate non sono tollerate più di tanto.

      Sì, sul totale di quei 22 milioni di persone che non votano si contano plausibilmente in milioni le persone che in tutta Italia fanno volontariato, associazionismo, lotte sociali e sindacali e non sanno più per chi votare, o non vogliono più votare.

      [In un discorso a parte andrebbero inserite anche quelle che lottano e non possono votare – come gli immigrati – o non hanno l’età per votare, come la maggior parte delle studentesse e degli studenti medi protagonisti delle recenti mobilitazioni su clima, antirazzismo, antisessismo.]

      Persino ipotizzando che l’astensione *attiva* riguardi soltanto uno su dieci degli astensionisti/astenuti, staremmo comunque parlando di oltre due milioni di persone.

      • ” molto più attivi di chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine” Mi sembrava quello il messaggio, purtroppo sono un amante del turpiloquio e ho sintetizzato da par mio. Sui numeri io invece temo che la gran mole di questi astenuti siano persone che non hanno alcun interesse verso il sociale, gente che si dichiara “apolitica” troppo pigra per qualsiasi cosa che non sia il suo comodo.

        • «Chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine» ≠ «chi vota».
          Per il resto, mentre il tuo è un (comprensibile) timore, noi possiamo dire che negli ultimi anni, girando per l’Italia, siamo venuti a contatto diretto con – letteralmente – migliaia di persone stanche di «turarsi il naso» – o che non intendono cominciare a farlo – ma non stanche di portare avanti iniziative di solidarietà, culturali, politiche in un senso non asfittico. E se solo noi tre siamo entrati a contatto diretto con migliaia, e non abbiamo il dono dell’onnipresenza, ci sembra plausibile pensare che ce ne siano molte, molte di più con le quali non siamo entrate in contatto.
          Ribadiamo: se tra quelli che non votano anche solo uno/a su dieci non interpreta la propria astensione come passività, stiamo *comunque* parlando di milioni.
          E secondo noi sono ben di più di uno/a su dieci.

          • Il mio è un timore la vostra è una speranza. Io spero tanto che abbiate ragione voi.

  4. Sarà interessante per me vedere quando queste “buone volontà” riusciranno ad organizzarsi in modo da poter entrare in Parlamento. Sono sostanzialmente 11 anni che non trovo rappresentanza politica quando vado a votare e a dirla tutta non è piacevole. Che poi non sto assolutamente parlando di un “partito ideale”, ma uno nel quale dare fiducia senza buttare via il voto.
    Tanti movimenti, tante associazioni, tanti volontari, tante persone piene di energie. Bisogna però trovare anche una quadra nazionale, perché non tutti i problemi riguardano e possono risolversi nel locale.

  5. Premessa: al solito le elezioni europee diventano un termometro per la situazione nazionale e locale.
    Però non è così: mancano partiti, coinvolgimento diretto e liste civiche (per le amministrative).
    È vero che il dato dei votanti è circa lo stesso delle politiche, ma le dinamiche sono diverse.

    Per il resto non è successo niente che non si aspettava chi respira il clima di politica attiva nelle città.
    Semmai la cazzata che si rafforza è la tiritera del voto utile e l’unico modo per scardinarla è continuare a fare quello che facevamo prima. Il voto è solo una forma di espressione politica e nemmeno la più efficace.

  6. Leggo con interesse la vostra riflessione; anch’io penso che i dati percentuali non dicano nulla in politica: vanno visti i voti ed il PD ha poco di cui gioire.
    Però l’astensionismo ha sempre torto. Primo perché non leggibile. Chi è colui che non ha votato? Che cosa voleva esprimere? Un dissenso nei confronti della politica? Oppure, banalmente, come mia nonna, non aveva voglia di andare a votare? O mio nipote che, sbadatamente, non è andato per tempo in ambasciata? Chi sono questi 44% di italiani? Costoro dovrebbero ben sapere che danno la possibilità al vincitore, in questo caso Salvini, di poter dire “la maggioranza degli italiani sta con me”. E gli si potrà dire che non è vero, che lui ha con sé solo 9 milioni di italiani. Però questi 9 milioni, se confermati alle politiche (se non di più), gli daranno la possibilità di compattare il centrodestra per un futuro governo con lui a capo che preferirei non vedere. Spero anch’io, come voi, che esista un’Italia positiva che è disgustata dalla politica (ed è in attesa di qualcuno?) e che quindi non vota; alle volte però sono pessimista e penso che esisti anche un’altra Italia – distratta e superficiale – che però non si recherà al voto, consentendo al tizio che guida veramente il governo, e da ieri ancor di più, di cambiare il nostro stato.

    • In realtà l’astensionismo sarebbe leggibile, se qualcuno volesse leggerlo. Ma i sondaggisti e gli analisti si concentrano solo sulle «intenzioni di voto», senza sondare le «intenzioni di non-voto». Di persone che spiegano per filo e per segno perché non vogliono più turarsi il naso è piena la rete, come ne sono pieni i luoghi di lavoro e di ritrovo. Il problema è che si finge non esistano, non li si ascolta, è più comodo abbandonarsi all’effetto ipnotico delle percentuali, che si tratti di sondaggi o di risultati. E diverse volte abbiamo avuto riprova del fatto che questo discorso, da chi guarda troppo da vicino la «politica politicata», non viene proprio capito (oppure fingono di non capirlo). Ecco un esempio recente di conversazione surreale tra noi e alcuni sondaggisti.

      Le Italie di cui parli esistono entrambe: quella positiva che non vota perché disgustata ma rimane attiva per altri versi e in altri modi, e quella distratta e superficiale. La priorità è concentrarsi sulla prima, lavorarci dentro.

  7. Era l’autunno del 2008 quando l'”Onda anomala” tracimò da scuole e università invadendo le strade.

    Non di rado quei cortei gridavano a una sola voce, che a tratti diveniva boato: “Non ci rappresenta nessuno!”

    In quell’ultimo scorcio di anni Zero era chiaro il messaggio che quelle ragazze e quei ragazzi consegnavano a chi allora era in Parlamento: le vostre politiche, i vostri teatrini, le vostre proposte, non ci rappresentano, non parlano di noi. Non parlano di precarietà, diritto allo studio, salari dignitosi. Non parlano dello sfruttamento che subiamo, del diritto alla casa che ci viene negato, dell’impossibilità di costruirsi un futuro.

    Per un attimo è parso che quel vuoto di rappresentanza fosse riempito dai 5 stelle, ma è stata solo un’illusione. Mentre la bolla dei cinque stelle si gonfiava, l’astensionismo cresceva, raggiungendo cifre che in Italia non aveva mai raggiunto, in ogni ordine di elezioni. Il reddito di cittadinanza, il “decreto dignità”, i costi della politica, erano solo uno specchietto per le allodole in grado di attirare soprattutto gli scontenti, coloro che già votavano per altre forze politiche, più qualche giovane nuovo elettore che si era illuso, ma non affatto capace di attrarre intere generazioni che si riconoscevano come prive di rappresentanza.

    Oggi, che la bolla dei cinque stelle è scoppiata, e mentre se ne gonfia un’altra, quella leghista, che probabilmente andrà incontro alla stessa sorte, quel grido, urlato per la prima volta durante l’Onda, sembra rimbombare nei seggi elettorali e nei palazzi della politica: “Non ci rappresenta nessuno!” E per questo sempre meno gente va a votare.

    Il ciarlare rancoroso e colmo d’odio della Lega non è diventato maggioritario nel Paese, la Lega ieri ha ottenuto meno voti di quanti ne ottenne il Pci nel 1989, le ultime elezioni alle quali si presentava, in un periodo durante il quale la sua “parabola del consenso” era già in fase calante.

    A governarci sono delle minoranze, che presentano come egemoni la propria propaganda e le proprie politiche, e questo è solo uno dei sintomi della crisi della “democrazia rappresentativa”.

    Perché è la “democrazia rappresentativa” a essere entrata in crisi, e difficilmente si potrà resuscitarla. Il problema in questo momento non credo sia ridare rappresentanza a chi non la ha, a chi è senza voce, ma fare in modo che i senza voce, gli invisibili, collettivamente, ritornino a partecipare alla politica. E ciò, penso, potrà avvenire solo aprendo spazi di democrazia diretta reale, del tutto dissimili da quel simulacro di democrazia diretta adottato dai cinque stelle col solo scopo di raccattare voti per poi essere messo da parte una volta al governo.

    Sinceramente non credo che, in questa fase storica, una politica rivoluzionaria possa prescindere dal confronto elettorale: anche se un forte movimento moltitudinario riuscisse a far cadere un governo, subito dopo dovrà necessariamente confrontarsi con le elezioni per insediarne uno nuovo. E, come dimostrano le “primavere arabe”, dalle quali abbiamo tanto da imparare, soprattutto analizzandone gli errori, i risultati non sono certo scontati.

    Nell’immediato credo che la priorità che ci troviamo difronte sia quella di connettere le lotte: quelle che attraversano il mondo del lavoro a quelle in difesa dei territori, quelle per un reddito universale a quelle ambientaliste.

    Abbiamo soprattutto bisogno di analisi nuove, in grado di spiegare la società contemporanea in tutta la sua complessità; in grado di descrivere come, e perché, sia mutata la composizione di classe e la struttura stessa della classe di coloro che lavorano per vivere; di chiarire perché non si può prescindere dall’ecologismo; di spiegare perché la causa di molti mali è il capitalismo e per quali ragioni lottare contro il capitalismo vuol anche dire lottare contro il patriarcato. In questo senso tanto stanno facendo i movimenti delle donne, come “Non una di meno”.

    I rigurgiti fascisti, le politiche di odio e discriminazione, il tentativo di costruire un nemico immaginario sono probabilmente i sintomi di una crisi strutturale del capitalismo, il quale, per difendersi, ha sciolto i propri cani da guardia. Ma, con ogni probabilità, questa crisi è irreversibile: il capitalismo ha perso ogni carica rivoluzionaria, ogni capacità di far sperare in un futuro di prosperità e benessere per tutt*. Spoglio di tutte le vesti che lo avevano agghindato per oltre due secoli, il capitale si manifesta nella sua essenza: individualismo sfrenato e legge del più forte. Il “populismo”, i rigurgiti fascisti, sono solo foglie di fico con le quali cerca di coprirsi, stratagemmi mediante i quali cerca di costruire nuovi soggetti e nuove narrazioni, in grado di sostituire la “classe media”, la quale ormai è un espediente retorico che non funziona più, e i discorsi a essa rivolti.

    Oggi il capitalismo non può presentare alcuna narrazione riguardante il futuro, tutto quello che propone, vista la permanenza di quel modo di produzione, suona come una distopia. È la crisi del capitalismo che alimenta la paura, è la sensazione di “no future” che la consolida.

    Ma questo apre spazi immensi: se le classi dominanti non possono più illudere decantando un futuro prospero, la narrazione del futuro è nelle mani di chi, da sempre, si oppone al loro potere.

    Ma, per immaginare quel futuro, affinché quella visione diventi egemone, abbiamo bisogno di comprendere appieno il presente, cercando di capire anche le potenzialità che ci offre l’attuale struttura sociale e produttiva per superare il capitalismo.

    In questo cammino credo che abbiamo tanto da imparare dall’esperienza rivoluzionaria del Rojava e dai movimenti femministi.

    Infine, credo sia necessario aprire uno spazio costituente, sia a livello europeo, sia a livello nazionale. Perché è in quello spazio che una visione di futuro può divenire concreta e influenzare gli eventi a livello globale.

  8. francamente questo è uno dei commenti più lucidi, interessanti ed originali che ho letto finora sulle elezion8 europee. e vi ringrazio, anche se non mi sorprende che tale acuta osservazione provenga da voi. è uno spunto interessante per 3 motivi: 1) perché permette di smontare una narrazione di “vittoria”, e smontare una narrazione sul successo è un modo di limitarlo; 2) permette di contrastare o circoscrivere un argomento che è funzionale alla strategia salviniana, cioè l’argomento “il popolo è con me”. 3) ma quel che più mi piace di questa vostra riflessione è lo spazio di speranza che apre, quell’ottimismo della volontà (cit.), visibile nel riferimento a quelle forze latenti ma pur sempre presenti e spesso troppo dimenticate o sottostimate sia dai politici di professione che dai media mainstream (che con i primi fanno un tutt’uno), forze che è fondamentale intercettare. vi ringrazio quindi per la brillante disamina, semplice, netta, efficace. chapeau!

    • Aggiungo un altro dato. Oltre al numero elevatissimo di persona che non sono andate a votare in quanto astenute, ci sono anche quasi 5 milioni di persone che vivono in italia, e non sono andate a votare perché non hanno il diritto al voto.
      Nel paese reale ci sono anche loro. Non fanno parte delle statistiche elettorali, ma vivono nelle stesse città degli Italiani senza essere Cittadini, condividono li stessi luoghi di lavoro e, spesso, sono anche protagonisti di lotte.

      Qusiasi ragionamento sul paese reale deve fare i conti anche con loro.

  9. Mi sembra possa servire ricordare (brevemente, è notte) due cose. La prima è la risposta alla fatidica domanda “ma allora perché, se c’è tutta questa voglia di sinistra, non votano i partiti di sinistra?”. La seconda è la questione della sondabilità del non voto. Cominciamo dalla seconda: naturalmente gli scienziati politici qualcosa l’hanno fatta. Solo prendendo da wiki trovate i lavori di Caciagli (il voto di chi non vota), Ferrarotti (la protesta silenziosa), Corbetta (smobilitazione politica e astensionismo elettorale). Sono ricerche datate – la più recente è della metà degli anni ’90 mi pare – ma se ne trova anche una (edita dalla Luiss, purtroppo) sulla fenomenologia del voto e non voto alle europee del 2009.
    La SISE (Società Italiana di Studi Elettorali) produce molte analisi di voto e in genere prende – direi: ovviamente – in esame il problema dell’astensione. Sono ricerche scientifiche, a volte complicate, spesso scritte male, e ancora più spesso un po’ troppo “ideologicamente orientate” per così dire (quindi scientifiche fino ad un certo punto) che rimangono nelle aule dei seminari perché il racconto sulle elezioni sarebbe “disturbato”, come da queste parti si sa benissimo.
    La prima domanda (è mai possibile che non ci sia un’offerta capace di assorbire gli astenuti consapevoli?) sembra nascondere un msitero, ma magari non c’è una risposta sistematica ma ce ne sono mille tutte valide e che speigano benissimo perché non si va a votare. Dalla sfiducia per le modalità con cui si compongono le liste alla sfiducia per le persone coinvolte; dall’incoerenza (vera o presunta, non è questo il punto) di chi si presenta all’idea che la via parlamentare è del tutto impraticabile; o magari la famosa questione del “free rider” o meglio ancora del dilemma del prigioniero. Insomma, non ci sono tanti misteri tutto sommato, e non serve essere disgustati per non andare ragionevolmente a votare (sono tutte spiegazioni razionali, non emotive quelle sommariamente ricordate).

    • Sì, con «ritengono l’attuale offerta politica inaccettabile, quando non disperante e/o nauseabonda» abbiamo cercato di tenere conto tanto di motivazioni più ponderate e razionali quanto di altre più viscerali.

  10. C’è un cortocircuito che fa esultare per la tenuta del PD nei comuni come fosse l’ultimo fortino da difendere.
    Sembra che pochi siano realmente immuni dalla paura della calata dei barbari leghisti e significa che c’è molto lavoro da fare per estirpare il virus del “meno peggio.”
    Ci vuole coraggio per lasciare la rassicurante quotidianità locale dove si conoscono i nemici e che in fondo non ci faranno così male, perché un po’ sono cugini.
    Questa roba non so se ha un nome, ma è pericolosa perché è sintomo della mancanza della sfrontatezza necessaria che serve a mettersi in discussione, aprire un dibattito serio sull’identità del soggetto che potrà dare la spinta propulsiva per la lotta di classe.
    Ridefinire i confini del *chi e come* è necessario ed è quello che è mancato per troppo tempo, a sinistra, portando allo sfaldamento delle identità in campo.
    Non sto parlando di unità sotto un grande simbolo, non si riempie un contenitore se non sai cosa metterci dentro tanto per fare volume, è dal *senso* che bisogna partire e manca il *soggetto*. O meglio, non è definito.
    E non mi riferisco necessariamente al dato di astensione, mi riferisco ai contenuti di piazza, alle singole istanze con cui ciascuna realtà le rempie.
    Queste, che WuMing chiama, parafrasando Marx, “energie di riserva”, vanno liberate a partire da un dibattito interno a tutti i soggetti che rifiutano le parole d’ordine del liberismo e della retorica del meno peggio.
    Le intelligenze ci sono, gli spazi per dibattere anche, riempiamoli senza paura ognuno con la propria esperienza ed inesperienza, perché ci siamo, ci nascondiamo a volte ma siamo tanti e siamo incazzati.
    Molti più di quanto pensiamo, molto più cazzati di quanto credono.

    • Io vedo commenti alla vittoria della Lega a Riace che parlano di elite, di fare autocritica… e cioè, diciamolo, parlano di aprire al razzismo (ma razzismo di sinistra eh). Ma la sinistra (…) securitaria e razzista esiste già, si chiama PD e continua a perdere voti

  11. “Se proprio si vuole ragionare in termini di percentuali, ragionando sul 100% reale vediamo che la Lega ha il 19%, il PD il 12%, il M5S il 9,5%. Sono tutti largamente minoritari nel Paese”. Certo, se partiamo dal presupposto che di tutti quelli che non hanno votato non ce n’è manco uno che avrebbe crociato Lega se avesse voluto o potuto. Perché potrebbe darsi che alcuni si siano astenuti poiché in realtà non potevano per vari motivi, oppure poiché hanno ritenuto che il voto alle europee non conta nulla o non gli interessava. Certo, sui veri impossibilitati la percentuale si restringerebbe sicuramente tantissimo, ma siamo sicuri che non ce ne siano stati molti del gruppo dei secondi? Non so, chiedo più che altro, magari sto sfarfallando.

    • Dalle politiche 2018 alle Europee 2019 il voto reale della Lega non è in calo, ma in crescita, e netta. Dal 13% reale al 19% reale. A quanto pare, il suo appello al voto è stato ascoltato. Dopodiché, ci sarà sicuramente anche qualcuno che l’avrebbe votata ma proprio quel giorno gli è venuto lo squaraus, però abbiamo seri dubbi sul fatto che si debba ragionare su quelli. A non-votare sono state soprattutto persone che la Lega non l’avrebbero votata comunque.

  12. Finalmente un’analisi sensata!

    Bisognerebbe ragionare del perché di tanta astensione: probabilmente una buona parte sono studenti fuori sede e lavoratori all’estero (come me), in effetti l’astensione maggiore si è riscontrata al sud, ma credo che la maggior parte siano persone non soddisfatte dall’offerta politica.
    A questo punto condivido con voi questo pensiero, e se adottassimo un un sistema elettorale che funzioni come segue?..
    1. elezioni con metodo proporzionale puro: vengono assegnati i seggi di Camera e Senato in proporzione all’affluenza di voto.
    2. assegnazione dei seggi rimanenti tramite sorteggio degli iscritti ad ad un
    apposito registro nazionale, ripartito per le circoscrizioni.

    Esempio (considerate le ultime elezioni nazionali 2018: affluenza 72,93 %)
    1. tramite elezione vengono assegnati 689 seggi (72,93 % dei 945 seggi
    disponibili);
    2. i rimanenti 256 seggi vengono sorteggiati a livello di circoscrizione
    (quindi l’affluenza va calcolata a livello di collegio elettorale).

    Benefici:
    ritengo che un sistema del genere sia più facilmente “digeribile” dall’opinione pubblica che non verrebbe privata della possibilità di andare a votare;
    si creerebbe un sistema elastico, in quanto in ogni elezione la percentuale
    sorteggiata fluttua in relazione all’affluenza di voto (e quindi alla credibilità dell’offerta politica);
    il sistema sarebbe più stabile poiché si creerebbero maggioranze trasversali
    specifiche per ogni legge (questo punto è ben spiegato da Caserta et.al in “Democrazia a Sorte” 2012)

    i parlamentari sorteggiati formerebbero un apposito gruppo parlamentare, con
    il divieto di aderire ad altri gruppi.
    i parlamentari sorteggiati rinunciano all’eleggibilità per qualunque carica
    elettiva per 10 anni.

    Che ne pensate?

    • D’accordo con l’analisi di WM e con molti post (in particolare quello di ombrerosse). Sono anche d’accordo con i dubbi di chi si chiede chi e cosa siano le “riserve di energia” che domenica (come altre volte) si sono astenute dal votare.
      Sono convinto che, come ha detto Cesare Salvi, qualcosa di molto profondo è avvenuto in questo paese negli ultimi venti anni, e che sia necessaria una rifondazione culturale del Paese, non nel senso di (ri)governare le coscienze (quello già lo si fa) ma di formare cittadini con più senso civico, più senso del bene comune, più senso critico, e questo richiede tempo. Al di la delle percentuali di percentuali, in Veneto uno su due di chi è andato alle urne ha votato lega, al cattolicesimo del prete si è sostituito il calvinismo del capannone (del capitale?) non la solidarietà della coscienza civica. E in altre parti d’Italia le istanze sono diverse, ma hanno trovato lo stesso, camaleontico, canale di sfogo. Questo processo è partito vent’anni fa.
      Dunque tutto passa, e passerà anche Salvini. Il problema è: cosa succederà nel frattempo?

  13. Un analisi ineccepibile dal punto di vista matematico che peró non considera l’elefante nella stanza: non si tratta solo dell’Italia, l’affluenza alle elezioni é in calo in tutto il mondo (anche senza considerare estremi come gli USA dove il diritto al voto viene soppresso in maniera attiva).

    Non credo sia solo mancanza di rappresentanza ma qualcosa di piú profondo, vuoi i social network, vuoi l’influenza cinese, vuoi la sindrome diffusa da accellerazionismo ma oggi dire “io non mi interesso al voto” é qualcosa visto con normalitá, quasi con invidia invece che con ben giustificato sdegno.

    Nel caso specifico dell’italia poi io ho la mia teoria del “chiagniefutti di maggioranza”, vince le elezioni non chi ha il miglior programma/ideologia/campagna ma chi scarica in maniera migliore la coscienza sporca dell’italiano medio; chi rassicura tanto l’evasore che il disoccupato di non avere colpe: l’altro ieri era Berlusconi, poi Renzi, poi i 5 stelle, oggi Salvini. La controprova si vedrá a dicembre, quando dovranno saltare fuori i 40 miliardi che mancano tra reddito di Cittadinanza, quota 100 e mancato aumento IVA. Vediamo se la solita manfrina del “E´ colpa dei migranti, é copa dell’Europa” reggerá ancora una volta.

    • In realtà non è del tutto vero che l’affluenza alle urne sia in calo in tutto il mondo. Dipende. Domenica, in buona parte dei paesi europei, l’affluenza è aumentata. Soltanto da noi ha continuato a calare. Nel Regno Unito, l’affluenza alle Politiche è costantemente in aumento dal 2001: era scesa al 59%, nel 2017 era salita al 68,8%. Effetto Corbyn, si è detto. Sono solo i primi due esempi venuti in mente.

      • Ho trovato questo bel sito: https://www.idea.int/data-tools/data/voter-turnout che, ammesso che i dati siano corretti, mi ha confermato di avere torto. Per le elezioni “importanti” l’astensionismo nei grandi paesi europei come Francia, Germania, Spagna e UK é rimasto a livelli piú o meno costanti o é aumentato negli ultimi 10 anni (considerando un 10% di differenza fisiologica per un periodo e un tipo di dati tanto diversi) solo Italia e Portogallo hanno una percentuale di astenuti in aumento costante.

        Felice di avere torto… E sempre piú arrabbiato circa il chiacchericcio mediatico; possibile che nel 2019 non ci siano giornalisti piú competenti in scienza dei dati?

      • L’affluenza a volte aumenta proprio per le europee. In Francia ad esempio si passa dal 42,43 al 50,12%, per un paese che tradizionalmente votava alle europee meno dell’Italia.
        https://mobile.interieur.gouv.fr/Actualites/Communiques/Resultats-des-elections-europeennes-2019
        In questo caso l’esistenza di una mobilitazione di strada e di massa che esprime un radicale rifiuto delle politiche europeiste, economiche e repressive del governo e del presidente stesso coesiste con un aumento dei suffragi di quasi 8 punti percentuali rispetto alle precedenti europee del 2014 (oltre che rispetto alle legislative del 2017). Praticamente il doppio di quanto occorre a un singolo partito per entrare in parlamento e più di quanto abbia preso la principale formazione di sinistra.
        Un’aumentata conflittualità dichiarata potrebbe quindi portare all’esigenza di esprimersi ANCHE attraverso il voto, indipendentemente da quale partito scegliere di sostenere o dalla partecipazione diretta alla mobilitazione in questione.
        Il tema Ue pare ad ogni modo sentito. I partiti che avevano una posizione più chiara su questo sono stati più votati di altri.

  14. La percentuale della percentuale è dato oggettivo. 0.34 x 56% = 19%

    Come scritto nei commenti qua sopra “solo” una persona su 5 di quelli che incrocio per strada ha votato Salvini.

    E’ qua pero’ che mi sfugge il percorso logico che porta a vedere l’energia politica dell’astensionismo.

    Ammettendo anche che sia vera, rimane energia potenziale.

    Ora se adotto la logica induttiva (che poco mi appartiene), guardando i dati sull’astensionismo posso dire solo che tendenzialmente cresce per cui non è contraddittorio prevedere che continuerà a farlo.

    Io non penso (o forse non spero) che sarà cosi’, ma analizzando i dati non c’è nessun appiglio per vedere l’energia politica del’astensionismo e nessuna base per capire come è fatto il mondo di chi si astiene.

    Mi permetto di pensare che sia una vostra intuizione concreta che si basa non sulle percentuali ma sui volti che vedete, sulle storie che ascoltate e sul mondo attivo che vivete.

    Per cui dopo aver letto il post, posso ringraziarvi per la speranza ma lucidamente rimane speranza.

    • Lasciamo perdere per ora speranze, aspettative, previsioni ecc.

      Tener conto dell’astensione è fondamentale anche, ad esempio, per smontare la tossicissima narrazione piddina secondo cui la lega vince per colpa dei poveri. Qua c’è una tabella con la (probabile) distribuzione dei voti per condizione economica.

      (lasciamo perdere l’analisi dell’ huffpost, che non ci interessaa. guardiamo i numeri in tabella)

      Tra i poveri la lega prende il 40%. Poi però si guarda il dato dell’astensione, e si vede che tra i poveri l’astensione è al 54% (sull’intero corpo elettorale invece è al 44%), per cui rinormalizzando i dati includendo gli astenuti, per i poveri si ottiene… sempre il 19%. Il che significa che i poveri votano la lega nella stessa percentuale dei ricchi. Quello che cambia invece è che tra i poveri si preferisce astenersi che votare per PD o ectoplasmi di sinistra.
      Quindi, tagliando con l’accetta, la lega vince non per colpa dei poveri, ma per colpa del PD, che a causa delle sue politiche a favore dei ricchi *ovviamente* non viene votato dai poveri, che preferiscono astenersi, facendo così lievitare la *percentuale* (non il numero) dei voti leghisti.

      • Ciao tuco,
        per curiosità potresti linkare dove trovare il dato dell’astensione per fasce di reddito e/o età, in modo da poter correggere la tabella dell’articolo da te linkato come giustamente da te suggerito anche per gli altri casi e non solo per “poveri” e “lega”?

    • Sei già il secondo che parla di «speranza», e allora vale la pena dissipare un malinteso, anzi, due.

      La speranza è attesa. Qui non c’è da attendere niente: c’è da fare lavoro politico e culturale nel mondo che non vota, o vota sempre più di rado.

      Lavoro politico e culturale non per convincere chi non vota a tornare a farlo – non avrebbe senso, dato che l’offerta politica fa cagare – ma perché il non-voto non sia vissuto come mera scelta individuale o, peggio ancora, come dettato da impotenza. Chi si astiene deve rendersi conto di essere parte di una potenziale massa d’urto, la «variabile impazzita» di cui sopra.

      Una forza che, al momento giusto, può anche decidere di usare il voto, com’è accaduto nel referendum del 2016 o come avviene nei territori (c’è chi vota solo alle Amministrative).

      Soprattutto, a noi interessa far notare che ci sono vita politica, attivismo sociale e cura della res publica anche tra chi non vota, anzi, la nostra impressione è che queste cose si incontrino con maggiore frequenza tra chi non vota – o almeno non vota sempre, non accetta più qualunque chiamata alle armi, non si tura più il naso, non feticizza più il «voto utile».

      Solo riconoscendo l’esistenza di queste forze ed energie si può capire come ricostruire un’opposizione sociale che sappia incidere a livello nazionale e oltre.

      Dopodiché, se dalle lotte sociali nascerà un’offerta politica credibile, chi oggi si astiene potrà tornare a votare in modo meno sporadico, ma la priorità non è affatto quella. Noi non ci auspichiamo tout court che l’astensionismo “diminuisca”. Allo stato attuale, non può succedere.

      Chi non vota più non dovrebbe affatto sentirsi in colpa, anzi, dovrebbe vedere il proprio non-voto come l’inizio di qualcosa.

      Chi ancora vota, invece, deve smetterla di colpevolizzare chi non lo fa più. Non serve a niente e risulta odioso.

      • Chiedo perdono, ma continuo a non riuscire a digerire questo sostanziale “elogio” del non-voto.

        Se è vero che non basta “mettere una crocetta ogni tot”, è anche vero che non tutti hanno la possibilità, le energie, le capacità per fare politica e/o attivismo vita natural durante, e l’esercizio del voto (e per quanto possibile la “propaganda”) è tutto ciò che molti possono fare. Qui invece si colpevolizza a prescindere (perché parlare di “lezioncine” questo è) chi pensa che sia importante portare in Parlamento le istanze di sinistra, per quanto penoso e desolante possa apparire il quadro dei politici che si propongono di rappresentarle (Ma siamo sicuri poi che il quadro sia effettivamente così desolante, o non è piuttosto un’interiorizzazione del risultato già dato per scontato – e pervicacemente perseguito – dalla totalità dei media mainstream?).

        Che lo si voglia o no, se si vuole la cittadinanza per i non-cittadini, se si vuole una legislazione ambientale ecologista, se si vuole una diversa redistribuzione del reddito e magari, chissà, un diverso sistema economico e sociale, bisogna spostare l’asse del Parlamento verso sinistra, e col non-voto questo non si può fare.

        A parer mio, il non-voto fa solo il gioco del potente: lui vota per i propri interessi, non votare per i nostri mi sembra darsi la zappa sui piedi (ed incidentalmente vanificare le eventuali energie spese nell’attivismo, giacché si deve lottare contro istituzioni che non ti rappresentano, quando votando potresti avere una sponda e ottenere risultati concreti).

        Quanto cambierebbe se in Europa i “due milioni” di attivisti che avete calcolato “per difetto” tra le fila dei non votanti (per non parlare di tutta la classe lavoratrice, ogni volta abbagliata da uno specchietto diverso), avessero invece dato il loro appoggio alle liste di sinistra e/o verdi che, coi loro difetti che nessuno discute, tuttavia c’erano (e molti dei quali si sono fatti il mazzo per esserci)? Siamo proprio sicuri di averci guadagnato, a lasciare che i destronzi votassero mentre noi siamo rimasti a casa, salvo poi rosicare per i risultati (o tentare di ridimensionarli con “distinguo” che però di fatto lasciano a loro il potere)?

        • “non votare per i nostri mi sembra darsi la zappa sui piedi ”
          Infatti se avessi pensato di poterlo fare l’avrei fatto, ma sulla scheda non c’era alcuna opzione che corrispondesse anche in minima parte a ‘votare per i miei interessi’. Nè su quella delle europee nè su quella delle regionali (vivo a Torino)

          • Secondo i dati del Comune di Torino (http://www.comune.torino.it/elezioni/2019/europee/), i voti validi per le Europee sono stati 396235 a fronte di una platea di iscritti di 668817, il che dà un numero di astenuti/schede nulle/bianche di 272582, ovvero il 40% degli aventi diritto.

            Se (arbitrariamente, lo riconosco) sommiamo i voti ottenuti da Rifondazione e La Sinistra arriviamo a 13103, il 3.3 del totale.

            Se ipotizziamo che il 3.3 di quelli che a vario titolo non hanno votato avessero invece votato per i due partiti di sinistra (presupponendo che gli elettori degli altri partiti restassero a casa, ovvero di riuscire a mobilitare gli “attivisti non votanti” di cui parla WM), questi ultimi avrebbero avuto altri 9mila voti, raggiungendo il totale di 22mila e il 5,4% dei consensi, rimpicciolendo in proporzione le percentuali di tutti gli altri partiti.

            Poi, se nessuno dei due partiti suddetti rappresenta la tua idea de “i nostri”, hai tutta la mia comprensione e solidarietà, senza alcuna ironia. Finché non si riuscirà ad evitare elezioni con due partiti sedicenti “di sinistra” contrapposti a litigarsi le briciole (e un terzo, Potere al Popolo, assente), e finché questi non saranno percepibili come “i nostri” da quelli che dovrebbero rappresentare, temo che potremo fare tutti i calcoli del mondo ma a governare, e quindi sperare di cambiare qualcosa, saranno quelli che sanno meglio mobilitare gli “ingoiatori di rospi”.

            • «Come mai nessun senzacasa mi compra ‘sto tettuccio di comignolo, che è così bello? Cosa avrò sbagliato? Anzi: cosa *avranno* sbagliato? Boh, rimetterò l’inserzione. La bacheca del dormitorio comunale è il posto perfetto, prima o poi me lo comprano.»

              • Scusate, ma se “c’è da fare lavoro politico e culturale nel mondo che non vota, o vota sempre più di rado.”, allora il “problema” di chi non vota lo vedete anche voi; ma che senso abbia rivolgersi a chi non vota dicendo che fa bene a non votare, anzi senza porsi l’obiettivo che torni a votare, *se c’è un’offerta politica* per quanto lungi dalla perfezione, non lo capisco; se il problema invece è l’offerta politica che “fa cagare”, allora bisognerà fare in modo che “dalle lotte sociali nasca un’offerta politica credibile, cosicché chi oggi si astiene potrà tornare a votare”. Ma a maggior ragione si dovrà tentare di motivare al voto questa potenziale “forza d’urto”.

                Ora, quello che ho cercato di fare, stuzzicato dall’affermazione di robgast69 secondo cui alle elezioni “non c’erano i nostri” (che, ripeto, comprendo e condivido, almeno fino a un certo punto), è quantificare molto spannometricamente quante “forze ed energie” che non hanno espresso il voto potevano essere canalizzate in un voto a sinistra, e quale sarebbe la differenza se 1) l’offerta politica fosse stata migliore e 2) tali forze si fossero espresse *anche* con il voto. Siamo sicuri che non sarebbe stato meglio? Al di là della “punizione” dell’offerta politica scadente dell’attuale area “di sinistra” (che comunque spesso comprende gente che partecipa alle lotte, fa campagne elettorali sul territorio, insomma si spende, e viene regolarmente frustrato dai potenziali “suoi” che quand’è il momento non vanno a votare), che cosa si è ottenuto?

                Siamo certi, infine, che tra le cause del non-voto (ma anche della debolezza dell’offerta politica di sinistra, oso dire), oltre alla noncuranza dei più e al senso di impotenza dei molti, non ci sia una certa dose di snobismo da parte di alcuni? E se c’è, va combattuto o assecondato?

                (Se i primi a non credere che anche il “tettuccio di comignolo” abbia un minimo di valore sono quelli che lo vorrebbero vendere, direi che non si va molto lontano…)

                • Certo che il tettuccio del comignolo serve, ma quando hai già il comignolo, che a sua volta non serve da solo se non ha intorno la casa.
                  Fuor di metafora, l’insistenza a raggruppare organizzazioni – anzi, spesso sono poco più che sigle – già esistenti sotto nomi e loghi implausibili, con il solo fine di presentarsi alle elezioni e seguendo la procedura già descritta sopra nella risposta a Sara Matjacic, equivale al provare a vendere tettucci di comignolo a chi non ha nemmeno una casa. La “casa” sarebbe un radicamento nella società, nei conflitti reali.
                  Su questo, consigliamo di leggere ancne quest’articolo di Salvatore Cannavò, uscito alcuni mesi fa su Jacobin: «Il mito dell’unità a sinistra».

  15. Tra i commenti di diversi miei contatti ai risultati delle elezioni mi è capitato di leggere frasi come “Da oggi è chiaro che l’Italia è un paese razzista”, oppure “Non riesco a capacitarmi che una persona su tre tra i passanti che incrocio per strada sia razzista”. A parte quest’ultima proporzione che non tiene conto dell’astensione, a me pare che stiamo parlando della scoperta dell’acqua calda. Sono 2-3 secoli che l’Europa, Italia inclusa, ha un problemino di razzismo. La superiorità razziale è uno dei famosi valori fondativi dell’Europa. Mettiamocela via: tutte e tutti, in quanto europei/bianchi/occidentali siamo razzisti, perché ci beviamo il razzismo col latte da quando nasciamo, così come siamo sessisti perché nasciamo in una società patriarcale. Non dobbiamo negarlo, dobbiamo vederlo e capirlo per liberarcene.
    Il punto è quanto il razzismo conta in termini politici. Oggi conta molto nel discorso pubblico, a causa di politici che conosciamo bene e dei media complici; ma anche perché non si parla d’altro neanche a sinistra. La politica italiana (e in parte europea) è diventata un referendum sui migranti: migranti sì o migranti no. Questo frame avvelenato (impregnato tra l’altro di pietismo e paternalismo cattolico) fa vincere automaticamente i razzisti, perché la razza conta troppo. Lasciamo in pace i migranti e torniamo a parlare di giustizia sociale, mettiamo quella al centro del dibattito e della politica e il razzismo conterà assai meno.
    Quel 44% di astenuti è una speranza: gente che si rifiuta di prendere parte a uno spettacolo in cui si decide della vita di altri con un pollice su o giù. Smettiamola di parlare di migranti, di fare politica vigliacca sulla loro pelle, e mettiamo in ballo la nostra. Con la lotta, con i nostri desideri, con la nostra disperazione, anche. Perché, permettetemi la chiusura psicologica da due soldi, a me pare pure che dietro tutta questa attenzione solo sulla questione della razza ci sia pure una gran paura di mettere le nostre vite centro. Perché le nostre vite sono disperate, povere, patetiche, a inseguire un contrattino, a non vedere un domani, a ingoiare merda padronale. E non vogliamo che gli altri le vedano. E poi abbiamo paura di lottare, di perdere quel pochissimo che abbiamo. Mentre invece abbiamo tutto da guadagnare.

    Ecco, mi scuso per la ripetizione con chi ha già letto questa riflessione su twitter.

    • Il razzismo è parte dell’ideologia nazionale italiana fin dal Risorgimento, come ha dimostrato nei suoi libri lo storico Alberto Mario Banti.

    • Ci è voluto Salvini al 19% o l’astensione dei poveri al 54% o qualsiasi altro equilibrismo numerico ci piaccia perché una riflessione del genere fosse pronunciabile, per di più da una giapster di antichissima data. Altrimenti per mezza delle frasi scritte nella seconda metà del commento si sarebbe rischiato il rogo.
      A me è sempre sembrato che il « referendum i migranti » anziché lo specchio dell’antirazzismo fosse la versione di sinistra delle dame di San Vincenzo, ma la versione discount delle dame medesime, diciamo.
      Senza che gli individui in questione ne siano responsabili, ovviamente. Come se la giustizia sociale o le politiche di piena occupazione fossero cose che non li riguardassero, oltretutto.

      • Giusto per amore di chiarezza – anche se so benissimo che qua è chiaro a tutti – ci tengo a precisare che quello che intendo non è che non si debba parlare di migranti in termini assoluti, ci mancherebbe. E’ che se ne parla a discapito della giustizia sociale in generale, e per di più come problema esterno a un fantomatico “noi”. “I migranti” sono altro da noi, e qui ritorno al frame velenoso citato prima. Perché così facendo ci mettiamo anche noi a giocare su ‘sta maledetta linea del colore, che poi magari è linea della cittadinanza, la linea del colore del passaporto che hai in tasca, ma alla fine è sempre la stessa roba. E facciamo un gran favore alle destre e un gran danno a *tutti noi* che non siamo ricchi e potenti, qualunque cosa ci si scritta sul nostro documento d’identità.
        Prima o poi, ma questo è OT, dovrà anche venire fuori la questione della vulnerabilità dell’antirazzismo nei confronti dell’islamismo, che spesso non riconosce come nemico politico, sulla base del presupposto razzista che se uno è musulmano allora giocoforza è un bigotto con la barba e le figlie velate già alle elementari.

  16. Aggiungerei un altro paio di cose, forse collegate tra loro.
    Il dato crudo – la tendenza all’aumento dell’astensionismo – è legato, tra le altre cose, anche al tipo di sitema elettorale. Nei paesi che adottano qualche forma di maggioritario in genere è più alto che nei paesi proporzionalisti. Però credo che i wu ming, quando parlano di energia potenziale non si riferiscano ad un ritorno alle urne, ma al fatto che questa “energia” qualcosa deve per forza produrre. E secondo me una cosa la produce da un po’, come forse andrebbe sottolineato. In questa fase, per come stiamo messi, la cosa che può fare questa energia potenziale è difendersi. Cioè evitare che gli attacchi (alla costituzione, ai diritti, agli immigrati, ai lavoratori, all’ambiente) assumano proporzioni enormi. In effetti se ancora non viviamo nella jungla non è certo grazie all’attività di quel che resta dei partiti in parlamento, ma delle lotte, che magari non sono in grado di produrre equilibri avanzati, ma sono loro che fanno da argine. In queste condizioni quello che è davvero complicato è “attaccare” cioè estendere diritti, tutele, protezioni ambientali ecc. Ma almeno una cosa mi pare che stia emergendo chiaramente: non è passando dal parlamento – che fra l’altro è abbastanza svuotato, le decisioni si prendono altrove, ma questo è un altro discorso che prima o poi andrà fatto – che qualcosa si possa smuovere. E forse andrebbero chiamati i “votanti” a cominciare a svolgere un’attività politica che non sia appunto solo quella della crocetta ogni tot di tempo. Paradossalmente è proprio tra i votanti che esiste un’ulteriore energia potenziale che si spreca in quel rito orma svuotato di senso e che andrebbe in qualche modo canalizzata. Da “chi” e “come” è l’enorme problema di sempre.
    Ma a me pare importante non rendere questa analisi meccanica: votavano quindi ok –> non votano problema contingente –> votano problema scomparso. Anche perché non è mai stato così, anche nei tempi passati il voto da solo serviva a ben poco.

  17. fabietto mette il dito nella piaga. L’astensionismo ci sarà sempre, e probabilmente aumenterà. Dovrà accadere qualcosa di “epocale” per tornare a percentuali del 90% e sbloccare le energie di riserva. Per quanto riguarda quello che dice Adrianaaa, Salvini non ha costruito il suo successo solo sui migranti: ordine, sicurezza, la mistica dell’uomo forte che risolve i problemi, la voce grossa verso gli altri Paesi, il suprematismo italico-cristiano, le banche, fra un pò la plutocrazia internazionale, il linguaggio e gli atteggiamenti “da bar” (proprio come me, dunque Salvini è me, votarlo è come votare me, perchè farebbe esattamente quello che farei io, finalmente!!!). Tutto fittizio, tutta fuffa, ma che propagandisticamente funziona. E siccome siamo quello che siamo, continuerà probabilmente a funzionare ancora per un pò.

    • Però, come si diceva sopra, il punto per noi non è affatto «tornare a percentuali del 90%».

      • Questo è vero, e una analisi lucida dovrenne necessariamente partire dal vostro assunto. Tuttavia, alla fine, si governa con la percentuale della percentuale. Esiste il Paese reale, nel quale la lega ha il 19%, e qualcosa che potremmo chiamare Paese elettorale, nel quale la lega ha il 34%. È con il paese elettorale che si governa, anche se non si tratta di elezioni politiche nazionali. Salvini può a buon ragione dire che l’Italia è con lui perché è l’Italia elettorale che gli consente di dettare l’agenda politica, di fare la voce grossa con l’Europa, di imporre TAV e flat tax. Il Paese reale, con l’impegno nei territori, con l’opposizione, con le iniziative culturali e sociali, con le costruzioni dal basso, può fare un lavorio profondo nella società, dal quale potrà scaturire un cambiamento di paradigma culturale che trasformi anche il corpo elettorale e magari gli dia anche un punto di riferimento politico decente, ma questo richiede tempo. In Europa sta già accadendo, se si osserva che il complesso di sovranisti, populisti, nazionalisti, non supera il 25% dei seggi in parlamento (e anche qui sarebbe interessante fare un discorso di percentuali). Dovremmo chiederci cosa è accaduto perché l’Italia si sia ritrovata con Polonia e Ungheria (anche GB, ma lì il discorso mi sembra sia diverso).

    • Non ho mai detto che Salvini ha costruito il suo successo solo sui migranti, ma in gran parte sì. Infatti non ha quasi altri argomenti. Mi ricordo una drammatica diretta dopo il crollo del ponte Morandi, lui a spiaggia, vestito come uno che si è appena abbottonato la camicia dopo aver passato il pomeriggio spaparanzato su una sdraio, che in qualche modo cercava di collegare il crollo del ponte con i migranti. Comunque se guardo gli elementi del suo successo che hai elencato, trovo la questione della razza quasi ovunque:
      ordine -> per eliminare il disordine provocato dai migranti
      sicurezza -> dalla minaccia dei migranti
      la mistica dell’uomo forte che risolve i problemi -> i problemi rappresentati dai migranti, perché sono gli unici contro cui ha agito davvero
      la voce grossa verso gli altri Paesi -> sulla questione dei migranti
      il suprematismo italico-cristiano -> appunto.

      Il senso del mio messaggio era che anche a sinistra, purtroppo, lo si è assecondato, mettendo i migranti al centro della questione politica. E invece da questa trappola pure squallida – perché denota quantomeno inefficacia, se non pavidità, nel parlare d’altro – bisogna uscirne.

      • Come faceva notare qualche giorno fa @Detta_Lalla su twitter https://twitter.com/Detta_Lalla/status/1131100317507096577, quel che non si dice mai è che la condizione di migrante (come *condizione sociale*) non ha niente di “culturale” o addirittura “naturale”, ma è costruita per via burocratica, attraverso una serie di divieti che precludono alle persone del sud del mondo innanzitutto la libertà di movimento. Da lì poi seguono tutta una serie di questioni materiali pesanti, tra cui la ricattabilità perpetua e mortale sul lavoro. Questo è un nodo importantissimo per la lotta di classe, e infatti non a caso i sabotatori della lotta di classe alla Fusaro è lì che battono. Tutta la loro energia la mettono nel rendere incomprensibile quel nodo, attraverso mistificazioni che pescano direttamente nell’armamentario teorico del razzismo coloniale. Secondo costoro il motivo della maggiore sfruttabilità dei lavotratori migranti non è nel dispositivo burocratico che ne norma l’esistenza, bensì nella qualità umana del migrante stesso. Secondo costoro il migrante è ontologicamente inferiore, e quindi il suo sfruttamento è un fenomeno naturale come la pioggia e il vento. Un fenomeno naturale che viene organizzato e irregimentato da una non meglio precisata elite turbocosmopolita sorosiana, allo scopo trascinare al ribasso anche le retribuzioni degli autoctoni. Gli autoproclamati difensori e vendicatori del popolo autoctono “risolvono” la questione bastonando ulteriormente i migranti e privandoli di ulteriori diritti, alimentando così il circolo vizioso. Per questo motivo sono perfettamente funzionali e di fatto al servizio del capitale, e sono nemici di *tutti* i lavoratori. E’ di questo che bisognerebbe innanzitutto parlare, quando si parla di immigrazione. Bisognerebbe smontare questo castello di menzogne, e mostrare che la lotta contro il razzismo è parte fondamentale della lotta di classe. Queste cose le ha spiegate meglio di me Mauro Vanetti nei suoi post sul rossobrunismo.

  18. Aggiungo un altro dato. Oltre al numero elevatissimo di persona che non sono andate a votare in quanto astenute, ci sono anche quasi 5 milioni di persone che vivono in italia, e non sono andate a votare perché non hanno il diritto al voto.
    Nel paese reale ci sono anche loro. Non fanno parte delle statistiche elettorali, ma vivono nelle stesse città degli Italiani senza essere Cittadini, condividono gli stessi luoghi di lavoro, ma non gli stessi diritti, e spesso sono anche protagonisti di lotte.

    Qusiasi ragionamento sul paese reale deve fare i conti anche con loro.

  19. Come sempre una delle poche, se non l’unica, analisi sensata e lucida e che non si fa prendere dal panico.
    Resta una domanda, come scrivevo nella recensione del vostro bellissimo Proletkult, ed è sempre la solita: “Che fare?”
    Oltre alla battaglia culturale e alle vostre azioni bellissime (tipo mettere le azioni criminali degli assegnatari delle vie sotto i cartelli stradali) cosa vogliamo fare?
    – continuiamo a lavorare solo a livello culturale in questo momento? E in questo senso perché non far nascere una serie di collettivi di scrittura impegnata sul territorio moltiplicando l’effetto Wu Ming? (Non tutti ovviamente sono al vostro livello, però seminare non guasta no?)
    – o è il caso di ricominciare a richiamare le fila del Social Forum del 2002 e ricostruire il movimento altermondialista in Italia?

    • Scusa, ma la nostra lettura non pone noi stessi e il nostro lavoro culturale al centro di alcunché, sarebbe ridicolo. Quando diciamo che nell’Italia di questi anni le lotte ci sono ci riferiamo ad esempio alle lotte che hanno scosso il settore della logistica (centrale nel capitalismo contemporaneo) colpendo la stessa Amazon (e in quel caso la lotta era parte di uno sciopero transnazionale, per certi versi simile a quelli contro Ryanair), alle lotte del proletariato migrante nell’agricoltura, alle lotte per la difesa del territorio e contro le grandi opere inutili, alla nuova ondata femminista che sta radicalizzando migliaia di giovani donne e anche di ragazzine, alle grandi mobilitazioni studentesche sul clima, alla gigantesca solidarietà antirazzista per il progetto Mediterranea ecc.

  20. Vero, però sono quasi tutte iniziative sciolte (non l’ondata femminista di certo) che poi vengono sfruttate da forze ambigue come il 5 stelle.
    Secondo me compito degli intellettuali (e voi lo siete) è anche cercare di creare un coordinamento e un’azione consapevole che unisca tav e altre proteste in modo razionale guardando al di là della situazione locale.
    Com’era? ah già, pensare globale agire locale. :)
    Non voglio darvi più responsabilità di quelle che già vi prendete ci mancherebbe (anzi grazie per tutto quello che fate) però stando a Greenpeace ci restano dieci – quindici anni per evitare disastri irreversibili. Bisogna moltiplicare gli sforzi IMHO.

    • Il M5S ha “messo il cappello” su alcune lotte contro le grandi opere, ma da tutte le altre elencate sopra è rimasto lontano come se fossero kryptonite, perché per il M5S *sono* kryptonite :-) Lo sono sempre state.
      Quanto al cappello di cui sopra, è già volato via da un pezzo.
      Quella fase del M5S è finita, non potrà più strumentalizzare alcuna lotta reale.
      Sul fatto che le lotte debbano sempre più intersecarsi tra loro e ibridarsi, è poco ma sicuro. Che il lavoro culturale da fare debba andare sempre più in quella direzione, è altrettanto certo. Noi cercheremo sempre di dare il nostro contributo a questo processo, però abbiamo già visto che «chiamate alle armi» da parte nostra sarebbero improprie. Non è quello il nostro compito.

  21. […] tal senso è possibile interpretare la recente disamina del Wu Ming, che tende a ridimensionare la portata della presunta reviviscenza del PD in chiave Zingaretti e ad […]

  22. […] caldo (clicca qui), partendo dalle riflessioni condivise sul web dal collettivo Wu Ming Foundation, attraverso il post “Sui veri risultati italiani delle Europee 2019. Non facciamoci abbagliare da percentuali di […]

  23. ciao, domanda: ma succederebbe qualcosa all’attuale sistema elettorale se la percentuale di astensione superasse una determinata soglia (che sò, su twitter c’era chi si augurava di vedere l’80% di astensionismo)?
    che poi si ricollega ad un’altra domanda: ma qual’è l’obiettivo di quella parte di astenuti che ritengono l’attuale proposta politica inaccettabile, ecc ecc? far crollare il sistema elettorale così com’è? forzare un annullamento della tornata elettorale?

    • Legalmente non succederebbe assolutamente nulla, resterebbero validi i risultati ottenuti, anche se i votanti fossero l’1%. Certo poi far finta che sia una democrazia sarebbe decisamente più difficile.
      Non so gli altri, ma col mio non votare non mi proponevo nessun risultato pratico, semplicemente voto quando penso abbia un senso, ovvero quando credo che il mio voto possa far eleggere qualcuno che voglia e possa fare qualcosa di migliore rispetto ai concorrenti all’elezione. Questa volta non lo pensavo, anche per il fatto che negli ultimi 12 anni in cui ho quasi sempre votato solo 2 volte ho eletto qualcuno.

    • Di per sé, l’astensione non è già una strategia. Anche i movimenti che storicamente rifiutano in toto candidature ed elezioni – come il movimento anarchico – non pongono questo come strategia bensì come 1) rifiuto politico ed etico della gerarchia eletti-elettori; 2) premessa per potersi concentrare su altre strategie, diverse da quella elettorale, senza perdere tempo lungo una china che porta sempre negli stessi posti.
      Mutatis mutandis, molti che non votano più la vedono allo stesso modo, non si illudono affatto che il semplice atto di non votare sia già lotta o che possa produrre chissà quali effetti sul quadro politico. Semplicemente, non sono più disposti a turarsi il naso, a ingoiare rospi, a vedere sempre la stessa recita, a perdere tempo.
      Forse nemmeno l’astensione all’80%, da sola, produrrebbe chissà cosa. Se a tale sottrarsi si accompagnasse la partecipazione attiva a lotte radicali ed esperienze – diciamola come si diceva una volta – di «contropotere territoriale» da parte almeno di una minoranza consistente di quell’80%, allora il quadro sarebbe diverso. Ma il semplice non votare più non basta, perché allora negli USA dovrebbe esserci l’anarchia nell’accezione kropotkiniana, mentre tuttalpiù c’è l’«anarchia» del capitale.

      • Strano che non sia ancora saltato fuori “saggio sulla lucidità” di Saramago. Faccio io :-)

      • A me il vostro ragionamento pare tanto chiaro quanto frainteso da molti. C’è un 44%, che è una percentuale enorme, che non va a votare. La percentuale è andata crescendo negli ultimi 20-30 anni e, mi pare di capire, in forma molto più spinta rispetto al trend negativo di altri paesi europei. Nessuno dice che tutti questi astenuti siano, come orientamento, posizionati nell’alveo di una sinistra reale che al momento non trova alcun tipo di rappresentanza nelle forze partitiche in campo. Non li si può biasimare, anche perché allo stesso tempo, presumibilmente, una fetta di questi astenuti è – consapevolmente o inconsapevolmente – attiva in forme di politica nelle proprie comunità. Forme che spaziano dal volontariato (dove però, a naso, possiamo davvero trovare di tutto… io magari stringerei il campo su forme di volontariato/attivismo “critico”, che spesso coinvolge i beni comuni, o comunque non solamente “ancillare” e di mero servizio) fino alle vere e proprie lotte per i diritti.

        Una fetta degli astenuti torna a votare, specie nei referendum, referendum che mi pare però molto spesso vivano (anche) su un’onda emotiva forte (quello sull’acqua pubblica in particolare, tanto per fare un esempio). Con questo, sia chiaro, nulla voglio togliere all’importanza di una mobilitazione ma, stando anche nel piccolo della mia esperienza, ricordo come importante il voto di quel referendum, ricordo come meno determinanti altre votazioni alle politiche o alle ultime europee, per l’appunto.

        Quel 44% resta un terreno da esplorare nel quale – anche se di certo non totalmente – esistono energie magari già attive in forme alternative di partecipazione, magari no, che potrebbero costruire dal basso un nuovo soggetto con dignità di voto, oppure influenzare in maniera pesante alcuni dei soggetti già esistenti, attuando (non so come, non so con che mezzi, non so con quali possibilità di successo) una trasformazione di uno o più soggetti già esistenti.

        È una brutale sintesi, mi rendo conto, di tutto quello che avete provato a raccontare, e probabilmente piena di buchi, ma passatemi la semplificazione. Ora, in un commento qui sopra avete citato gli Stati Uniti, dove il non-voto ha un peso specifico ancora più pesante. Allora io mi chiedo se il percorso di una figura come quella di Ocasio-Cortez sia qualcosa di vagamente assonante a rispetto a quello che scrivete nel vostro post. Parliamo chiaramente di due contesti e due sistemi completamente diversi, ma rileggendo questa intervista https://jacobinitalia.it/socialiste-nel-congresso-usa-intervista-ad-alexandria-ocasio-cortez/ io ho sentito delle assonanze, per lo meno in alcuni passaggi.

        «Sin dall’inizio, sono sempre stata concentrata sull’organizzare le persone, costruire reti, e radicare queste alleanze a rete insieme ad altri “organizers”. La campagna si è concentrata quasi interamente sull’organizzazione fisica, concreta, e su un’estensione digitale che serviva a rafforzare il modello organizzativo fisico.»

        «Per me l’idea per cui dovremmo concentrarci su coloro che di solito non si interessano alle elezioni è uno spreco di energie, perché sono persone che non decidono mai chi votare fino a una settimana prima delle votazioni. Se non sai chi votare una settimana prima delle elezioni, nessun tipo di sforzo sarà sufficiente a farti decidere in anticipo.Quello di cui abbiamo bisogno sono le iniziative che allargano la base di coloro che sono interessati. ».

        « Ho speso sei mesi cercando di costruire un rapporto di fiducia con le organizzazioni di comunità, per guadagnare la credibilità per riuscire a mobilitare persone che normalmente non hanno fiducia nelle campagne elettorali.»

        «Abbiamo bussato a 120.000 porte, mandato 170.000 Sms, fatto 120.000 telefonate. Prima ancora di arrivare alla fase di registrazione come elettori del Partito democratico, avevamo già concluso un’intera campagna sul metodo di registrazione al voto.»

        «“Trump è un demagogo spaventoso, e sarà un disastro per la nostra democrazia”, ma con questo ritornello abbiamo perso le elezioni. Sembra che molti democratici in carica stiano andando col pilota automatico.»

        «Molte persone sono ciniche e disilluse e credono che impegnarsi nelle elezioni non valga la pena. Spero che questa gente sappia che li capisco perfettamente. Ma li invito a ripensarci, perché le elezioni non sono il colosso inavvicinabile che credono sia. Il motivo per cui i soldi sono così importanti in politica è perché alla base c’è una grande passivizzazione. Tante di queste macchine politiche imbattibili non sono altro che gusci vuoti, privi di grande partecipazione. Sono decrepite.»

        «Non voglio impantanarmi in lotte intestine dentro il Partito democratico, e non perché voglio fare un favore al suo establishment, ma perché dobbiamo costruire un movimento. Voglio concentrarmi per realizzare quello che vogliamo ottenere.»

        «Se riesci a mobilitare i corpi puoi fare la differenza.»

        Ora, io non so come AOC abbia intenzione di provare a cambiare l’orientamento di una struttura elefantiaca come il Partito Democratico americano, ma mi chiedo quanto un approccio simile – al netto della forte personalizzazione con cui quella storia viene spesso raccontata – sarebbe replicabile in Italia. Non capisco se sono solo principi di massima o anche modalità d’azione quelle che possono essere mutuate da quell’esperienza. Esperienza che, come sappiamo, è solo all’inizio e la cui capacità di reggere alle turbolenze è ancora da valutare.

  24. Concordo con voi sulla necessità di osservare i risultati elettorali anche alla luce del fenomeno rilevante dell’astensionismo. Mi pongo tuttavia il seguente problema: siamo certi che quel 44% rappresenti un blocco sociale compatto, omogeneo, che potrebbe trovare adeguata rappresentanza in un ipotetico movimento (ma anche partito, perché no?) politico? Inoltre, temo che sia un po’ ottimistico ritenere che dentro questo 44% si trovino in larga misura soggetti con coscienza politica che consapevolmente optano per le lotte sociali, per l’attivismo militante, anziché esprimere una delega attraverso il voto.

    • No, nessuno ha sostenuto che quel 44% rappresenti un blocco sociale, men che meno omogeneo. Quel che stiamo dicendo è che là dentro non c’è solo apatia, menefreghismo e pigrizia mentale, come sostengono i pasdaran del voto-a-tutti-i-costi. Questi ultimi sostengono che bisogna votare comunque, anche se non vi è alcuna alternativa tra le forze in campo e nonostante sia ampiamente dimostrato che a forza di «male minore» e «meno peggio» si è costruito il male maggiore e si è imposto il peggio. Praticamente, sono apologeti – consapevoli o meno – dello stato di cose presenti. Chi non ce la fa più a turarsi il naso è preferibile a chi dice che nella vita puoi solo turartelo. Noi conosciamo tantissime persone che non votano più e portano avanti la loro forma di impegno civico, di attivismo, di militanza, in settori e ambiti dove pensano di poter dare un contributo reale. Come loro ce ne sono tanti, e tutti insieme sono una forza che, se in politica è latente, nella società spesso è già operante.

      • ecco, e non sarebbe bello se alcune di queste persone venissero catapultate in parlamento perché sorteggiate?..

        non capisco perché la possibilità di sorteggiare i deputati non venga presa seriamente in considerazione; come si può coscientemente credere che scegliere i parlamentari attraverso un’elezione sia più rappresentativo della società rispetto al sorteggiarli tra tutti?

        volete parlamentari che rappresentino le istanze del popolo? pescateli a caso tra quelli che vi stanno intorno, probabilmente avranno bisogni e speranze più simili ai vostri rispetto che i soliti “figli di” o “amici di” che (giustamente) una volta fatti fessi gli elettori seguiranno i propri interessi.

  25. Ho visto il vostro articolo condiviso non so quante volte sulle bacheche social, anche di amici con cui di solito sono molto d’accordo politicamente. Tuttavia questa volta non posso che dissentire in parte dall’acclamazione che il vostro post ha ricevuto. Che l’aumento dell’astensionismo abbia portato ad una distorsione dei voti percentuali è assolutamente vero (così come ci vuole poco a capire che le illusioni che si fanno in casa Pd circa la rinascita del partito a partire dall’andamento delle percentuali di voto sono del tutto effimere e infondate). Sono d’accordissimo pure col fatto che per osservare l’andamento dei voti occorre fare il confronto tra i numeri assoluti e quando sostenete che il confronto vada fatto tra risultati di elezioni comparabili, europee con europee, politiche con politiche, regionali con regionali. Su tutto questo sono d’accordo (anche se a voler essere più chiari, l’articolo dovrebbe specificare che la distorsione non avviene di per sé per la riduzione dell’elettorato attivo, ma perché l’incremento degli astenuti non è politicamente neutro, ma è stato proporzionalmente più forte tra coloro che avevano in passato votato alcuni partiti, in primis grillini, e inferiore ad esempio tra appunto gli ex votanti Pd. Può sembrare ovvio a chi mastica un po’ di analisi dati, ma non lo è e rischia di fare confusione. Ad esempio alcuni hanno – ingenuamente? – pensato che un aumento dell’astensionismo porta di per sé ad un aumento delle percentuali. No, non è così.)
    Quello che ritengo questionabile è la teoria per cui per capire quanto un partito rappresenti veramente il bacino elettorale italiano si debba moltiplicare la percentuale ottenuta nelle urne per la percentuale dei votanti totali. Secondo questa teoria, come fate vedere voi, il Pd avrebbe avuto il 22,7% del 56,1% dei potenzialmente votanti, pari al 12,7%. Una percentuale largamente minoritaria, così come lo sarebbero tutte quelle di tutti i partiti, stimate allo stesso modo: la Lega avrebbe il 19%, molto meno del 44% del movimento degli astenuti” Messaggio morale del calcolo: in Italia esiste, citando, “una riserva di energia politica che, quando tornerà in circolazione, scompaginerà il quadro fittizio che alimenta la chiacchiera politica quotidiana, mostrando che questi rapporti di forza tra partiti sono interni a un mondo del tutto autoreferenziale” e soprattutto, “Ripetere il cliché «chi non vota sceglie di non contare» è lunare, per due ragioni: ■ a. non-voto non equivale per forza a passività, milioni di persone non votano più ma fanno lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo, sono cittadine e cittadini attivi, molto più attivi di chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine; ■ b. da un momento all’altro costoro potrebbero tornare a usare anche il voto per scompigliare il quadro.”
    Ecco, questo è largamente questionabile, per una serie di ragioni.
    Illudersi che il 44% dell’elettorato che non ha votato sia un’energia potenziale è leggermente una sparata. A parte che la stramaggioranza delle persone che “fa lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo” già vota, in quel 44% di astenuti si mischiano tipologie variegatissime di non elettori, che includono coloro che non votano perché ripudiano la democrazia rappresentativa come modello politico e aspirano a forme di convivenza altre e che sono sicuramente impegnate socialmente in altro modo (anche se definirle milioni….), ma anche gente a cui di un modello sociale non gliene frega in generale un fico secco, il popolo dei forconi ad esempio o quello dei menefreghisti. Ci sono anche sacche di anziani, che non votano perché sono “vecchi” (l’8,3% del bacino elettorale è composto da persone con 80 anni o più, il 4,1% con almeno 85 anni). Ogni volta grandi commozioni quando la vecchina va a votare (e facciamo bene, sono il primo), ma appunto la maggioranza non vota. E così via. Credere che quel 44% sia attivabile ha un po’ dell’illusorio e, soprattutto, monta illusioni.
    L’astensionismo, tra l’altro, è un problema storico. Certo a queste europee, in Italia, ha raggiunto livelli altissimi, ma alle scorse europee era il 57,2 (il 66,5% nel 2009). Ma dopo gli anni di accuse politiche all’Europa e abbastanza palese che la scelta di non votare alle europee cresca. Alle politiche del 2018 era ad ogni modo il 72,9%. Il partito degli astenuti stava al 27,1%.
    Ancora, molte delle analisi confermano che buona parte dei nuovi astenuti siano sacche di grillini, disilluse dalla deriva e dal declino pentastellato. Sono forse questi le “riserve di energie”? Un branco di disillusi che era stato attratto al voto non tanto dai proclami partecipativi dei cinque stelle (quelli probabilmente sono rimasti fedeli o si sono fatti fregare dalle sirene salviniane), quanto dalla copertura politica di rivendicazioni piccoloborghesi e di rabbia antisistema?
    Insomma, sarebbe prudente essere più cauti nell’interpretazione dell’astensionismo (da una parte e dall’altra). Ma anche perché, ed è quello che mi chiedo io: ma perché cavolo le persone che credono nella politica (e soprattutto in modelli politici differenti), se proprio ci sono e vogliono farsi notare, invece che scivolare nell’oblio – confuso e variegato – dell’astensionismo, non esercitano il proprio diritto di opinione e votano scheda bianca o scheda nulla? Chi ha detto che votare bianco o nullo, peraltro, significhi accettare, se ci sono, i limiti della democrazia rappresentava? Al contrario, è un segnale chiaro ed inequivocabile. Questo avreste dovuto dire, Wuming. Fare il culo a chi non vota pur credendo nella società, non trovare giustificazioni palliative.

    • «Fare il culo a chi non vota»? Ti sei veramente rivolto alle persone sbagliate. Soprattutto, non hai alcun diritto di dirci cosa avremmo dovuto dire. Noi facciamo la nostra analisi, non la tua. Prendiamo la nostra posizione, non quella che vuoi tu.

      Sei l’ennesimo che, qui o su Twitter, viene a dirci che quel 44% di astenuti non è interamente composto da compagne e compagni. Grazie, però lo sapevamo già. Ma da qui a negare che nel mondo (nei mondi) di chi non vota o non vota più siano comunque in circolazione energie e si facciano lotte, ce ne passa.

      Tu poi lo neghi ma al tempo stesso dici, intendendo sminuire il fatto, che buona parte dei nuovi astenuti sono «sacche di grillini, disilluse dalla deriva e dal declino pentastellato». Ma se sono contro quella deriva e quel declino e non votano più M5S, allora non sono più grillini, se mai lo sono stati (alcuni si erano solo turati il naso), e questa è una buona notizia. Molte di queste persone, schifate da quel che è diventata la “sinistra” in Italia, avevano votato M5S per disperazione, come ultima scommessa. Avevano sbagliato, ma poi se ne sono resi conto e si sono sottratti in massa, non votando più e causando il tracollo del partito di Di Maio. Se questo non è un esempio di energie politiche smosse dagli astenuti, in entrata (come per il referendum del 2016) o in uscita, non vediamo cosa possa esserlo.

      Tu invece usi nei loro confronti termini disumanizzanti – «sacche», «branco»… – e dài per scontato che avessero votato M5S per i motivi contro cui ti fa comodo polemizzare. Se fosse stata solo questione di «rivendicazioni piccoloborghesi», cioè le rivendicazioni intercettate da buona parte dell’arco politico e in primis dalla Lega, probabilmente avrebbero votato per qualcun altro, non si sarebbero astenuti. Noi invece stiamo parlando di quelli che si sono astenuti.

      Quanto alla «rabbia antisistema», ne parli come se fosse di per sé una cosa disdicevole, mentre contro questo sistema è del tutto normale essere arrabbiati. Poi quella rabbia si tratta di organizzarla e per certi versi di trascenderla, ma noi diffidiamo di chi, in questa situazione, non ha motivi di essere arrabbiato.

      Rimane l’impressione che per te chi ha votato M5S, anche se si è reso conto dell’errore, sia un soggetto immondo in modo irredimibile. Per noi no, non facciamo crociate contro presunti «infedeli».

      Ancora: in base a cosa dici che la stragrande maggioranza di chi fa le lotte vota? Esiste una statistica del genere? A noi vengono in mente ambiti di lotta importanti dove moltissima gente non vota o vota solo occasionalmente.
      Ci viene anche in mente che le lotte nella logistica sono state portate avanti in maggioranza da lavoratori che non votano né alle politiche né alle europee, perché sono “extracomunitari”, ma quelli tecnicamente non sono astensionisti, benché non-votanti.

      A conti fatti, grazie, ma non rimpiazzeremo la nostra lettura con la tua.

      • ok, probabilmente ho sbagliato ad usare i “avreste dovuto” rispetto ai “avreste potuto”; e nella foga del momento ho esagerato con toni paternalistici che nessuno mi aveva richiesto. però quanto livore nella risposta! pensavo di essere stato più chiaro, ma probabilmente mi sono spiegato male. il succo del mio messaggio non era – come sembra abbiate colto – “quanto sono cattivi i grillini” o, ancora, “quanto sono cattivi gli ex grillini che sono tornati a non votare” ma piuttosto: non sarebbe meglio auspicare e sperare che chi è interessato alla res publica (così come dovrebbero essere coloro che sono impegnati in società e fanno a vario titolo lotte) senza essere tuttavia rappresentato dall’attuale classe politica vada a votare scheda bianca o nulla piuttosto che rifugiarsi in un magma che anche voi accettate di definire variegato e disomogeneo? Un insieme che, soprattutto e almeno a mio parere, rischia di essere più che una riserva di energia un anestetizzante politico, dal quale è molto più difficile risvegliarsi o, dal quale forse è più facile risvegliarsi quando stimolati da istanze distruttive (il vaffa grillino, i forconi, buona parte delle rivendicazioni dei gilet) che non costruttive. D’altra parte e per esempio, in Spagna, Podemos (che almeno secondo me è un modello fantastico di attivazione di rivendicazioni altre) non è nato dal ritorno al voto dagli astenuti, ex delusi o meno che siano.
        Per quanto riguarda il resto: chi è che avrebbe negato che nel mondo (nei mondi) di chi non vota o non vota più ci siano comunque in circolazione energie e si facciano lotte? Io (come del resto a quanto pare tanti) abbiamo soltanto detto che sono probabilmente una piccola parte del mondo astensionista e che è molto probabile che tra chi vota ci sia una parte in qualche modo maggioritaria delle persone impegnate socialmente. Chiaro che tra chi non vota ci siano ambiti di lotta importanti. Ma basta fare due calcoli per capire che non si tratta di milioni, ma più probabilmente di migliaia, chissà forse meno. Inoltre non è che il corpo elettorale è sempre lo stesso da 50 anni. Non è che c’era chi votava e poi adesso non vota più. E’ più una questione di coorte che di periodo, per cui sono i giovani a non votare (relativamente sempre) di più. Gli antisistema che hanno cavalcato l’ambizione grillina non erano sinistrorsi delusi (o forse in piccola parte sì) ma anche gente che non aveva mai votato, per astensionismo cronico o perché alle prime votazioni per ragioni anagrafiche.
        Infine, con rabbia antisistema, come probabilmente di nuovo non ho spiegato bene io – non intendo quella rivolta e canalizzata verso altre forme di impegno sociale, ma quella antisociale, anticollettiva, rivolta al proprio “io” e a nessuna forma di convivenza. Non parlo, ovviamente, né di anarchici o movimenti militanti, ma di aggregazioni fondate su individui rinchiusi sul proprio mondo. E di questi individui il mondo astensionista è pieno. Come tra l’altro anche in buona parte il mondo dei votanti salviniani o destrorsi. Ma ancor di più l’invito che ne emerge (il mio di invito a questo punto) è: chi non si sente così vada a votare e, piuttosto, voti bianco o nullo o sarà tristemente accomunato a quel gruppo di persone.

        • «chiaro che tra chi non vota ci siano ambiti di lotta importanti. Ma basta fare due calcoli per capire che non si tratta di milioni, ma più probabilmente di migliaia, chissà forse meno. »

          Al volo: potresti mostrarci i due calcoli? Grazie.

          • Domande reciproche?
            “milioni di persone non votano più ma fanno lotte sociali”
            milioni di persone non votano OK
            milioni di persone fanno lotte sociali: in Italia intendete? potete mostrarmi 2 calcoli ovvero dati

            Ritengo che il grado di approssimazione contenuto nel “migliaia, chissà forse meno” di michele m non si scosti molto dal vostro. Ognuno propone la propria tesi suffragata dai dati che servono per supportarla.

            I miei calcoli sommari sono falliti, non lo so quante persone che lottano ci sono nel non-voto.

          • mah, secondo me è semplicemente buon senso, ma ci proverò usando un po’ di tempo per masticare i dati del censimento. nel frattempo visto che siete cosi bravi: me li date voi i vostri? quelli che vi fanno parlare di milioni?
            incredibile quanto siate allergici e capaci di selezionare unicamente la parte che vi interessa

            • Rispondiamo a te e anche a Fabietto: c’è da chiedersi che idea di «lotte» voi abbiate. Secondo voi su 22 milioni di persone che sabato non hanno votato, sarebbero solo «poche migliaia, forse meno» quelle che in questi anni hanno fatto sciopero, raccolto firme per qualcosa, partecipato a manifestazioni, partecipato alla vita di associazioni o comitati, e si sono occupate della “res publica” – o della pòlis, che preferiamo – in vari modi e a vari livelli.

              Cosa non era chiaro nel nostro «fanno lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo, sono cittadine e cittadini attivi»? Secondo voi cosa significa «cittadini attivi»? E se uno non ha materialmente alzato una barricata non è una «lotta»? Lo sciopero è la lotta sociale per eccellenza, proprio ripercorrendo a ritroso la genealogia del concetto di lotta sociale. Secondo voi sono solo «poche migliaia, forse meno» le persone che hanno partecipato a scioperi e domenica si sono astenute dal voto?

              Praticamente, secondo voi, su 22 milioni che non hanno votato, almeno 21.995.000 sono solo apatici, menefreghisti, egoisti, gli pesa il culo, non volevano fare la fila al seggio. E ritenete questa proiezione dei vostri pregiudizi non solo una “stima” realistica, ma persino un pensare… di sinistra.

              Ma a vostro parere si può ricostruire qualcosa di minimamente credibile in questo Paese pensando che la stragrande maggioranza di chi non vota è coglione, dicendo che nel mondo che corrisponde a quel 44% si muove poco e nulla, tirandosela da superiori solo perché si è fatta una croce su una scheda?

              • Per favore però non “usate” i numeri.
                Io ho detto che non lo so quante persone lottano fra chi si astiene. Non ho parlato di poche migliaia, nè di milioni.
                Non ho gli strumenti per valutarne la forza, non ne ho i numeri e mi pare che nemmeno voi li abbiate. Partite dall’assunto vero che tutte le persone attive (volontariato, lotte, associazionismo) siano milioni. Ma si sono astenuti tutti e nel caso sono tutti mobilitabili e tutti dalla medesima parte. Io dico solo che la risposta certa non c’è. Non parlo di coglioni o apatici perchè non lo penso. Per mia forma mentis tendo a partire da dati certi per arrivare a conclusioni certe.
                Dopo aver riletto tutto di questa bella discussione penso mi sia rimasto lo spirito. Intendo cioè che chi come me vota (convintamente o meno mette sta cazzo di croce sulla scheda che sembra un atto orrendo) è disponibile, anzi ha voglia di “ricostruire qualcosa di minimamente credibile in questo Paese”. Ma il mio punto di partenza non sono le certezze di avere al mio fianco milioni di persone, questa certezza guardala come vuoi, non ce l’hai.
                Qualcuno vi ha chiesto di mettervi in gioco nella ricostruzione. Nelle differenze ve lo chiedo anch’io. Lo so non è il vostro compito, ma penso vi riuscirebbe.

                • Nessuno ha mai scritto di «avere al fianco» quei milioni di persone. Anzi, si è detto che il lavoro da fare è convincere chi non vota a sentirsi parte di una potenziale massa d’urto, cosa che adesso non è percepita perché ciascun astenuto vive la propria scelta come individuale, quando non dettata da impotenza.

                  Per favore, smettete di dire che un gruppo di scrittori che si esprime sul mondo e cerca di dare un proprio contributo specifico dovrebbe “guidare” chissà cosa. Non ha senso. Le nostre responsabilità ce le prendiamo già, e proprio il nostro senso di responsabilità ci induce a non metterci a capo di alcunché, perché sarebbe non solo improprio, ma incongruo. È consolatorio e assurdo pensare che il primo che scrive una cosa sensata e si ritrova a fare “supplenza” possa o debba diventare il nuovo leader o spin-doctor. Tra l’altro, col crederci più importanti e determinanti di quel che siamo → abbiamo già dato, e abbiamo fatto autocritica.

              • Per chiarire: non accomuniamo la posizione di Michele M. e quella di Fabietto, qui abbiamo risposto sulla questione dell’approssimazione, e il «voi» del commento era inteso per quelli che la pensano come Michele.

        • “Non è che c’era chi votava e poi adesso non vota più.”
          Quindi io non esisto.
          Non sarebbe male se quando uno emette sentenze lo facesse conoscendo un minimo ciò di cui parla

          • ovviamente non era in senso assoluto. ma forse di nuovo l’ho scritto male o pure come al solito chi deve attaccare si attacca alla singola frase piuttosto che al senso del messaggio.
            per esempio, ancora nessuno mi ha spiegato perché non avete scelto di votare nullo o bianco piuttosto che non votare.

            • Se ogni volta sospetti di aver scritto male la volta prima, magari fatti due domande, e pensa di più prima di scrivere. I tuoi commenti trasudano autentico disprezzo per chi, non recandosi all’urna, ha fatto una scelta diversa dalla tua. È esattamente ciò di cui stiamo parlando.

              • oppure semplicemente uno cerca di essere educato di fronte a reazioni semiisteriche.
                ad ogni modo il disprezzo lo vedete solo voi. io ho soltanto detto, se mettete degli occhiali lo vedete anche voi, che pensare che in quel 44% si nasconda chissa quale potenziale è poco credibile, che quel potenziale c’e ma tocca una percentuale minore (una riduzione che in parte riduce l’allarme lanciato dal vostro post e ripostato centinaiai di volte su social), che SECONDO ME chi tiene alla polis in maggiornaza vota anche ai giorni nostri, e che chi tiene alla POLIS potrebbe secondo me votare bianco o nullo e l’aumento di quella percentuale sarebbe piu ascrivibile a un sentire politico che non l’aumento dell’astensionismo (che è di per sé meno definibile)
                . cmq a discapito di fabietto, che mettete in mezzo alla vostra risposta, lui non ha mai detto di essere d’accordo con me. sulle “migliaia”, anzi.
                comunque numericamente, dire migliaia non sognifica dire solo mille, ma moltiplicazioni x di migliaia. dire milioni sognifica credere in quell’ordine di grandezza.

                ciao e buon xanax a tutti.

                • «Se mettete occhiali», «buon xanax», qualificare gli altri come «semi-isterici» dopo aver parlato di «branchi» ecc. Tutto perché le tue argomentazioni non tenevano, e ti è toccato metterci continuamente pezze e «volevo dire che», «non mi sono spiegato» ecc.
                  Questo non è Facebook. Qui si discute seriamente.
                  Se non torni più ci fai un piacere, vai a inacidirti da un’altra parte.

                  • che non tengono lo dite voi.
                    atteggiamento risibile. arroganti e saccenti.

                    • Non avevi concluso con «ciao e buon xanax a tutti»?
                      In questa bella discussione, sei l’unico a essersi meritato un «pussa via».
                      Pussa via.

            • L’unica differenza tra non votare e votare scheda bianca è che nel primo caso risparmi qualche minuto di tempo (e che rendi esplicito il fatto che non hai votato, ma questo a me non interessava). Annullando la scheda hai la possibilità di scriverci il perchè, ma è un messaggio che comunque arriva solo fino agli scrutatori, non mi sembra tanto rilevante.
              Perchè a te la differenza tra le tre modalità sembra rilevante?

              • ciao,
                se ho capito bene, votare scheda bianca o nulla non cambierebbe il risultato finale, ma andrebbe solo ad aumentare la quantità dei votanti, quindi a diminuire quel famoso 44% (e di conseguenza il 34 di salvini) che è all’origine di questo post.
                giusto?

                • Yep.
                  Se votano in 100 e non ci sono schede bianche il risultato è Verdi 40, Neri, 35, Gialli 25.

                  Se aggiungi 10 bianche o annullate diventa Verdi 36, Neri 32,5 gialli 22,5 bianche 9. (a spanne) Naturalmente non cambia niente nella distribuzione dei seggi, nel senso che ai verdi tocca sempre il 40, ai neri il 35 e ai gialli il 25

                  • Le percentuali dei partiti che vediamo in tv e sui giornali sono percentuali dei *voti validi*. Quindi non votare o votare scheda bianca è perfettamente identico dal punto di vista delle percentuali. D’altra parte, considerando anche le schede bianche e nulle la percentuale degli astenuti risulta addirittuara maggiore rispetto al 44% su cui stiamo ragionando. Le schede bianche+nulle sono in tutto 1 milione, cioè il 2% del corpo elettorale. Quindi l’astensione complessiva è del 46%. Il numero di schede bianche a volte è anche molto significativo, ad esempio a Riace le schede bianche+nulle (in gran parte bianche) sono state l’8% degli aventi diritto e il 12% dei votanti. (in Calabria bianche+nulle sono il 3% degli aventi diritto e il 6% dei votanti).

        • Ciao, mi riconosco invece nella frase “Non è che c’era chi votava e poi adesso non vota più.”
          Io non ho votato, non sono neanche un neo votante, ho più di 40 anni, e per la maggior parte delle elezioni precedenti ho espresso il mio voto, prevalentemente a sinistra, se non più a sinistra. Non so dirti con precisione cosa mi abbia fatto desistere dall’andare a mettere la crocetta, ne ho solo un sentore: quelle frasi di alcuni esponenti politici di sinistra che parteggiano per i poliziotti durante gli scontri, mi hanno fatto recepire un senso di inutilità al gesto, e alle sue possibili coseguenze. Un senso di inutilità ad un’alternanza politica che non mi tocca nel concreto. Sono coomunque una persona impegnata, nel sociale e nel politico, ma non ho reputato importante andare a votare, tutto qui. Non ho reputato COSI’ importante andare a votare. Se mi avessi accompagnato tu, non so, magari ci prendevamo un caffè lungo la strada, forse lo avrei fatto, mi avresti pure potuto indicare la strategia migliore per spazzare questo sistema, se fosse meglio votare scheda bianca, o nulla, o questo o quel partito. Il mio non voto non è un fortino, sono disposto a barattarlo con qualsiasi alternativa convincente, vista l’importanza che gli do, anche al ribasso. Nel frattempo continuo a fare altro, tra gli anni di crocette e quelli senza, ma senza sentire la croce sulla schiena del disimpegno.

  26. Nota a margine delle europee:
    – CasaPound: 0,33
    – Copie vendute Altaforte, biografia Salvini: 243

    “Le polemiche e le contestazioni che danno visibilità ai fascisti.”

    • Il che ovviamente non significa affatto che in Italia non ci sia un problema di (neo) fascismo.

      (tocca precisarlo perché il nemico di classe ci legge)

      I temi del (neo)fascismo semplicemente sono stati sussunti nella lega. Non si tratta di una svolta recente (come pensano in molti). Tali temi erano presenti da subito in certe componenti della lega, solo che il ripudio del tricolore li rendeva invisibili a chi ha una conoscenza approssimativa di cosa siano i fascismi (ad esempio la corrente evoliana del (neo)fascismo ripudia la nazione in quanto creazione della modernità…)

      • Ma infatti giusto ieri alla radio ho sentito, per poco – onde evitare travaso di bile -, sbraitare Cruciani in tal senso. Come se le percentuali da albumina prese da chi rivendica continuità e appartenenza al fascismo fosse la prova provata che il fascismo in Italia non c’è. La strumentalizzazione a destra di questo dato va monitorata con attenzione.

        • Ma infatti credo che l’annotazione di “ombrerosse” mirasse a smentire la vulgata secondo cui “a lottare contro Casapound e il fascismo gli fai solo pubblicità”.

          Frase che ho sentito ripetere fino alla nausea da sedicenti grandi giornalisti e ripresa da parecchi, guarda caso con tendenze più o meno destrorse…

  27. Sono d’accordo con voi. Astensionismo attivo, azione diretta, pratica immediata dell’obiettivo, autogestione.

  28. E’ la prima che volta che scrivo, probabilmente fuori tempo massimo, ma soprattutto perdonate qualche ingenuità. Mi è capitato più volte di non votare convintamente. Ma questa volta ho fatto una riflessione differente. Nessun Parlamento prevede uno spazio vuoto per le percentuali di astenuti, quindi percentuali reali come quelle leghiste assumono ben altro peso in un posto dove si fanno le leggi. Leggi che, visto l’andazzo e i ceffi che compongono la Lega, avranno, tra gli obiettivi primari la repressione becera di tutto quel dissenso già in atto, ma come giustamente detto, anche in potenza, che un po’, fortunatamente, si sente. Ora, visto che il nemico è abbastanza lampante in tutto quello che fa, forse non era questo il caso in cui il ridimensionarlo più possibile elettoralmente avrebbe potuto avere un senso? Il dissenso montato progressivamente per Renzi e per il M5S forse era legato alla loro (falsa) aurea di novità. Capivo ma non condividevo ai tempi le aspettative che potevano produrre, specie i 5 stelle, ma la Lega oggi è già pienamente chiara, trasparente nei suoi intenti. Se presupponiamo che il suo bacino elettorale attivo sia esaurito (su questo sono d’accordo), temo che per lo stesso motivo anche il bacino del suo dissenso attivo possa ritenersi altrettanto esaurito.
    Un’ultima cosa sulle altissime percentuali di votanti fino agli anni 90′, se non ricordo male il non voto era in qualche modo sanzionato.

    • Dal punto di vista pratico queste elezioni contavano poco, come poco conta il parlamento europeo. La UE ha molto potere, ma quasi tutto in mano alla commissione e alla banca centrale, non al parlamento. Inoltre il ‘trionfo’ della lega li ha portati ad avere se non sbaglio 22 parlamentari in più su 750, non mi pare sposti un gran che.
      Che io mi ricordi per il non voto c’erano alcune ‘sanzioni’ formali prive di effetto pratico (tipo ineleggibilità ad alcune altissime cariche) che a quanto mi risulta sono ancora in vigore.

      • C’erano delle sanzioni “simboliche” (potevi trovarlo nei certificati di buona condotta per un periodo di 5 anni) e qualche disagio (a parità di merito nei concorsi perdevi). Da 25 anni non c’è più niente

        • @robydoc grazie della precisazione, però i tempi più o meno combaciano con il calo dell’affluenza. Forse per quanto leggere in qualche modo incidevano, non so.

      • Siamo sicuri che contavano poco? A livello politico nazionale il messaggio è stato chiaro, la Lega è il partito più votato del paese e all’interno del governo tutto ciò avrà serie conseguenze. Non che prima fosse un esecutivo illuminato, ma i provvedimenti che prenderanno da qui in poi temo potranno essere ancor più preoccupanti.

  29. […] riflessione più seria l’han tirata fuori i WuMing, che spero qualcuno sappia chi sono senza andare a chiederlo a Google. Nel pezzo pubblicato oggi su […]

  30. A latere di questo interessantissimo thread, vorrei aggiungere un piccolo contributo che non ragiona sull’astensione, ma sui votanti.
    Uno dei punti indicati da WuMing nella sua premessa è che i partiti non debbono sentirsi troppo sicuri di quelle percentuali, trattandole come patrimonio acquisito, perché se si muove quel magma sotterraneo che compone il non-voto sono possibili sconvolgimenti.

    Domenica a San Lazzaro di Savena, comune attaccato a Bologna, è successa una cosa che mi ha fatto riflettere sulle ultime elezioni.
    La sindaca uscente Isabella Conti (PD) è stata rieletta con l’80,84% dei voti dei suoi cittadini. Percentuale bulgara viene detta.
    Cosa c’è di strano?
    Solo che quegli stessi cittadini, nella stessa cabina elettorale, con la stessa matita, hanno dato al PD solo il 38% per le Europee (il resto lo hanno assegnato a Lega, M5S, FI, FDI, come nel resto d’Italia).

    Per decenni io ho visto pochi sconvolgimenti fra un’elezione e un’altra. Una volta la DC perdeva qualche punto e aumentavano un po’ i socialisti, un altra volta qualche punto il PCI, etc. Ma in maggioranza i partiti poggiavano sul famoso “zoccolo duro”.

    Nelle ultime elezioni abbiamo visto un Renzi al 40%, seguito da un M5S al 33, poi la Lega al 34; insomma grossi salti dell’elettorato votante da una parte all’altra.
    Ma oggi, addirittura, un enorme salto all’interno della stessa cabina.

    Questo vuol dire che oggi una gran parte di Italiani, se vedono qualcosa che li “convince”, non hanno nessuna remora a lasciare il partito/candidato a cui hanno dato il voto per ragioni/istituzioni differenti. Anche a soli 5 secondi di distanza.

    Non so se dare un valore positivo o negativo a questa modalità, per me nuova, ma di certo modifica lo scenario su cui fino a oggi abbiamo ragionato.

    IMHO, i partiti non si possono più fidare delle percentuali delle percentuali, non solo, perché ci sono i voti potenziali dei non votanti, che possono scompaginare tutto, ma anche perché non possono fidarsi più di chi li ha votati prima.
    Se arriva “un’offerta” convincente, gli elettori oggi sono pronti a cambiare candidato, come hanno imparato a fare con l’operatore telefonico, il fornitore dell’energia elettrica, etc..

  31. La questione dell’astensionismo è uno dei paradossi della democrazia. Questa forma di governo ha un senso solo se la percentuale di votanti (persone che decidono di accedere ai meccanismi della sovranità popolare) è altissima, altrimenti il rischio è quello di scivolare in una forma di democrazia rappresentativa in cui la maggioranza del potere legislativo corrisponde alla rappresentanza di una minoranza di popolazione. Potrebbe essere una provocazione, del tutto logica e legittima, vincolare l’entrata in Parlamento, e quindi l’accesso al potere, in funzione dell’astensionismo. Cioè, più questo è alto e più deve essere bassa la soglia di sbarramento (astensionismo al 30% sbarramento al 4%, astensionismo al 50% sbarramento al 2%). Paradossalmente se votano in pochi, tutti potranno entrare in Parlamento; se non vota nessuno, tutti avranno potere legislativo. Fine della Democrazia, inizio dell’Anarchia! 🤣
    Provocazione a parte, l’astensionismo gioca sempre a favore delle narrazioni dominanti. Smontare resta priorità assoluta.

    • Perchè l’astensionismo giocherebbe a favore delle narrazioni dominanti? Le narrazioni dominanti sono generalmente tali perché sostenute da una maggiore disponibilità di mezzi, e possono abbastanza facilmente distorcere la verità. Così come si sono convinti molti che i notav siano dei nullafacenti mentre i sitav degli onesti e laboriosi cittadini, li si può convincere che chi si astiene alle elezioni se ne frega della cosa pubblica, o che faccia il gioco delle narrazioni dominanti, ma le tre affermazioni contengono la stessa percentuale di verità.

      • Avrei dovuto scrivere, le narrazioni dominanti giocano sempre sull’astensionismo. Pienamente d’accordo con te

  32. Commento interessante, però ci sono due spunti che mi piacerebbe approfondire da appassionato:
    – E’ quantificabile, tra chi si astiene, il numero di coloro realmente impossibilitati al voto? Penso ai lavoratori all’estero che non vivono nelle grandi città per lunghi periodi dell’anno, agli anziani soli delle mille frazioni dei paesini di montagna, ecc.

    – E’ quantificabile l’area di chi non voterà MAI per scelta politica, indipendentemente dalle opzioni in campo? Non sto parlando di quelli che se ne vantano perchè “son tutti uguali”, ma degli extraparlamentari convinti di ogni ordine e grado.

  33. Ho paura che si vada fuori tema.
    La disamina iniziale dei WuMing poneva domande indirette sul popolo che non si sente rappresentato ma anche su chi ha votato con la matita copiativa in una mano e il Maalox nell’altra.

    Le domande che sono emerse sono interessanti, stimolano un dibattito sull’*essere*, nocciolo della questione. Quando ci siamo dati un nome (una forma) acquisiamo di senso (identità).

    Non mi perderei nei meandri della democrazia rappresentativa attuale: se sarebbe meglio eleggere o sorteggiare o altre forme più meno concrete di promozione della delega.
    Nemmeno troppo su quanti sono se 1, 1000 o 100mila o 1milione, quelli che non hanno votato. Anche perché potrei prendere in considerazione che qualcuno (più di uno) non è andato perché il suo partito non si è presentato, ma è rimasto sul territorio amministrativo tra l’altro con buoni risultati. Intendo Potere al Popolo (lo dico subito, non è il mio caso ma conosco diversi compagni di PaP astenuti).

    Resterei sul piano della costruzione del dibattito che forse la sinistra aveva iniziato una ventina di anni fa ma ha lasciato zoppo, sperimentandone poi la caduta.
    Preferirei magari che, quando i tempi saranno maturi, e lo saranno quando ciò avverrà spontaneamente, dal basso, che si torni davvero a quella forma mentis del Social Forum, ai principi che ispirarono quell’esperienza con la nostra esperienza di adesso, per riaprire i tavoli e ragionarci su.Aperto a tutti quelli che ci staranno, tanto poi si sa, chi è lì per fare giochini elettorali e basta o è lì per trollare, ha avita breve in quel genere di realtà e se ne va da solo.

    Questa discussione aperta dai WuMing è un inizio, ancora un acerbo baccello, ma i contenuti ci sono e l’interesse anche.
    Ecco, mi piacerebbe che questo spazio virtuale diventasse uno spazio fisico, una tavola rotonda in un capannone, con tante teste, esperienze ed energie che si parlano per trovare un linguaggio comune, un esperanto della sinistra.
    Da lì, siamo già due passi avanti.

  34. Ombre rosse hai ragione.
    Siamo andati fuori tema, il punto non sono i numeri, quantità e qualità del non-voto: oggetto vuoto della discussione che non porta a risposte.
    Il punto è la discussione in se. L’interesse. Il tempo che io e voi ci stiamo mettendo.
    La necessità di uno spazio è concreta

  35. Ho scorso la mole di commenti e mi pare ci sia ancora posto per alcune considerazioni, da leggersi in sequenza:

    1) le riserve di «energia politica» che si muovono, spesso anche in modo frammentato, nella società, e che si *esprimono* anche attraverso il non-voto, non sono una costruzione ottimistica o immaginaria, ma sono al contrario ben note anche alla politica istituzionale.

    2) La politica istituzionale (e il Pd in particolare, che si percepisce come erede di un “senso dello stato” di impostazione democristiana, più che socialdemocratica) cerca di intercettare questa energia attraverso i processi «partecipativi» (mille virgolette) calati dall’alto sulla società (sulle trasformazioni urbanistiche, sulle piccole-medie infrastrutture etc).
    (su cosa intendo per processi partecipativi si veda qui: http://gliasinirivista.org/2018/11/partecipazione-senza-potere/ )

    3) Ogni volta che un comune attiva un ambiguo processo di «partecipazione» significa che: da un lato vuole incanalare quell’«energia politica» in modo da evitare ogni forma di dissenso organizzato; dall’altro riconosce che le sedi della rappresentanza (il consiglio comunale nel caso di specie) non sono più in grado di rappresentare il corpo sociale e manco gli interessi dei propri elettori.

    4) Perché questo deficit di rappresentanza? Beh, pare ovvio: perché i luoghi della rappresentanza (dal consiglio comunale al parlamento europeo) dimostrano costantemente il loro non contare un cazzo. Questo non contare un cazzo viene esibito per due vie: la prima più politica, che più o meno dice che siccome la sola cosa importante è la crescita economica (“la fetta rimane piccola ma se cresce la torta ce n’è per tutti” e simili menzogne), allora la decisione va affidata ai tecnici della crescita economica. Esempio nei comuni: i turisti non li vuole veramente nessuno a parte gli interni al business turistico, ma ce li dobbiamo tenere perché sono investiti dalla politica politicante del folle potere pseudo-taumaturgico sulla “crescita economica”.
    La seconda via con cui i luoghi della rappresentanza e della decisione abdicano a rappresentanza e decisione è quella di appellarsi appunto alla loro impotenza rispetto a regole/istanze superiori (dalla regoletta del 3% alle agenzie di rating).

    5) I sostenitori del *voto a tutti i costi* e della *colpa* gettata sulle spalle degli astensionisti devono fare i conti con questo: come votare per qualcuno che, una volta, eletto, fa della rinuncia a esercitare la rappresentanza degli interessi di chi l’ha votato la bussola della propria azione politica?
    (Sento qui il bisogno di chiarire che io non penso che la democrazia rappresentativa possa mai essere recuperata a una democrazia sostanziale; però registo che ci sono infinite sfumature possibili tra l’autocrazia-con-delega-estorta e il tentativo di dare almeno in qualche misura voce ai ceti sociali a cui si è chiesto il voto).

    6) Ovviamente questa impotenza tradita/esibita dei politici politicanti rispetto alle vere sedi della scelta politica (ovvero i luoghi di decisione del capitale) non fa che aumentare l’appeal dell’astensionismo anche tra chi alle decisioni del capitale vorrebbe opporsi, o già si oppone in altri modi che non sono quello (in fondo il più semplice e meno impegnativo) della crocetta sulla scheda.

    7) QUindi l’«energia politica» esiste, altroché; e anche opporsi ai processi di cattura del consenso (finta partecipazione) a livello locale aiuta a definira, affilarla, renderla consapevole di sé.

    Infine:

    come dimenticare la tossica canea dei politologi destromoderati e sinistromoderati che da anni ripetono che «le democrazie mature» hanno alta percentuale di astensionismo? La base di quella tesi è che la convergenza al centro dei principali partiti (cioè il loro essere pressoché indistinguibili sulle scelte socialmente più impattanti) taglia fuori tutto un pezzo di società, inadatta a quella convergenza al centro. Ora, oggi, quel *centro* onirico a cui convergere ha manifestato tutto il suo antico vizio di essere una *destra* reale; il gioco sulla «democrazie mature» e liberali dimostra quindi tutto il suo portato illiberale, ma gli spiriti evocati da quei tentati incantesimi, peraltro ipostatizzati in riforme istituzionali maggioritarie, sono difficili da rimettere nella fiaschetta.

    • Forse ricordi che ne avevamo parlato in altre occasioni, e devo dire che il tempo che è passato (a proposito del processo partecipato della tangenziale di Bologna) ha decisamente aumentato le tue ragioni. Non che io fossi un difensore dei processi partecipati – troppe aporie per convincermi – ma per un po’ non c’è stato lo svacco che adesso pare di vedere. O almeno io non me ne accorgevo. Però per quanto l’acqua sporca sia talmente tanta da rendere dubbia l’esistenza del bambino l’idea del superamento della rappresentanza come delega io la terrei. In fondo tutto parte da Habermas, l’idea che parlando e confrontandosi qualcosa – non tutto, alcuni conflitti rimangono ineliminabili o per dirla diversamente “non sono tutti giochi a somma positiva, ma spesso a somma zero” – possa “migliorare” non è, non credo che sia, un imbroglio messo a punto da 4 filosofi e svariati politologi. In fondo è il recupero dell’idea parlamentare, che in teoria tenderebbe all’unanimità, ma secondo me non ha tanto senso “salvare” il parlamento invece dei processi partecipati. Il parlamento non da nessuna garanzia in più, banalmente. Ma forse i comunisti queste cose le sanno però anche qui vorrei che l’equivoco venisse dissipato: non siamo in presenza di istituzioni “buone” che vengono distorte a fini perversi da quelli che vincono le elezioni e quindi dobbiamo recuperarne la centralità. Siamo in presenza di un evidente fallimento che si cerca di “sistemare” con “riforme” e “aggiustamenti”. Insomma i processi partecipati sono una schifezza ma quando c’era il parlamento le cose non erano migliori. Magari è una preoccupazione inutile e al parlamento vuoi dargli fuoco tanto quanto voglio farlo io, ma insomma meglio precisare…

  36. La (dis)onestà intellettuale di giornalisti di rilievo sui quasi 116.000 voti in meno del PD rispetto al disastro del 2018: Marco Da Milano che a propagandalive sorvola su percentuali e numeri dei votanti, e l’Annunziata che su un editoriale di HuffingtonPost vagheggia di “rinascita del PD”.

  37. Aggiungerei che la dispersione di forze vitali antagoniste si riscontra anche nella cornice elettorale, ad esempio Eleonora Forenza in quel quadro desolante de “la sinistra”, pur avendo incrementato il suo consenso di 3000 voti ( 22.000 nel 2014, 25.000 nel 2019) ha dovuto lasciare la tribuna europea

  38. Alcuni appunti

    Il voto e il non voto dei giovani

    Un luogo comune diffuso è che i giovani non votano o comunque votano meno delle persone adulte e anziane. Esiste un dato certo, non derivante da sondaggi, per verificare la veridicità di questo assunto. E’ quello dell’affluenza alle elezioni politiche, perché alla Camera votano tutti i maggiorenni, al Senato, contemporaneamente, solo le persone con almeno 25 anni compiuti. Ho ricostruito l’affluenza e i voti validi (escludendo bianche e nulle) dalle elezioni del 1948 a quelle del 2018. Praticamente in ogni occasione l’affluenza è stata più alta alla Camera rispetto al Senato. Il divario aumenta se si considerano solo i voti validi, eliminando dal conteggio bianche e nulle.
    Quindi è certo che i “giovani” votano più della popolazione in generale e nello specifico utilizzano meno la pratica di consegnare la scheda bianca o annullarla.
    Le differenze tra Camera e Senato tendono ad essere minori negli ultimi anni, per una banale questione demografica: infatti a causa del calo delle nascite, soprattutto a partire dagli anni ‘90 le generazioni dei neo-maggiorenni (tra i 18 e i 25 anni) sono sempre meno rilevanti sul totale della popolazione.
    Un altro luogo comune è quello per cui i “giovani” votano a destra o – più nello specifico – non votano più come “ai bei tempi” per la sinistra.
    Utilizzando le differenze tra i voti contemporanei di camera e senato negli anni per verificare questa ipotesi, risulta che i giovani hanno votato per lungo tempo più del complesso della popolazione il PCI e la DC, molto meno il MSI.
    Il 1979 è l’anno in cui i giovani abbandonano il PCI e votano molto più degli altri elettori il Partito radicale. La tendenza prosegue nel 1983 con un buon risultato anche di DP, e nel 1987, quando sono premiati dai giovani i Verdi, ma anche DC e PSI.
    Nel 1992 i giovani votano più degli altri per la DC, i partiti laici, il PSI e La Rete.
    Nel 1994 inizia l’era “maggioritaria” ed è quindi più semplice fare i confronti. Fra i giovani c’è un maggiore consenso per la destra e i partiti laici, minore per la coalizione di centro sinistra (i Progressisti) e quella di centro (Patto per l’Italia).
    Il 1996 invece tra L’Ulivo e il Polo della libertà i giovani scelgono chiaramente la coalizione di centro sinistra, consentendone la vittoria.
    Nel 2001 la situazione è ribaltata e i giovani propendono per la coalizione di centro destra, oltre che per la lista Pannella e quella di Di Pietro.
    Nel 2006 si formano due coalizioni che monopolizzano l’elettorato e si contendono la vittoria per pochi decimali. Anche qui sono determinanti i giovani, che scelgono chiaramente il centro sinistra, consentendo la vittoria di Romano Prodi.
    Nel 2008 i giovani non si discostano molto dal resto della popolazione.
    Nel 2013 il voto dei giovani è decisamente più forte per i 5 Stelle, Monti, Ingroia e Giannino: bocciano centrodestra e centrosinistra. Lo stesso è accaduto nel 2018, quando fra i giovani sono stati più alti i consensi per i partiti fuori dalle due coalizioni principali: 5 Stelle, LeU, Potere al Popolo e Casapound.
    La conclusione è che i “giovani” sono stati spesso determinanti, hanno capito prima le “tendenze”, sono più propensi a votare le “novità” del panorama politico.

    I ricchi votano a sinistra?

    Anche qui, c’è un dato oggettivo che può essere utilizzato per confermare o smentire questo luogo comune. E’ quello del 2 per mille. Il MEF rilascia i dati sul numero di contribuenti che ha destinato ai partiti il 2 per mille e l’importo totale. Calcolando l’importo medio individuale si può quindi stimare il reddito dichiarato medio dei contribuenti di ciascun partito.
    Prendendo gli ultimi dati (2018), risulta che i più ricchi donano a Forza Italia (16 euro medi donati), i più poveri al Partito della rifondazione comunista (10 euro medi). Il PD si colloca nella fascia medio alta (14 euro), Fratelli d’Italia, Articolo 1 e Possibile nella media (13 euro), la Lega e Sinistra Italiana più in basso (11 euro).
    Questo dato ovviamente risente di varie distorsioni: il Movimento 5 Stelle ha scelto di non ricevere il 2 per mille, si basa sulle dichiarazioni dei redditi e quindi non contabilizza i redditi evasi, e la gran parte dei contribuenti non dà preferenze: i donatori sono poco più di 1 milione su 40. E’ comunque indicativo.

    I voti assoluti del 2018 e del 2019

    Nel 2018 il voto non era proporzionale, ma secondo il cosiddetto “Rosatellum”: un finto uninominale senza possibilità di voto disgiunto, ma che consentiva di votare solo il candidato “uninominale”. I voti del Viminale sono quindi “finti”, perché in ogni collegio si sono riattribuiti i voti dati solo ai candidati uninominali per i partiti della coalizione. Quindi tecnicamente non è vero – ad esempio – che il PD ha perso voti in assoluto. La verità è che ha poco senso comparare i dati di due elezioni con sistemi elettorali diversi.
    https://www.youtrend.it/2019/05/28/variazione-dei-voti-assoluti-unaltra-chiave-di-lettura/

    • Sulle trasmutazioni alchemiche di voti veri in voti “finti” grazie al Rosatellum, lasciamo spazio alle verifiche di chi abbia voglia di farle. Il punto del nostro discorso resta, da un lato, che rimuovere l’astensione restituisce un’immagine deforme e irrealistica del consenso a quest’offerta politica, e dall’altro che nell’astensione c’è molta più vita – e vita activa – di quella che si immagina chi feticizza il voto o comunque ragiona in termini di «voto utile», «male minore» e quant’altro.

      Invece, sul discorso dei giovani, è importante integrare il ragionamento col dato di domenica: si è astenuto il 51% dei nati tra il 1997 e il 2001 (cioè quelli che hanno votato per la prima volta alle Europee), un dato di sei punti sopra la media.
      Del restante 49%, il 38% ha votato Lega.
      Il risultato è, anche qui, il solito 19% circa del corpo elettorale (18,6%). Ciò non ha impedito a Wired di titolare: «I giovani italiani hanno votato in massa Salvini», yawn.
      Ma non è questa mistificazione a interessarci ora. A interessarci è che nella fascia più giovane del corpo elettorale Salvini non cresce rispetto al dato complessivo – anzi, cala, seppure lievemente -, e l’astensione è più alta di 6 punti.

      • P.S. Nell’articolo di YouTrend non scrivono che alle Europee di domenica nel “listone” PD-Siamo Europei c’era anche Articolo Uno – MdP, formazione che alle Politiche del 2018 stava invece dentro LeU. Bisognerebbe capire quanti di coloro che avevano votato i candidati AU-MDP l’anno scorso hanno votato PD domenica, quanti hanno votato La Sinistra (dove c’era un altro pezzo di LeU) e quanti si sono astenuti.

  39. Interessante.
    Io tornerei al proporzionale e abbasserei l’età elettorale a 16 anni.

  40. Non metto nei sotto thread, perché mi pare che dopo un po’ si faccia fatica a seguire.

    Alcuni continuano a ripetere – con diversi livelli di scoramento – che alla fine contano i voti. Capisco che possa sembrare rassicurante ma non è così, non è mai stato così. L’ultimo esempio l’avete sotto gli occhi, pensate all’influenza di Salvini all’interno del governo. Oppure provate a ricordare Craxi e il PSI, il famoso adagio di Agnelli (i voti si pesano, mica si contano) ecc. Ma questi sono soltanto fenomeni endogeni, tutti interni al sistema politico, ma quello che a noi interessa è che le famose “grandi conquiste sociali” sono state conquistate sì (anche) perché c’era il PCI al 30% ma soprattutto perché c’erano le piazze piene e lotte abbastanza cruente, per usare eufemismi. Non intendo certo contestare chi vota ma credo sia importante comprendere che quello è solo UNO dei momenti di attività politica, e neanche quello più importante. Votare serve a fare una cosa che si chiama “governo” e le decisioni che questa cosa prenderà dipenderanno ANCHE dal voto non SOLTANTO dal voto. Nell’intervento di Wolf si parla dei processi partecipati. Poi ci torno nello specifico nella risposta, ma qui è importante che si capisca che nascono perché i parlamenti – e le assemblee rappresentative più in generale – non riuscivano a fare più niente, svuotati com’erano da qualsiasi tipo di rappresentanza. Cerco di semplificare concetti forse un po’ contorti, quindi non sottovaluto il fatto che le classi dominanti hanno ovviamente cercato di approfittarne, in larga parte riuscendoci, col risultato che il Parlamento, che già prima non è che fosse proprio il luogo della sovranità popolare, conta pochissimo, soprattutto per quel che riguarda le questioni dirimenti. Di fatto o ratifica decisioni prese altrove – e Salvini e la Lega non sono singoli soggetti ma terminali di gruppi di interesse, che sfruttano particolari caratteristiche del sistema in cui agiscono – o addirittura delega terzi a prendere decisioni in vece sua (se vi sembra incredibile pensate solo a quanti “Contratti” “Accordi” “Protocolli” tra le parti siano necessarie). Chiaramente il discorso è lungo ma serve solo a sostanziare una cosa tutto sommato semplice: il voto non è la fine e l’inizio di tutte le cose. E non lo è a maggior ragione quando è volatile, come nel nostro caso, capacissimo di spostarsi in brevissimo tempo. Questa de-sacralizzazione del voto a me pare fondamentale per evitare di continuare a litigare tra noi, perché la politica non è un mercato, non ha tanto senso parlare di “offerta” come se noi fossimo dei consumatori che hanno il compito solo di scegliere tra alternative date. La politica la facciamo noi, con la militanza, ciascuno per la sua parte. E davvero è senza senso se – con tutti i problemi di “contenuto” che abbiamo – ci mettiamo pure a discutere la “forma”. Anche qui è stato detto: chi pensa di votare voti, non per questo gli verrà detto che sta perdendo tempo. Chi pensa di non votare non lo faccia, e ci si ricordi che è assurdo dirgli “così non cambi niente”, perché non esiste UNA cosa singola in grado di produrre cambiamenti rilevanti. Se per chissà quale combinazione PaP o la Sinistra prendessero il 40% – a parte che sarebbe assurdo, considerare le condizioni – sarebbero “costrette” a fare più o meno le cose che fa il PD, cioè la destra. Se la società rimane questa. Forse qualcuno di voi sa conosce il “caso Brancaccio”. Brancaccio è un economista marxista abbastanza noto, e una volta gli venne offerto l’assessorato al bilancio credo della regione campania o forse di Napoli, non ricordo. Declinò dicendo che “evidentemente non mi spiego bene: non è che arrivo io e sistemo le cose, non è così che funziona”. Ogni tanto chi volta mi pare che abbia un po’ questa illusione, di arrivare a cambiare le cose. Io qualche elezioncina l’ho vinta – nel senso che ha vinto il raggruppamento che ho votato – ma siccome ho fatto per un po’ il mestiere del valutatore se guardavo atteggiamenti e provvedimenti era facile rendersi conto di come le differenze fossero piccole. [ please, “differenze piccole” è diverso da “non ci sono differenze”]
    Pitazzone lunghissimo di cui mi scuso, ma davvero si deve uscire da questo loop secondo me. Un voto come quello di domenica complica un po’ le cose, ovvio. Ma “un po’” non è la fine del mondo. E sovrastimarlo serve a complicarle maggiormente, non è una pratica neutra. Quando Salvini proverà a fare la TAV vedrete che non ci riuscirà lo stesso, e i respingimenti allo stesso modo troveranno fiere resistenze. Sarebbe stato più
    semplice con un risultato diverso, ma almeno questo risultato guardiamolo per quello che è: più di 7 persone su 10, in Italia, se vedono Salvini pensano di appenderlo per il collo. Con tanti saluti alla maggioranza del paese.

  41. Ma del suicidio tattico PD (voluto?), nessuno se n’è accorto?
    L’operazione Fronte repubblicano è costato 400mila voti.
    Quella lista ospitata dal gruppo PD, non ha portato un voto, ma ha drenato elettori PD per portarli in quello che è o sarà un nuovo partito.
    Solo la combo Calenda-Tinagli vale quella cifra. E non ho contato quelli di altri candidati di quel Siamo Europei.
    Sono tutti voti drenati al PD! Avrebbe avuto un aspetto positivo se Calenda avesse intercettato il voto liberale deluso dalle politiche leghisti. Invece nulla!
    Riassumendo, è un ulteriore step della demolizione renziana dove si erge sontuosa la figura del curatore fallimentare Zingaretti

    • Bah, sono riposizionamenti tutti interni allo schieramento del presunto «meno peggio»/«voto utile», nell’ambito di una politica squallida e subalterna dove in fondo esiste un solo partito, il «partito trasversale del capitale», che si presenta con più nomi e diverse sfumature dello stesso programma di fatto. Una politica che ormai decine di milioni di persone rifiutano in blocco. Le Calendiadi sono magari interessanti per chi segue la telenovela del PD, ma sono poco pertinenti rispetto a ciò di cui si sta discutendo qui.

      • Sarà chiaro quando si voterà per il governo della Toscana. In quello che è il laboratorio della convergenza degli interessi. Lo fu per il Porcellum, il Nazareno con la sfida al comune Renzi vs Galli, lo è oggi con l’entrata in scena della lega con la sfida, sempre per il Comune Nardella vs il nulla Bocci.
        Salvo cataclismi, i giochi sono fatti. Regione alla Lega, Capoluogo ai e al Renzismo.
        Vedremo se questo sistema di governo e attirerà l’area del non voto. Area alla quale appartengo e che già mi rifiuto di votare questa offerta, figuriamoci quella che intravedo.

  42. Sorridete e fate ciao ciao con la manina, siamo su The Independent :-)

  43. […] però, leggere questi dati in termini relativi e non assoluti. Accogliamo lo spunto metodologico fornitoci da Wu Ming rispetto alla consistenza reale dei voti presi dalle varie forze politiche, Lega in primis, in […]

  44. Ho letto i commenti e vorrei, con tutta l’umiltà possibile, sottolineare qualche spunto su cui mi pare non ci si sia soffermati abbastanza (a volte alcuni di questi spunti sono stati menzionati):

    1) i numeri dei giovani (teenager, ventenni, trentenni) emigrati all’estero negli ultimi anni sono *impressionanti*. Chiaro che poi a volte si disinteressino alla politichetta italiana. Non solo per barriere fisiche o psicologiche vere o presunte, ma anche per una molto minore fidelizzazione nei confronti del Paese: per citare le parole testuali di un’amica che studia a Vienna, “Perché dovrei essere leale o interessarmi al Paese che mi chiedeva 3k euro per un anno di università pubblica, rispetto a quello che mi ha permesso di studiare con *48* euro l’anno di tasse universitarie?”.
    Data la facilità degli spostamenti oggigiorno, quello che una volta era infilare la mortadella nell’urna e scrivere “Magnateve pure questa” oggi è, semplicemente, non prendersi la briga. La propria vita è altrove, e l’affetto e l’interesse nei confronti dell’Italia – la cui offerta politica all’estero si percepisce come di infima qualità – sono risibili.
    (Attenzione che non sto dicendo che la vita o la politica a Londra Parigi Berlino siano perfette; ma l’Italia vista dall’estero non fa una bella impressione, ahimè. E, spesso, sono teste di “alta qualità” che cercano all’estero quello sbocco universitario o professionale qui impossibile.)

    2) in Italia abbiamo un problema demografico. ENORME. Un poster precedente (prendo il dato per buono) diceva che l’8,6% per cento dell’elettorato ha più di ottant’anni. Non so se ci si rende conto dell’applicazione. Quasi una persona su dieci è possibile non sia viva nel 2030, e quasi certamente non lo sarà nel 2040. Qui non si tratta solo di pagare le pensioni alla generazione del baby boom. Le persone che, concretamente, decidono del futuro non hanno poi tutto questo futuro davanti (anche se a volte hanno figli, nipoti e non sono nel pieno del rincoglionimento senile, sia chiaro). Mi rendo conto che si tratta di un discorso pericoloso perché rischia di esacerbare il conflitto intergenerazionale. Ma è un dato problematico, visto che poi la percezione da parte di un giovane riassumibile in “Lo spazio per me in questo Paese non c’è” va ad amplificare il fenomeno del punto 1 (mi hanno offerto una buona opportunità all’estero e tanti saluti) o a volte si esplicita nel non voto. Dato empirico: fra i giovani con cui ho a che fare per lavoro ne ho tanti che seguono assiduamente Greta Thunberg e hanno partecipato alle manifestazioni sul clima; molti di loro non hanno votato.

    3) osservazione molto minore delle precedenti, ma…sui social i politici di una presunta sinistra dove diavolo sono? Su Twitter sia la Thunberg che la Ocasio-Cortez hanno posizioni nette, chiare e ammirevoli (che pubblichino o non pubblichino loro stesse). Gli italiani, a volere essere buono, “non pervenuti”. L’unico a cui si viene esposti anche proprio malgrado (perché poi lo commentano o criticano intellettuali e pensatori di sinistra) è ciccio che mangia la nutella. È vero che ci sono stati hashtag e manifestazioni interessanti – ad esempio l’hashtag su Milano – e che non necessariamente un’elezione si vince o si perde lì, ma è un altro sintomo non piccolo. Le persone sono spesso migliori di come le dipingono le statistiche, e una persona di un certo calibro intellettuale potrebbe facilmente essere portata a votare Ocasio-Cortez per alcune delle cose ardite che la si vede concretamente dichiarare ogni giorno. Calenda, per contro…meglio che mi taccia. Non è obbligatorio livellarsi sempre al ribasso.

    4) osservazione forse sciocca, ma generata da alcuni commenti. Visto che a quanto pare a San Lazzaro di Savena (BO), Bari, Lecce e probabilmente altre città c’è stato minimo un 20-30% di voto disgiunto (presumendo che il dato sia corretto, non ci siano stati brogli ecc) la sinistra dovrebbe anche chiedersi perché il proprio candidato locale (sindaco di San Lazzaro) abbia ottenuto una percentuale ben diversa dal partito nazionale. Perché, a livello *europeo*, le persone abbiano ritenuto che sarà la lega a fare maggiormente gli interessi dei cittadini italiani, mentre a livello locale abbiano preferito di gran lunga il candidato sindaco, poniamo, del PD. Se si è trattato di una scelta di voto voluta e ponderata, mi pare la dica lunga sulla percezione “narrazione” che passa a livello politico nazionale…

    Così, solo alcuni spunti. Che non sono certo siano in tutto e per tutto corretti, che non sono certo in qualche modo migliorino il quadro e che, se dovessi poi tenere in considerazione dell’attivismo politico concreto (nella realtà faccio tutt’altro mestiere) non saprei assolutamente come gestire.

    Ma magari a qualcuno possono essere utili :) Di sicuro è l’auspicio. Sarebbe molto bello avere un Paese migliore.

    Cheers

  45. Ottimo articolo, eccellente disamina. Utile soprattutto a sgomberare il campo dai vari bias nella lettura delle elezioni. Spiace ad esempio che un sito come Wired, in altri casi davvero prezioso, abbia fornito benzina alle fake news riguardo al voto “giovane”. Considerato come sono state partecipate le ultime manifestazioni, dal clima in poi, e considerato che uno come Salvini, portatore di idee sconfitte dalla storia e dalla realtà, è assurdo che possa essere considerato da chi ha appena raggiunto l’età per votare. Su Repubblica qualche giorno fa è uscito un articolo di Diamanti che riscrive, alla luce dei risultati, la mappa della maggioranza dei voti espressi. Inquietante, davvero inquietante.76 province a potenziale guida leghista, tutto il Nord e la quasi totalità dell’Emilia Romagna.Per non parlare dei casi limite della Riace fino a poco tempo fa amministrata da Mimmo Lucano, Lampedusa e Cassano Irpino con il suo 92% dei voti alla Lega. Non ho davvero parole. L’inchiesta dei Wu Ming dà comunque speranza, per il concetto di “voto potenziale”. Ma c’è davvero questa speranza? Nessuno ha la risposta in tasca. Spero di sì, ma temo di no. La politica dal basso è fondamentale, il terzo servizio in senso lato è il lavoro di domani, come ha scritto anche Jeremy Rifkin tanti anni fa. Ma, duole dirlo, serve anche la politica politicante nelle istituzioni. Per quanto lunare possa essere l’argomento che chi non vota ha torto, alla fine quello che abbiamo ora è una Lega se possibile ancora più tracotante, che comanda ormai dappertutto, e che oggettivamente ha aumentato a dismisura i suoi voti. E’ questo che vogliamo? Non credo. Non che il voto al PD sia la soluzione, tutt’altro, ma preso dallo sconforto ammetto di averlo fatto, se non altro perchè, accanto a personaggi orrendi come Calenda, nella circoscrizione Nord Est erano candidati persone degne come il professor Calò e Battiston. Alla fine a furia di sentirsi, giustamente, contro questo sistema, non vorrei che alla fine ci si ritrovasse, in una Paese completamente tinto di nero, a raccontarcela alla feste tipo il Pratello, con tanto di petizioni, come purtroppo ho visto,valide nel mondo delle favole e non nella realtà, tipo il ragazzo, studente di Medicina che raccoglieva firme per l’abolizione totale, anche in Pronto Soccorso, del ticket. Un Paese che lascia libero il campo ai leghisti che politiche del lavoro può attuare? Per parlare di grandi temi. E nello specifico, così facendo avremo delle forze dell’ordine con i numeri identificativi? Delle scuole efficienti? Una politica attenta al clima. No, ovviamente. Dopo la pars destruens, e la fase 1 della pars costruens, cosa si può fare per combattere, anche dove le decisioni contano davvero, il morbo leghista? Lo domando a chi ne sa più di me. Post scriptum segnalo questi due articoli di Gilioli

    http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/05/27/salvini-di-maio-e-poi/

    http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/05/27/news/europee-il-suicidio-claustrofobico-della-sinistra-radicale-1.335298

    E fuori tema segnalo anche questo su Davide Grasso

    http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/05/30/news/combattere-al-fianco-dei-curdi-e-stata-la-cosa-giusta-e-non-vogliamo-mollare-1.335555?ref=HEF_RULLO

    • Hai fatto coming out, spero che tu ti senta meglio :)
      E’ una battuta, anzi ben venga. Mi interessa lo sguardo di un elettore del PD per come hai impostato il discorso.
      Hai votato gli uomini più che l’ideologia partitica, lo capisco. L’ho fatto anch’io in passato con altri partiti.

      Ora monitorali, inseguili, cazziali, marcali a uomo e vedi se ne è valsa la pena. Se esiste ancora, ma credo di sì, c’è un ufficio preposto (credo sia in via Oberdan ma mi informo) che da la possibilità ai cittadini di avere informazioni sugli eletti del collegio di riferimento, siano essi eletti alla Camera, Senato, Regione o Europee.
      Puoi vedere la partecipazione alle sedute dei consigli, le loro attività alle commissioni, coda votano su questo o quell’altro emendamento e tanto altro.

      Detto questo adesso ti do addosso, perché il tuo discorso mi fa incazzare.
      E mi fa incazzare perché viene da qualcuno che ha espresso il suo pensiero con grande chiarezza, umiltà e in maniera intelligente.
      Solo che, ed è solo la mia opinione, sei caduto nello spauracchio delle destre e del voto utile pur votando gli uomini. Ma quegli uomini si sono prestati ad essere letti in un Partito nel quale evidentemente credono, o che gli hanno fatto credere potessero esprimere le loro opinioni senza tenere conto della macchina a bordo della quale si stavano sedendo.
      Probabilmente avresti anche votato per il dott. Bartolo, se si fosse presentato nel tuo collegio. Pecchi di ingenuità, come lui, ma ho capito che lo fai in buona fede. E anche lui.

      Però le tue energie potresti usarle meglio, potresti impegnarti sui temi che ti stanno a cuore e per i quali ritieni giusto battersi senza pensare che siano favole o utopie, perchè lo sono finché restano tali, lo sono finché resteremo in tre a batterci per esse.
      Quello studente di medicina ha ragione. Lo pensi anche tu? Allora aiutalo. Chiamami che lo aiutiamo in due. Magari conosco qualcuno che gli interessa e lo aiutiamo in tre.
      A forza di non crederci siamo arrivati a non provarci nemmeno.

      La prossima volta che vai al Pratello, tra una Augustiner e l’altra, magari vengo e ti aiuto a finire il fusto al bancone, mentre Cosimo mi guarda e mi chiede ancora adesso, che ho 45 anni, se poi devo guidare :)
      Parliamo.
      Tu lo stai facendo qui. E’ un ottimo segno. A questo serve, per me, questo spazio su questo tema. Confronto.

      C’è qualcosa che ti ha portato su una piattaforma come quella delle “Brigate Wu-Ming”, ormai diventate internazionali con la menzione su The Indipendent di oggi, ma osteggiate e viste come il male della sinistra, proprio dalla sinistra che, purtroppo e lasciamelo dire, hai votato. Ed è la prima e l’ultima volta che mi rivolgo al PD chiamandola “sinistra” e lo faccio in tuo onore, perché so che li hai votati pensando che lo fossero.

      Vivi qui, li vedi,li leggi, li senti. Che differenza c’è nella sostanza con i proclami liberisti di Salvini o della Borgonzoni?

      Conosci il test della Pepsi? Due bicchieri anonimi. Riesci a distinguerla dalla Coca Cola?
      Sei sicuro che se prendiamo una intervista di Merola e una di Bignami riesci a dirmi chi è l’uno o l’altro? Sembra una cazzata, ma è lì. Si parte da lì.
      Si annullano le differenze e i nomi, gli uomini votati come singoli, invece che come appartenenti ad un partito, non contano più.

      Quando non riesci a capirne la differenza, inizia a pensare che un’alternativa c’è.
      Quale? Costruiamola insieme. Ma non per le elezioni, non per un altro partito allo 0,X. Ma perché si deve fare, perché questo mondo non ci piace, perché, davvero, un altro mondo è possibile. Magari non su questo pianeta, magari su Marte. Forse non adesso, ma spetta a tutti noi costruirne le radici, poi le ali.

      • Mi sa che mettere l’etichetta di “liberismo” a tutto quello che non combacia con il socialismo non abbia molto senso. Cosa avrebbero di liberista Salvini o Pillon francamente faccio fatica a capirlo. In giro leggo troppo sovente di liberismo, ordoliberismo, neoliberismo, inquadrando in questo frame talmente tante prospettive e dimensioni differenti da svuotare di qualsiasi senso queste parole.
        Invece ci andrei molto più cauto. Perché quando le parole diventano ambigue risulta molto più difficile comprenderle, figuriamoci “combatterle”.

        • Per una genealogia dell’«ordoliberismo» UE e una definizione rigorosa del concetto consigliatissimo Guerra alla democrazia di Pierre Dardot e Christian Laval (Derive Approdi, 2016). È il più sintetico e accessibile dei loro libri.

      • Io non bevo ne coca ne pepsi.
        Ho preso spunto da quello che hai scritto per fare il giochino.
        Non sono di Bologna per cui non conosco in profondità la situazione della città, di conseguenza perdonate il presappochismo e abbiate pietà

        Argomento Decreto Salvini (l’argomento immigrazione è volutamente scelto)

        “Pur con il beneficio del dubbio, facciamo fatica a non vedere una chiara politicizzazione dell’evento, unita alla solita caratterizzazione buonista del fenomeno migratorio e a una censura delle attuali politiche governative in fatto di gestione dell’immigrazione“

        “Oggi il giudice del tribunale di Bologna ha dato ragione a due richiedenti asilo che si erano visti negare l’iscrizione anagrafica dai nostri uffici sulla base del “decreto Salvini” e ha ordinato al Comune di iscriverli. Saluto questa sentenza con soddisfazione, il Comune la applicherà senza opporsi. Smentire la destra significa batterla usando la legge e la legalità democratica. Quando ho ridato l’acqua agli occupanti ho agito come autorità sanitaria e non come delegato del Governo, che è invece il caso dell’Anagrafe.
        Il ministro Salvini fa propaganda ma i fatti lo smentiscono, è ingiusto negare la residenza ai richiedenti asilo.”

        “Nel programma del centrodestra, e quindi di Forza Italia, è scritto esattamente quello che è scritto nel dl sicurezza, che è legge dello Stato e deve essere rispettato. Nel programma di Forza Italia non è invece previsto di concedere a centinaia di migliaia di immigrati, che per altro non hanno mai versato un euro di tasse, un sussidio, ciò che invece avverrà con il reddito di cittadinanza”

        C’è un abisso in mezzo tipo ben cola e sagrantino.

        vero poi che ci sono posizioni PD diciamo più ambigue, che criticano Salvini iniettando paure e mettendo le basi per politiche repressive.

        “Una è la cancellazione dei permessi umanitari. Era una via che consentiva un percorso di integrazione. Così si producono marginalità e clandestinità, che spesso portano a un aumento della propensione a delinquere. L’altra mela avvelenata è il depotenziamento degli sprar, che è catastrofico. Insieme alla cancellazione del decreto per le periferie sicure, ci dice che abbiamo accantonato la via dell’integrazione. […] Altri paesi hanno fatto in anni passati come sta facendo l’Italia. A un certo punto si sono svegliati e hanno visto dei loro figli che facevano attentati nelle loro capitali. Con queste due scelte stiamo mettendo una bomba a orologeria sotto la nostra convivenza”.

        • Se mi riporti i virgolettati di Merola o altri esponenti del PD, per farmi capire che stanno facendo disobbedienza al Decreto Salvini, devi sapere però che la linea del PD in questo senso oltre che ambigua è anche un’opposizione che viene da destra, almeno su questo tema.

          Per farti un esempio, qualche mese fa il presidente della Regione Toscana Rossi, in un’intervista a Radio Città del Capo, dice di voler far ricorso contro il Decreto Immigrazione. Quello che emerge però dalle sue testuali parole è che il Decreto rischia di mettere in strada migliaia di immigrati (anche se lui dice extracomunitari) che andranno in giro a bighellonare e a delinquere, quindi si sarebbe aspettato o il mantenimento degli SPRAR o un decreto di espulsione.
          Cioè se stanno qui o si integrano secondo le leggi dello Stato o vanno cacciati. Non so come la vedi tu, a me sembra una posizione che poco ha a che fare con i valori di solidarietà ed integrazione. Ne convieni?

          Per quanto riguarda il discorso della cittadinanza, Bologna è stata la prima città ad abolire la schiavitù a metà del 1200 con l’editto “Liber Paradisus” (da cui la piazza del Comune in Bolognina prende il nome).
          Dietro a questo bellissimo gesto c’è un interesse locale, abolendo la schiavitù e riconoscendogli lo status di cittadini, inizieranno a pagare le tasse.
          Non so come ti suona.

          Qui le amministrazioni locali hanno sempre avuto un atteggiamento poco edificante sugli immigrati, fin dagli anni 90. Adesso il tema è caldo e ci fanno opposizione strumentale (sempre da destra, mi raccomando…).

          Visto che non sei di Bologna ti dico che la giunta Vitali, con il PDS a percentuali bulgare a Bologna, cacciava spesso e volentieri immigrati occupanti di case e richiedenti diritti. Abbiamo dovuto occupare San Petronio per farci ascoltare e abbiamo tenuto Bologna bloccata due mesi. Uno degli inverni più freddi che ricordo.
          Questo in tempi non sospetti, evito poi di elencarti gli sgomberi di altre occupazioni, centro sociali, aule universitarie, ordinanze “antibivacco”, anti-alcool, anti-tutto.
          Il nostro assessore alla sicurezza Aitini è un’altro di quelli che va in giro a buttare i materassi dei senza tetto perché deturpano gli angoli dei giardini pubblici. Ti facci presente che l’assessorato alla sicurezza è stato introdotto dall’unica giunta di destra che si sia insediata a Bologna e mai chiuso dalle altre amministrazioni di centro sinistra susseguite. Il compagno Cofferati compreso.

          Come vedi, forse l’esempio della coca e della pepsi effettivamente era poco calzante. Forse avrei fatto meglio a paragonare un bicchiere di fango e un bicchiere di letame.

          • L’attacco da destra l’ho esposto e citato con l’ultimo virgolettato di Minniti. Non ho aggirato il problema. Ne sono conscio.
            Così come sono convinto che ci siano livelli differenti di umanità fra lega e PD. Fosse solo per il fatto di chi vota il PD e di chi vota la lega.
            Io non sono di Bologna, vivo in Brianza. Qua non è pensabile nemmeno lontanamente pensabile occupare a favore di immigranti e richiedenti asilo.
            Il livello è differente.

            Quindi per risolvere il problema cosa si fa?
            E’ impensabile aprire una dialettica con il PD per virare?

            Forse non è fango e letame, ma un vestito infangato e letame.

            • Guarda, se per PD intendi il partito, nessun dialogo.

              Poi chiudo perché non voglio monopolizzare la discussione che sta diventando un “versus PD” che poco mi interessa.

              In brianza non sarà facile, ma qui non è che ti permettono di occupare. Ogni metro conquistato è frutto di lotte e sacrifici, di botte e denunce. Non mi sto lamentando, fa parte della lotta ed è una scelta consapevole, ma questi piccoli traguardi partono da lontano, dalle lotte degli anni 70 e continuano anche se con toni diversi, ma l’interlocutore è sempre lo stesso.

              Sono anni che manco da quelle parti, ma ricordo compagni che si muovevano bene ad Arcore, proprio negli anni d’oro del Cavaliere, quindi non in periodo semplice. C’era e c’è un circolo ARCI che fa sportello per gli immigrati, tratta il tema della casa, offre assistenza fiscale e tutela legale gratuita. E’ questa la lotta di cui parlo, non pensare che la lotta siano solo barricate e fumogeni (so che non lo pensi, è per dire che esistono tanti livelli).

              Tra l’altro, cosa difficile forse da capire per chi vive in realtà governate dalla destra, fare opposizione in una città governata dal centrosinistra è dura: hai contro tutti quelli che sono soddisfatti perché in fondo a Bologna si sta bene, hai contro un apparato politico che parte dalla Giunta e finisce nei circoli di quartiere, da una parte di associazionismo, da chi ti dice “ma cosa volete di più, non vedi che abbiamo anche il cinema gratuito in piazza?” Però poi non vede le contraddizioni del sistema.

              Qui si regge sugli universitari che finché pagano affitti in nero e birre care come oro, tasse universitarie e mense non sostenibili, vanno bene, se però alzano la voce o il gomito un po’ troppo vanno repressi. “E la gente vuole stare tranquilla”, perché se fai casino rompi i maroni e non ti va mai bene niente.

              Cosa fare? Parlare con la gente, dialogare con tutti, spiegare con grande pazienza quello che si fa e perché lo si fa. E lottare, occupare, volantinare, non accontentarsi.

              Intavoliamo una discussione, apriamo le porte dei centri sociali alle energie disperse e a chi non si sente rappresentato, a chi vota poco convinto, ha chi ha dei dubbi e non sa dove sbattere la testa. Questo da fastidio, fa paura in termini elettorali e allora quelle porte vengono chiuse e parte la narrazione dei centro sociali pieni di tossici e gente che non ha un cazzo da fare.

              La mia verità è che non si vuole vedere, non si vuole rompere lo status quo perché in fondo quello che c’è è già abbastanza e il cambiamento non si sa dove porterà. Pochi sono disposti a mettersi in gioco e a rinunciare ad una fetta della loro pagnotta per darla agli altri.
              Si manca di empatia, di altruismo, di motivazioni. Cerchiamole insieme, perché (e scusami lo slogan) nessuno sarà libero finché non lo saremo tutti.

            • “E’ impensabile aprire una dialettica con il PD per virare?”

              Secondo me si. E’ stato tentato nel ’96, e poi ancora nel 2006, e il risultato è stato il collasso dei partiti a sinistra del pd (che da allora si è ulteriormente spostato a destra). Possiamo provare ancora una volta a cercare un compromesso al netto ribasso molto difficile da ottenere (e sono ottimista) oppure provare a costruire qualcosa di meglio. Io scelgo la seconda opzione

            • Riapro la parentesi sulla possibilità di dialogo con il PD:
              È notizia di poco fa che la signora che si è rivolta ai poliziotti in piazza a Bologna, durante la manifestazione antifascista contro il comizio di Forza Nuova, è stata sottoposta a provvedimento disciplinare dal Comune di Casalecchio di Reno, dove è dipendente, in seguito a quei fatti.
              Dialogo…

              • E il licenziamento di Lavinia Cassaro è stato chiesto da Renzi in persona PRIMA del 4 marzo. Per quanto sia discutibile il personaggio e stupido il suo gesto si tratta di un precedente pericolosissimo. Tra l’altro il governo se fosse intelligente avrebbe cercato di giocare su questo fatto per distinguersi dai precedenti, ma quando non si riesce a pensare che come il più ottuso dei poliziotti pasoliniani è ovvio che non ci arriverai mai.

  46. Questo post mi suscita un’altra domanda, credo in tema: perché sono stato costretto a scegliere tra pd, lega, 5s e FdI? Visto che sono europeo potrei voler avere come rappresentante Tsipras, Varoufakis o Shultz.

  47. Dite che abbiamo bisogno di una AOC anche in Italia?

    • Non è questione di trovare un leader, un volto nuovo ecc. Anche questo sarebbe partire dal tettuccio del comignolo. Posto che non si possono traslare meccanicamente la dinamiche politiche e sociali di un Paese nella situazione di un altro Paese, e che su AOC si sta costruendo un mito che andrebbe ri-proporzionato (anche per il bene di AOC stessa), noi ci teniamo a far notare una cosa.

      Quando nel 2013 constatammo a più riprese che il M5S aveva fatto da “tappo salvasistema”, intercettando energie e malcontento che altrove invece avevano generato movimenti come il 15-M (Spagna), Occupy Wall Street (USA) e altri, moltissimi ci risposero così: «E cos’hanno fatto di concreto quei movimenti, eh? Cos’hanno lasciato? Niente! Il M5S invece ha vinto le elezioni!» Come se vincere le elezioni avesse un valore di per sé – in Italia c’è un serio problema di “fetish” elettorale – ed equivalesse già a cambiare la società.

      Oggi molti dicono, sospirando: «Ah, se avessimo anche noi una come Alexandria Ocasio Cortez!» Ecco, a prescindere da ogni ulteriore giudizio su di lei, AOC non ci sarebbe stata senza Occupy Wall Street. OWS fu l’inizio di un ciclo di lotte, una lunga sequenza fatta di mobilitazioni, scioperi, lavoro sindacale, solidarietà ai migranti, elaborazione teorica, sperimentazione di strategie fuori e dentro il partito democratico.
      Poi c’è chi dice: «Eh, però alla Casa Bianca c’è Trump». Sì, ma la società non è la Casa Bianca. In questo momento nella società USA esistono, ovviamente a macchia di leopardo, energie politiche i cui esiti futuri ancora non sono visibili ma che davvero potrebbero stupirci in positivo. Occupy Wall Street è stata un’esperienza “seminale”.

      Certo, in Italia abbiamo avuto l’Onda, una stagione di lotte studentesche e del precariato che ha avuto la sua importanza e per molte attiviste e attivisti di oggi è stata fondativa. Il 2011-2012 fu anche il «bienno d’oro» del movimento No Tav. Ma tra l’Onda e le mobilitazioni di oggi c’è stato, almeno a livello nazionale, uno iato (con la significativa eccezione di Non Una di Meno, che meriterebbe un discorso a parte), e una parte dell’energia del movimento No Tav ha subito la «cattura», o quantomeno l’attrazione gravitazionale, del M5S.

      Adesso che certe aspettative “chiliastiche” sul M5S appaiono come le allucinazioni che sono sempre state dal principio, forse si può capire cosa stavamo cercando di dire in testi come questo.

      • Insomma, l’argomento «Magari ci fosse un’Alexandria Ocasio Cortez in Italia!» è per l’ennesima volta prendere la questione dal verso sbagliato, è una variante dell’altra fallacia «Serve un leader». Un leader… di cosa? Se non si costruisce una realtà sociale e una nuova politica dal basso che si nutra di lotte reali e radicali (nei luoghi di lavoro, per la difesa del territorio, contro le nocività, contro il razzismo, lotte antifasciste e anticapitaliste), i volti nuovi e «spendibili» non servono a nulla, ammesso che servano in ogni caso. Spendibili da chi? E per fare che?
        Un esempio di finto movimento che ha imposto facce nuove lo abbiamo appena avuto: il M5S, appunto.
        Tralasciamo ogni commento su quelle facce.

  48. […] del successo è molto diversa se si mantiene l’occhio vigile sul Paese e sulle tendenze (come ha fatto egregiamente WuMing). L’affluenza alle europee è calata di due punti e si è fermata al 56%. Questo significa che […]

  49. Su Jacobin Italia un pezzo molto buono di Giulio Calella, che fa fuori alcuni insopportabili luoghi comuni su come la sinistra dovrebbe «ripartire».

    • Ho letto con attenzione entrambi gli articoli, trovando apprezzabili l’analisi dei modelli stranieri fatta del primo e i dettagli sul voto precisati dal secondo. Pare invece sorprendente che in nessuno dei due si riesca a pronunciare la parola UE e a stento l’aggettivo “europee”. In un’analisi sul comportamento degli elettori del Parlamento europeo questo dato semplicemente scompare come un elefante. Se non si faranno i conti con il convitato di pietra che tutto decide (vedi il commento come sempre assai concreto in merito di WB più su) è da dubitare che caveremo mai un ragno dal buco. La frase sul “coerente programma politico anti capitalista femminista ed ecologista che non si arrende difronte alle contraddizioni sempre più evidenti del capitalismo segnalate in modo drammatico dalla crisi climatica” è il culmine di questo processo di elusione del convitato di pietra che dura da quindici anni utilizzando sempre le stesse parole, cioè della rimozione consapevole del contesto preciso di capitalismo, contraddizioni incluse, in cui ci troviamo a muoverci e a scegliere se astenerci. Andando poi a scavare nei sensi profondi dell’astensione di massa… A questo punto viene da chiedersi quanto quell’astensione alle elezioni europee non sia segno di ignoranza in qualche modo indotta sulle cause di ciò che viviamo hic et nunc da parte di schieramenti ormai resisi incapaci di offrire conoscenza, riflessioni, risposte più o meno affidabili.
      Tra l’altro mai come su queste elezioni si è letto di tutto. Ad esempio riguardo a +Europa ho appreso con personale letizia, essendo anti liberista convinta, che avrebbe perduto 50mila voti mentre sapevo che ne aveva guadagnati 44mila (in questo caso è facile verificare, ma l’importante è chiedersi perché circoli un’info siffatta), non si capisce però da dove vengano i dati sui flussi elettorali descritti da laser, o sono io che non riesco a vedere la fonte del pezzo?

      • Ciao, rispondo intanto per quel che riguarda i dati indicati nel post che ho scritto.
        Per quanto riguarda +Europa, per le Politiche 2018 ho considerato per ovvie ragioni il dato della Camera (841.000 voti) e non quello del Senato (714.000 voti – fonte Wikipedia, confesso che non ho verificato sul sito del Ministero degli Interni): può darsi che le differenze vengano da lì.
        Sui flussi, non ho “fonti” e non ho certamente la pretesa di fare un’analisi statistica dettagliata, non era quello il senso del pezzo. Mi pare però che le analisi degli istituti statistici che sono state richiamate in questo thread confermino in sostanza quantomeno il trend che mi interessava descrivere. Ossia da una parte che la Lega è cresciuta soprattutto a spese delle altre forze di destra, attirando solo una parte minoritaria dei voti persi dal M5S, che sono finiti perlopiù nell’astensione. Dall’altra che le forze europeiste (sia quelle di centro come PD e +Europa, ma anche quelle “di sinistra” come i rimasugli di Rifondazione etc., non hanno guadagnato un singolo voto rispetto a un anno fa.
        Per il resto, mi sembra superfluo ribadire che nessuno, qui, fa apologia dell’astensione, né ritiene che i 20 milioni di persone che non hanno votato costituiscano un blocco sociale compatto.
        Sono però anche abbastanza chiari, considerate anche le forze che *non* hanno attirato consensi neppure a questo giro, quali dovrebbero essere i pilastri di un programma che possa coinvolgere gli elementi consapevoli (comunque milioni di persone, non solo gli attivisti in prima linea): primo fra tutti, il rifiuto degli interessi economici e politici che impongono, principalmente attraverso l’UE, le logiche di austerità. La lettera della Commissione Europea arrivata due giorni dopo le elezioni ne è la conferma immediata.

        • P.S. Comunque ho corretto il dato su +Europa: ha perso circa 10mila, non 50mila voti. Non sposta il senso del discorso, ma è senz’altro giusto precisare.

          • Ok, in parte mi avete convinto. Resta il problema di sempre: costruire un contenitore credibile per dare forma a questa massa liquida.

        • Grazie mille per la risposta e la correzione! Il sito del Viminale, tutt’altro che agevole da consultare per quanto riguarda le scorse elezioni politiche e malissimo indicizzato da google, precisa infatti che +E passa da 841.468 a 822.764 voti, cioè 18.704 in meno. Strano pensare che gli elettori di un partito simile si astengano proprio alle elezioni europee, no?
          Certo non sposta il senso del discorso, hai ragione. Era solo un’osservazione sulla considerazione dei dati.

          Quanto al resto il problema maggiore è che « le politiche di austerità » in sé non esistono. Esiste il liberismo e la UE nasce tale fin dalla culla del 1948, perdendo ogni inibizione con Maastricht. La sx in senso lato (ovviamente escludendo il PD) non ha ancora deciso se prenderne atto o no. Finché non lo farà e non sceglierà da che parte stare in modo comprensibile agli umani non tetrapilectomicizzanti, parleremo di astensionismo, di Salvini, di usura rapida dei suoi prestanome, di calo dei voti…

          • L’Avvocato Laser non ha scritto «politiche di austerità», ha detto che va perseguito «il rifiuto degli interessi economici e politici che impongono, principalmente attraverso l’UE, le logiche di austerità». E ha ragione a dire «principalmente», perché non è solo l’UE a imporre quelle logiche, ma il capitalismo, inclusi i padroni del vapore italiani. Anzi, soprattutto i padroni del vapore italiani.

            La parte più grossa dei debiti dello stato italiano (il 52%) non è detenuta da soggetti stranieri (banche tedesche ecc.), come sembrerebbe stando a sentire la retorica dei sovranisti, ma da soggetti italianissimi: colossi bancari come Intesa San Paolo e Unicredit, grandi compagnie assicurative come Generali e Unipol, poi Poste Italiane S.p.A. (che è posseduta al 35% dalla Cassa Depositi e Prestiti, che a sua volta è per l’83% in mano allo Stato) e, dulcis in fundo, Banca d’Italia.

            Certo, il 36% di debiti dello stato italiano detenuto da banche estere va tenuto in conto, ed è necessaria la critica radicale e feroce della gabbia euroliberista e del percorso che, attraverso l’UE, ci ha portati fin qui. Il problema è che il sovranismo di sinistra parla solo di questo e tace sull’altra faccenduola. Come dice Mauro Vanetti nel suo potentissimo libro La sinistra di destra, «il sovranismo di sinistra si riassume in una contraddizione: critica il capitalismo mondiale con argomentazioni di sinistra, ma difende il capitalismo italiano con argomentazioni di destra.»

            • Appunto per questo la parola austerità, sia legata a logica sia legata a politica, è sbagliata e usarla significa accettare un quadro concettuale a mio parere condizionato e fuorviante. Non è che a un certo punto il capitalismo diventa « austero », quella è una espressione propagandistica ahimé fatta propria già da Berlinguer negli anni’70 peraltro, per giustificare con argomenti moralistici l’abbandono della difesa dei salari esaltando al loro posto le virtù cattoliche del sacrificio e dell’anticonsumismo e sposando di fatto gli interessi del grande capitale. La UE ha preparato il letto di nozze e tenuto i guardiani alla porta di questo idillio decennale, creando le condizioni e imponendo « al riparo del processo elettorale » le « regole » per smantellare il diritto del lavoro e i servizi pubblici. Di che spiegare ogni crescente astensionismo.

              Quanto al libro del povero Mauro, sarà potente, ma cosa ha fatto all’editore per illustrarlo con quella terrificante frattaglia li’, lui solo lo sa.

  50. Molto buono anche questo ragionamento a partire dai voti reali, l’autore è Alessandro Villari aka l’Avvocato Laser.

  51. Un rilevamento SWG sembra confermare quanto stiamo dicendo da giorni: l’identikit più comune dell’astensionista alle ultime europee è: giovane ma non al primo voto, donna, di sinistra, alle politiche aveva provato il voto al M5S.

    • io qualche euro lo scommetterei sulla possibilità che SWG abbia deciso di sondare l’area dell’astensione in seguito a questo post.

      • Pure noi. E parliamo di euro, non di #minibot.

        • Credo che l’abbiamo pensato tutti: decenni di elezioni e mai nessuno che ha pubblicato un sondaggio serio sul non-voto.
          Può essere che non sia stato questo post a spingerli a farlo, ma certo gli ha mostrato che un pubblico interessato c’era.

  52. […] subsuelo democrático llamado abstención, que alcanzó el 26-M una cifra récord del 44%, existen, según Wu Ming, “reservas de energía política, que cuando vuelvan a circular, desbaratarán el cuadro ficticio […]

  53. The Actual Italian Results of the European Elections.
    Traduzione in inglese del post qui sopra a cura del collettivo Struggles in Italy.

  54. […] What was missing from the mainstream narrative was the the parties results were shown as a percentage of the valid votes, and not of the total votes. What was missing was the number of invalid and blank votes and the astonishing percentage of abstaining voters: 44% of people with the right to vote did not exercise that right. Wu Ming took this statistic as the basis for their commentary. What follows is our translation of their post. […]

  55. Un commento di Wu Ming 1 sulle Europee “doppiato” in tedesco.

    «Bei den EU-Wahlen hat in Italien die Lega gut 34 % errungen – von den abgegeben gültigen Stimmen. Bezogen auf die Gesamtheit der Wahlberechtigten des Landes hingegen entspräche das 18 %. Immer noch ein bedenklich hohes Ergebnis, aber doch eine ganz andere Zahl. Wenn die Nichtwähler*innen ignoriert werden, verzerrt das die Realität und verkennt deren teils wohlbedachte Beweggründe und ihr Potential. Ein besonders deutliches Beispiel dafür sind die Proteste in Frankreich gegen den in den Medien international zuvor als höchst populär dargestellten Präsidenten Macron. Darauf weist das Autorenkollektiv Wu Ming hin. Radio Onda d’Urto hat mit Wu Ming 1 gesprochen, wir haben seinen Kommentar übersetzt.»

  56. Con un certo ritardo, tempo di leggere il post e i commenti…
    Un altro bias di lettura dei risultati, che traspare spesso negli argomenti di chi dice che gli astenuti hanno fatto solo bene alla Lega, è quello di non fare i conti con il sistema elettorale e soprattutto con il fatto che sia possibile avere altri sistemi. Posto il fatto (ovvio) che una volta indetta un’elezione con un certo sistema, ciascuno decide se e per chi votare sapendo come verranno distribuiti i seggi, quello che si sottovaluta è l’impatto psicologico o strategico che il sistema elettorale a cui siamo abituati ha sulle nostre scelte. E soprattutto sulla tendenza al ‘meno peggio’ o all”argine democratico’.

    È abbastanza evidente come la vittoria di Macron nel 2017 sia proprio dovuta a quest’ultimo frame, che lo ha largamente favorito al primo turno rispetto ad altri candidati (sia di sinistra come Hamon o addirittura Mélenchon, che di destra come Fillon) grazie alla rappresentazione mediatica come unico candidato capace di battere la Le Pen al secondo turno. Visto il piccolo scarto tra i quattro candidati principali, questa strategia mediatica ha pagato, nonostante la mancanza di un vero programma politico. Fin qui sono cose ben note ai più, ma c’è un esperimento interessante portato avanti dal CNRS e altri istituti di ricerca contemporaneamente alle elezioni 2017: l’elezione presidenziale, con esattamente gli stessi candidati, è stata proposta con più modalità di scrutinio e/o conteggio dei voti alternative alla preferenza unica (per esempio, dare a ciascun candidato un voto su una scala di 3-4 valori interi, oppure mettere in ordine i candidati etc.). I risultati sono sorprendentemente spostati a sinistra.
    Il sito ‘voter autrement’ spiega dettagli tecnici, statistici, illustra i risultati… è molto completo ma in francese:
    https://vote.imag.fr/

    Credo che questo sottolinei una questione semplice ma che sembra sparire dall’orizzonte delle discussioni. Non solo il mantra delle percentuali è fuorviante, ma mai ci si sofferma su un’ovvietà: la risposta dipende in maniera fondamentale dalla domanda posta e dagli strumenti che si danno per rispondere.

    Al di là dell’interesse intrinseco della sperimentazione e dell’importanza di sapere che altre forme di democrazia rappresentative sono possbili, personalmente non vorrei essere fuorviante o illudere (né illudermi) argomentando che un sistema elettorale diverso sarebbe la soluzione a tutti i mali.
    Quello che credo che sia rilevante è che penso che l’esperimento e le conseguenze che se ne possono tirare si colleghino bene ai tre punti sollevati nel post. In particolare, una delle ragioni per cui una certa energia politica rimane ‘imprigionata’ nell’astensione (o, meglio, si esprime astenendosi) è l’inadegautezza del sistema elettorale che rappresenta sempre meno in particolare chi lotta sul terreno come WM fa presente nel punto 3.a.

  57. Mah, io resto un po’ perplesso in tutto questo continuare quasi a voler negare un evidenza abbastanza chiara.
    L’area del non voto (astenuti + bianche e nulle) cresce costantemente.
    In tutto questo mentre l’area del c.d. centrosinistra ha visto assottigliarsi costantemente i suoi elettori (non parlo di percentuali ma di milioni di lettori, siamo passati dai 19 milioni del 2006 ai circa 9 del 2018). le altre aree cdx e 5stelle se le sommi i voti sono sempre più o meno quelle, a prescindere dai flussi interni. dai 19 ai 22 mln di elettori. (parlo dei voti della camera).
    Quindi il discorso che i WM fanno è quasi lapalissiano, l’aumento del non voto sono soprattutto voti di sinistra insoddisfatti.
    A me sembra davvero andare a tutti i costi contro la matematica nel voler negare questo.

    (p.s. i dati li ho presi dal portale del ministero dell’interno)

  58. […] nessuno. Come spiegano bene gli amici di Wu Ming in questo articolo, Salvini non è altro che una minoranza tra le minoranze, in un corpo elettorale di circa 51 milioni di […]

  59. […] di riaprirla su nessun fronte. Tuttavia, e su questo siamo d’accordissimo con l’articolo dei Wu Ming pubblicato su Giap nei giorni scorsi, omettere la popolazione del non-voto significa decidere […]

  60. Io aggiungerei una valutazione che ancora non è stata fatta sul voto alla lega al sud. Se in generale è evidente che la democrazia con queste basi economiche non funziona, ciò è ancora più vero al sud. Al sud non c’è mai stata una reale democrazia. La sistuazione sociale del meridione si è incrociata con il meccanismo del voto producendo un sistema perverso che ha drogato buona parte della società. In poche parole il sottosviluppo economico e sociale e le politiche dello stato hanno alimentato il clientelismo fin dall’unità d’Italia e ciò è proseguito senza soluzione di continuità dal dopoguerra a oggi. Non ho dati certi ma se dico che in generale circa un terzo del voto dell’intero mezzogiorno sia legato a dinamiche clientelari e in alcune zone anche di più, non penso di andare tanto lontano dalla realtà. Sono in generale le zone dell’interno, soprattutto le aree rurali, le zone più povere e quelle con la più alta presenza mafiosa quelle dove il clientelismo la fa da padrone. In generale senza tirare in ballo anche la mafia si tratta di un meccanismo che funziona così. Nei paesi o nei rioni ci sono i cosiddetti capibastone, persone conosciute nel loro ambiente con agganci nella politica e nell’imprenditoria che possono mobilitare pacchetti che vanno dalle decine alle centinaia di voti. Costoro durante la campagna elettorale tastano il polso alla rete di agganci nella politica e nell’imprenditoria, valutano promesse e garanzie offerte e decidono a chi portare il proprio pacchetto di voti. In genere tutti hanno un potente di riferimento cui di solito garantiscono il loro appoggio. Non è detto però che non cambino fronte all’occorrenza se non sono particolarmente legati ai loro referenti. Per mantenere il pacchetto di clientes è fondamentale poter garantire una qualche tipo di ritorno, che può essere anche solo un lavoretto partime per qualche mese o un occhio di riguardo per una pratica. Ma per poter garantire simili favori bisogna che il referente abbia la sufficiente influenza e questo dipende dall’esito del voto. Se si annusa che il cavallo su cui si punta di solito questa volta potrebbe essere zoppo e non vi si è troppo legati, si può puntare su un nuovo cavallo che si ritiene vincente. I referenti dei capibastone di basso livello sono di solito politici, imprenditori o personaggi in vista che oltre a questi pacchetti hanno un proprio sistema clientelare che mantengono grazie alla rete di conoscenze e all’influenza politica nei vari ambienti (comuni, aziende, società varie). Raccogliendo i vari pacchetti sono in grado così di garantire dalle migliaia alle decine di migliaia di voti al loro referente che in genere è un politico di primo piano a livello locale o un eminenza grigia. Anche a questo livello è possibile trattare il proprio appoggio e decidere a chi garantirlo a seconda delle circostanze. I loro referenti sono infine delle specie di grandi feudatari con un proprio feudo elettorale e un influenza molto forte, capaci di condizionare la politica regionale, mentre i più potenti contano anche nelle stanze romane. Costoro hanno pacchetti di voti che arrivano a centinaia di migliaia di voti. In questo sistema può entrare naturalmente la mafia a tutti i livelli, ma non è necessariamente presente.

    Quello che è successo nelle ultime elezioni al sud è stato proprio un trasferimento del voto clientelare alla lega o a liste ad essa collegate. Tra l’altro proprio le liste spesso sono un sistema per pesare i pacchetti portati in dote dalle varie cordate. Orde di valvassori e valvassini hanno annusato l’aria che tirava è hanno puntato sul cavallo secondo loro vincente scaricando i loro feudatari, ma in alcuni casi sono i feudatari stessi che hanno deciso che gli conveniva cambiare campo. E’ bene specificare che il voto clientelare non è per nulla un voto di opinione, ma un voto di accattonaggio. E’ un voto dato in una situazione economica molto precaria con la speranza di avere una qualche attenzione o tutela. Al sud inoltre anche molte delle attività burocratiche o economiche vanno avanti a stento se non si ha qualche santo in paradiso. E’ vero però che a volte chi riceve indicazione di voto per un dato partito in qualche modo cerca di appropriarsi delle sue idee e dei suoi slogan fino a farne quasi una nuova chiesa, come se sia un modo per convincersi di stare facendo la cosa giusta e fare pace con la coscienza. Ho visto gente diventata da un giorno all’altro fan sfegatata di forza italia o fan sfegatati del PD perché avevano un referente politico di quel partito. Oggi ci sono fan sfegatati della Lega, che ripetono ossessivamente a macchinetta le sciocchezze della propaganda della loro parte politica, ma in realtà sta solo credendo di credervi davvero. Senza contare che cercare di influenzare il voto di amici e conoscenti è un modo per garantirsi di stare dalla parte vincente.

    Naturalmente tutto questo sistema, che favorisce un controllo sociale assoluto, è stato mantenuto e alimentato dallo stato attraverso una spesa pubblica che fosse del tutto improduttiva e che anzi continuasse a drogare l’intera società. Questa spesa pubblica improduttiva è la linfa vitale del clientelismo. Al contempo la spesa pubblica produttiva, quella ad esempio in istruzione e infrastrutture, capace di far sviluppare l’economia e liberare la società dalla dipendenza economica dalla pubblica amministrazione, ebbene proprio quella spesa pubblica è stata mantenuta ai minimi termini da 150 anni a questa parte. Quando al nord si dice che al sud rubano e sprecano denaro, si dice una cosa in parte vera, ma ci si dimentica però che il nord “ruba” tutti gli investimenti dello stato e che il meccanismo clientelare ha fatto comodo a tutti, compreso il nord, altrimenti sarebbe sparito da tempo.

    Riprendendo l’analisi elettorale si può dire che il voto ai 5 stelle dello scorso anno sia stata la prima forma di ribellione al sistema clientelare, motivata però dal fatto che con l’austerity i soldi sono diminuiti ed è diventato sempre più difficile mantenere le promesse ai clientes. Dopo l’esperienza dell’ultimo anno però sono prevalse di nuovo le vecchie abitudini anche se in un equilibrio politico completamente rinnovato, ed ecco così spiegato in parte il boom della lega al sud.

    • A questo proposito darei qualche altro numero su quel 44% di astenuti.
      Dopo le elezioni europee ho scritto un messaggio a mio fratello dicendogli che in Italia c’è stato una sorta di salto collettivo verso destra. In maniera assolutamente emotiva ho considerato che circa il 70% di votanti hanno scelto partiti fondati su idee conservatrici oppure che sono gestiti in maniera patronale od oligopolistica. In generale questo mi è sembrato il sintomo di un cammino verso una qualche forma di “democrazia illberale”, come la chiamano oggi. Ciò mi pare ancora più vero perchè “gli altri” nell’inseguimento dell’elettore indeciso hanno ormai anche loro mosso più di un passetto verso un centro corporativo e neo-tribale che si allontana fortemente da una certa tradizione di sinistra.
      Sono andato allora a riprendere alcuni dati ISTAT del 2016 e insieme a qualche altro articolo sulla descrizione numerica “dell’italiano”, quel 44% ha iniziato a prendere la forma di una tendenza.
      I numeri sono questi:
      Circa il 61,5% degli “italiani” non parla praticamente mai di politica, al massimo qualche volta al mese (16%). Questo valore è più alto tra le donne (70%) e al Sud o nelle Isole (67,1%). Il dato è influenzato al rialzo rispetto a quello sull’elettorato perché include intervistati della fascia d’età 14-17 anni che non votano e che sono generalmente i meno interessati.
      Va un pò meglio se si leggono i numeri sull’informazione politica. Circa il 40.4% degli italiani non legge mai o quasi mai di politica mentre il 4,8% solo una volta alla settimana.
      Interessanti sono anche i dati sugli “italiani” che “partecipano”. Circa il 43% degli intervistati partecipa ad associazioni culturali, ecologiste, di quartiere o sindacati in maniera volontaria oppure dona denaro ad associazioni ed altre organizzazioni. Ribaltando il dato il 57% vive dentro una sfera familiare o routinaria che non implica una condivisione volontaria di competenze o di risorse.
      Nel Sud tutte queste percentuali peggiorano di qualche punto.
      E’ interessante incrociare questi dati con quelli su cultura ed educazione tipo lettura libri, assistenza a mostre o cinema etc. Circa il 18,5% degli “italiani” non legge, non va al cinema, non va a un museo, a una mostra, a un parco archeologico etc. (al sud il 28%).
      Non c’è nulla di nuovo allora se non che gli analisti del marketing politico di Lega, 5S, PD etc. oltre a cercare di “rubarsi voti”, predispongono i loro messaggi elettorali in funzione di alcuni segmenti di popolazione scarsamente interessati ed informati facendo in modo che continuino a non votare oppure che votino per loro.
      La Lega e prima i 5S non hanno vinto perchè hanno veicolato un messaggio di lotte da combattere insieme, ma perchè hanno costruito lotte per delega di internet e/o di leader carismatici “uno di noi che ha capito tutto”. Quindi oltre a costruire un messaggio semplice ma sentito come vicinissimo, tipo Make America great again o “Potenza prima di tutto” si fa largo affidamento sulle relazioni patronali, sulle connessioni e sulle politiche dell’amico dell’amico. Questo “neo-tribalismo” funziona lungo tutto lo spettro ideologico a mio parere, dai Musumeci, ai De Luca e Pittella ai Bardi etc. A questo basta aggiungere qualche video su youtube ben segmentato e un gruppo facebook che finalmente svela la realtà così com’è per costruire l’offerta politica necessaria a mobilitare quel 20% circa di elettori mancanti tra le elezioni europee e quelle politiche. Di solito poi quel “20%” al Sud segue l’onda “nazionale”, cioè cerca di seguire il cavallo vincente. Non cerca di resistere. Aspira all’alleanza per spartire.

  61. A riprova di quanto ho descritto ecco un commento di Santoro sul voto in Basilicata https://www.michelesantoro.it/2019/04/salvini-basilicata-petrolio/

    • Mi scuso se continuo ad almentare questo thread visto il tempo ormai trascorso. Però visto che citavi la Basilicata e la questione petrolio vorrei far notare due cose:
      1. Nell’inutile referendum sul petrolio la Basilicata è stata l’unica regione in Italia a raggiungere il quorum ed ha votato per fermare le estrazioni. All’epoca mi trovavo in Italia e a Potenza e insieme ad alcuni amici guardammo i dati elettorali che confermavano che le aree di estrazione tendevano ad essere quelle che votavano per continuare a farlo. Anni prima, quasi una decina, feci un piccolo viaggio “on the road” in Basilicata e finii con l’arrivare a Viggiano. Qui tra un amaro lucano e l’altro (all’epoca ero ancora un discreto bevitore) l’oste e pochi altri convenuti raccontarono a me e al mio compagno di viaggio di come fosse impossibile opporsi all’ENI e alla TAMOIL. In poche parole, il petrolio era cosa buona e giusta e chi si opponeva o trovava lavoro tra le fila “del nemico” oppure era costretto alla migrazione. E’ possibile raccogliere storie bipartisan al riguardo se se ne ha la voglia. Consiglio in ogni caso la lettura del libro “Il Totem Nero” per capire quanto sia radicata storicamente la questione petrolio in Basilicata. Purtroppo è ormai fuori produzione ma l’ho scansionato e se interessati ve lo invio.
      2. Sulle analisi del PD leghista (che mi trovano in generale d’accordo) vorrei solo invitare alla lettura di questo articolo che ho “scoperto” da poco e sul quale non ho molti elementi “reali” per formulare una critica costruttiva. In ogni caso mi sembra sia meglio partire da qui per capire certi sconvolgimenti “elettorali” nel Sud.
      http://campagneinlotta.org/i-ghetti-le-lotte-autorganizzate-e-chi-se-ne-appropria-cronistoria-di-fatti-e-misfatti-dellusb/

      Al proposito mi permetto di dire solo che Venosa è l’unico comune dei 5S in Basilicata e che Potenza, dopo ormai 10 anni di dissesto finanziario, è finita alla Lega grazie a discorsi razzisti che si erano radicati ben prima di questa svolta a destra più radicale. Cito ad esempio sempre il periodo post-referendario quando durante una camminata “in centro” un bambino di circa 10 anni mi lasciò senza parole. Era appena uscito da scuola e si rivolse a un venditore ambulante senegalese con le seguenti testuali parole: “Ehi, Ebola, torna a casa tua!” (era anche il periodo dell’epidemia di ebola in Sierra Leone).
      Visto da lontano (poche letture e qualche video), non mi pareva che l’USB e Aboubakar Soumahoro fossero un soggetto che cattura la rappresentatività di un territorio. Piuttosto mi sembravano un tentativo di disvelamento del “Reale” alla società dello spettacolo italiana. Per lo meno, mi aspetterei da parte della “rete campagne in lotta” di essere meno allusiva nella formulazione di critiche. Magari spiegare meglio come sia difficile costruire “soggetti rappresentativi” nel foggiano invece di evocare parole diaboliche tipo “chiesa metodista”. Il mio pensiero ormai controllato dalla Paranoia è corso subito verso le infiltrazioni delle lotte sud americane da parte di sedicenti guru. Ho immaginato Aboubakar controllato da uno sciamano cubano rigorosamente anti-castrista.
      In ogni caso piuttosto che affermare che i 5S sono gli unici a non essere clientelari e tante altre belle cose, mi chiederei cosa pensano i 5S di queste dinamiche “Reali” dopo aver di fatto vietato legalmente ai cittadini “italiani” qualsiasi forma di interazione con persone di colore per evitare favoreggiamenti e tante altre brutte cose. Sembra che siano finiti in parlamento per caso. Sono lì a mani alte per far vedere che sono pulite mentre da dietro qualcuno gli sta puntando un enorme fallo?

  62. Lascio, per chi ha voglia di farsi del male, la possibilità di scaricarsi un e-book dell’istituto cattaneo sulle elezioni del 2019. http://www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2019/06/LItalia-sovranista-e-la-sfida-allEuropa.pdf

    Ho cominciato a leggere da poco, quello che salta subito agli occhi è la totale inutilità dell’intera parte iniziale – condita da raccomandazioni in nota che a degli studiosi dovrebbero suggerire di lasciar perdere, non di fare come se non ci fossero – e lo segnalo usando il commento come promemoria (sorry)

  63. […] È così, da qualunque parte si prenda questa vicenda si troveranno poteri «di sinistra» indefessamente impegnati ad aprire varchi per le scorribande di un’eventuale futura amministrazione leghista. Del resto, è quel che fanno da decenni, a ogni livello, dopodiché si sorprendono, cadono dalle nuvole constatando che la retorica del «male minore» – del «meno peggio», del «vota noi altrimenti arriva chi fa persino più schifo» – non funziona più, e, in preda al disgusto, milioni di persone piuttosto che votare PD scelgono di astenersi. […]

  64. A distanza di soli tre mesi, mentre Salvini è contestato nelle piazze come non mai e sovente deve scappare dal retro come un Renzi qualsiasi, e mentre per la prima volta la sua azione politica trova inciampi seri, rilanciamo questa discussione e, nel farlo, ricordiamo la nostra riflessione del giugno 2018: «No, Salvini non è un “grande comunicatore”» [il titolo è di Giulio Cavalli, per noi era il thread «I denti di Salvini»]. Salvini è una macchina semplice, un robotino, sa fare una cosa sola, e continuerà a farla anche in una fase in cui non solo non servirà più, ma gli sarà controproducente.

    • «Se Salvini ha successo comunicativo, ciò avviene *suo malgrado*. Fosse stato solo per suoi “meriti”, sarebbe al massimo un Borghezio, ma si trovava al posto giusto al momento giusto, quando i media s’inventarono la contrapposizione tra i “due Mattei”, Renzi e Salvini. Mentre il primo era al governo, il secondo fu pompato in tv 24h su 24. Gli fu permesso di insediarsi in pianta stabile nel palinsesto quotidiano, era oltre ogni zapping, in tv a ogni ora, un monologo-fiume, incessante, senza alcun sensato contraddittorio, senza fact-checking sulle sue sparate, libero di parlare alle viscere dei ceti medi. Era mediaticamente, sensazionalisticamente perfetto.
      Nel mentre, il PD si muoveva esattamente sullo stesso terreno, quello del “decoro”, del controllo, della mentalità poliziesca, dell’immigrazione inquadrata – a dispetto di ogni dato fattuale – come “invasione”, fino a inventarsi un uomo forte dal pugno duro (Minniti), attaccare le ONG, pretendere di gestire l’immigrazione finanziando veri e propri campi di concentramento in Libia.
      Il PD, lungi dal disattivarla, ha rafforzato la cornice narrativa dentro la quale Salvini era l’eroe. Trattandosi di una cornice prettamente *oppositiva*, non poteva certo giovarsene il PD, che stava al governo e negli anni da Monti a Gentiloni ne aveva fatte di cotte e di crude, imponendo l’austerity e attaccando frontalmente il mondo del lavoro.
      È stato *tutto questo* a favorire sempre di più Salvini e la narrazione che portava avanti. Non sono stati suoi speciali meriti di comunicatore. Con quella supertribuna sempre a disposizione, tutti quegli assist e in quel contesto, Salvini è stato *costruito*.
      Oggi il più grande errore che si possa fare è sopravvalutarlo, schivando la fatica di cercare crepe nella sua facciata. Non è un genio, né lo è il suo social media manager. Ancora una volta si attribuiscono a un “miracolato” meriti che invece sono del “vento in poppa”. Tutto ciò che, grazie al vento in poppa, ora gioca a suo favore – comprese le sfrenate espressioni di disprezzo/disgusto, le movenze tutte atte a *respingere* – un giorno potrebbe giocargli contro. La gloria mundi transit. Sta anche a noi avvicinare quel giorno.
      E allora, in sintesi: perchè vivisezionarne il linguaggio del corpo? Non per renderlo “ridicolo” (la situazione non è affatto ridicola) né per “far vedere che è cattivo” (bella scoperta), ma perché è un linguaggio che non può controllare del tutto e ne fa capire i punti deboli. Un politico che esprime, senza mai riuscire a “staccare”, disprezzo e disgusto anche quando cerca di sorridere, i cui gesti sono tutti – proprio in senso stretto – *respingenti* ed è palesemente bloccato sul piano dell’empatia, *sa fare una cosa sola* e non è adatto a ogni fase.
      Essere consci di questo può aiutare a non sopravvalutarlo. NON è un «grande comunicatore», è un miracolato, e il suo linguaggio del corpo fa capire che non se ne rende nemmeno conto. Del resto, se tutti intorno ti chiamano “capitano” o comunque ti lisciano il pelo…»

      • Esatto esatto esatto!!
        Se nessuno rompe la semantica questa diventa tendenza e fa scuola.

        Il PD è responsabile della salita di Salvini esattamente come il bambino che segue il cattivo esempio.
        La retorica del PCI è morta e sepolta, e gli attori sono poco più che una compagnia dilettantesta da recita estiva d’intrattenimento.

        Il lavoro è iniziato negli anni 90 con la dialettica televisiva berlusconiana. La sinistra, termine sparito non a caso dal nome PD(S) – non ricordo che se proprio voi sottolineavate questa cosa – è andata a ruota, pensando che quello fosse il nuovo linguaggio per fare voti (audience) e il passo verso una terminologia di destra è stato breve. E se è vero che le parole determinano il senso del pensiero che si esprime, ben presto dalle parole si è arrivati ai contenuti.

        Il PD termina la metamorfosi in nuovo centro liberale con il suo ultimo governo. Da lì, per il leghismo, la strada è tutta in discesa.

  65. E prima o poi andrà fatto un ragionamento duro e preciso sui sondaggi d’opinione – quelli sulla «popolarità» del tal politico, sulle «intenzioni di voto» quando non c’è nessuna elezione all’orizzonte, sulla «fiducia» nella tale o tal altra istituzione ecc. – e su come concentrandosi su quelli non si capisca un cazzo di cosa stia succedendo davvero nella società, rimanendo ogni volta spiazzati quando la realtà presenta il conto. Accade per vari motivi. Alcuni sono spiegati in quest’articolo uscito tempo fa su Jacobin, intitolato Against Polling [Contro i sondaggi].

  66. Quando una verità fatta notare su Giap viene ripresa in tv da Alba Parietti, vuol dire che era proprio una banalità di base, un dato di fatto che una volta asserito è autoevidente.

  67. Ho provato a capire chi c’è esattamente dentro l’astensione, in quali classi sociali cercare queste riserve di energia politica. Ho fatto un po’ di conti con dei modelli statistici e viene fuori, guarda un po’, che chi non ha votato a queste Europee è proprio chi sta peggio. E magari hanno votato m5s allo scorso giro, ma dopo il Conte-1 hanno deciso di starsene a casa, altro che balle su disoccupati e poveri che votano Salvini.

    Visto che si è parlato di questi temi già in altri commenti qui sopra, vi linko quanto ho scritto:
    https://www.centrostudiargo.it/classi-sociali-nelle-elezioni-2018-e-2019-unanalisi-bayesiana-del-voto/

  68. […] Circoli virtuosi, dicevamo. ■ Si scrive un commento su Giap sapendo che l’incipit arriverà su Twitter. Spesso la prima frase è già il punto, la prolessi della tesi, scritta con buona breviloquenza. ■ I giapster usano Twitter per monitorare la discussione sul blog, raro esempio di metadiscorso che non finisce OT. ■ Da un certo momento in avanti i titoli di Giap contengono già hashtag. Questo attira a discutere su Giap potenzialmente chiunque sia interessato a un dato argomento. ■ Si usano alcuni tweet come ballons d’essai per eventuali articoli su Giap, e infatti svariati post nascono da thread su Twitter. Gli ultimi prima del nostro abbandono saranno quello sui partigiani migranti e quello su elezioni europee 2019 e astensionismo. […]